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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

La rivista Sapere si rinnova

Dall’enciclopedia: “La fondazione del primo periodico che può essere assimilato alle moderne riviste avvenne quasi contemporaneamente in Francia e in Inghilterra, nel 1665. Il primo numero del francese Journal des sçavans (chiamato successivamente Journal des savants) reca la data di lunedì 5 gennaio 1665. Fondato da Denis de Sallo, il Journal des sçavants assunse con la direzione dell'abate Jean Gallois, subentrato l'anno successivo al fondatore, il carattere di giornale scientifico”.
Sùbito dopo nacquero riviste che riportavano anche poesie, racconti, notizie mondane.
Sono passati oltre tre secoli da allora e le riviste – fuori dell’area dei magazine settimanali, ad esempio Espresso o Panorama – sono andate sempre più specializzandosi precedendo quello che si è verificato con la tv dai canali tematici satellitari.
La diffusione di Internet e l'introduzione di nuovi mezzi digitali dell'informazione, quali gli eBook reader e i tablet computer, hanno creato un nuovo ambiente tecnico e culturale che ha condannato chi non è riuscito a stare al passo dei tempi. Il problema è particolarmente evidente nell'àmbito dell'editoria accademica e scientifica che ha visto la nascita di pubblicazioni on-line peer review diffuse a basso costo, secondo i dettami della Dichiarazione di Berlino sull'accesso aperto alla letteratura scientifica (2003).

La rivista Sapere Idee e progressi della scienza, edita da Dedalo ha saputo cogliere le opportunità che offrono i nostri giorni e ha rinnovato le proprie pagine.
Per sapere come, Cosmotaxi ha rivolto a Claudia Coga, direttrice editoriale di Dedalo, due domande.

Quando e dove nacque “Sapere” e quali i suoi iniziali propositi?

Sapere è la più antica rivista di divulgazione scientifica italiana ed è nata nel 1935 a Milano ad opera dell'editore Hoepli.
Nel corso di una lunga storia di quasi 80 anni di vita, ha avuto diversi editori, direttori, orientamenti, ma il suo obiettivo è sempre stato la divulgazione scientifica. Vi hanno scritto scienziati come Marconi, Fermi e tanti altri.
Nel 1962 Hoepli cedette la testata a Edizioni di Comunità che la pubblicò sino al 1967, anno in cui mio padre, Raimondo Coga, la rilevò.
La Edizioni Dedalo pubblica la rivista senza interruzioni dal 1967
.

In che cosa consiste il rinnovato profilo di “Sapere” oggi? E quale pubblico intende raggiungere?

Alla vigilia dei suoi 80 anni abbiamo deciso di rinnovare la rivista, per renderla più fruibile da un pubblico più vasto.
Della tradizione e della storia di Sapere resteranno il rigore e la passione per la scienza, l'autorevolezza dei contenuti garantita da un comitato editoriale e scientifico di scienziati affermati.
La nuova rivista ha una veste grafica totalmente aggiornata e una profonda ristrutturazione di tutte le sezioni: news di attualità, articoli di approfondimento, una serie di nuove rubriche, brevi e incisive, una sezione "light" per parlare di scienza e intorno alla scienza anche attraverso il racconto, la graphic novel, l'infografica, la fotografia.
Nell'era digitale, non mancherà un sito complementare alla rivista cartacea, con notizie, curiosità, rubriche, blog e pagine social su facebook, twitter e pinterest.
La rivista intende raggiungere un pubblico ampio costituito da tutti coloro che hanno sete di scienza, pensiamo anche agli insegnanti, ai giovani
.

La direzione è ora affidata a Nicola Armaroli.
Ogni numero (bimestrale) costa 7.50 euro.
L’abbonamento cartaceo + pdf in Italia: 40.00 euro
Versione in pdf: 25.00 euro.


Fedra

Vita tempestosa quella della grande poetessa russa Marina Cvetaeva (Mosca, 8 ottobre 1892 – Elabuga, 31 agosto 1941),
Durante la rivoluzione bolscevica scrisse versi inneggianti allo zarismo, poi emigrò in Francia dopo l’incontro fatale con un uomo del quale scrisse: “Nella primavera del 1911 in Crimea ospite del poeta Max Volosin incontro il mio futuro marito, Sergej Efron. Abbiamo 17 e 18 anni. Decido che non mi separerò da lui mai più in vita mia e divento sua moglie”.
Efron, dapprima fra i “bianchi” poi entrerà nella famigerata polizia segreta Gpu; pur non essendoci prove certe pare abbia collaborato a due omicidi fra i quali l’uccisione del figlio di Trotsky.
Nell'agosto del 1939, Efron, percorrendo fino in fondo il suo destino di uomo dannato, sarà fucilato.
E’ lo stesso anno in cui Marina vedrà l'amatissima sorella deportata nel gulag. Ma le sue sofferenze non erano finite perché anche sua figlia sarà arrestata e deportata.
Una domenica, era il 31 agosto, del 1941 s’impiccherà e il 2 settembre è sepolta in una fossa comune nel cimitero di Elabuga.
“Disse una volta a Vasilij Rozanov” – scrive Antonio Castronuovo – “di non credere all’esistenza di una vita ultraterrena, di possedere una natura incapace di pregare e rassegnarsi, e al contrario di provare una febbrile brama di vivere. Ma si poteva definire vita quella in cui dominava l’indifferenza?”.
Marina non lo tollerava: “Ogni volta che vengo a sapere che un uomo mi ama mi stupisco, che non mi ama mi stupisco, ma più di tutto mi stupisco quando è indifferente nei miei confronti".
Non meraviglia se una personalità tanto complessa che vede tra i principali temi l'emotività e la sessualità femminili sia attratta dal mito di Fedra.
Nel 1923, infatti, scriverà la tragedia “Fedra”, personaggio su cui si erano esercitati Euripide (Ippolito), Seneca (Phaedra), Racine (Phèdre), D'Annunzio (Fedra), e sul quale scriverà per le scene, nel 1996 Sarah Kane (Phaedra's Love).
Il nome di Fedra, lo incontriamo per la prima volta nell’opera di Marina Cvetaeva in una poesia del 1923 intitolata “Il sipario”: Sopra la trafitta Fedra / s’impenna il sipario come un grifone.

Ora, Fedra della Cvetaeva viene proposta – in una traduzione di Marilena Rea – al Forte Fanfulla di Roma in prima nazionale con interpreti Edda Gaber e Marco Solari (in foto).
Musiche originali di Francesca Ferri; costumi: Metissage; disegno luci: Gianni Melis; post produzione audio Ruzkut.
La regìa è di Marco Lolli che così dice circa la visione data al suo lavoro: Messa da parte ogni “necessità espressiva” di produrmi in una ulteriore presunta operina da camera, ennesima occasione mancata per svuotarmi da me stesso, fare “infinito” in un quadratino angustissimo di spazio, appunto in quel quadratino mi restano ora due viventi, immaginanti creature. Dico due farfalle, se è vero che la ‘vita’ è una farfalla senza polvere colorata (basta sfiorarla con le dita!) e il ‘sogno’, polvere colorata senza farfalla. E allora cos’è una farfalla con la polvere colorata? Deve essere qualcosa di diverso, una sorta di sogno incarnato o di vita divenuta sogno. Ma ammesso che questo esista, non qui, non sulla terra!

Marina Cvetaeva sul teatro: Non rispetto il Teatro, il Teatro non mi attira e non lo prendo in considerazione. Il Teatro (vedere con gli occhi) mi è sempre sembrato un supporto per i poveri di spirito, una garanzia per i furbi che appartengono alla razza di Tommaso l’Incredulo e credono solo a quello che vedono; di più: a quello che toccano. Una specie di alfabeto per i ciechi.
Mentre l’essenza del Poeta è credere sulla parola!
Per sua incapacità innata a vedere la vita visibile, il Poeta dà vita all’invisibile (l’Essenza). Il Teatro ritrasforma questa vita (Essenza) alla fine intravista in vita visibile, cioè a dire quotidiana.
Percepisco sempre il teatro come una violenza.
Il Teatro viola il mio tete-à-tete con l’Eroe, il mio tete-à-tete con il Poeta, il mio tete-à-tete con il sogno: assomiglia al terzo incomodo in un convegno d’amore
.

Forte Fanfulla
"Fedra"
di Marina Cvetaeva
con Edda Gaber e Marco Solari
regìa di Marco Lolli
Info: 338 – 02 98 386
fanfulladaily@gmail.com
sabato 29 e domenica 30 marzo, ore 19.00
poi in tournée


Disegno In-Opera

L’espressione “Arte povera” fu coniata dal critico Germano Celant per identificare un progetto estetico italiano, ma di respiro internazionale, che sul finire degli anni ’60 del secolo scorso coinvolse nomi quali Boetti, Calzolari, Kounellis, Merz, Paolini, Pistoletto.
Fra i protagonisti di quel gruppo troviamo Luciano Fabro che nel 1968 divenne noto sagomando le Italie in decine di varianti realizzandole con materiali differenti fra loro e spesso appese al contrario, invertendo la prospettiva culturale che determina la geografia economica e umana dell’Italia reale.
Ora è in corso al CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno la mostra Luciano Fabro. Disegno In-Opera.
Realizzata in collaborazione con la GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo - dove è stata aperta da ottobre 2013 allo scorso 6 gennaio, l’esposizione accoglie per la prima volta in Italia un ricco nucleo d'opere di Luciano Fabro (Torino 1936 – Milano, 2007).
L’esposizione è a cura di Giacinto Di Pietrantonio - Italo Tomassoni - Bruno Corà in collaborazione con Silvia Fabro e l'Archivio Fabro.


In foto: Macchie di Rorschach, “Il passo del reazionario”, 1976.

Italo Tomassoni, direttore del Ciac, così scrive nel catalogo della mostra: Abitare lo spazio e smaterializzare la scultura; liberarsi dall'"ingombro dell'oggetto" e dalla "vanità dell'ideologia"; lavorare sulla trasparenza, sul neutro, proprio per togliere neutralità allo spazio; questi sono gli obiettivi sui quali Fabro si concentra... Alleggerita l'idea plastica dal peso della materia e dalla concentrazione delle forze che rallentano la circolazione, Fabro pensa alla scultura senza ignorare il disegno facendo i conti con le funzioni portanti della luce e del neutro.

Il percorso espositivo accoglie oltre 100 disegni che, come suggerisce il titolo della mostra, presentano tipologie e funzioni differenti: essi, infatti, non sono strettamente “progettuali, in altre parole preliminari alla realizzazione di opere, bensì disegni intesi come pratica alla base del processo creativo che conduce alla genesi di un’idea o come mezzo per trasmettere messaggi; disegni in cui è esplicito il riferimento alla scultura e disegni come campo d’indagine e di sperimentazione". E ancora disegni come forme - aperture, buchi e fori - grazie alle quali Fabro indaga e attraversa lo spazio aperto da Lucio Fontana, che in quegli anni era punto di riferimento per gran parte dei giovani artisti.
Disegnare è, per Fabro, un termine che spazia dalla parola all’immagine, al pensiero; è l’iconografia e il percorso che egli traccia sempre nel suo operare. Molti dei disegni in mostra sono eseguiti su supporti eterogenei (dai cartoncini delle schede di catalogazione utilizzate in biblioteca ai fogli di carta millimetrata; dalla carta Fabriano alla carta paglia) e realizzati con tecniche e materiali diversi: disegni di solo testo, a sfondo etico, con frasi riportate in poesia accompagnate da una dedica o da poesie- filastrocca; disegni-collage come “Autoritratto” (1967), realizzato su carta caratterizzata da una fitta griglia al cui centro Fabro ha incollato una piccolissima foto del suo volto.
Il catalogo della mostra - edito da Silvana Editoriale - include testi critici di curatori, storici dell’arte e artisti che hanno avuto la fortuna di conoscere e lavorare con Luciano Fabro e le quattro lezioni sul disegno che l’artista tenne durante gli anni d’insegnamento presso l’Accademia di Brera, che forniscono una chiave di lettura preziosa dei disegni e della sua opera in generale.

Ufficio Stampa: Lucia Crespi, tel. 02 – 894 15 532; 02 - 804 016 45; lucia@luciacrespi.it

Luciano Fabro
Disegno In-Opera
Ciac
Via del Campanile 13, Foligno
Info: 0742 357035 – 3404040625
Fino al 4 maggio 2014


Anno Cavelliniano

Quanti sono i centenari che si celebrano nel 2014?
Da quelli importantissimi a quelli pressoché sconosciuti, impossibile contarli tutti.
Per limitarmi a citarne solo alcuni più rilevanti nell’area in cui, prevalentemente, agisce questo sito (arti, filosofia, letteratura, scienze) noto sulla Cronologia Universale alcuni avvenimenti.
La pubblicazione di “Radiazione e teorie dei quanti” del fisico inglese Moseley, la prima edizione dell’opera “I sotterranei del Vaticano” di André Gide, del “Pigmalione" di G. B. Shaw, di “Platero e io” dello spagnolo Juan Ramón Jménez (sarà Premio Nobel per la letteratura nel 1956).
Ch. D. Broad dà alle stampe “Percezione fisica e realtà” mentre J. H. Watson fonda il Behaviorismo con “Il comportamento, introduzione alla psicologia comparata”; muore il filosofo americano Charles Peirce fondatore del Pragmatismo.
Sugli schermi statunitensi debutta “Nascita di una nazione” di David Griffith.
Charlie Chaplin, a Hollywood, è convinto da Mack Sennett a fare del cinema: cortometraggio “Making a Living”.
E in Italia?
Ecco “I canti orfici” del poeta Dino Campana; si ha il “Manifesto dell’architettura futurista” dell’architetto comasco Antonio Sant’Elia; la “Francesca da Rimini” del compositore Ruggero Zandonai; Giovanni Pastrone dirige il film “Cabiria”; nascono: a Roma la sceneggiatrice Giovanna (detta Suso) Cecchi D’Amico e, a Genova, Pietro Germi.

C’è, però, un altro centenario che molte pagine, colpevolmente, trascurano e cui Cosmotaxi, invece, darà spazio nel 2014: si tratta di uno che stimo (e non sono certo il solo) come tra i grandi artisti italiani del secolo scorso: Guglielmo Achille Cavellini, o GAC ( come si firmava, nato a Brescia l’11 settembre 1914.
QUI una sua essenziale biografia.
Nell’Archivio bresciano, curato dal figlio Piero, sono in progressivo aumento le opere dedicate a Cavellini; al momento fra gli autori che gli hanno destinato lavori: Renato Birolli, Andy Warhol, Mimmo Rotella, Mario Ceroli, Claudio Costa, Claudio Parmiggiani, Marina Abramovic.


Nell’immagine accanto, ritratto da Andy Warhol, acrilico e serigrafia su tela, cm. 101x102, 1974.


Mi è pervenuto un elenco delle manifestazioni e mostre fino ad oggi fissate per celebrare il centenario della nascita di GAC e volentieri le rilancio.


PROGETTOUTOPIA Piero Cavellini/Lillo Marciano, GAC a Sirmione. Varie installazioni site specific ed eventi, dal 1/1/2014 al 11/9/ (cavellini@alice.it) (progettoutopia@libero.it)

Istituto Italiano di Cultura, San Francisco (USA).
Mostra per il Centenario di GAC, a cura di Florence Lynch e Bee Tham. Inaugurazione 8 aprile 2014- Catalogo. (florence@lynchtham.com)

Brescia, 11 settembre 2014, dalle ore 15. Spazio Contemporanea, Corsetto Sant’Agata 22 Celebrazione ufficiale del Centenario a cura di PROGETTOUTOPIA.
(cavellini@alice.it) (progettoutopia@libero.it)

Museo MART di Rovereto, “Propheta in patria. Cavellini1914-2014”.
I 16 Manifesti del Centenario, ritratti e documenti vari, a cura dell’Archivio del MART e Archivio Cavellini, Inaugurazione 4 ottobre 2014. (dal 5 ottobre al 6 gennaio). Catalogo (archives@mart.tn.it) (info@cavellini.com)

"Vita di un genio: Cavellini immaginato".
Rappresentazione teatrale e video a cura di Piero Cavellini e Paola Cavalli (in date e luoghi da definirsi, sett./ott. 2014) (cavellini@alice.it) (paolacavalli1@hotmail.com)

Mostra di Mail art internazionale in omaggio a GAC, a cura di Roberto Formigoni (don’t panic, please! Solo omonimia. Qui si tratta dell’artista Formigoni)
Galleria San Zenone all’arco, Vicolo San Zenone 4, Brescia, dal 11 ottobre al 2 novembre 2014

Vittore Baroni - The Collective Centennial Cavellini artistamps, serie di francobolli commemorativi emessi a partire dal 1 gennaio 2014, partecipano numerosi mailartisti internazionali. (vittorebaroni@alice.it)

Giovanni Bonanno - Palazzo Virtuale / Ophen Virtual Art Gallery di Salerno
1) Progetto Internazionale di Mail Art / G.A. Cavellini “Virtual Underground” dedicato all’anniversario del centenario di Guglielmo Achille Cavellini, collettiva internazionale dal 12 aprile al 30 agosto 2014.
2) Mostra retrospettiva “GAConcettual Poetry” dedicata a Guglielmo Achille Cavellini in occasione del Centenario della nascita, a cura di Giovanni Bonanno dal 7 settembre al 27 ottobre 2014. (bongiani@alice.it)

Fernanda Fedi / Gino Gini - “Omaggio a Cavellini, Il sistema mi ha messo in croce”, 23-24 marzo 2014 ore 16/19, esposizione presso l’Archivio Libri d’Artista, Alzaia Naviglio Grande 66, Milano. (fernanda-fedi@tiscali.it) (gino-gini@libero.it)

John Held Jr. (USA):
1) Intervento per GAC il 15 febbraio 2014 nel corso della rassegna “Ex Postal Facto Weekend” a San Francisco (San Francisco Elks Lodge # 3).
2) Azione per GAC a Venezia venerdì 21 novembre 2014, presso la Emily Harvey Foundation. (johnheldjr@aol.com)

Ko De Jonge (NL) - Nel gennaio-febbraio-marzo 2014 lo spazio wALLofsmALLart presenterà la mostra "Cavellini visited Middelburg, 1975" con adesivi, francobolli, lettere, libri, opere, ecc. Per maggiori informazioni su wALLofsmALLart, vedi www.kipvis.com. (kodejonge@zeelandnet.nl)
I Santini Del Prete - La video terrazza per G.A.C., progetto collettivo di video dedicati a Cavellini (durata massima 10 minuti), tutti i video ricevuti saranno proiettati nella primavera-estate 2014 sulla Videoterrazza de i Santini Del Prete sita in Rosignano Marittimo e saranno resi visibili sul web. Inviare a I Santini Del Prete, Via C.A. Dalla Chiesa n. 9 Vada 57016 Rosignano Marittimo (Li). (isdp.netlover@inwind.it)

Emilio e Franca Morandi Artestudio - 4-24 maggio 2014, esposizione di omaggi a GAC da artisti internazionali presso l’Artestudio Morandi, Ponte Nossa (Bg).
Inoltre dal 1991 ogni anno Emilio e Franca Morandi organizzano il “Gac Event Day”. (morandiem@tin.it)

Robert Rudine (USA) - nel corso del 2014 è programmata una emissione di francobolli per Cavellini dalle poste di Tui Tui e Post-Natal. (rrudine@aol.com)

Biblioteca Civica di Cairo Montenotte, SV. Raccolta di Mail Art dedicata a Cavellini a cura di Bruno Chiarlone. 11 – 30 Sett. 2014 (bchiarl@tin.it)

Bi Nostalgia Music for the Cavellini’s Museum, composta da Luca Rigato (Bi Nostalgia) nel 1989. Il nastro originario è stato ritrovato e remixato in occasione del Centenario come tributo a GAC. Dotato di nuova copertina è disponibile online dal gennaio 2014 nel blog The League of the Gloomers da cui può essere scaricato gratuitamente: http://tlotg.blogspot.it/

Ruggero Maggi – GAC Flash Mob. Il primo Flash Mob mailartistico dedicato a GAC: diventa GAC indossando la sua maschera. Scrivere a Ruggero Maggi: maggiruggero@gmail.com per maggiori dettagli ed ottenere la maschera.

Claudio Romeo – DodoDada. Cavellini Forever! Oltre al 2014, progetto aperto, tecnica e formato liberi, invii di opere accettati per tutto il 2014. I lavori ricevuti verranno inseriti nella testata e nel blog GAC Forever all’interno del sito DodoDada. big.orko@email.it

PROGETTOUTOPIA. Stampa di un’edizione dei 16 Manifesti del Centenario, dagli originali di GAC. Diffusione a partire dal mese di aprile 2014. Richiedere informazioni a cavellini@alice.it
Stampa di un catalogo che documenta tutti gli eventi svolti durante il 2014. Inviare documenti ed immagini a cavellini@alice.it entro dicembre 2014.

ACCADEMIA DI BRERA, BIBLIOTECA BRAIDENSE SALA MARIA TERESA, dal 21 al 27 febbraio del 2014, mostra degli elaborati del Work Shop “Libro d’artista” tenuto da Ruggero Maggi e dedicato a GAC. ruggero.maggi@libero.it

Vittore Baroni- G.A. CAVELLINI 1914-2014 - I FRANCOBOLLI DEL CENTENARIO
Nell’ambito della rassegna FUORICORSO (Fuoricarnevale) Palazzo Paolina, Viareggio dal 20 febbraio ore 18 al 9 marzo 2014

COMUNE DI BRESCIA, ASSESSORATO ALLA CULTURA “IT’S GAC TIME
Dal 28 Febbraio 2014 fino al mese di Ottobre in Piazza della Vittoria sulla torre della Rivoluzione è installato un adesivo tricolore luminoso per la celebrazione cittadina del Centenario di GAC

BUDAPEST LUDWIG MUSEUM Mostra con opere e materiali mailartistici di GAC dal 12 Giugno al 24 Agosto 2014 a cura di G. Galantay e Art Pool, Art Research Center

Sul link: http://www.youreporter.i/video_C_P_D_-Cavellini_Paci_De_Filippis_pro_Cavellini è visibile il video prodotto da Mario De Filippis per il Centenario di GAC

COMUNE DI BRESCIA, URBAN CENTER BRESCIA.
Stand alla Fiera Meeting Immobiliare, Brescia 15-16 marzo 2014. Installazione nello stand della Cassetta che contiene opere distrutte N°158, come omaggio al Centenario di GAC

I SANTINI DEL PRETE, “GAC. Ritratto di un Genio”. Spettacolo teatrale, Regia di Chiara Migliori e Fernando Giobbi. Date e Luogo da definirsi

SIRMIONE (BS), BIBLIOTECA COMUNALE. GAC 1914-2014: L’artista che ha intuito e preannunciato più di ogni altro i cambiamenti culturali del nostro tempo. INCONTRO A CURA DI LILLO MARCIANO, Venerdì 4 aprile 2014 ore 20,45.

BRESCIA; TEATRO STABILE SANTA CHIARA-MINA MEZZADRI: "Fermoposta Cavellini" a cura di Costanzo Gatta. Omaggio all'artista-collezionista bresciano, padre dell'autostoricizzazione e della Mail Art. Lunedì 31 marzo 2014 ore 20,30. Ufficio stampa CTB: tel. +39 030 2928626, vittoriano@ctbteatrostabile.it


IrishFilmFesta


Con il patrocinio dell’Embassy of Ireland, giunge alla settima edizione a Roma dal 27 al 30 marzo la IrishFilmFesta, festival dedicato al cinema irlandese – prodotto dall’Associazione Archimedia e diretto da Susanna Pellis.
È a lei che dobbiamo quello che si sa in Italia del cinema irlandese.
Non ha solo ideato, nel 2007, l’unico festival italiano dedicato a quel cinema, ma ha contribuito a quella conoscenza con interventi in convegni cinematografici e pubblicazioni. Laureata in Lettere e Cultrice di Storia del cinema all'Università Sapienza di Roma, ha pubblicato i libri Breve storia del cinema irlandese (Lindau 2002); Cinema dall'Irlanda (Onyx 2008); il saggio ‘Cinema irlandese’ (in Cineuropa - Storia del cinema europeo, Lithos 2009).

A Susanna Pellis (in foto) ho rivolto alcune domande.
Quando nasce il cinema irlandese? E perché è fatto il nome di James Joyce circa la storia delle origini delle prime sale?

Come in tutta Europa, il cinema è arrivato in Irlanda a fine Ottocento, con le prime proiezioni delle pellicole dei fratelli Lumière; mentre la prima casa di produzione indigena, la Film Company of Ireland, è stata aperta nel 1916.
Il nome di James Joyce è invece legato alla prima sala cinematografica dell’isola, il cinema Volta, aperto a Dublino nel 1909 su iniziativa dello scrittore. Tanto per la Film Company of Ireland che per il cinema Volta si è trattato, però, di avventure molto brevi
.

La drammatica storia politica dell’Irlanda nel XX secolo ha avuto conseguenze – circa la produzione e la censura – sulla cinematografia di quel paese?

La censura ha segnato pesantemente tutta la storia culturale dell’Irlanda. Le grandi difficoltà incontrate dal cinema irlandese per emergere sono infatti arrivate più dall’interno che dall’esterno, dal momento che lo Stato conservatore formatosi dopo l’indipendenza del 1921 ha cercato per lunghi anni – di concerto con la Chiesa cattolica – di ostacolare tanto la diffusione dei film stranieri quanto la produzione dei film locali.
Per molti decenni il cinema è stato considerato una minaccia non solo dall’establishment irlandese, ma anche da quello nordirlandese: infatti questa situazione, per motivi e in termini diversi, si è ripetuta anche in tempi più recenti, quando i film sui Troubles hanno iniziato a denunciare le gravi responsabilità e i molti crimini britannici in Nord Irlanda
.

E’ possibile datare la nascita del cinema irlandese moderno e, se sì, in quali anni e con quali nomi?

Dopo decenni di false partenze, il cinema irlandese ha visto l’emergere della prima generazione di registi, indipendenti e per lo più autodidatti, dalla metà degli anni Settanta: si tratta di Bob Quinn, Joe Comerford, Cathal Black, Kieran Hickey, Pat Murphy, Thaddeus O’Sullivan, i cui film sono di forte impatto socio-politico, e in qualche occasione anche sperimentali.
Ben diversa, più regolare ma assai meno politicizzata, è la produzione successiva, che prende slancio dagli esordi di Neil Jordan e Jim Sheridan all’inizio degli anni Novanta e dall’apertura dell’Irish Film Board, l’ente governativo avviato nel 1993 con il compito di sostenere l’industria cinematografica locale
.

Tra le tante occasioni offerte da quest’edizione del Festival, c’è n’è una riservata a un incontro dedicato alla produzione audiovisiva.
Ti chiedo d’illustrarcene il profilo e le finalità.

Dopo il workshop del 2010, che avevamo intitolato “Going Irish” e pensato per favorire le possibilità di coproduzione cinematografica fra Italia e Irlanda, quello di quest’anno – che organizziamo in collaborazione con Enterprise Ireland e Irish Film Board - ha un obiettivo più ampio: presentare l’industria audiovisiva irlandese a quella del nostro paese ed esplorare tutte le possibili occasioni di collaborazione. Non più solo le tradizionali co-produzioni bilaterali, quindi, ma anche incentivi fiscali e finanziamenti, utilizzo di location, fornitura di servizi (post-produzione, effetti speciali, noleggio di talenti su particolari progetti, ad esempio per l’animazione). Per l’occasione saranno a Roma molti rappresentanti dell’industria audiovisiva irlandese, sia di parte istituzionale che per quanto riguarda produzione, post-produzione e VFX.


I film del Festival sono in lingua originale originale con sottotitoli italiani.
Per leggere il programma: CLIC!

IrishFilmFesta
Diretto da Susanna Pellis
Casa del Cinema, Roma
Dal 27 al 30 marzo ‘14
Ingresso libero


Dreams and Conflicts

Lo splendido “Dizionario dei luoghi immaginari” di Guadalupi e Manguel, va aggiornato perché altre località si sono aggiunte a quella pur maestosa mappa disegnata dai due viaggiatori di terre inesistenti. Va segnalata, infatti, “NSK State in Time”, un'entità statale tra utopia e provocazione, un'entità sovranazionale, slegata da confini geografici fondata sulla libera adesione dei cittadini, che trova manifestazione attraverso ambasciate, consolati ed eserciti temporanei.
"NSK State in Time" non reclama un territorio, NSK si fonda su uno “stato di pensiero” i cui confini cambiano in relazione ai singoli membri dello stato. Nel momento della sua formazione, "NSK State in Time" fu definito come un organismo astratto, un corpo suprematista installato in uno spazio socio-politico reale costituito dal lavoro dei singoli soci.
A idearlo, il gruppo sloveno Irwin, cui è dedicata, dalla Galleria Civica di Modena e dalla Fondazione Cassa di Risparmio della città, la mostra Dreams and Conflicts a cura di Julia Draganović e Claudia Löffelholz di LaRete Art Projects .
Alla Palazzina dei Giardini in corso Canalgrande, ci sono fotografie, video e installazioni e la serie d’immagini NSK Garda patrimonio della Fondazione Fotografia di Modena, documentando il lavoro che il Gruppo ha condotto rielaborando le eredità artistiche delle avanguardie storiche e analizzando la loro relazione con i regimi totalitari e con l’arte occidentale.
Presente anche una selezione di lavori esito di collaborazioni strette nel corso degli anni da Irwin con alcuni dei più importanti e riconosciuti artisti della scena contemporanea internazionale come Marina Abramović (vedi foto), Joseph Beuys, altri ancora. Tra le opere "Mystery of the Black Square", (1995), fotografia di Andres Serrano che ritrae i cinque esponenti della scena underground di Lubiana che nel 1983 hanno dato vita al collettivo Irwin ciascuno munito con il famoso quadrato nero di Malevič al posto dei baffi, "Dreams and Conflicts" (2003) scattata nell'ambito della cinquantesima edizione della Biennale di Venezia, il video "Black Square on the Red Square" (1992-1997) che documenta una performance nella piazza Rossa di Mosca e "Rekapitulacija" installazione realizzata in collaborazione con Michelangelo Pistoletto nel 2000.

Nell'immagine accanto: Namepickers. In collaborazione con Marina Abramović, 1999, fotografia a colori, 102x91 cm, foto: Bojan Brecelj, Courtesy Galerija Gregor Podnar.

Nell’ambito della mostra è aperto anche il Consolato di NSK State in Time, dove il giovedì, il sabato e la domenica dalle 16.30 alle 18.30 sarà possibile richiedere il passaporto che dà diritto di aggiungere alla propria cittadinanza quella della nazione utopica, fondata nel 1992.
Come in altri “uffici-passaporti” itineranti aperti in passato – tra cui il primo a Mosca nel 1992 e quello al MoMA di New York nel 2012 – è offerta l’opportunità di riflettere insieme sulla possibilità di un nuovo stato, e viene inoltre data l'occasione straordinaria di poter acquisire una cittadinanza alternativa, che si aggiunge a quella nazionale, per tutti quelli che s’identificano con i principi costituenti di NSK: le pari opportunità e l'uguaglianza a prescindere dall'appartenenza etnica o nazionale, sessuale o religiosa.

I simboli – per gli Irwin – possono avere significati e connotazioni differenti in luoghi e momenti diversi grazie all’analisi delle loro origini. Il loro lavoro, connotato da un acuto umorismo e una marcata ambiguità, esprime una complessa e sottile connessione tra arte e ideologia. Nel 1984 fondano, in collaborazione con il gruppo musicale Laibach e la compagnia teatrale Gledališče sester Scipion Nasice, un ampio collettivo di artisti noto come Neue Slowenische Kunst (NSK), cioè Nuova arte slovena, un sodalizio di gruppi artistici di origine pluri-disciplinare alla ricerca di vie d’uscita dall’universo dell’arte locale, così chiuso e auto-referenziale.

Passiamo ad un altro argomento.
In seguito al grande successo riscosso dalle mostre "Fotogiornalismo e reportage. Immagini dalla collezione della Galleria civica di Modena" e "L'Informale in Italia”, opere dalla collezione della stessa Galleria, le esposizioni sono state prorogate fino al 25 maggio.
In meno di un mese, migliaia di persone hanno visitato le mostre, con una media giornaliera di 188 visitatori, recensite e segnalate da importanti testate giornalistiche italiane, della carta stampata, della radio, della tv e del web.

Ancora una cosa: non mancate di dare gratuitamente uno sguardo a Civico 103 pubblicazione periodica della Galleria.

Ufficio Stampa: Cristiana Minelli, 059 – 203 28 83; galcivmo@comune.modena.it

Irwin
Dreams and Conflicts
Galleria Civica di Modena
Info: 059 – 203 29 19
Fino al 2 giugno


Alessandra Vanzi

È una delle poche attrici italiane che ha un'esperienza professionale completa, va dal teatro al cinema, dalla radio alla televisione al video.
Protagonista dell’avanguardia teatrale e della postavanguardia, fonda nel 1975 con Giorgio Barberio Corsetti e Marco Solari la compagnia “La Gaia Scienza”.
Con “Cuori Strappati” (1983), raggiunge uno dei vertici del suo successo, poi il gruppo si dividerà dando vita alla Compagnia Solari-Vanzi che raccoglierà meritati consensi con molti spettacoli, cito a memoria: da "Notturni diamanti" a "Il cavaliere azzurro", da "A sangue freddo" a "Ho perso la testa", da "Fahrenheit 451" a "Dialogo", da "Casi" a "L’Accalappiatopi", da "Roma" a "Le Baccanti.
Da alcuni anni è direttore artistico con lo stesso Marco Solari dell'Associazione culturale Temperamenti che riunisce artisti di varie discipline.
Essere interprete (e, talvolta, autrice) di testi sperimentali, proprio per la sua capacità professionale a rappresentare plurali volti culturali ed espressivi del ruolo d’attrice senza limitarsi alla sperimentazione, è stata scelta da registi del circuito internazionale cinematografico (ad esempio, Bernardo Bertolucci, Jane Campion, Anthony Minghella).
Un lungo sodalizio nell’arte, e nella vita, l’ha legata ad Alberto Grifi e la troviamo in suoi parecchi film.
Dicevo delle sue capacità scrittorie, e non solo per la scena, ma anche per la stampa; se n’ebbero prime prove su “Frigidaire" nei primi anni ’80, e in una pubblicazione del ’92 La morte di un ipocondriaco, non meraviglia che da anni tenga una seguitissima rubrica su Alias, supplemento del Manifesto del sabato, intitolata VaiViaViva.

Ad Alessandra Vanzi (in foto), ho chiesto: teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans… insomma, che cosa vuol dire per te “teatro di ricerca” oggi?

Sinceramente cosa sia il teatro di ricerca per me oggi è una domanda a cui non so proprio rispondere. Però posso raccontarti l’impressione che mi ha fatto rivedere pochi giorni fa a Pistoia, in occasione di una mostra e un convegno sulla storica rassegna Italia California che si svolse lì nel 1980, i protagonisti, almeno quelli sopravvissuti, di quell’avanguardia di cui ho fatto parte. Invece di essere una malinconica commemorazione, come vigliaccamente temevo, la giornata è stata estremamente divertente. La prima impressione è che nessuno si fosse tradito, la seconda che nessuno si fosse arricchito, la terza nessun pentito. Alcuni degli interventi sono stati performativi più che teorici: Benedetto Simonelli, Giancarlo Cardini; esilarante il racconto di Marino Vismara sulla scelta del tacchino giusto per la sua performance in cui suonava il violoncello e quello, il tacchino, cambiava colore ascoltando la musica… in ogni avanguardia ci sono sempre alcuni elementi ricorrenti: rischio, linguaggi, necessità, provocazione, gratuità, spreco, sfida, percezione del futuro e molto altro non so chi risponda a queste caratteristiche oggi

Dicevo prima della tua rubrica “VaiViaViva”.
Recentemente c’è stato un tuo maiuscolo intervento su di un libro di Pippo di Marca Sotto la tenda dell'avanguardia.
Qual è la cosa che più ti è piaciuta di questo volume?

Il maggior merito del libro di Pippo Di Marca è quello di essere protagonista in prima persona del racconto che attraversa dall’interno degli anni importanti (dal 1959 al 2011) per la nascita di un teatro nuovo (avanguardia, teatro immagine, post-avanguardia, teatro danza, performance che dir si voglia) e lo fa accanto ai maggiori protagonisti di quell’onda lunga: Leo de Berardinis e Carmelo Bene a cui il libro è dedicato, fratelli, compagni d’avventura, amici, mentori e ispiratori. Pippo Di Marca è un vero gentleman catanese e s’è fatto scrupolo nel raccontare la sua storia di nominare tutto ciò che gli fioriva accanto, con un’attenzione meticolosa e una memoria d’elefante, per questo ho consigliato questo testo a quegli studenti che fossero interessati alla materia, con qualche grave e incolpevole amnesia, a cui m’ha detto che riparerà nella prossima edizione, come quella d’aver scordato Victor Cavallo


Musica tridimensionale (1)


Viviamo in un momento che vede le arti e le scienze riavvicinarsi, com’era un tempo nel Rinascimento.
Questa cosa ha riflessi non soltanto nell’area artistica, ma si riflette sull’esistenziale e sul sociale profilando un nuovo modo di essere come verbo e come sostantivo.
Dopo l’ottusa separazione dei saperi, oggi essi si riuniscono per trovare nuovi traguardi espressivi attraverso l’ibridazione dei generi e delle tecniche, e con l’intercodice un nuovo modo di creare e fruire, dal concettuale al multisensoriale, il prodotto artistico in vari campi .

Un esempio di tutto questo, lo presento oggi con la musicista Maria Mannone (in foto).
Ha iniziato a studiare musica all'età di 11 anni conseguendo, con il massimo dei voti, al Conservatorio il diploma in Composizione, in Pianoforte e in Direzione d'Orchestra. Parallelamente agli studi musicali, ha proseguito negli studi, prima classici, e poi scientifici, ottenendo, "summa cum laude", la laurea magistrale in Fisica Teorica. Assecondando anche l'inclinazione per il disegno, ha studiato Illustrazione Scientifica all'Accademia di Belle Arti.
Interessata agli aspetti geometrici dell'arte e ai fondamenti fisici e matematici della musica, nella ricerca di una visione d'insieme di tali discipline, ha pubblicato sull'argomento il testo "Dalla Musica all'Immagine, dall'Immagine alla Musica - Relazioni matematiche fra composizione musicale e arte figurativa" (Compostampa, 2011), corredato da grafici e disegni originali.
Scrive Marco Betta presentando il volume Si tratta di una sfida affascinante, nuovi orizzonti si schiudono di fronte alla possibilità di analizzare le tecniche di una composizione musicale.

Cliccare QUI per una più estesa biografia.

Segue ora un incontro con Maria Mannone.


Musica tridimensionale (2)

Come la tua bio dimostra, hai conseguito brillantemente titoli sia negli studi musicali sia in quelli di Fisica Teorica.
Quali i possibili legami, o relazioni, che hai visto fra questi due campi?

Potrei rispondere, in maniera supersintetica: il formalismo matematico.
Se, infatti, in Fisica Teorica, attraverso il formalismo matematico, viene descritta la realtà naturale, opera non certamente umana, è corretto l'uso dello stesso formalismo per descrivere un prodotto umano, come un'opera d'arte musicale. Un semplice sillogismo: se l'arte trae essenzialmente ispirazione dalla bellezza, e la bellezza è descrivibile in termini matematici, allora anche l'arte è descrivibile in termini matematici.
Ho applicato alcuni concetti di Fisica Teorica allo studio della memoria tematica all'interno di brani musicali. La memoria in un brano musicale può essere associata alla ripetizione di patterns. Maggiore è il numero di ripetizioni, maggiore è la memoria, e viceversa. Ho adattato al caso musicale i quantificatori usati in Fisica per studiare il grado di memoria (grado di "non markovianità") nei sistemi quantistici. Dai risultati ottenuti, un brano di Philip Glass, ad esempio, presenta una memoria maggiore rispetto a un'aria di Bellini e ancora di più rispetto a una composizione di Maderna.
All'IRCAM di Parigi ho lavorato ad un modello originale di orchestrazione automatica basato sull'imitazione stilistica. Ho analizzato e orchestrato due passaggi di "Allegro Barbaro" di Bartok sul modello della "Sagra della Primavera" di Stravinsky, applicando dei concetti matematici nella preliminare analisi musicale. Attualmente, studio altre forme di correlazione fra arte e scienza, attraverso la Teoria delle Categorie, una teoria matematica con importanti ripercussioni filosofiche, che ha già trovato applicazione in Fisica Teorica e in Musica
.

Dalla quarta di copertina del tuo "Dalla Musica all'Immagine, dall'Immagine alla Musica" prendo spunto per domandare: com'è possibile realizzare una traduzione formale da un'opera d'arte visiva in un'altra di linguaggio musicale? Evidentemente non ti chiedo d'illustrarci il processo ideativo ed espressivo di quel passaggio, ma il suo concetto teorico.­

Si tratta di un esperimento che ha prodotto dei risultati interessanti e con potenziali applicazioni. Questa l'idea di base: l'ispirazione artistica corrisponde a un messaggio espresso in uno o in un altro linguaggio, scelto dall'artista. E' realizzabile la traduzione di un'opera da un linguaggio visivo a uno musicale? La risposta è affermativa. L'operazione risulta possibile utilizzando la matematica come linguaggio intermedio di raccordo.

Chiami la tua musica "tridimensionale". Perché?

Musica Tridimensionale perché "collocata" in uno spazio a tre dimensioni. Riprendendo un'idea di Marco Betta, ho rappresentato il contenuto simbolico di una partitura all'interno di uno spazio tridimensionale intensità-tempo-altezza, schema già utilizzato da Xenakis limitatamente all'analisi e alla produzione timbrica. E' visualizzabile, in tal modo, lo stile di orchestrazione di autori differenti, ed è confrontabile, ad esempio, un passaggio di Mozart con uno di Prokoviev.
L'originalità della mia idea consiste nell'applicazione dello schema inverso, ossia nella musicalizzazione di un oggetto tridimensionale proiettato all'interno dello spazio, con opportuna scelta del livello di discretizzazione (quanto siano ravvicinati i punti dell'immagine da considerare come note musicali) e dei range di altezze, tempi e durate dei suoni. Realizzati manualmente i primi esperimenti, ho poi reso il processo semi-automatico: prelevati i punti dall'immagine e inseriti all'interno del programma "Mathematica", scelti i vari range, ho ottenuto un file midi da cui ho ricavato una partitura.
Ho tradotto in musica (manualmente) "Ruota di bicicletta" di Marcel Duchamp, un "Concetto Spaziale" di Lucio Fontana, la facciata della "Sagrada Familia" di Antoni Gaudì, e (in modo semi-automatico) il guscio di una chiocciola - rappresentato matematicamente dalla concoide - e una facciata della Tour Eiffel.
E' possibile anche ritornare all'immagine a partire dalla musica trovata. Tale reversibilità, tuttavia, risulta solo parziale, in quanto le condizioni di discretizzazione stabilite inizialmente ostacolano la completa ricostruzione dell'immagine di partenza
.

A questo link è possibile ascoltare, in sequenza, "Ruota di bicicletta", "Concetto Spaziale", "Sagrada Familia" e due estratti da "Tour Eiffel", attraverso simulazioni audio.


Nannarella


Il più recente omaggio ad Anna Magnani è stato l’allestimento, alle Scuderie Aldobrandini Frascati, di una mostra multimediale in cui l’attrice era vista in forma tridimensionale, in un ologramma prodotto dalla Stark.
Un altro ologramma, letterario ma non per questo meno tridimensionale, si ebbe quando Giancarlo Governi dedicò, per primo, dopo la morte della Magnani, un libro esclusivamente a lei dedicato che ne ripercorre tutta la vita, dalla nascita avvenuta a Roma il 7 marzo 1908 fino a quando si spense nella clinica romana Mater Dei il 26 settembre 1973 assistita dal figlio Luca e da Roberto Rossellini.
Governi (prossimamente sarà ospite della sezione Enterprise di questo sito), scrittore e giornalista, autore televisivo e cinematografico, romano da famiglia toscana, fra i suoi plurali meriti ha quello di avere creato un genere: l’antologia audiovisiva dedicata ai grandi dello spettacolo e dello sport.
Per una più estesa biografia: CLIC!
Per uno sguardo ai suoi tanti libri pubblicati: QUI.
Ora viene riproposto il libro che per primo ha narrato vita, professione, amori, passioni di quella straordinaria attrice che conquistò per cinque volte il Nastro d’Argento e nel 1956 fu la prima interprete italiana nella storia degli Academy Awards a vincere il Premio Oscar come migliore attrice protagonista, conferitole per l'interpretazione di Serafina Delle Rose nel film “La rosa tatuata”.
Titolo del libro: Nannarella Il romanzo di Anna Magnani; Edizioni Beat, sigla che sta per Biblioteca Edizioni Associati Tascabili, nata nel 2010 per raccogliere i migliori libri delle case letterarie indipendenti italiane in pubblicazioni economiche inedite; le prime editrici riunite in quel marchio furono Nuova Frontiera, minimum fax e Neri Pozza.

Nannarella è scritto in modo serrato usando una tecnica documentaristica, vale a dire con una serie di testimonianze da parte di molti amici, compagni di lavoro, critici, collaboratori, giornalisti, alternate a una sorta di voce fuori campo di Giancarlo Governi che non si limita a collegare soltanto gli interventi connotandoli nella vita dell’attrice, ma nel suo scritto va svolgendo un saggio critico sul carattere e sull’espressività di questa donna fiera e ferina.
Ecco, ad esempio, quando scrive che c’era in lei … una carica prepotente di verità, di spontaneità, di umanità che rivoluzionerà lo spettacolo italiano e spazzerà via, confinandoli nel museo delle anticaglie, i vezzi di un teatro e di un cinema che non hanno ancora scaricato il birignao.
E ancora: … le mille facce di Anna: docile e aggressiva, timida e sfacciata, colta e istintiva, generosa ed egoista.
Nelle pagine, la vita della Magnani – trascorsa passando spesso, fulminea, da un’abissale malinconia ad una clamorosa allegria – viene, di volta in volta, contestualizzata sul cursore della storia sociale degli anni attraversati: dal tetro periodo fascista alla speranzosa età della ricostruzione post-bellica fino all’alba dei nuovi fermenti della fine dei ’60.
Frutto questo di accuratissime ricerche cui ha collaborato Anna Scriboni.
Un libro insomma, che è una testimonianza esaustiva su di un’interprete unica ed è anche un esempio di come vanno fatte le biografie, esempio che consiglio di leggere a molti.
La conclusione di Governi è scelta sapientemente.
E’ una scena da “Roma” di Fellini. Il regista la coglie mentre di notte torna a casa a Palazzo Altieri.
È l’ultima volta che comparirà in un film.

Fellini – Questa signora che rientra a casa, costeggiando il muro di un antico palazzetto patrizio, è un’attrice romana: Anna Magnani, che potrebbe essere anche un po' il simbolo della città…
Anna – (interrompendolo) Chi so’ io!?
Fellini – Una Roma vista come lupa e vestale…
Anna – (sempre più meravigliata) De che?!!
Fellini – … aristocratica e straccionesca, tetra, buffonesca. Potrei continuare fino a domattina…
Anna – (da dietro il portone di casa) A Federì, ma va a dormì, va…!
Fellini – Posso farti una domanda?
Anna – No… nun me fido. Buonanotte.

E il portone di Palazzo Altieri si chiude.

Giancarlo Governi
Nannarella
Pagine 235, Euro 9.00
Beat Edizioni


Helen Hessel


«È un inno alla vita e alla morte, una dimostrazione dell’impossibilità di qualunque combinazione amorosa al di fuori della coppia».
Così disse François Truffaut a proposito del suo film “Jules e Jim” girato nel 1961 e presentato al pubblico l’anno dopo.
Il film è tratto dall'omonimo romanzo autobiografico (scoperto per caso su di una bancarella da Truffaut) di Henri-Pierre Roché; lo scrittore, coprotagonista di sé stesso nel libro, avrebbe dovuto scrivere i dialoghi della sceneggiatura, ma morì nell'aprile del 1959.
Coprotagonista perché descrive la sua vita in una tumultuosa storia d’amore a tre.
La donna del triangolo è Helen Hessel, nata Grund, (Kathe nel film, interpretata da una strepitosa Jeanne Moreau), figlia dell’alta borghesia berlinese di fine Ottocento, due volte sposata e due volte divorziata con lo scrittore tedesco Franz Hessel (Jules nel film), e, contemporaneamente, innamorata proprio di Roché (sullo schermo figura col nome di Jim).
Si tratta, quindi, di una storia vera da un romanzo proprio su quella storia. Da lì fu tratto un film bellissimo e di straordinario successo, osteggiato in Italia dalla censura.
Su questa vicenda che intreccia vita, letteratura e cinema, ha indagato Marie Françoise Peteuil in un libro pubblicato da Baldini&Castoldi intitolato Helen Hessel La donna che amò Jules e Jim.
In un momento in cui l’editoria colpevolmente propone romanzerie su biografie e storie vissute, va elogiata quest’autrice – unisce l’insegnamento della matematica a Parigi con la sua passione letteraria – che restituisce attraverso una serrata e scrupolosa documentazione l’immagine della Hessel, nata nel 1886 e morta a 96 anni nel 1984.
Ebbe due figli, Ulrich e Stéphane, quest’ultimo (scomparso l’anno scorso) diventato famoso perché autore a 93 anni di quel pamphlet “Indignatevi!” che ha influenzato il movimento giovanile degli Indignados e ispirato quello di Occupy Wall Street.
L’autrice segue la Hessel durante tutto l’arco della vita di questa donna: dall’infanzia che la Hessel nel suo Journal (uscirà nel 1992, ma ben da prima in possesso di Roché che a tratti vi attinse) descrive come regolata da un’inflessibile educazione fino alla vecchiaia quando da ultraottantenne si concesse un’ultima scandalosa passione per il giovane Bernd Witte.
Il film le piacque, espresse solo perplessità sul finale (che derivava, però, dal libro di Roché) in cui lei muore mentre come sappiamo, visse fin quasi a diventare centenaria.
La storia che la vide protagonista del torrido triangolo amoroso durato tredici anni, non fu il solo episodio maiuscolo della sua vita, perché militò nella Resistenza, fu traduttrice, frequentatrice delle avanguardie surrealiste, da Marcel Duchamp a Man Ray, amica di Rainer Maria Rilke e Walter Benjamin, conducendo sempre la sua vita con cosciente imprudenza e sfida al destino.
La Peteuil fa scorrere le sue pagine con una scrittura veloce come veloce fu la vita della Hessel e il libro è uno di quelli che dispiace allorquando bisogna sospenderne la lettura tanto è avvincente.
Tra le documentazioni esibite dall’autrice, folgorante appare quella della psicologa Charlotte Wolff: Era l’esempio perfetto di una donna d’avanguardia. Poteva fare e faceva tutto bene, sia che lavorasse la terra come era successo dopo la prima guerra mondiale, facesse giornalismo di moda negli anni Venti e Trenta, che fosse l’amante di molti uomini, o la madre o la moglie. Incantava uomini e donne allo stesso modo. Amò il rischio, e visse tutto con passione, ciò che amava e anche ciò che odiava.
Nella colonna sonora del film, la Moreau canta una canzoncina che fin dal titolo sembra riassumere la vita di Helen Hessel: Le tourbillon de la vie.

Marie Françoise Peteuil
Helen Hessel
Traduzione di Ileana Zagaglia
Pagine 352, Euro 16.90
Baldini&Castoldi


Esseri Umani 2.0

Nick Bostrom, Jamais Cascio, Aubrey de Grey, Eric Drexler, James Hughes, Ray Kurzweil, Max More, David Pearce, Frank Tipler, Vernor Vinge, Natasha Vita-More, Anders Sandberg, Elezier Yudkowski (ai quali potrebbero aggiungersi altri nomi, la faccio meno lunga per non tediarvi) che cosa hanno in comune – marcatamente o meno – questi nomi?
Una tecnofilosofia chiamata Transumanismo della quale solo da pochi anni i media si sono impadroniti per parlarne, spesso a vanvera. Talvolta illudendo lettori e ascoltatori con spericolate ipotesi fantascientifiche, ma soprattutto terrorizzando col prospettare catastrofi esistenziali e sociali.
Del resto è stato Fukuyama (neoconservatore, consigliere di George Bush) ad andarci giù pesante scrivendo "sono l'ultimo gruppo di persone che vorrei veder vivere per sempre". Definisce il Transumanismo “una delle idee più pericolose mai esistite” perché “i suoi sostenitori mirano molto più in alto degli attivisti per i diritti umani, delle femministe, o dei sostenitori dei diritti dei gay. Desiderano nientemeno che la liberazione della razza umana dai propri vincoli biologici". Ronald Bailey ebbe a dire: “…la storia dell'umanità (e anche la preistoria) non sono proprio una continua lotta per la liberazione di sempre più gente dai propri vincoli biologici? Dopo tutto, oggi non viviamo più nella condizione ‘naturale’ della nostra specie, cioè quella dei cacciatori-raccoglitori del Pleistocene”.
Il fatto è che molti arretrano di fronte al futuro come se ogni minuto del giorno non lo contenesse, come se – tanto per dirne una soltanto – già dal 13 settembre del 2013 la sonda americana della Nasa “Voyager 1”, primo oggetto creato dall'uomo a uscire dal Sistema solare, non navigasse nella nostra galassia continuando a mandare ancora oggi, mentre state leggendo questa nota, sulla Terra nitide immagini e dati fino a ieri ignoti.

Diceva John Cage: "Molti sono spaventati dal nuovo, a me terrorizza il vecchio".
Naturalmente, come tutte le cose del mondo, ai tanti vantaggi prospettati dal Transumanesimo, non possono mancare interrogativi e problemi, ma l’umanità pure in passato ha affrontato interrogativi e problemi sul suo futuro (Platone profetizzava sciagure dall’avvento della scrittura), eppure, nel male e nel peggio come nel bene e nel meglio, è arrivata fin qui.
Insomma il Transumanesimo e il suo gemello, il Postumanesimo, vede schierati su opposti fronti molte menti, dagli apologeti ai detrattori. Si dirà che questo accade a tutte le faccende, ma qui siamo di fronte a una particolarità: la spaccatura non è solo fra intellettuali, ma arriva in modo verticale a dividere tanti che neppure sanno dell’esistenza di quella filosofia, ma sono contro i suoi postulati, si deduce dai discorsi sui danni che verrebbero dalle nuove tecnologie che sentiamo spesso al bar, sul bus. Eppure chi parla in tal modo forse, senza saperlo, è già un mezzo cyborg perché ha un anca di titanio, o un pace maker che hanno salvato ora la motilità ora la vita.

Per farvi un’idea completa sul Transumanesimo, le sue origini, la sua storia, i suoi approdi, lontano da apologie e detrazioni, la casa editrice Springer - Verlag ha pubblicato un libro imperdibile sul tema: Esseri Umani 2.0 Transumanesimo, il pensiero dopo l’uomo.
L’autore è Roberto Manzocco, giornalista specializzato in campo scientifico e dottore di ricerca in storia della scienza. Da molti anni lavora in diverse aree: dalla Teoria dei Sistemi ai “future studies” alla pragmatica della comunicazione umana. Collabora con alcune testate nazionali occupandosi in particolare di tecnologie d’avanguardia, come, ad esempio, la manipolazione genetica, le nanotecnologie.
Con scrittura che valorosamente riesce a rendere comprensibili temi filosofici e problemi tecnici, ci guida nelle pagine del suo libro ben illustrando il Transumanesimo “movimento filosofico internazionale che vede l’uomo artefice della propria evoluzione biologica attraverso l’uso della tecnologia. L’obiettivo finale è quello di raggiungere uno stadio evolutivo ‘post-umano’, in cui noi stessi e i nostri discendenti potremo godere di una vita lunghissima e di capacità fisiche e mentali superiori a quelle attuali”
Affacciatevi, ad esempio, sul sito di Kevin Warwick e vi renderete conto come l’ibridazione uomo-macchina sia una realtà più progredita di quanto s’immagini.
Concludo con le parole con le quali Manzocco (prossimamente un incontro con lui nella sezione mensile Enterprise di questo sito) chiude la sua encomiabile fatica: Non sappiamo se il post-umano arriverà, ma se lo farà, troverà già pronto un apparato teorico in grado di difenderlo, sostenerlo, promuoverlo. Il transumanesimo non fa più ridere. Al contrario: in senso ideale, il post-umano è già qui, è diventato globale, e ci suggerisce con forza che, giuste o sbagliate che siano le idee che abbiamo trattato, il futuro sarà un posto molto più strano di quanto immaginiamo. Anzi di quanto possiamo immaginare.

Roberto Manzocco
Esseri Umani 2.0
Pagine 356, Euro 24.00
Disponbile in e-book, Euro 16.99
Springer


Immaginario nanomolecolare

A Cosmotaxi piace il lavoro di Giuliana Cunéaz (in foto) e l’ospitò nella sezione Nadir di questo sito dove troverete un video e dichiarazioni che fa sul suo lavoro.
Diplomata all'Accademia Belle Arti di Torino, utilizza tutti i media artistici, dalla videoinstallazione alla scultura, dalla fotografia sino agli screen painting tecnica da lei inventata.
Dall'inizio degli anni Novanta inizia un’indagine dove la ricerca plastica si coniuga con le sperimentazioni video. E’ stata tra le prime artiste a lavorare sulle immagini stereoscopiche 3D, procedimento che utilizza sin dal 2003.
Dispone in Rete di un suo sito web.

Attualmente ha in corso due mostre, a Châtillon e a Verona.

Au coeur de la matière si svolge al Castello Gamba di Châtillon.
Il progetto espositivo, curato da Bruno Corà si articola sui tre piani dell’edificio, intorno a un nucleo di 40 opere, e comprende sculture e stampe digitali, video e screen painting. Per l’occasione è stata realizzata una Wunderkammer (Camera delle meraviglie) ispirata al paesaggio montano dove uno stipo di legno, che ricorda la tradizione, custodisce al suo interno un video e microsculture circondate da un manto bianco simile alla neve.
Prima di entrare nell’universo del 3D, lo spettatore è accolto da “Corpus in Fabula”, una videoscultura realizzata nel 1996 che anticipa l’attuale fase di ricerca dell’artista.
Lo spazio espositivo ospita, di seguito, una scultura abitabile a forma di dodecaedro, realizzata per l’occasione, che contiene Zone fuori controllo, un video in 3D dedicato ai disordini ecologici e ambientali dove le immagini entrano in relazione diretta con la dimensione reale consentendo un viaggio imprevedibile tra le onde di una tempesta, gli spazi misteriosi di una grotta, le colate laviche di un vulcano e la collisione di mastodontici iceberg.


Nature multiple è il titolo dell’altra mostra nell’àmbito dell’edizione 2014 della rassegna “Infinitamente”, Festival di scienze e arti che si svolge a Verona.
Anche qui l’artista accede al nostro immaginario attraverso il mondo nanomolecolare. Sono proprio le recenti scoperte scientifiche e l’opportunità di accedere alla parte infinitesimale della materia, gli strumenti utilizzati per creare nature multiple, in perenne metamorfosi, che ampliano la sfera della conoscenza.
“Utilizzando le immagini scientifiche, ho visitato boschi, fiori e pulviscoli meravigliosi che ho, poi, ricreato attraverso la modellazione e l’animazione 3D, ” spiega l’artista.
Ogni elemento si determina attraverso una rinnovata percezione visiva: in un grammo di materia si può immaginare siano contenute le forme e le energie dell’universo e questo apre uno scenario estetico nuovo caratterizzato da una molteplicità di approcci che vanno incontro ad un reale spesso solo immaginato dalla nostra memoria.
“Macro e nanomondo” – dice la curatrice della rassegna Maria Fiorenza Coppari – “appaiono fondersi in un unicum che l’artista, come lo scienziato, può cogliere e rappresentare”.

“Au coeur de la matière”
Castello Gamba
Località Cret de Breil, Châtillon
dal mercoledì alla domenica
info.castellogamba@regione.vda.it
tel. 0166 – 56 32 52
Fino al 5 ottobre 2014

“Nature multiple”.
Verona, Museo Civico di Storia Naturale
Palazzo Pompei
Lungadige Porta Vittoria, 9
Addette stampa: Roberta Dini, Sara Mauroner (349.1536099)
Fino al 30 giugno 2014


Motivi di famiglia


Torna la proposta annuale del progetto SPAC (Spazi Pubblici Arte Contemporanea) nella sede di Villa Di Toppo Florio a Buttrio (Udine). Lì è in corso la mostra Motivi di Famiglia a cura di Paolo Toffolutti.

“L’esposizione” – è detto in un comunicato – “propone un percorso di 125 opere realizzate da 45 artisti e collettivi di artisti che hanno affrontato aspetti del vissuto e dell’immaginario intessuto attorno al tema della famiglia. Da quella patriarcale alla famiglia mono nucleare, alla progressiva dissoluzione del nucleo familiare (singles), e successivo rimescolamento e riposizionamento dei ruoli della paternità, maternità, filialità, all’interno di un’inevitabile ridefinizione del concetto di famiglia, in cerca di legalità e diritti, attraverso le coppie di fatto, il matrimonio tra le coppie gay o lesbiche, fino ad una nuova area di comunità allargata. Senza dimenticare che un antichissimo proverbio africano recita: 'Per educare un bambino ci vuole un intero villaggio'.
Nelle arti visive, di rimbalzo, il tema della famiglia è stato tramandato con la rappresentazione della Natività e della Sacra Famiglia di tradizione religiosa. Tuttavia, dalla modernità e post-modernità in poi, è stato trasposto e ridefinito in senso laico, proprio in ragione delle emergenze e delle dinamiche che hanno radicalmente emancipato il concetto di primo nucleo della società”.

Alla mostra partecipa con due video Debora Vrizzi (in foto, still dal suo video “Family Portrait” ) che è stata ospite di questo sito nella sezione Nadir; là troverete sue dichiarazioni e immagini.
Per il suo sito web, cliccare QUI.

Circa la sua presenza a Buttrio, così dice.
In Family Portrait entro in scena coinvolgendo tutta la mia famiglia.
Nel video siedo, impolverata, ad un piccolo tavolo apparecchiato con del pane spezzato.
La mia famiglia, in piedi affianco a me, soffia via la polvere che si è depositata sul mio corpo.
Parlo degli affetti all'interno della famiglia, che ci nutre e nello stesso tempo ci divora, riflessione che ci mette di fronte alla tensione del rapporto, tra amore donato e ricevuto.
Questo progetto fa parte dei miei lavori più strutturati a livello di costruzione scenica.

In "Ridi Bianca!", ripropongo l'equazione di nipoti che ascoltano le storie raccontate dai propri nonni. In questo caso, partendo da un pretesto come un bacio, i miei nonni, rispondono ad una sorta d’intervista raccontandomi la loro storia. Il risultato è un'indagine antropologica e sociale dei ruoli all'interno di una coppia.
In questo video unisco un approccio quasi documentaristico, d'immediatezza, alla costruzione scenica più sofisticata, caratteristica di molti miei lavori precedenti
.

L’esposizione a giugno sarà replicata a Lubiana.
Per una scheda completa sulla mostra e tutti i nomi dei partecipanti: CLIC!

Motivi di famiglia
Villa di Toppo Florio
Via Morpurgo, 6, Buttrio
Info: 347.2713500 – www.spac.fvg.it - neo.associazione@gmail.com
Fino al 30 marzo ‘14
Ingresso libero


Baudelaire e l'esperienza dell'abisso


Sono di Luca Orlandini cura e traduzione, per l’editore Nino Aragno, della prima edizione italiana dell’importante monografia baudelairiana del rumeno Benjamin Fondane (Iași, 14 novembre 1898 – Auschwitz, 2 ottobre 1944), Baudelaire e l’esperienza dell’abisso.
Per la stessa casa editrice, Orlandini ha pubblicato il saggio critico La vita involontaria In margine al Baudelaire e l’esperienza dell’abisso di Fondane, che costituisce, di fatto, l’estensione critica del precedente volume.
Sempre per l'editore Nino Aragno, a cura di Orlandini, uscirà a giugno un altro libro capitale di Benjamin Fondane, “La coscienza infelice”, tradotto dalla prima edizione critica appena uscita in Francia, per l'edizione Verdier.

“Autore fondamentale per la cultura francese ed europea negli anni Trenta e Quaranta”, scrive il curatore, “poeta, filosofo esistenziale – unico vero erede diretto di Lev Šestov, non tanto ideale quanto ispirato –, drammaturgo, cineasta, maverick dall’esigenza spirituale oltre ogni quadro religioso stabilito, Fondane rappresenta la riposta individuale degli ebrei eretici e sovversivi del XX secolo”.

Benjamin Fondane
Baudelaire e l’esperienza dell’abisso
Traduzione di Luca Orlandini
Pagine 460, Euro 25.00

Luca Orlandini
La vita involontaria
Pagine 330, Euro 20.00

Nino Aragno Editore


Mozart era un figo


Mettendo la parola “musica” sul cursore del motore Google, sarete travolti da circa 192.000.000 risultati, ricerca effettuata in 0,25 secondi, figuratevi se fossero stati 0,26…
Fra questi siti, certamente parecchi (spero) saranno dedicati a come si comunica tanto male, in senso storico ed estetico nelle scuole quel termine. La musica, sùbito dopo le arti visive, è quella che più soffre di esposizioni che dovrebbero (e vorrebbero, forse) essere esplicative e, invece, sono impenetrabili come il più criptico messaggio della Sfinge.
Paroloni, concetti tetramente accademici, vite dei compositori riportate come imbronciati maestri di vita e via passeggiando per sentieri cimiteriali.
Chiaro che i ragazzi ne siano terrorizzati, né meglio vanno le esemplificazioni d'ascolto scelte con ragionata nequizia fra Requiem, canti disperati e qualche Missa Solemnis.
È inevitabile tutto ciò? Per niente.
Lo dimostra un libro pubblicato da Salani dal titolo birichino Mozart era un figo, Bach ancora di più e dal sottotitolo di lunghezza settecentesca che ben spiega le intenzioni del volume: Come farsi sedurre dalla musica classica, innamorarsene alla follia e diventarne dipendenti per sempre.
Che Bach fosse più figo di Mozart devono averlo pensato anche gli scienziati che nello scegliere 515 segnali terresti destinati a eventuali alieni – nel 1977, epoca del lancio – sul Voiager 1 (… a proposito il 13 settembre dell’anno scorso è stato il primo oggetto umano che ha lasciato il nostro sistema solare e sta trasmettendo immagini e dati su ciò che incontra) incisero su di un disco d’oro le prime battute dei Concerti brandeburghesi di Bach, “sublime esempio di matematica dell'anima” (copyright Vittorio Zucconi).

Del libro pubblicato da Salani, ne sono autori: Matteo Rampin e Leonora Armellini.
Rampin è medico, psichiatra e psicoterapeuta. Anche scrittore e musicista, ha pubblicato (con Farida Monduzzi) Come non farsi bocciare a scuola e Come imparare a studiare.
Armellini, grande talento emergente della musica classica italiana, si è diplomata col massimo dei voti, la lode e la menzione d’onore al Conservatorio all’età di dodici anni.

Il volume, con una scrittura scorrevolissima, ricca di spunti umoristici e ancora più ricca di aneddoti storici divertenti, traccia una storia della musica attraverso famosi nomi (da Bach a Mozart, da Beethoven a Liszt, da Berlioz a Schubert, da Schumann a Wagner), fino a giungere ai contemporanei: da Schönberg a Berg, a Webern, a Cage, Stockhausen, Ligeti, Glass.
Si trovano le biografie di questi maestri (soprattutto quelli fino alla fine dell’800), intervallate da micro lezioni – prendendo spunto dalle loro opere – per spiegare in modo semplice che cos’è il contrappunto, il tempo, la fuga. E i rapporti – illustrati nel non solito modo terroristico di tanti docenti – che la musica ha con la matematica e la fisica.
A questo punto è possibile che qualcuno, giustamente, si chieda se gli autori si riferiscano esclusivamente alla musica classica conferendo a quella cosiddetta leggera un ruolo ancillare. No. Questa cosa – ahimè frequente – non accade nelle pagine di Rampin e Armellini perché tengono a precisare che molti brani di musica leggera sono capolavori che si possono analizzare con gli stessi strumenti critici con cui si analizzano brani di Chopin o Šostakoviĉ […] infine grandissimi musicisti come Franco Battiato non possono essere definiti classici o leggeri, ma sono questo e quello, giustissimo, anche se avrei preferito che avessero citato Frank Zappa al posto del pur bravo Battiato.
Se i corsi d’istruzione musicale fossero tenuti con il colto garbo e la sorridente parlata di Rampin e Armellini, la musica classica sarebbe certamente conosciuta e amata di più.
Accanto agli applausi che spettano agli autori, un piccolo rimprovero, riguarda la mancanza di un Indice dei Nomi. Mancanza che danneggia proprio un volume come questo, utilissimo non solo in senso didattico, ma pure nelle redazioni della carta stampata, delle radiotv, del web dov’è più forte l’importanza di una consultazione veloce.
Ci metteranno riparo, credo, in una prossima edizione perché questo è un libro che se la meriterà.

Matteo Rampin
Leonora Armellini
Mozart era un figo, Bach ancora di più
Pagine 224, Euro 12.90
Salani Editore


L'età dell'estremismo


Ogni pubblicazione di Marco Belpoliti è una festa dell’intelligenza e della pagina così come accade in questo recente volume pubblicato da Guanda: L’età dell’estremismo.
Ricordo qui parte della sua produzione di saggista e scrittore: ha curato le opere di Primo Levi e pubblicato diversi libri: Settanta, Diario dell'occhio, L'occhio di Calvino, Camera straniera. Alberto Giacometti e lo spazio, Il segreto di Goya.

Per Guanda ha pubblicato:
Risentimento;
Da quella prigione;
La canottiera di Bossi;
Pasolini in salsa piccante;
Senza vergogna;
Il corpo del capo;
Il tramezzino del dinosauro.

Condirettore della rivista-collana Riga e di Doppiozero.com, insegna all’Università di Bergamo e collabora a La Stampa e a L'Espresso.

Belpoliti, in “L’età dell’estremismo”, così come anche in altri volumi, parte dall’osservazione di un frammento e da quella scheggia che spesso sfugge a tanti ricava trasparenze e segnali che coinvolgono un universo di segni e destini.
Altra caratteristica della sua scrittura è un particolare modo di usare con leggerezza una delle cose che risulta fatale a tante penne: la citazione. Ha, infatti, un suo modo d’inserirla nel tessuto della pagina da fare rilucere anziché – come accade a molti – ingrigire lo scritto. Anche perché ogni citazione è spiegata, con brevissimi tratti, nelle sue origini e significati sicché il lettore che non conoscesse quel riferimento mai è escluso dalla piena comprensione di quel rimando.

A Marco Belpoliti ho rivolto alcune domande.
Citi Susan Sontag a proposito del titolo del libro...

Sì, perché il titolo viene da un testo di Susan Sontag che cito all'inizio del mio libro, pubblicato negli anni Sessanta, la saggista e scrittrice esamina i film di fantascienza americani e parla di due cose: la banalità e il terrore.
Nel libro esamino questi due estremi: il Kitsch e il terrorismo
.

Il percorso del volume “inizia alla fine degli anni Ottanta” – scrivi nell’Introduzione – “un periodo che a mio avviso conteneva più istinti di morte che non di vita”.
Che cosa ti ha portato a quella conclusione?

A quello che è successo dopo: Aids, ritorno del terrorismo, caduta del Muro, poi le Torri gemelle... L'istinto di morte implicito in quel decennio è arrivato a compimento in quello successivo, e oltre. La mia non è una lettura assoluta; mostro piuttosto il lato in ombra degli anni Ottanta. Lo mostro attraverso la storia di Keith Haring, proprio all'inizio del libro. Haring a Milano, a Pisa, la sua morte appena dopo la caduta del Muro

A tuo avviso, banalità e terrore, i due poli in cui muovi il libro, ci accompagneranno ancora nei prossimi anni nelle stesse forme in cui le conosciamo? Assumeranno un nuovo aspetto? Ci abbandoneranno?

Non lo so dire, non sono un profeta e neppure un mago. Le previsioni sono difficili.
Di certo il terrorismo non cesserà. Appare e scompare nel giro di pochi anni. Nel libro c'è la storia degli ultimi 35 anni, dal ritorno di Khomeini a Tehran nel 1979, alla uccisione di Bin Laden, dalla fatwa a Rushdie ai droni che volano in Afganistan. C'è l'arte e la filosofia, la letteratura e l'antropologia di tre decenni. Non un libro di storia, piuttosto un romanzo del contemporaneo
.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Per seguire il blog, cliccare su Tumblr.

Marco Belpoliti
L’età dell’estremismo
Pagine 294, Euro 18.00
Guanda


Nel gineceo del giovane Matteo

Tranne rare occasioni questa rubrica non esce il sabato e la domenica, ma l’8 marzo quest’anno proprio di sabato càpita e non voglio tralasciare la data.
Che fare? Il solito rituale di dichiarazioni? La litania di lagne giuste quanto inutili?
No. C’è stato un goffo intervento misogino di Ceronetti giorni fa su Repubblica e ho chiesto alla lussuosa penna di Maria Turchetto (in foto) - epistemologa, docente all’Università di Ca’ Foscari, direttrice del bimestrale “L’Ateo” – una replica a quell’infausto articolo. Lei ha accettato e qui la ringrazio. Segue il suo intervento.

Nemmeno io credo granché alle quote rosa, né m’illudo che qualsivoglia diseguaglianza si possa superare “con la povera materialità della parità numerale”. Ma l’intervento di Guido Ceronetti "Nel gineceo del giovane Matteo" risulta davvero antipatico. Molto ormonale e soprattutto molto ormonocentrico.
“… l’imprevedibilità di tanti ministri donne…”. Come no, le donne sono imprevedibili.
Eccotele pimpanti e euforiche, con un bel tasso di estrogeni in circolo. Oppure calme e paciose, piene fin qui di progesterone. La cui caduta, però, le rende irascibili e aggressive. Che idea, farle governare! Ma che triti stereotipi ormonali, Ceronetti.
E cosa dovremmo dire noi donne, allora, dei vostri ormoni? Anzi, del vostro unico prevalente ormone, il testosterone? Un ormone così poco specializzato che vi spinge sia ad accoppiarvi col nostro sesso, sia a fare a botte col vostro? Per forza vi confondete così spesso! Ma anche questi sarebbero stereotipi ormonali e discorsi ormonocentrici.
Non sarebbe meglio, quando non si tratta di amare e di scopare, quando si tratta invece di governare la cosa pubblica, cercare di prescindere dagli ormoni e fare riferimento al sistema nervoso centrale? Perché quello, nei due sessi, è uguale. Per quanto ci abbiano provato a dimostrarla – dalla craniometria del XVIII secolo fino alle tecniche di neuroimaging dei nostri giorni – tutta questa differenza tra i cervelli maschili e i cervelli femminili non sembra proprio esistere. Certamente non esiste una differenza innata o geneticamente determinata dai cromosomi x e y. Per il semplice motivo che il cervello umano è ben poco determinato dai geni e moltissimo invece dall’ambiente e dalla cultura.
Una cultura carica di stereotipi sessuali continuerà a produrre stereotipi sessuali. Ma la cultura cambia, per fortuna. E la modalità con cui le nostre plastiche sinapsi di conseguenza si trasformano è rapida e continua, non lenta e fissatrice come la trasformazione affidata ai geni. C’è speranza, dunque, che prima o poi la cultura abbia ragione di questi tristi stereotipi
.


I Simpson e il cinema


È la più famosa famiglia televisiva quella creata da Matt Groening con la sua sitcom animata ambientata a Springfield dove vivono I Simpson.
Sintetizzando la storia della serie: debuttò sotto forma di episodi di mezz'ora in prima serata il 17 dicembre 1989 diventando un successo straordinario della Twentieth Century Fox. Tanti i riconoscimenti che ha riportato: Time del 31 dicembre 1999 l’ha acclamato come "miglior serie televisiva del secolo"; nel 2000 ha ottenuto una stella nell’Hollywood Walk of Fame; nel 2002 Tv Guide classificò I Simpson all'8º posto tra i migliori 50 spettacoli del piccolo schermo di tutti i tempi.
Questa che è a tutt’oggi la più lunga serie animata americana trasmessa, ha avuto anche in Italia grandissimo successo e mi piace ricordare i nomi dei più assidui protagonisti del doppiaggio, alcuni di loro miei compagni di lavoro a Radio Rai: Tonino Accolla (Homer e direttore del doppiaggio; purtroppo scomparso l’anno scorso), Liù Bosisio (Marge), Ilaria Stagni (Bart), Monica Ward (Lisa).
Dalle loro voci abbiamo ascoltato le espressioni diventate celebri come “Ciucciati il calzino” di Bart o l’esclamazione contrariata “D’oh!” di Homer introdotta perfino nell’Oxford English Dictionary. Del resto, anche in Italia nell’edizione di Wow Word On Words, il dizionario dell’inglese gergale (Zanichelli) troviamo i Simpson.
Un esaustivo dizionario su quella famiglia si trova in "I Simpson una famiglia dalla A alla Z" di Guido Michelone con riflessioni di Aldo Nove ed Enrico Ghezzi.

Questa serie, però, è divenuta molto di più di una fortunata sitcom, perché è diventata un’icona della cultura pop e ha suggerito un ventaglio d’investigazioni sociali, linguistiche, politiche, perché rappresenta uno spaccato aspro e vero della società americana con i suoi tic, le sue plurali derive dal falso ottimismo alle reali paure fino alla sostanza filosofica cui poter rimandare personaggi e situazioni, si veda ad esempio: “I Simpson e la filosofia” (autori: William Irwin, Mark Conard, Aeon Skoble).
Tra gli studi sui Simpson c’è anche chi ha fatto ricerche sulle citazioni delle arti visive nella serie, un assaggio QUI. Né va dimenticato che il famoso Street Artist Banski si è occupato di una sigla dei Simpson che scatenò polemiche.
E la scienza? Stephen Hawking, ad esempio, in un documentario sui buchi neri ha voluto un perplesso Homer alle prese con la dimensione Spazio-Tempo.
E sulle mode che impazzano? Tra queste c’è Selfie e Matt Groening con i suoi Simpson non mancano.

Eppure in tutto questo mare d’interessi, studi e curiosità, mancava uno sguardo tra il grande schermo e questa famosa sitcom nonostante, fra l’altro, l’esistenza anche di un film basato sulla serie, “I Simpson” uscito nel 2007.
Ci ha pensato Michele Galardini che per l’Editore Felici ha pubblicato I Simpson e il cinema.
L'autore, nato a Pistoia nel 1985, ha organizzato mostre e rassegne col Centro Multimediale del Cinema. Laureato in cinema prima a Pisa (2009) e poi a Bologna (2011) pubblica racconti, suona con i Fitnia, diventa giornalista, collabora con la redazione locale de Il Tirreno e comincia a fare critica cinematografica su alcune riviste come Mediacritica e Cinit. Nel 2012, fonda la rivista di approfondimento culturale CarnageNews ed entra nella redazione del quotidiano on line "Reportpistoia".
Nell’Introduzione precisa: Questo non è un saggio critico su I Simpson, lo dico in apertura cosicché qualche studioso di media e serialità non si senta tradito o, ancor peggio, fregato. Questo libro nasce da una necessità e da una passione: la necessità di aprire una finestra sull’influenza del cinema per ‘I Simpson’ e tutto quello che hanno rappresentato a partire dalla fine degli anni ’80 […] Da “Full Metal Jacket” a “Il signore degli anelli”, da “La donna che visse due volte” a “Pulp Fiction”, ecco un primo tentativo, forse avventato o pretestuoso, di indagare l’immensa eredità cinematografica contenuta ne “I Simpson”.
In realtà non si tratta di un tentativo “avventato o pretestuoso” ma di un’impresa pienamente riuscita. Inoltre, pur riconoscendo eleganza nella dichiarazione iniziale di Galardini, devo smentirlo perché molte pagine contengono riflessioni semantiche sulla serie e vanno oltre una semplice elencazione di rapporti fra le citazioni cinematografiche contenute nella serie.
Scrive nella breve ma densa prefazione Roy Menarini: Dentro un’americanologia infinita, a una vera e propria Bibbia di cultural studies in atto, a un repertorio torrenziale di interpretazioni e fulminanti analisi della società contemporanea, “I Simpson” hanno anche narrato le trasformazioni dell’Occidente, dalla fine delle ideologie (le date non mentono) fino alla società partecipata. Aver messo in atto un piano così perfetto di riappropriazione culturale di spazi discorsivi altrimenti poco rappresentati (e rappresentabili), è – col senno di poi – ancora più ammirevole grazie all’uso del registro comico.

Michele Galardini
I Simpson e il cinema
Prefazione di Roy Menarini
Pagine 150, Euro 13.50
Felici Editore


Mail Art in Tv

Naturalmente non si tratta della Rai, né di Mediaset (Raiset, per gli amici) ma della Radio Televisione della Svizzera Italiana che ha dedicato un articolato e ben ragionato spazio alla Mail Art in “Cult Tv”.
I curatori della trasmissione, Stefano Roncoroni e Giotto Parini, hanno preparato anche tre brevi approfondimenti sulla Mail Art, disponibili ora online; la musica iniziale nelle prime due sezioni è delle Forbici di Manitù.
Nello spazio a disposizione, Vittore Baroni (in foto) ha illustrato come meglio non si poteva storia e profilo espressivo della Mail Art.
Di seguito trovate i links dov’è possibile visionare in streaming.

Mail Art mon Amour

La splendida utopia della Mail art

Ray Johnson, il padre della Mail Art

Lo strano caso di Guglielmo Achille Cavellini

Ci sono pure alcuni link in bonus: QUI.

Buona visione.


iLibra


È questo il nome dell’innovativo progetto degli Editori Laterza e di Repubblica: una collana di libri e ebook di nuova concezione, con filmati e grafici, per capire in presa diretta l'attualità.
Oltre ai volumi disponibili in edicola e in libreria, iLibra è anche ebook con una versione speciale in epub 3 per tablet.

Dopo l’uscita di La trappola dell'austerity firmato da Federico Rampini e Vite rinviate di Luciano Gallino, saranno pubblicati in questo mese i seguenti titoli.

13 Marzo: Il mondo nella rete di Stefano Rodotà.

20 Marzo: Post-Sinistra di Marco Revelli.

27 Marzo: L'anno zero del capitalismo italiano di Massimo Giannini.

Sul sito di Laterza è tracciato il piano dell’opera fino al 15 maggio.


50 grandi idee sul Cervello


Ogni organo del corpo umano, sia femminile sia maschile, ha uno specialista e uno solo che se ne occupa in quest’epoca della specializzazione che se da un lato presenta indiscutibili vantaggi, comporta pure la perdita di una visione olistica del nostro essere perché ciò che accade in un punto non è sempre scisso da quanto avviene in un altro.
Si dà colpa di questa visione frammentaria al progresso tecnologico, eppure sarà proprio da quel (da tanti) vituperato progresso che la medicina tornerà ad essere olistica, quando, cioè, basterà un solo chip impiantato in noi per ottenere una visione d’insieme e senza neppure recarci dal medico o, allora più probabilmente, da un genetista.
Ma siamo nel 2014, e sorprende che ci sia un solo organo che vede applicate su di esso ben quattro tipologie mediche!
È il cervello.
Intorno a lui indagano, disputano, accolgono pazienti, quattro specialisti, in ordine alfabetico: il neurologo, lo psicanalista, lo psichiatra, lo psicologo.
Le moderne neuroscienze, sono nate alla fine dell’Ottocento, ma a tutt’oggi, del cervello, pur noi adesso sapendone parecchio, perfino molto più di appena pochi anni fa, resta il sito meno noto di tutto il corpo umano.
La casa editrice Dedalo nella collana 50 grandi idee dedica al Cervello il suo più recente volume che illustra in modo sintetico e chiaro più di cento anni di riflessioni su quell’organo, riunendo le idee più influenti, aggiornando vecchi concetti alla luce di nuove prove e introducendone altri emersi di recente.
L’autore: Moheb Costandi, neuroscienziato, divulgatore scientifico. Vive a Londra.
Scrive per «Nature», «New Scientist», «Science» e «Scientific American».
È autore del blog Neurophilosophy per il «Guardian».

Questo libro è uno strumento prezioso per addentrarci non soltanto nella conoscenza del cerebello, ma uno stimolo ad approfondire l’essere come verbo e come sostantivo, in una parola è – come accade a certe analisi scientifiche – anche un’ipotesi filosofica lontana da credenze, superstizioni, religioni.
Tutto il volume, trattando le grandi sezioni nelle quali è ripartita l’indagine di Costandi, non trascura una puntuale storiografia e, con felice intuizione grafica, la fa scorrere come un “aston” tv quando passano parole in basso sul teleschermo, qui scorrono a fondo pagina, chiamata “linea del tempo”, le date (dal 1700 a. C. al 2009), di scoperte, sconfessioni, celebrazioni.
L’approccio dell’autore è dichiaratamente organicista, e questo consente una risposta alle domande più frequenti che ci poniamo, dalle più semplici (ad esempio: ma com’è fatto il sistema nervoso?) alle più complesse (ad esempio: ma che cos’è la neuroetica?).
Una buona idea di che cosa troverete in quelle pagine, l’avrete guardando l'INDICE.

Il volume rivolge anche uno sguardo alle più recenti scoperte scientifiche, “Quando – per usare una frase dello scienziato brasiliano Miguel Nicolelis – “la fantascienza diventa realtà”. Mi riferisco all’ibridazione uomo-macchina che permette attraverso alcune apparecchiature di leggere e tradurre l’attività cerebrale in segnali elettrici che a loro volta dirigono un’apparecchiatura esterna al corpo. Questo sta portando a vincere alcuni casi di paralisi degli arti e perfino ridare possibilità di camminare a paraplegici.

Il libro è provvisto sia di un glossario sia di un indice analitico che facilitano l’interpretazione di alcuni termini e una rapida consultazione delle pagine.

Per una scheda sul libro: QUI.

Moheb Costandi
50 grandi idee Cervello
Traduzione di Chiara Barattieri
Pagine 208, Euro18.00
Edizioni Dedalo


Coltiva l'imperfezione


L’editore Fazi con Coltiva l’imperfezione, primo volume di una serie di sette, avvia la ripubblicazione integrale dei Saggi di Michel de Montaigne (Bordeaux, 28 febbraio 1533 – Saint-Michel-de-Montaigne, 13 settembre 1592) filosofo, scrittore e politico francese noto anche come grandissimo aforista.
Quest'edizione si avvale di una nuova traduzione, più accessibile e moderna, prova non facile superata brillantemente da Federico Ferraguto.
Altra particolarità di questa nuova edizione è la ripartizione di tutta l’opera su base tematica.

La sua opera più nota sono i “Saggi”. Cominciata nel 1572, conobbe la prima edizione nel 1582. L’ultima, pubblicata postuma nel 1595, si deve a Pierre de Brach e Marie de Gournay, edizione rifiutata, però, dai critici moderni perché ritenuta scorretta.
Chi fu Montaigne?
Educato in modo liberale dal padre commerciante e politico, fu spirito antisistematico e si mosse fra tentazioni stoiche, inclinazioni epicuree e appassionato scetticismo.
Fu agnostico ponendo l’accento più sul dubbio che sulla fede.
Convinto che ogni uomo porti in sé “la forma intera dell’umana condizione”, pose se stesso come oggetto di studio utile a tutti.
"L'argomento del mio libro sono io" scriverà nelle prime pagine dei Saggi, e in essi parlerà a lungo delle sue caratteristiche fisiche, del suo temperamento, dei suoi sentimenti, delle sue idee e degli avvenimenti della sua vita.
Sarah Bakewell lo ha definito "il padre nobile degli odierni blogger".
In un periodo acceso di lotte di parti, rifiutò di schierarsi, per convinzione e non per viltà, tanto da aprire le porte del suo castello (… sì, non se la passava male) sia ai cattolici sia agli ugonotti.
Pioniere del pensiero moderno, fu acceso animalista (come diremmo oggi) e negando l'affermazione della superiorità dell’essere umano era contrario, ad esempio, alla caccia.
Ispirandosi alle critiche di Plutarco alle crudeltà sulle bestie, esprime la sua compassione nei confronti degli animali innocenti e senza difese verso i quali, anziché esercitare una «sovranità immaginaria», l'uomo dovrebbe riconoscere un dovere di rispetto.
Così come quando tratta il tema della schiavitù nega la tesi aristotelica dello "schiavo naturale".

“Coltiva l’imperfezione”, si concentra su quei saggi in cui Montaigne, cosciente degli umani limiti e manchevolezze, coltiva l’imperfezione come ricchezza perché sa che è proprio questa a renderlo l’individuo che è. Dà inoltre prova di essere uno dei primi umanisti a credere nella tolleranza e nel relativismo culturale, illustrando quanto radicalmente il modo di vivere dell’uomo cambi al variare delle latitudini.

Il piano dell’opera nelle edizioni Fazi.

1. Coltiva l’imperfezione – raccoglie i saggi in cui Montaigne rappresenta l’essere umano come “un soggetto meravigliosamente vano, vario e ondeggiante”.

2. Sopravvivi all’amore - saggi incentrati sulla descrizione delle passioni dell’anima e sul lavoro che la volontà umana deve svolgerle per elaborarle e sostenerle.

3. Svegliati dal sonno dell’abitudine - saggi in cui Montaigne ci regala una sua concezione del mondo.

4. Scopri il mondo - saggi nel quale Montaigne descrive le modalità e le dinamiche che rendono possibile la formazione di un sapere, dalla percezione del dato sensibile all’elaborazione razionale dei concetti, all’espressione di tale elaborazione per mezzo del linguaggio.

5. Lavora bene, ma non troppo bene - saggi dedicati al rapporto con gli altri esseri razionali; da un’analisi della base individuale dei rapporti intersoggettivi (l’abitudine, l’intenzione, la prudenza, l’interesse) alla discussione dei concetti etici (virtù, bene, coscienza morale), con una riflessione sulle modalità ordinarie dei rapporti tra esseri umani (l’arte di conversare e quella di tacere, il dialogo con gli altri, i rapporti di amicizia e quelli d’amore).

6. Filosofando per caso - volume dedicato alla filosofia come “arte di vivere”.

7. La risposta è la vita stessa (Apologia di Raymond Sebond) - volume composto da un unico saggio, Apologia di Raymond Sebond, che riprende le tematiche trattate nei precedenti volumi e che appare per la prima volta inversione autonoma.

Michel de Montaigne
Coltiva l’imperfezione
A cura di Federico Ferraguto
Pagine 156, Euro 14.50
Fazi Editore


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