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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

L'anno che verrà


Quanti sono i centenari che si celebreranno nel 2014?
Da quelli importantissimi a quelli pressoché sconosciuti, impossibile contarli tutti.
Per limitarmi a citarne solo alcuni più rilevanti nell’area in cui, prevalentemente, agisce questo sito (arti, filosofia, letteratura, scienze) noto sulla Cronologia Universale alcuni avvenimenti.
La pubblicazione di “Radiazione e teorie dei quanti” del fisico inglese Moseley, la prima edizione dell’opera “I sotterranei del Vaticano” di André Gide, del “Pigmalione" di G. B. Shaw, di “Platero e io” dello spagnolo Juan Ramón Jménez (sarà Premio Nobel per la letteratura nel 1956).
Ch. D. Broad dà alle stampe “Percezione fisica e realtà” mentre J. H. Watson fonda il Behaviorismo con “Il comportamento, introduzione alla psicologia comparata”; muore il filosofo americano Charles Peirce fondatore del Pragmatismo.
Sugli schermi statunitensi debutta “Nascita di una nazione” di David Griffith.
Charlie Chaplin, a Hollywood, è convinto da Mack Sennett a fare del cinema: cortometraggio “Making a Living”.
E in Italia?
Ecco “I canti orfici” del poeta Dino Campana; si ha il “Manifesto dell’architettura futurista” dell’architetto comasco Antonio Sant’Elia; la “Francesca da Rimini” del compositore Ruggero Zandonai; Giovanni Pastrone dirige il film “Cabiria”; nascono: a Roma la sceneggiatrice Giovanna (detta Suso) Cecchi D’Amico e, a Genova, Pietro Germi.

C’è, però, un altro centenario che molte pagine, colpevolmente, trascurano e cui Cosmotaxi, invece, darà spazio nel 2014: si tratta di uno che stimo (e non sono certo il solo) come tra i grandi artisti italiani del secolo scorso: Guglielmo Achille Cavellini, o GAC come si firmava, nato a Brescia l’11 settembre 1914.
QUI una sua essenziale biografia.
Nell’Archivio bresciano, curato dal figlio Piero, sono in progressivo aumento le opere dedicate a Cavellini; al momento fra gli autori che gli hanno destinato lavori: Renato Birolli, Andy Warhol (in foto: acrilico e serigrafia su tela, cm 101x102, 1974), Mimmo Rotella, Mario Ceroli, Claudio Costa, Claudio Parmiggiani, Marina Abramovic.

Nel 2014, ci saranno convegni, mostre (una si terrà in autunno al Mart), plurali incontri in Rete su Gac; questo sito, inoltre, gli dedicherà un numero della Sezione Nadir e nella sezione quotidiana Cosmotaxi informerà su quello che avverrà per celebrare Gac nel corso dei mesi.
Cavellini, nell’àmbito della sua famosa “Autostoricizzazione”, ha lasciato anche disposizioni e birichini consigli per la celebrazione dei 100 anni del suo venire al mondo.

Intanto, tre notizie.
Ecco Vittore Baroni che presenta un'iniziativa planetaria per ricordare l’artista bresciano.
Ruggero Maggi sta preparando un maiuscolo intervento di cui riferirò prossimamente..
CLIC per conoscere come New York si è avvicinata all’anniversario dell’Anno Cavelliniano.


L'architetto Alessandro Anselmi

Tra le figure di rilievo scomparse nel 2013, c’è quella dell’architetto Alessandro Anselmi (in foto), nacque a Roma il 27 giugno 1934 e nella stessa città ci ha lasciato il 28 gennaio di quest’anno.

Laureato in architettura a Roma nel 1963, è stato docente di Composizione architettonica presso l’Università degli studi “Mediterranea” di Reggio Calabria, poi alla Sapienza e, infine, all'Università Roma Tre.
Membro fondatore dello studio G.R.A.U. (Gruppo Romano Architetti Urbanisti), dal 1974 al 1981 è stato redattore della rivista Controspazio. Nel 1999 ha ricevuto il Premio Presidente della Repubblica per l’Architettura; nello stesso anno ha ricevuto il titolo di Accademico di San Luca.

Ora il Maxxi gli dedica uno spazio – a cura di Valentino Anselmi e Valerio Palmieri – con oltre 100 disegni, modelli, progetti, presenti nella collezione dello stesso MAXXI, generosamente donati dall’architetto, che raccontano il suo lavoro dagli anni Sessanta al 2002.
Cinque sono gli àmbiti tematici che guidano il pubblico in un percorso espositivo nel quale la dimensione del progetto continuamente sconfina in quella personale dell’architetto: Il sogno dell’architettura; Geometrie della memoria; Figure del moderno; Recinti e frammenti; Nature geometrizzate.

In occasione della sua scomparsa, Elisabetta Avallone così scrisse sul Corsera.
L’architettura italiana ha perso un grande maestro. Nel 2004 è stata una mostra delle sue opere a inaugurare il MAXXI di Roma prima che Zaha Hadid portasse a termine la nuova sede.
Al Centre Pompidou di Parigi si è da poco conclusa un’esposizione sull’architettura italiana degli Anni 70 con molti dei suoi disegni e delle sue architetture. Il suo percorso intellettuale, sino dalla fondazione del Gruppo romano Architetti Urbanisti nel 1962, ha inteso coniugare, nel corso di una vita, l’esercizio del progetto con i grandi temi dell’impegno etico, sociale e politico. Gli stessi che informavano le sue lezioni all’università.
La sua esplosiva curiosità e una vastissima e multiforme cultura hanno orientato la sua azione nel campo dell’architettura. La forza espressiva del suo linguaggio architettonico si è mantenuta in costante rapporto con la lettura attenta della storia e dei segni del territorio, opere coerenti e complete dal punto di vista figurativo e sempre originali.
Sì, l’architettura italiana ha perso molto. E noi anche
.

Alessandro Anselmi
Figure e Frammenti
Maxxi, Roma
Fino al 16 marzo 2014


I microcosmi poetici di Lentini

Presso il Polo Bibliotecario Panfilo Castaldi sono esposti i tridimensionali microcosmi poetici di Alfonso Lentini (in foto).

Negli anni '60 del secolo scorso, in particolare, vi sono stati numerosi artisti che hanno iniziato sistematicamente a "dissacrare il libro", a negarlo – scrive Giovanni Trimeri, curatore della mostra – per poi riprogettarlo e ricostruirlo come una summa artistica in cui far confluire la scrittura, il disegno, il collage, la pittura e l’installazione. L'intento era quello di realizzare qualcosa di nuovo, nel senso di "altro", di rivoluzionario, di difficile, ma nello stesso tempo, più intrigante, più evocativo e ricco di rinvii e significati. Ecco, quindi, un unicum originale, irripetibile, dove la forma della scrittura, la forma del libro, in poche parole, la forma artistica più consolidata è divenuta qualcosa di nuovo rispetto alle sue origini, è andata oltre.
Alfonso Lentini, con radici artistiche nella lezione di quelle avanguardie, con la sensibilità di poeta e scrittore che sa mediare tra le varie espressioni letterarie ed artistiche, mantenendo un fermo rigore nella continua ricerca, con l'assemblaggio di materiali che già hanno un loro vissuto, objets trouvés poveri, eppure mai banali o scontati, con la cura cromatica e compositiva e il recupero della scrittura come frammento visuale significante (quindi lontano da effetti decorativi...), elabora ed assembla dei microcosmi poetici del tutto originali […] le opere di Lentini vanno oltre la poesia visiva e il libro d'artista in quanto assommano le caratteristiche di queste espressioni per approdare a lavori che possiamo definire oggetti poetici, microcosmi di poesia che nobilitano materiali poveri, frammenti di alfabeti e di scrittura, di arte e di cultura, lacerti di memoria. Così Lentini circoscrive l'area del suo lavoro artistico nutrito di solarità mediterranea nei colori e delle frasi mozzate dell'entusiasmo, della foga o della fatica di vivere, dei resti di quanto il flusso e riflusso del nostro vivere quotidiano fanno arrivare nel suo studio d'artista. Sono opere di un tempo di crisi che si rinsaldano nella ferrea concezione dell'arte come resistenza, come necessità di persistenza a testimoniare l'aspirazione dell'uomo alla creatività, alla ricerca
.

Alfonso Lentini
Microcosmi poetici
Polo “Panfilo Castaldi”
Salita Ramponi 6, Feltre
Info: 0439 – 88 52 44
Fino al 20 febbraio ‘14


Home Staging (1)


Le Corbusier, scrisse nel 1923 il libro d'architettura forse più importante della prima metà del secolo scorso, lo intitolò “Verso una Architettura” e in quelle pagine c’è una frase che così suona: Una casa è una macchina per abitare.
Un altro grande architetto dei nostri giorni, Alessandro Mendini, in un suo scritto del 1983: L'arredamento della nostra casa diventa il teatro della vita privata, quella scena dove ogni stanza permette il cambiamento, la dinamica degli atteggiamenti e delle situazioni: è la casa palcoscenico.
Ecco come convergono due pensieri pur provenienti da diverse epoche e scuole.

In foto, un interno dal mondo virtuale Second Life.

La casa, quindi, superati progressivamente i concetti (utero, caverna, tana) che avevano dominato l’uomo, si è proiettata in una nuova dimensione psicodinamica che si concretizza in nuovo modo d’essere abitazione attraverso il determinante appoggio delle nuove tecnologie. Senza avventurarci nella futurologia, ecco, ad esempio, una pallina che esegue una scansione accurata dell’appartamento e poi lo pulisce spedendo centinaia di nanorobot volanti sulle superfici sporche. Questo è Mab, il concept che ha vinto l'Electrolux Design Lab 2013, concorso di design internazionale organizzato dal marchio di elettrodomestici. L'autore del concept, è il colombiano Adrian Perez Zapata che ha battuto ben 1.700 progetti provenienti da oltre 60 Paesi.
Ben chiaro è che per giovarsi di tali prodigi è necessaria una casa che, per dirne una soltanto, non sia ingombra di troppe cose abbandonate.
Ancora un esempio, risale allo scorso salone del mobile milanese: il design del suono. Si tratta del Think-tank “Be Open”, nato dalla mente dell’imprenditrice russa Elena Baturina, per promuovere idee creative che guardano al futuro della progettazione con approdi anche in area domestica.
Se poi v’interessa chi lavora sulla biocasa, cliccate su Rhome.
Insomma, è necessario, e anche utile in caso di compravendita, acquisire una nuova cultura delle mura domestiche all’altezza dei tempi che viviamo.

Il servizio prosegue nella nota successiva.


Home Staging (2)


Sul piano pratico, una tecnica che, fondendo estetica e mercato, si muove in questa direzione è l’Home Staging presente da poco anche in Italia.
Cosmotaxi ha intervistato Rodolfo Pegan, in foto, - QUI la sua bio - uno degli (ancora pochi) esperti in Italia di questa pratica che lui ha intrapreso fra i primi nel nostro paese

Che cos’è l’Home Staging?

Per “Home Staging” s’intende la tecnica per la preparazione di un immobile per la vendita o per l’affitto. Si tratta spesso di semplici accorgimenti estetici e funzionali studiati per esaltare le qualità di un immobile. Con poca spesa ed in tempi brevissimi, uno stager è in grado di trasformare un immobile in un prodotto vendibile. Grazie ad un’attenta analisi delle criticità e delle qualità dell’immobile, lo stager può elaborare un piano d’intervento che può articolarsi in diverse fasi (svuotamento, sistemazione, pulizia, allestimento, fotografia o video) oppure in una sola di queste. L’obiettivo è riuscire a fare spazio all’immaginazione di compra o affitta.

A chi serve?

L’Home Staging è oggi l’alternativa più efficace all’abbassamento del prezzo di un immobile. La percentuale di sconto sul prezzo richiesto per un immobile, infatti,è direttamente collegata al tempo di permanenza dell’immobile stesso sul mercato; questo principio è noto con il nome di “forbice di sconto”. Il deprezzamento che ne consegue si ripercuote negativamente tanto sul patrimonio dei proprietari che sui livelli delle provvigioni degli agenti immobiliari coinvolti. Invece, grazie ad un intervento di Home Staging, possiamo ridurre del 76% - è un dato rilevato dalla Banca d’Italia – i tempi di vendita/affitto. Con una spesa mai superiore al 1% del valore dell’immobile.

Calcolando per difetto, quanti pensi siano gli home stager in Italia?

Oggi, con l’Associazione Italiana Home Stager di Amy Lentini, e ad altre iniziative più localizzate, in Italia si contano più di 400 Home Stager. Questi professionisti derivano la loro creatività e la loro competenza da esperienze professionali pregresse (molti sono architetti, ingegneri, fotografi, decoratori, allestitori, scenografi, vetrinisti) e da un percorso di formazione appositamente studiato sull’impronta della matrice americana da cui discende la tecnica dell’Home Staging. Solo negli ultimi 12 mesi, ad esempio, Staged Homes ha formato più di 70 stagers per rispondere alla crescente domanda di mercato.

Quali aree espressive possono concorrere a svolgere al meglio questo lavoro: arti visive? architettura? scenografia? Non lo chiedo perché ovvio che il sottotesto è dato dalle due gemelle antropologia e sociologia.

Essere un home stager significa molte cose e include le tre specificità della tua domanda più le due gemelle da te citate; perché molteplici sono le competenze coinvolte nella consulenza di staging. Seppure siano in primo piano le affinità con il mondo dell’architettura d’interni e dell’interior design. L’home stager è un professionista sui generis perché non ha un cliente da soddisfare; il suo cliente è il mercato. Lo stager prepara l’immobile per il suo debutto; perché ogni visitatore possa proiettare la propria vita privata o professionale all’interno dello spazio lavorato. Perché oggi più che mai è vero l’adagio: “Non abbiamo una seconda occasione, per fare una buona impressione”!


Trilogia

È un’efficacissima ricostruzione biografica, attuata da Piero Cavellini, della vita di Lucio Fontana, Yves Klein e Piero Manzoni protagonisti del profondo cambiamento generazionale della nostra contemporaneità.
Piero Cavellini, nato a Brescia nel 1946, è figlio d’arte, il padre, infatti, è Guglielmo Achille Cavellini (1914-1990).
Laureato in sociologia, dal 1974 avvia un’attività di gallerista volta a compiere una ricognizione sul lavoro della generazione di artisti internazionali suoi contemporanei, spaziando dal movimento Fluxus all’Arte Povera, all’uso del mezzo fotografico nell’Arte.
Fino al 1995 ha organizzato circa 200 mostre nei propri spazi espositivi, e più di sessanta a tutto il 2003 in spazi istituzionali.
Ha condotto un’attività editoriale – Edizioni Nuovi Strumenti, circa 200 titoli – intervenendo con numerosi testi a corollario delle opere pubblicate.
Si è occupato, dal 1977, d’arte ambientale, curando la rassegna “Arte-Ambiente” per il comitato di quartiere di Porta Venezia a Brescia.
Ha tenuto corsi di ‘Storia della fotografia’ presso la Laba, Libera Accademia di Belle Arti di Brescia, e ha condotto sia un laboratorio sulla produzione di Eventi Artistici alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Brescia e sia un nuovo corso denominato "Fenomeni artistici e Sistema dell’Arte" alla già citata Laba.
Ha pubblicato nel 1992 un libro-opera, in collaborazione con Antonio M. Faggiano, dal titolo ”Venti canzoni di Amore e Psiche”, e Senzazucchero nel 2002.

Trilogia è un libro essenziale per rintracciare attraverso le biografie le origini dei segni e dei comportamenti di Fontana, Klein e Manzoni, libro utile a studenti dell’arte, critici, giornalisti ed anche a chi è appassionato alle vicende delle vite degli artisti (Valerio Miroglio le chiamava “Svite d’artisti”).
Il collezionista e artista Fausto Paci ha così scritto su Trilogia: “L'Opera di Piero Cavellini su Lucio Fontana, Yves Klein, Piero Manzoni, Maestri che con la loro creatività hanno segnato il profilo storico del 900, fa penetrare gli studiosi e gli appassionati d'arte nella quotidianità meno conosciuta degli stessi con una sequenza di episodi, credo, mai citati dalla critica professionale. È un lavoro scrupoloso, da tenace ricercatore, che ha portato l'autore a contattare tanti personaggi che hanno avuto conoscenza diretta dei tre grandi artisti. È così descritto il fertile humus nel quale sono fermentate e poi germogliate ed esplose le loro originali creazioni. I tramiti principali, ma non solo loro, sono stati la moglie Teresita per Fontana, la zia Rose per Yves Klein e il tipografo Antonio Maschera per Piero Manzoni. È un libro da leggere con partecipata emozione”.

A Piero Cavellini (in foto) ho rivolto alcune domande.
Delle tante occasioni che hai avuto come critico e gallerista a che cosa dobbiamo la scelta di Fontana, Klein e Manzoni sui quali hai puntato la tua esplorazione?

Tutto ha avuto inizio con una scelta didattica. Avevo proposto i tre autori per un approfondimento monografico agli studenti del mio corso di Fenomenologia dell’arte contemporanea in Accademia in quanto li giudicavo essenziali con le loro opere ed il loro comportamento al profondo mutamento generazionale della nostra contemporaneità avvenuto dal secondo dopoguerra, ed ancora utili a comprendere il significato del fare arte oggi. Naturalmente mi sono dovuto impegnare ad approfondire non solo le opere e quanto intorno a loro è stato scritto ma soprattutto le loro vite ed il loro impegno personale anche emotivo ed affettivo. La mia propensione più letteraria che critica ha fatto il resto. Ho chiesto aiuto ad alcuni espedienti narrativi ed alla mia quarantennale esperienza personale nella diretta frequentazione con l’arte e con chi attorno ad essa gravita.

Perché ritieni importante la biografia dell’artista per addentrarci meglio nella sua opera?

Sta alla base della mia riflessione sui fenomeni artistici. L’opera non può essere interpretata da un punto di vista critico estraneo all’artista, sarebbe un atteggiamento idealistico che soprattutto oggi, in una società instabile e frammentata, si rivelerebbe sterile ed anche arrogante. E’ solo l’artista che la può descrivere e proporre nella sua complessità. Lo può fare con uno scritto od altre scelte espressive ma soprattutto lo fa con la sua vita, la sua “carne” come accenno nell’introduzione al testo. Quanto ho scritto è tutto essenzialmente veritiero nel processo storico e biografico, gli espedienti legati alle fonti ed il mio modo di approcciarle anche. L’eccesso interpretativo è un modo per rappresentare la mia complicità con loro che mi ha fatto dedurre particolari che mi sono apparsi come inevitabili conseguenze di presupposti comprovati. Le loro vite mi hanno proposto un canovaccio, la mia mi ha indotto a mescolarmi con loro.

Le ultime pagine del libro sono dedicate alla presenza dell’arte a Milano durante il Novecento. Le hai intitolate “Cos’era un tempo Milano”.
Aggiungendo un punto interrogativo a quel titolo, è questa la domanda che ti rivolgo.

Milano è stato un luogo in buona parte unificante nelle biografie dei tre autori ed essendo stato anche il luogo in cui è avvenuta la mia formazione riguardo alle questione dell’arte in fieri, dove ho avuto i miei “menestrelli” come affermo nel testo, si è rivelato come catalizzatore delle loro vite con la mia. Uno sguardo a “volo d’uccello” sulla relazione che ha avuto con l’arte durante il Novecento con un atteggiamento, anche qui, non semplicemente storico ma partecipativo, mi ha dato la possibilità di mettere in campo la mia nostalgia e la mia passione verso gli eventi di cui è stato teatro. Per rispondere alla tua domanda: Era un luogo in cui la presenza degli artisti proponeva non solo artefatti ma artifici vitali che non sono più così edificanti nel nostro martoriato presente.

Piero Cavellini
Trilogia
Pagine 194, Euro 14.00
Il mio libro.it


Totilogia


L’ottimo webmagazine dia•foria – tempo fa ne segnalai il restyling redazionale – nella sezione Floema dedica uno special a Gianni Toti, in foto, (Roma, 1924 – 2007); poeta, giornalista, video artista, creatore della "Poetronica" negli Anni 80.
Ebbi il piacere, molti anni fa, d’invitarlo a produrre una performance acustica a Radio Rai, nello spazio di programmi sperimentali “Fonosfera” di cui ero uno dei curatori, e poi di ospitarlo QUI su questo stesso sito nel dicembre 2003.
Importante figura d’intellettuale e di artista, durante la seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza. Cronista del quotidiano L’Unità ne divenne in seguito inviato speciale.
Dagli anni Ottanta, è stato tra i fondatori della poesia elettronica, per la quale ha avuto molti riconoscimenti internazionali fondando la “Poetronica”, neologismo composto dalle parole Poesia+Elettronica.

Di Toti, eccone un efficace videoritratto di Sandra Lischi.

Sul webmag dia•foria è ricchissimo lo special di cui dicevo in apertura, cliccando QUI si trovano testi di Toti e una vasta, imponente, raccolta di riflessioni critiche sulla sua opera di videomaker e scrittore.


Wireless


Giorni fa, recensendo un libro, lamentavo la pessima tendenza, oggi di moda, dello scrivere biografie romanzandole, sicché dei personaggi storici ritratti se ne perde il profilo che finisce col rassomigliare a uno dei tanti personaggi di una fiction tv di seconda serata.
Altro morbo che affligge i biografi è rappresentato dall’agiografia che viene rivolta prevalentemente a politici, scienziati, attori, sportivi, destinati forse a non essere ricordati dalla grande storia ma che sono trattati impiegando i caratteri mitici che rimandano alla “Leggenda aurea” di Iacopo da Varazze o al “Synáxarion” di Simeone Metafraste.
Fortunatamente ogni tanto capita di avere tra le mani un libro come Wireless Scienza, amori e avventure di Guglielmo Marconi, pubblicato da Garzanti e firmato da Riccardo Chiaberge.
Un volume scritto con appassionata precisione, frutto di studi e non d’improbabili fantasie, che, infatti, dello scienziato scopre lati finora oscuri e altri ignoti.
Riccardo Chiaberge, giornalista di razza, ha lavorato al «Corriere della Sera» ha diretto per dieci anni il supplemento «Domenica» del «Sole 24 Ore». Attualmente collabora con l'Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, come direttore scientifico del Libro dell'anno. Tra i suoi libri: Ingegneri della vita. Etica e medicina nell'era del Dna (1988, con il premio Nobel Renato Dulbecco); Cervelli d'Italia. Scuola, scienza, cultura: le vere emergenze del Paese (1996); Navigatori del sapere. Dieci proposte per il Duemila (1999); L'algoritmo di Viterbi. Da profugo a re dei cellulari: la straordinaria avventura di un italiano in America (2000); Salvato dal nemico. 1944: una strage nazista nell'Italia divisa dall'odio (2004); La variabile Dio. In cosa credono gli scienziati? (2008); Lo scisma. Cattolici senza papa (2009); Vespe. Fatti e misfatti della cultura italiana negli anni di Berlusconi (2012).

Il titolo “Wireless” rileva l’attualità di Marconi, tracciandone un parallelo con protagonisti dei nostri giorni perché fu un precursore a mezza strada tra figure quali Steve Jobs e Bill Gates: fisico dilettante, fa i suoi primi esperimenti nella soffitta di casa (l’equivalente dei garage divenuti famosi della Silicon Valley). Fonda a Londra una delle prime, diremmo oggi, start up. Brevetta ogni idea e la difende nei tribunali. Usa i media di allora con la talentuosa forza di un grande comunicatore qual era.
Nato a Bologna il 25 aprile 1874 – suo padre, Giuseppe, sposò l’irlandese Annie Jameson – morirà colmo di riconoscimenti (e meno ricco di anni prima, ma comunque benestante) il 20 luglio 1937, a Roma, all’età di 63 anni per una crisi cardiaca che l’aveva colto in treno il giorno prima.
L’autore accompagna il lettore attraverso la vita febbrile ma sempre ragionata di Marconi, anche se fu “figlio problematico, marito difficile, padre assente e inguaribile donnaiolo”, aspetti questi che sono documentati nel libro con particolareggiati racconti.
Così com’è indagato uno dei fatti più imbarazzanti nella vita dello scienziato: la sua adesione al fascismo che ne sfruttò l’ingegno in abile propaganda per il Regime.
Chiaberge fa di più, esplora l’infamia che copre Marconi quando, da Accademico d’Italia, esaminando gli aspiranti segna accanto ai loro nomi specializzazioni o presunti pregi (“Archeologo”, “Etruscologo”, “Patriota”, "Tessera fascista del ‘20”) e talvolta una misteriosa lettera… “E”. Eccellenza? Si chiede l’autore. Eroe di guerra? No, come si evince dall’anagrafe, quella “E” sta per “Ebreo”.
In realtà, Marconi – avendo avuto innegabilmente una parte di sincerità nel dichiararsi fascista – era un uomo che pur di ottenere fama e gloria era disposto a manifestare verso i potenti di allora più entusiasmo di quanto forse ne avesse.
Difficile concepire biografia più complessa.

Una traiettoria umana - scrive Chiaberge – che attraversa epoche e mondi lontanissimi […] Una personalità, la sua, ricca di sfaccettature, per certi aspetti insondabile […] È venuto anche il momento di guardare in faccia il Marconi fascista. Non per unirsi al coro di quanti dicono che Mussolini avrebbe fatto pure cose buone, ma per riconoscere le (poche) cose buone che in quel periodo sono state fatte nonostante Mussolini. E poi quindici anni all’ombra del fascismo – il segmento finale della parabola – non bastano certo a offuscare i quasi trenta che li hanno preceduti, quel formidabile crescendo di scoperte scientifiche e di successi imprenditoriali che fanno di Marconi un precursore dell’era digitale. Se oggi abbiamo i cellulari, i tablet, il wi-fi, lo dobbiamo anche e soprattutto a lui al “signor wireless”, un uomo, un italiano che alla fine dell’Ottocento ha inventato il terzo millennio.
Bella anche la conclusione del libro.
”C’è una cosa che vorrei sapere”, pare abbia confidato una volta all’amico David Sarnoff. “Perché questa cosa funziona”. Si riferiva, naturalmente, alla radio.

Riccardo Chiaberge
Wireless
Pagine 320, Euro 18.60
Garzanti


Chuck ha il dente del giudizio universale

La “cultura di massa” è diventata centrale nel corso del secolo scorso, nel secondo dopoguerra, derivando, principalmente, dai mass media: cinema, televisione, fumetti, musica pop, cui molto più tardi si affiancheranno altri mezzi, ad esempio, videogames e Rete.
In Italia, a metà degli anni Cinquanta, Umberto Eco, Elio Vittorini, Oreste Del Buono, s’impegnarono tra i primi per legittimare la cosiddetta cultura bassa, attaccando i cernecchi grigi di una cosiddetta cultura alta che si affidava a pratiche culturali vetuste per argomenti e lingua usata. La battaglia fu vinta. Da allora molte figure e personaggi, reali o di fantasia, sono investigati per ciò che simboleggiano e per la forza attrattiva che esercitano. Una forza che spingevano, e spingono, tanti a identificarsi in uno di questi eroi del nostro tempo. Molti di loro, forse, potremmo trovarli oggi nelle pagine di Roland Barthes, avesse scritto “Miti d’oggi” anni più tardi di quando quel libro fu pubblicato. Perché affianco ai barthesiani lottatori di catch o Abbé Pierre, potrebbero figurare Indiana Jones o Rambo, James Bond o Rocky, ciascuno con la propria foresta di segni che indossa.
Miti d’oggi perché hanno i connotati richiesti dalla mitologia che, scrive Barthes, “… è parte della semiologia come scienza formale e dell’ideologia come scienza storica: studia delle idee-in-forma”.
A differenza degli albori, oggi, la cultura di massa, ispessitasi, vede il personaggio divorare il suo interprete, sicché non è Sylvester Stallone a essere Rambo, ma viceversa.
Accade anche con Chuck Norris; con lui il personaggio ha la meglio sulla persona e se si vuole sapere chi è Chuck Norris bisogna andare a stanarne la vita, perché Norris è quello che si vede: il ranger col cappello da cow boy, esperto d’arti marziali, al servizio della giustizia e dei buoni.

Di grande interesse è, quindi, Chuck Morris ha il dente del giudizio universale a cura di Mist & Dietnam pubblicato dalla casa editrice tre60.
Si tratta della raccolta definitiva (con 500 facts inediti) sul ranger più famoso del mondo.
Perché Chuck Norris è stato coinvolto negli ultimi anni da un fenomeno di Internet noto col nome inglese Chuck Norris facts ("fatti su Chuck Norris"). Attraverso numerosi media legati a Internet (e-mail, newsgroup, siti web) sono continuamente diffuse notizie inventate e inverosimili su di lui. Molte di esse hanno a che vedere con la forza, la mascolinità e l’abilità di karateka di Norris, tutte esageratissime con intenti umoristici.
E tutti i facts si riferiscono alla mitologia del celebrato ranger che, come in parte appare nella fiction, nella vita reale, è un bigotto reazionario, antidarwiniano, repubblicano tostissimo, come uno sguardo a Wikipedia (o anche altri siti) testimonia.
Che cosa sono i facts? Dicono i curatori che “… sono il trionfo del nonsense, del grottesco e, soprattutto, l’ennesima dimostrazione che quando la Rete si mette in moto non c’è niente in grado di fermarla”. Più forte dello stesso Norris che Time nel 2007 definì un "online cult hero".

A questo punto, è doveroso citare qualcuno dei tremilauno… sì, 3001... facts contenuti nel volume.

James Bond indossava lo smoking sotto la muta da sub. Chuck Norris indossa un’armatura medievale sotto la camicia a scacchi. E nessuno si accorge di nulla.

Chuck Norris ascolta gli mp3 col grammofono.

Il cane di Chuck Norris ha un padrone da guardia.

Dietro alla Cina c’è scritto “Made in Chuck Norris”.

Questo libro, oltre ad essere divertente, è anche un documento di antropologia dei nostri giorni.

A cura di Mist & Dietnam
Chuck Norris ha il dente del giudizio universale
Pagine 382, Euro 12.90
Edizioni tre60


Fogli alla Doppelgaenger

È in corso alla Galleria Doppelgaenger la mostra collettiva Fogli, dedicata al disegno, alle sue varie forme e alle sue declinazioni.
Doppelgäenger, quale il significato di questa parola? Sto qui per servirvi.
Superando il significato di gemello maligno e leggende nere non troppo beneauguranti, essendo questo un sito che s’ispira nelle sue sezioni allo Spazio, mi soffermo su come Wikipedia tratta l’argomento circa opere ascrivibili al fantastico e alla fantascienza.
“Un doppelgäenger” – è là scritto – “è una qualsiasi versione di sé stessi che si può incontrare durante un viaggio nel tempo, cioè è un duplicato di sé stessi in una diversa linea temporale della propria storia presente o futura, reale o alternativa. È un paradosso che si verifica quando, ad esempio, una versione di un individuo viaggia all'indietro nel tempo e incontra una versione più giovane di sé stesso, oppure quando due o più versioni dello stesso individuo da differenti flussi temporali convergono allo stesso momento nel loro futuro. Doppelgänger possono anche essere generati da mutaforma che imitano un particolare individuo”.

Lasciamo adesso quest’inquietante clone e torniamo alla mostra.
Gli artisti chiamati a comporre lo scenario di quest’esposizione, ciascuno proveniente da esperienze artistiche e tecniche assai diverse, sono riuniti per una comune indagine sul ruolo odierno del disegno e delle sue possibili evoluzioni.

In foto: Marta Roberti: ”Sarà stato”, still da video, disegno inciso su carta grafite, 2012 (Courtesy Visual Container).

In un panorama artistico contemporaneo dove l’installazione, la video-arte, la performance e l’estetica relazionale occupano un posto da protagoniste, che importanza dare ancora al disegno?
Quale il suo significato nelle idee degli artisti, specie in quelli che operano secondo modi tanto distanti dal puro connubio tra segno e superficie?
Particolare attenzione è dedicata al supporto, cui il titolo richiama esplicitamente. L’idea del foglio abbraccia uno spettro di soluzioni assai eterogeneo: dalla carta all’animazione digitale, dal segno più elementare e concreto nell’esecuzione, a quelli più articolati, sino ad arrivare al virtuale.

Daniela Corbascio, Gael Davrinche, Tony Fiorentino, Silvia Giambrone e Carolin Jörg – già ospiti di Doppelgäenger – affiancheranno gli inglesi James Brooks e Matthew Watkins la francese Sarah Jerome e con loro gli italiani Bonetti, Vincenzo D’Alba, Ilaria Facchin, Laurina Paperina, Christian Rainer, Marta Roberti, Stefano Romano, Giuseppe Teofilo.

Il 21 gennaio, alle 18.30, nella galleria, si terrà una conversazione sul disegno tra Chiara Bertola, responsabile del programma di arte contemporanea della Fondazione Querini Stampalia di Venezia e curatrice alla Fondazione Furla di Bologna, Giuseppe Caccavale, artista e docente di arti murali e disegno all’École Nationale supérieure des Arts Décoratifs di Parigi, e coordinata da Marilena di Tursi, critico d’arte e giornalista.

Galleria Doppelgäenger
Fogli
Palazzo Verrone, Via Verrone 8 – Bari
info@doppelgaenger.it
Tel (+39) 392 – 82 03 006
Martedì/Sabato: 17.00 – 20.00
Fino al 15 Febbraio


Un libro particolare

Da Tiziana Bartolini, direttora di Noi donne, si ha notizia di un libro che ha particolari finalità.
Si tratta di undici storie per ragazzi scritte da Daniela Scopigno, illustrate da Cristina Cerretti raccolte sotto il titolo “Ho voglia di raccontarti una storia”.
Oltre ad essere il titolo del libro è anche un sito e un progetto di sostegno al Centro di alta specialità per il Carcinoma Ovarico (patologia che ogni anno colpisce 5.000 donne), della Divisione di Ginecologia IEO (Istituto Europeo di Oncologia) cui sono devoluti i diritti d’autore.
Nell’àmbito del progetto, inoltre, è previsto che le copie acquistate dall’Ordine Architetti di Roma e Provincia, dalla Novartis e dal Municipio Centro Storico della Capitale siano distribuite ai bambini dei Reparti Pediatrici Oncologici del Policlinico Umberto I e dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma.

Scrive Umberto Veronesi nella Prefazione: Che narrare sia reazione alle brutture, alle difficoltà della vita è noto, ma non sempre questo narrare si trasforma in un libro adatto alla lettura da parte del pubblico. Narrare può essere gesto per sé, fondamentale e denso di vita ma destinato a rimanere in una dimensione privata. Nel caso di “Ho voglia di raccontarti una storia” Daniela Scopigno riesce nell’intento di scrivere e farsi leggere, portare il dono prezioso di una ricchezza interiore intrisa di gioia, ricordi, fantasia e sogno. Sogno che è l’essenza di ogni nostro respiro. Perché, come scrive Daniela, “I sogni ti seguono sempre, ovunque tu vai…”.

Ho voglia di raccontarti una storia
di Daniela Scopigno
Illustrazioni di Cristina Cerretti
Pagine 75, Euro 13.00


Il mondo di Tonino Guerra (1)

È questo il titolo che lui stesso scelse per definire lo spazio in cui trova ospitalità la sua opera artistica. Un mondo che, oltre ad essere diffuso in vari luoghi, come vedremo più avanti, ha il suo cuore nei sotterranei del trecentesco oratorio di Santa Maria della Misericordia, in Via dei Fossi a Pennabilli. È qui la sede dell’Associazione culturale Tonino Guerra nata per salvaguardarne e valorizzarne, in Italia e all’estero, l’opera cinematografica, artistica, poetica.
Qui sono stato ricevuto da Gigi Mattei, organizzatore degli eventi dell’Associazione, ma anche molto di più perché, profondo conoscitore dell’opera guerriana, ne cura la biblioteca e la videoteca, ne arricchisce l’Archivio, accoglie gli ospiti orientando chi non sa (e soffermandosi con chi già sa) sulla figura di Guerra e sui suoi temi poetici.

Pennabilli (in foto una veduta), prende il nome dall’unione dei due Castelli, un tempo rivali, di Penna e di Billi, sorti sulle due alture del Borgo. Nel 1350 divenuti liberi comuni, per volontà popolare, decisero di fondersi. Il patto fu sancito dalla “pietra della pace” interrata nei pressi dell’attuale fontana sulla piazza principale del paese. Lo stemma di Pennabilli così costituitosi, è rappresentato, infatti, da un’aquila appollaiata su due rocche.
Nelle sale dell’antico palazzo comunale è ospitato il Museo del calcolo Mateureka, uno dei pochissimi musei italiani dedicati alla storia della Matematica e degli Strumenti di calcolo.

A Pennabilli viene a vivere nel 1989 Tonino Guerra. Un giorno scrisse: È bello se puoi arrivare in un posto dove trovi te stesso.
A Pennabilli aveva trovato quel luogo desiderato?
Può essere.
Può essere, però, che lo avesse anche trovato pure in qualche paese russo, in qualche quartiere romano, o in una città creata dalla sua fantasia.

Il servizio prosegue nella nota successiva.


Il mondo di Tonino Guerra (2)

Tonino Guerra (in foto) è nato a poca distanza da Pennabilli, a Santarcangelo di Romagna il 16 marzo dell'anno 1920. Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale lavora come maestro elementare. Nel 1943 viene catturato, deportato in Germania e internato in un campo di concentramento nella città di Troisdorf.
Dopo essere stato liberato, nel 1946 consegue una laurea in pedagogia presso l'Università di Urbino, con una tesi orale sulla poesia dialettale. Presenta i suoi componimenti a Carlo Bo e ottiene riscontri positivi;
Diventa successivamente membro di un gruppo di poeti chiamato "E circal de giudeizi" (Il circolo della saggezza), di cui fanno parte anche Raffaello Baldini e Nino Pedretti.
Durante la prima metà degli anni Cinquanta si trasferisce a Roma dove inizia la sua carriera di sceneggiatore. Grandi registi si sono avvalsi di lui: da De Sica a Monicelli, dai fratelli Taviani a Rosi, da Lattuada a Bolognini, da Tarkovskij a Fellini, da Wenders a Angelopoulos.
QUI la sua filmografia.

Il nome di Tonino Guerra non appartiene solo al cinema perché è un poliartista: si dedica, infatti, alla pittura, alla scultura e alla realizzazione di allestimenti, installazioni, mostre, parchi, fontane, dove la sua grande creatività trova plurali forme.
Risiede a Roma per molti anni, fino al 1984, poi fa ritorno nella sua terra, la Romagna. Prima a Santarcangelo di Romagna, e in seguito sceglie di trasferirsi a Pennabilli che gli conferirà la cittadinanza onoraria in riconoscenza dell'amore dimostrato per il territorio.
Tra i tanti prestigiosi riconoscimenti ricevuti nella sua lunga carriera: un Premio De Sica e un Oscar Europeo del Cinema conferitogli dall'European Film Academy (2002) e la nomina a Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana; viene insignito del premio di migliore sceneggiatore europeo, assegnatogli a Strasburgo, dall'Unione sceneggiatori europei nel 2004.
Nel 2010, in occasione dei suoi 90 anni, riceve il David di Donatello alla carriera; nello stesso anno viene insignito dall'Università di Bologna del Sigillum Magnum.
Tonino Guerra, ateo, per sua lucida volontà, negli ultimi giorni della sua vita volle tornare a Santarcangelo dove muore il 21 marzo 2012 all'età di 92 anni.

Come poeta e narratore, ha pubblicato per la Maggioli: Il Miele ('81), L'Aquilone. Una favola senza tempo ('82, con Michelangelo Antonioni), La capanna ('85), Il Viaggio ('86), Il libro delle chiese abbandonate ('88), L'orto di Eliseo ('89); per la Bompiani dal '67 al '78: L'equilibrio, L'uomo parallelo, I cento uccelli; per la Rizzoli I Bu 1972 (questi ultimi tre titoli editi successivamente anche da Maggioli).
Altri titoli QUI.


A Pennabilli ha dato vita a numerose installazioni artistiche che vanno sotto il nome de "I Luoghi dell'anima".
La strada delle meridiane, Il Santuario dei pensieri, L'angelo coi baffi, Il Giardino pietrificato; l’Orto dei frutti dimenticati qui illustrato in video da Gigi Mattei.

Ha scritto Tullio Kezich: “Se volessimo usare una metafora geografica potremmo metterla così: nel grande mare della poesia si distinguono le isole e i faraglioni dell'arcipelago Tonino Guerra; e ogni terra emersa, grande o piccola che sia, ha il nome di un film, di un romanzo, o anche soltanto di un'idea, in una successione infinita che a vita d'occhio si prolunga e si perde oltre l'orizzonte. In questa plaga l'arte è bellezza naturale, la spontaneità è lo smalto delle cose, l'intelligenza fa la vista più acuta, il linguaggio ritrova il sillabario dei sentimenti e l'umorismo trasporta tutto in un'atmosfera di liberazione come per un ballo sull'aia”.

Concludo con un video in cui Guerra parla delle sue esperienze, della tv, del suo mondo.


I piccini di Gashlycrumb


“L’humour nero é nemico mortale di quel sentimentalismo dall’aria eternamente braccata - quel sentimentalismo sempre all’acqua di rose - e di una certa fantasia di corto respiro, che troppo spesso si spaccia per poesia... ”. Così afferma lo scrittore e teorico del movimento surrealista André Breton nella sua famosa “Antologia dell’humour nero”.
Questo tipo di umorismo attraversa più media: dalla letteratura alle arti visive (si pensi ad Ambrose Bierce e Topor), dal cinema al teatro (Carmelo Bene e i Monty Python, per citarne solo due a noi più vicini) fino alla televisione ricordando, ad esempio, parti di “Cinico Tv” ideato da Ciprì e Maresco.
In questo filone espressivo un nome contemporaneo di grande valore è l’americano Edward Gorey (Chicago, 22 febbraio 1925 – Hyannis, 15 aprile 2000.)
Come riferisce Wikipedia, i suoi genitori, Helen Dunham ed Edward Lee Gorey, divorziano quando lui ha 11 anni e si risposano nel 1952, quando Edward ha 27 anni. Una delle sue matrigne fu Corinna Mura (1909-1965), una cabarettista che svolse un piccolo ruolo nel film “Casablanca”, in cui cantò La Marsigliese al Rick's Café Américain.
Di lui la casa editrice Adelphi ha pubblicato cinque titoli il più recente dei quali è I piccini di Gashlycrumb, disegni in b/n del 1963.

Si tratta di tanti bambini quante sono le lettere dell’alfabeto. I loro nomi: Amy, Basil, Clara, fino a Zillah… danno avvio ad una breve didascalia che commenta una nerissima immagine, tutti i pargoli sono colti, infatti, un attimo prima di morire ad eccezione di K per KATE, che un’ascia fece a pezzettini e la povera figlia ci appare colpita da un’accetta più grande di lei in un paesaggio innevato.
Come si legge sul sito Slumberland: “Al posto dei consueti abbecedari didattici, ricchi di parole dolci, di nomi di alberi, frutta ed animali, troviamo un elenco di 26 piccole morti. I temi e lo stile di Gorey possono portare alla mente anche i moderni lavori di Tim Burton, il grande regista americano (che sicuramente conoscerà l'autore). La raccolta di piccole morti di Gorey può tra l'altro ricordare l'antologia di poesie proprio di Tim Burton dal titolo Morte malinconica del bambino ostrica e altre storie”.

Tipo bizzarro Gorey, indossava lussuose pellicce avendo ai piedi scarpe da tennis, Giusy Parisi scrive: “Sperimentatore instancabile dei mezzi visivi e letterari, Gorey si è inventato mille trucchi affinché il suo lettore non si adagiasse mai nella consuetudine. Ha prodotto libri grandi come un francobollo, libri senza testo, libri animati, in un continuo tentativo di stupire e stimolare il lettore a non dare nulla per scontato.
Anche il più semplice degli schizzi di Gorey sembra nascondere un piccolo segreto. Forse è lo stesso che nascondeva lui, Edward, l’artista dalla sessualità incerta o addirittura, per sua ammissione, assente; un vecchio solitario, chiuso in una villetta appartata a Cape Cod, felice con i suoi gatti, le sue sporadiche uscite per passare la serata al balletto… e il suo mondo su carta fatto di lutti vittoriani, simbolismi sotterranei, bambini prede di orchi, e un inesauribile macabro umorismo”.

Una conclusione a questa nota me la fornisce lo scrittore inglese Brian Aldiss: Quando l'infanzia muore, i suoi cadaveri vengono chiamati adulti ed entrano nella società, uno dei nomi più garbati dell'inferno. Per questo abbiamo paura dei bambini, anche se li amiamo: sono il metro del nostro sfacelo.

Edward Gorey
I piccini di Gashlycrumb
Traduzione di Matteo Codignola
Pagine 28, Euro 14.00
Adelphi


Zop e il Social Movie


Che cos’è un social movie?
Una formula produttiva ed espressiva di cinema collettivo originata dalla Rete in cui su di un tema dato s’invita a mandare, stabilendone alcune caratteristiche tecniche, un proprio filmato; in seguito un regista – di solito l’ideatore stesso della produzione – sceglie una parte dei materiali pervenuti e li monta in un unico film.
In Italia, di recente è stato pubblicizzato “Italy in a Day” di Salvatores, prodotto dalla Rai, come il primo social movie in Italia. Ma le cose stanno proprio così?
Va detto che come primo social movie della storia del cinema è indicato “La vita in un giorno” di Ridley Scott. Annunciato da Youtube, il 24 luglio 2010, gli utenti di quella community, hanno avuto 24 ore di tempo per immortalare uno spaccato della propria vita. Il risultato di questo esperimento è un lungometraggio sulla storia del mondo in un giorno, il 24 luglio 2010, girato dagli utenti di YouTube. Nel 2011 il National Geographic ha accettato di distribuire il film negli Stati Uniti.
“La vita in un giorno”, data la forza del budget a disposizione e il giustamente celebre regista, è stato pubblicizzato sulla Rete, la stampa internazionale, le tv di tantissimi paesi.

Ma qualcosa, che aveva per niente gli stessi mezzi, è accaduta in Italia nel 2007.
Antonio Zoppetti, conosciuto in Rete come Zop, da me stimatissimo, in quell’anno ha girato con pochissimi mezzi proprio un social movie.
Ne fornisce documentazione l’ottimo webmagazine Agenda Geek (si occupa di tecnologia, marketing, social media) con un'intervista a Zop che oltre a raccontare la sua esperienza del 2007, dice cose assai interessanti sia sul social movie e sia sul futuro dei media.
Ne consiglio la lettura non solo a chi lavora nel web e nel cinema, pure a tutti coloro che studiano i media e la loro evoluzione.


Col diavolo in corpo


Fra le cose imperdonabili prodotte dall’editoria, spiccano le biografie rese in forma romanzata; la trovo cosa atroce. Arbitrarie ricostruzioni d’ambienti, dialoghi inventati, addirittura personaggi mai esistiti che intervengono nel racconto, robe che risentono del peggio della fiction tv.
Il lettore ha diritto d’apprendere, invece, sui fatti storicamente accaduti esattezze di date, citazioni di documenti, particolari riferiti da testimoni (e conoscerne attraverso l’autore la valutazione della loro attendibilità), eccetera. Testo, quindi, difficile da scrivere perché richiede una gran fatica mica starsene a fissare il soffitto e, poi, ispirato da qualche ragnatela, imbrattare fogli.

Un libro eccellente che esplora con rigorosa documentazione l’esistenza di quattordici personaggi è stato stampato da Neri Pozza, è intitolato Col diavolo in corpo Vite maledette da Amedeo Modigliani a Carmelo Bene.
Le altre vite maledette sono di Vincenzo Gemito, Franco Angeli, Dino Campana, Curzio Malaparte, Dino Segre (Pitigrilli), Luciano Bianciardi, Gian Carlo Fusco, Walter Chiari, Piero Ciampi, Elvira Bonturi e Giacomo Puccini, Leonarda Cianciulli.
Autore di questo libro che si legge d’un fiato è Osvaldo Guerrieri.
Nato a Chieti e vive a Torino.
Giornalista, scrittore e critico teatrale del quotidiano 'La Stampa', oltre a numerosi saggi specialistici raccolti in opere collettive e consultive ha pubblicato i romanzi “L'archiamore” (Guanda, 1980), “Un padre in prestito” (Novecento, 2000), “Natura morta con violino oltremare” (Aliberti 2005) e alcuni volumi di racconti.
Nel 2003 ha ricevuto il premio internazionale Flaiano per la critica teatrale. Fra i saggi teatrali, La Grecia in pantofole di Alberto Savinio.
Con Neri Pozza ha pubblicato L'insaziabile (2008) vincitore l'anno successivo del Premio Letterario Internazionale "Mondello Città di Palermo", e Instantanee.
Le sue novelle “L'ultimo nastro di Beckett e altri travestimenti” (Aliberti 2004), quattro autoritratti in forma di monologo, e “Alé Calais” (Flaccovio 2006) un elettrico esercizio di scrittura sulla finale del 2000 della Coupe de France, sono diventate spettacoli teatrali rappresentati in Italia e in Francia.

Col diavolo in corpo vissero i personaggi che ricorda Guerrieri, alcuni dei quali ho conosciuto di persona (Angeli, Bene, Bianciardi, Ciampi, Chiari, Fusco) e, quindi, maggiormente ho ammirato l’esatta rappresentazione che ne fa l’autore in questo sagace volume.
Chi pronunciò per la prima volta maudit?
“La pronunciò” – dice Guerrieri – “anzi la scrisse Paul Verlaine in un celebre saggio-antologia del 1884. La adoperò per connotare un gruppo di poeti che, ai suoi occhi di fauno furente, si offrivano al mondo non come personaggi storti, che ogni uomo perbene avrebbe potuto vituperare ed evitare, ma come artisti ‘assoluti’ capaci di scagliare orgogliosamente la loro opera sul muso del secolo”.
Non è un caso, forse, che il primo a salire alla ribalta nelle pagine di “Col diavolo in corpo” sia un uomo diventato famoso proprio in Francia, a Parigi: Amedeo Modigliani.
Una vita, tra donne e bettole, amori e furori, attraversata “camminando spavaldo come un dandy”, che “ai tratti molto virili mescolava morbidezze femminee”. Nelle pagine è descritta la sua febbrile parabola fino al decadimento fisico segnato dalla tisi e dal delirium tremens che lo condurranno a una precoce morte, a trentacinque anni, il 24 gennaio del 1920.
Seguono nel libro gli altri personaggi.
Vincenzo Gemito, ’o pazzo ‘e Napule, che morirà bisbigliando: “Ho fame di cielo”.
Franco Angeli, pittore, tombeur de femmes, che lacerò la sua vita fra alcol e cocaina.
Dino Campana, rabbioso e tenero, che passerà gli ultimi 14 anni della vita in manicomio.
Curzio Suckert, cambiò il nome in Malaparte indovinando il marchio del suo destino.
Dino Segre (Pitigrilli), scrittore di successo, spia fascista ben pagata, fervido e ambiguo.
Luciano Bianciardi, una vita agra, da indomito ribelle, amico dell’alcol che lo ucciderà.
Gian Carlo Fusco, incorreggibile cacciaballe, e le avventurose storie delle sue dentiere.
Walter Chiari, che fa scrivere sulla sua tomba: “È tutto sonno arretrato”.
Carmelo Bene, geniale teatrante antiteatrale, molestatore degli altri e di se stesso.
Piero Ciampi, cantautore, ubriaco sempre, estremo lettore di un messaggio in bottiglia.
Giacomo Puccini ed Elvira Bonturi, un’ardente gelosia che supera un ardente amore.
Leonarda Cianciulli, assassina, detta la “saponificatrice”. E qui ho una perplessità sulla presenza di questa figura tra le altre tutte appartenenti al mondo dell’arte. A meno di non voler ricondurre la scelta di Guerrieri come ispirata al famoso saggio di De Quincey “L’assassinio come una delle belle arti”.

Concludendo questa nota voglio porre l’accento sul fatto che in tutte le storie, documentatissime, scritte da Guerrieri, scorrono in sottofondo scenari, mode e tic dell’epoca in cui visse il personaggio ritratto e questo conferisce ulteriore fascino alle pagine.

Osvaldo Guerrieri
Col diavolo in corpo
Pagine 320, Euro 17.00
Neri Pozza


Infinity Net


È una delle protagoniste dell’arte del secolo scorso ancora in attività, eppure Yayoi Kusama, fuori dell’area degli addetti ai lavori, non è nota quanto merita.
Bene ha fatto, quindi, Johan & Levi a pubblicare Infinity Net La mia autobiografia che oltre ad essere un prezioso documento su come quest’artista giapponese vede e rivive la propria vita, è anche un esempio letterario di eccellente fattura.
Nata a Matsumoto il 22 marzo 1929, ultima figlia di Kusama Kamon e sua moglie Shigeru, è autrice di installazioni, sculture, dipinti, collage, performance e dei primi happening, environment che pescano nella profondità della sua psiche riproponendo visioni ed ossessioni.
Una vita a pois (“sacerdotessa dei pois”, fu detta), forma che ricorre in molti suoi lavori, forma che nulla ha di gaio o riposante, ma occulta rospi interiori.
“Con i pois dobbiamo dimenticare noi stessi”, affermò una volta.
Fuggì il 18 novembre 1957, all’età di ventotto anni, da un Giappone chiuso alle nuove arti.
Due anni dopo aveva già esposto cinque delle sue Reti infinite, grandi tele bianche larghe dieci metri coperte da un motivo a rete chiaro.
In quel 1957 era fuggita anche da genitori tradizionalisti che vedevano – e continuarono sempre a giudicare – come scandalose le scelte della figlia tanto da scriverle: “Sei diventata una vergogna nazionale… ah, se solo fossi morta quella volta, da bambina, quando una malattia della gola ti ridusse in fin di vita”.
Ma che cosa combinava di tanto licenzioso Kusama?
Organizzava negli Stati Uniti happening sessuali, dipingeva parti intime, creava ambienti con falli imbottiti, nelle interviste usava toni audaci, e una volta in tv costrinse le telecamere ad acrobazie censorie per non inquadrare ciò che lei voleva mostrare.
Diventarono così famosi i suoi happenings, così per ben due volte in un anno finì sulla copertina del “Daily News”, inarrivabile persino ad alcune celebrità di Broadway.
Ovviamente la stampa, specie quella nipponica, amava soffermarsi sugli aspetti definiti pornografici di Kusama disinteressandosi della sua arte, sicché per molti era soltanto una libertina dedita a sfrenati piaceri.
Era proprio così? Per niente.
Era chiamata “sister”, monaca, perché com’è detto nella presentazione del libro “… lei dirige le danze, ma non partecipa. Il sesso, infatti, le fa letteralmente orrore”.

Scrive Hal Foster che le sue installazioni, i suoi ambienti, con il tempo “… diventarono sempre più entusiasticamente pop e spesso includevano bombardamenti di luce e suoni: Kusama faceva esperimenti anche con la cultura psichedelica. I critici l’accusavano d’esibizionismo, ma, paradossalmente, la sua autoesibizione può dare luogo a un’interpretazione della sua opera come autoimmolazione. Forse era entrata in gioco la schizofrenia: era soggetta ad allucinazioni periodiche fin dall’adolescenza”.

Kusama è rientrata in Giappone nel 1975, dove anche i critici più retrivi sono stati costretti a rivedere i loro giudizi, tanto che rappresentò il Giappone alla Biennale di Venezia del 1993.
Dal 1977 risiede, per sua volontà, nell’ospedale psichiatrico di Seiwa, ma continua a lavorare, tutti i giorni, nel suo studio a Shinjuku.

Per accedere al sito web di Kusama nella sua versione inglese: CLIC!

Yayoi Kusama
Infinity Net
Traduzione di Gala Maria Follaco
Pagine 160, Euro 19.00
37 illustrazioni in b/n
Johan & Levi


Museo dei Grandi Fiumi


È di pochi giorni fa il primo censimento effettuato dall’Istat per conteggiare musei e siti archeologici e disegnarne un profilo. Così ora sappiamo che abbiamo nel nostro paese 4588 siti culturali fra pubblici e privati, 3847 musei, 240 aree archeologiche, 501 luoghi monumentali.
Aldilà di questi numeri, sempre utili a capire e, quindi, benvenuti, da tempo sappiamo che l’Italia è ricca di piccoli musei dedicati a territori, o personaggi, oppure mestieri; piccoli musei che contengono tesori di documentazioni e testimonianze.
Sono realtà, in gran parte, uscite devastate dal ventennio berlusconiano con i tagli apportati ai Beni Culturali interpretando la cultura come noia e il cabaret televisivo come pensatoio filosofico.
Ecco perché segnalo con gioia il Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo, ben diretto da Nicoletta Cittadin coadiuvata da Ippazio Renna e Chiara Vallini.
L’allestimento è di eccellente livello con tracciati intelligentemente disposti e se avete la fortuna, come io l’ho avuta, d’essere guidato nella visita dall’appassionato e competente cicerone Lauro Rasconi, meglio ancora potrete apprezzare le risorse di quelle stanze museali delle quali troverete eco nel book shop.

Panoramiche storiche, culturali e commerciali dell’Europa del secondo millennio a. C. fanno da cornice al percorso espositivo illustrando le fasi salienti dell’insediamento umano nella bassa pianura padana.
Le testimonianze portate alla luce nella terra racchiusa dai corsi terminali del Po e dell’Adige s’inseriscono in suggestive scenografie che accompagnano il visitatore e lo coinvolgono nella vita quotidiana di un lontanissimo passato.

Il Museo dovrebbe, com’è nelle intenzioni dell’Assessore alla Cultura Anna Paola Nezzo, essere proiettato su di un piano nazionale, essere conosciuto portando i tesori che possiede all’attenzione dei media affinché un vasto pubblico ne sia a conoscenza. Giusto obiettivo perché è ampiamente degno d’essere finanziato come la sua presenza storica, così ben sostenuta dal personale tutto del museo, merita.
E qui consiglio a quanti nel territorio vivono e ancora non conoscessero quel luogo d’andarci, meglio capiranno come la loro sia una grande terra che esige diversa attenzione da tante fonti del territorio che negli ultimi anni hanno preferito spendere per improbabili sagre e corse nei sacchi.
Rivolgendomi a quelli lontano da Rovigo, dico: se qualche vacanza (tempi grami presenti permettendolo) state progettando, non trascurate quella meta, mi ringrazierete.

Concludo questa nota lasciandovi alla visione e all’ascolto di un documentario – realizzato da Raffaele Peretto ed Elena Masiero – che assai bene illustra il paesaggio e la storia cui il Museo si riferisce ed i suoi interni.

Museo dei Grandi Fiumi
Piazzale S. Bartolomeo 18
Mail: museograndifiumi@comune.rovigo.it
Tel: 0425 – 25 077
Da Martedì a Venerdì: 9.00 – 13.00
Sabato e Domenica: 10.00 – 13.00 e 16.00 – 19.00
Chiuso il Lunedì


Oca pro nobis (1)


La satira (dal latino “satura lanx”, nome di una pietanza mista e colorata) è un genere della letteratura, una forma di teatro, e di altre arti che confina e sconfina con i territori del comico, del carnevalesco, dell'umorismo, dell’ironia, del sarcasmo.
La satira, però, non va confusa con lo stile macchiettistico (da noi un esempio è stato il Bagaglino e lo sono tante trasmissioni tv) che dietro critiche generiche nasconde, invece, una servile glorificazione di noti personaggi specie della politica.
Ai nostri giorni, in Italia, la vera satira è guardata in modo sospettoso e invelenito perché troppe sono le magagne che i politici tendono a occultare. Questo se da una parte produce una grande quantità di materiali satirici, dall’altra rende perigliosa la circolazione degli stessi, ma non è una novità nella Storia.
Tra i nemici della satira, primeggiano i monoteisti; non solo, quindi, i cattolici, ma anche musulmani incazzosi e rabbiosi rabbini. Metteteci pure comunisti, fascisti, italoforzuti, e qualche D’Alema di passaggio col baffino alterato e ditemi se è ridente questo panorama.
“C'è sempre un monoteismo all'orizzonte del dispotismo: il debito diventa debito d'esistenza, debito dell'esistenza dei soggetti stessi” così hanno scritto Deleuze e Guattari nell’Anti-Edipo.

Esiste, in Italia (non tutti, forse, lo sanno), anche una definizione giuridica della satira, la trascrivo: “È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, in altre parole di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene”. (Prima sezione penale della Corte di Cassazione, sentenza n. 9246/2006).

La casa editrice Odradek ha il merito di mandare in libreria un libro verbovisivo di grande satira, grande per acutezza, profondità, leggerezza, brio.
È intitolato Oca pro nobis Controsillabo giocoso e irriverente.
Quattro gli autori, un quartetto vispo e birichino formato da Carlo Cornaglia, Filippo D’Ambrogi, Walter Peruzzi, Maria Turchetto.
Nella seconda parte di questa nota, un approfondimento sul volume.


Oca pro nobis (2)

Com’è strutturato questo volume?
Si tratta – come chiarisce il quarto di copertina – del classico gioco dell’oca con le sue regolamentari 63 stazioni, qui una Via crucis in cui si procede per caselle, fermandosi a declamare, addirittura a cantare, in altre parole a considerare i misteri della fede, sempre accompagnati dall’Oca, una presenza a due zampe che assume forme e posture, contrappunto di un’umanità straniata, oppressa ed eterodiretta da favole, miti, imposture e tabù, un’oca giuliva che sogna una chiesa che non c’è.
Lo scopo dei quattro autori, è dare un piccolo contributo a de-cattolicizzare questo paese mostrando quanto sia sprovvista di fondamento, anzi risibile, la pretesa della Chiesa cattolica di candidarsi a religione civile e guida morale della società data la sua storia per nulla edificante, costantemente segnata da intolleranza e da violenze; dati i suoi comportamenti, che rinnegano quotidianamente gli stessi valori predicati a parole; e data soprattutto la sua dottrina, dalle inverosimili “verità di fede” all’insensata morale sessuale.
Quest’operetta semiseria, che mescola satira, critica e sberleffo presenta alternate in modo del tutto casuale, come le caselle sul tabellone del gioco dell’oca, 63 fra poesie satiriche, schede critiche sulla dottrina cattolica, canzoni dissacranti. E oche, tantissime oche, irriverenti, ironiche, tenere, graffianti a corredo di ogni testo.

La Prefazione è di Carlo Augusto Viano che ebbi il piacere d’intervistare su questo sito: QUI allorché pubblicò “Laici in ginocchio”.
Ecco un estratto dal suo scritto: ”Oca pro nobis”, rappresenta una novità e rompe un tabù. Essa mette in scena con disegni, prose, versi e musica idee e atteggiamenti correnti della chiesa, prendendo di mira soprattutto tre cose: le credenze arbitrarie della dottrina cattolica, la pretesa degli organi ecclesiastici di sottrarsi alla solidarietà nazionale per conservare privilegi economici e le regole sessuali, che i preti pretendono di imporre a tutti attraverso leggi dello Stato.
“Oca pro nobis” è un buon sillabo, per usare un termine caro alla cultura ecclesiastica, delle imposture della dottrina cattolica, cioè delle cose non vere in essa contenute e imposte per indurre le persone a riconoscere i poteri speciali del suo clero e a seguirne i precetti. Si tratta anche di un esercizio di mancanza di rispetto per chi non ne ha per il buon senso e la libertà di scelta delle persone, ed è un sillabo in versi, musica e figure, gli strumenti classici con i quali per secoli si è cercato di incantare le menti umane
.

Gli autori di “Oca pro nobis”.

Carlo Cornaglia (Torino, 1935), ingegnere e manager, diventa scrittore satirico in versi con la discesa in campo di Berlusconi. Tra le sue pubblicazioni, Sua Presidenza (2002, CeT), Qui finisce l’avventura (2004, Nutrimenti), Novanta personaggi in cerca di pudore (2006 Traccediverse), Il grande gioco dell’oca della politica italiana (2007, Robin) e Berlusconeide (2010, Aliberti). Ha collaborato con il Fatto Quotidiano e tiene un blog sul sito di MicroMega. Poesie e parole delle canzoni

Filippo D'Ambrogi (Pavia, 1952). Canzoni, musica, arrangiamento e voce.
Già odontoiatra e oggi downshifter, realizza e pubblica sul suo sito “Ballaiche” brani musicali di contenuto laico e anticlericale.

Walter Peruzzi (Verona, 1937) Schede in prosa.
Già docente di storia e filosofia, collaboratore di varie riviste, ha diretto Lavoro politico, Marx 101 e, attualmente, Guerre&Pace. Fra le pubblicazioni più recenti: La religione della vita. Teoria e pratica dell’omicidio nella Chiesa cattolica (terre libere, 2007), Il cattolicesimo reale (Odradek, 2008) e, con Gianluca Paciucci, Svastica verde (Editori Riuniti, 2011).

Maria Turchetto (Belluno, 1953). Disegni e tavole.
Insegna Storia del pensiero economico ed Epistemologia delle scienze sociali all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia. È presidente dell’Associazione culturale “Louis Althusser” di cui dirige le collane “Althusseriana” e “Epistemologia” presso l’editore Mimesis di Milano. Autrice di numerose pubblicazioni, dirige la rivista “L’ateo”.

Proprio sulla rivista da lei diretta, nel numero 82 (2012), in uno special dedicato alla satira così scriveva: La satira sta da una parte sola: la nostra. Non ci sono di qua gli atei che si fanno beffe dei credenti e di là i credenti che prendono in giro gli atei così che si possa dire: ma che bello, pari e patta, ridiamoci tutti addosso che fa buon sangue ed evviva la tolleranza. Macché. La situazione è molto più delicata: di qua gli atei sghignazzano, di là i credenti s’incazzano (scusate il termine, ma la rima veniva bene). I credenti non tollerano o mal tollerano le beffe. I credenti si offendono, e parecchio. I musulmani si offendono a morte, letteralmente. Vi ricordate quando il danese “Jyallands Posten” pubblicò alcune vignette su Maometto? Ma anche i cattolici non scherzano: lanciano anatemi e denunce, pretendono censure. Nessuna reciprocità, è uno scontro. Lo scontro – appunto – tra diversi stili di pensiero: lo stile di chi vuole certezze e rassicurazioni e soprattutto di chi le dispensa dall’alto; lo stile di chi pratica sistematicamente il dubbio, fiuta l’inganno e punta il dito sulle incongruenze.

“Oca pro nobis”: ecco un libro che diverte e fa pensare e può essere anche un godurioso regalo per il nuovo anno da fare ad amiche e amici dalle menti libere.

Carlo Cornaglia - Filippo D’Ambrogi
Walter Peruzzi - Maria Turchetto
Oca pro nobis
Prefazione di Augusto Viano
Pagine 144, Euro 15.00
Edizioni Odradek


Territori instabili


Il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina a Palazzo Strozzi, continua a offrire mostre di grande attualità tematica e di forte rilievo internazionale.
Com’è il caso di Territori instabili Confini e identità nell’arte contemporanea a cura di Walter Guadagnini e Franziska Nori che dirige il CCCS. Dal marzo 2007 è responsabile per il programma artistico del Centro di cui è stata curatrice delle mostre “Sistemi emotivi” (2007), “Arte, prezzo e valore” (2008), “Gerhard Richter e la dissolvenza dell’immagine nell’arte contemporanea”, “As Soon As Possible” (2010), “Identità virtuali” e “Declining Democracy” (2011), “Francis Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea” (2012), “Un’idea di bellezza” (2013) e delle installazioni site specific nel Cortile di Palazzo Strozzi, realizzate da artisti come Michelangelo Pistoletto, Yves Netzhammer e Loris Cecchini.
Estraggo parti del saggio di Franziska Nori (in foto) in catalogo per “Territori instabili”.

Lo straordinario sviluppo della mobilità di persone e beni, la digitalizzazione dei mezzi di comunicazione e della conoscenza, i processi economici sempre più globali hanno radicalmente trasformato la percezione di territori, frontiere e confini. Flussi migratori si amplificano e si moltiplicano in modo sempre più complesso e spesso anche più drammatico del passato. Negli ultimi anni, forse con una frequenza e un impatto sempre maggiori, stiamo assistendo ad avvenimenti naturali catastrofici e a guerre che costringono le persone coinvolte a rimettere in discussione tutta la propria vita, costrette ad abbandonare la casa e tutto ciò che possiedono […] Il termine “territorio” ci riconduce a un’entità contemporaneamente fisica e simbolica, è espressione di un luogo di appartenenza, ed è anche strumento di definizione dell’identità perché delimita uno spazio all’interno del quale un individuo o una comunità può riconoscersi, permettendo di tracciare una linea tra l’io e l’altro, tra un noi e un voi, tra il proprio corpo e il mondo esterno. In un mondo globalizzato, dove la sfera digitale è diventata un’agorà pubblica sempre più significativa, contribuendo all’abbattimento di confini e frontiere, ci domandiamo se la relazione tra territorio e identità sia ancora valida.
La mostra “Territori instabili” pone domande su questi temi proponendo opere di artisti che hanno differenti attitudini e modi di vivere ed esprimono differenti pensieri sul rapporto instabile tra identità, territorio e confine, in un’epoca di grandi aspettative (e illusioni) su una borderless society, una “società senza confini”, un territorio globale condiviso. Il percorso artistico presenta riflessioni diverse sulla nozione di frontiera come scoperta o barriera, sull’ibridazione tra cosmopolitismo e rivendicazione territoriale, sul ruolo stesso dell’artista nella condizione di viaggiatore, nomade o sperimentatore di nuovi possibili modelli.
Gli artisti coinvolti nella mostra costituiscono testimonianze di pratiche culturali sintomatiche del nostro tempo, dimostrando come la stessa figura dell’artista costituisca un esempio dell’instabilità di territori e contaminazione di identità […] Come dimostra tutta la storia dell’arte, dagli scambi tra le corti europee rinascimentali fino alle diaspore di artisti tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, l’arte funziona e vive di una fertilizzazione di pensieri, nello scambio di contesti e nella circolazione di idee, nozioni, progetti, informazioni e persone a prescindere dalle loro appartenenze nazionali. Nell’epoca contemporanea, tuttavia, l’arte è diventata uno dei mezzi privilegiati per osservare i mutamenti semantici, politici e sociali del concetto di territorio. A partire dagli anni Sessanta del XX secolo una nuova prospettiva dell’artista come individuo cosmopolita ha preso il sopravvento, proponendo un nuovo rapporto con la società. La performance, la Land Art, l’Institutional Critique sono tutte espressioni di uno sperimentalismo che tenta di analizzare e il più delle volte criticare le frontiere fisiche e le barriere politico-culturali.
L’instabilità territoriale, così come inquadrata dal lavoro dei dieci artisti presentati in mostra, diviene metafora di problematiche sociali, politiche e culturali, emblema di fenomeni come l’emigrazione, lo stato di precarietà perdurante delle periferie emarginate dai centri delle grandi metropoli, la persistente contrapposizione tra luoghi e comunità che sono parte di una stessa nazione, la ricerca di identità perdute e di specificità uniformate o annullate dalla globalizzazione economica e culturale. I confini territoriali, intesi come zone di transizione, possono così assumere un connotato positivo e divenire sinonimo di spazi neutrali, liberi, dove poter abbandonare ogni convenzione prestabilita. Il viaggio diventa così lo strumento estetico di conoscenza e di trasformazione fisica dello spazio da attraversare. Se da un lato permette di reinventare il nostro Io, dall’altro pone il soggetto in una situazione di ascolto e allerta […] Vi è la necessità di un’apertura individuale e di un abbattimento dei limiti e delle barriere che creano strutture di pensiero e d’identità inamovibili. Per questo si potrebbero prendere in prestito le parole di Michel Foucault, quando parla di libertà nei confronti dell’identità, la libertà di non essere vincolati a un’identità assunta come norma, ossia la capacità di trasformazione, di perdere se stessi e il proprio contesto sociale (Sorrentino 2010): un invito a ripensare i luoghi sociali, culturali e identitari per una nuova definizione dell’individuo
.

Il catalogo, pubblicato dalle Edizioni Mandragora, oltre che dai curatori è firmato da Ulrich Beck e Francesco Careri.

Territori instabili. propone opere di dieci artisti internazionali, cliccando sui nomi che seguono, si possono leggere profili del loro lavoro e biografie.
Kader Attia, Zanny Begg & Oliver Ressler, Adam Broomberg e Oliver Chanarin, Paolo Cirio, Tadashi Kawamata, Sigalit Landau, Richard Mosse, Paulo Nazareth, Jo Ractliffe, The Cool Couple.

Ufficio stampa:
Alessandra Santerini, T. +39 335 6853767, alessandrasanterini@gmail.com
Chiara Costa, T. +39 349 1981349, chiara.a.costa@gmail.com
Lavinia Rinaldi, Palazzo Strozzi, T. +39 055 3917122, l.rinaldi@palazzostrozzi.org

Territori instabili
Palazzo Strozzi
Firenze
Fino al 19 gennaio 2014


100 Lampi di genio

Genio: parola fascinosa che viaggia in un universo di plurali segni, dalle scienze alle arti. Secondo il dizionario, per genio (dal latino “genius”, dal verbo “genere” > generare > creare) “s'intende quella speciale attitudine naturale atta a produrre opere di grande rilevanza che segnano tappe storiche dell’umanità”.
Per lo scrittore polacco Stanislaw Lec: “Il momento in cui si riconosce la mancanza di talento, si ha un lampo di genio”.
Sul Genio, sulla sua natura, sono state spese un’infinità di parole da grandi intelletti: Kant, Schelling, Schopenhauer, Nietzsche, e tanti altri; è un tema che ha intrigato Freud e in epoca più recente molti scienziati che ne hanno indagata la via organicista.
Condivido una conclusione di Tiziano Cornegliani, (MD, BrainFactor) che riprendendo il titolo (“Il caso e la necessità”) del biologo francese, premio Nobel, Jacques Monod, scrive:
“A noi piace credere che il genio sia frutto del caso e della necessità. Il caso che ha permesso appunto quella magica combinazione di neuroni dalle straordinarie potenzialità, e la necessità che nella storia dell’uomo irrompa di tanto in tanto qualcuno che faccia intravedere una luce per permetterci di tirare avanti”.

La casa Editoriale Scienza – attenta come pochissime alla comunicazione scientifica per ragazzi – ha pubblicato un libro che fa la storia di tante illuminazioni celebri: 100 Lampi di Genio che hanno cambiato il mondo.
Ne è autore Luca Novelli (Milano, 1947), scrittore e disegnatore. Autore d'una lunga serie di libri di scienze, tradotti in 22 lingue, per giovani lettori. Di lui ha scritto Mara Pace sul Corriere della Sera: “Se mescoli fisica e simpatia, formule geometriche e divertimento, organismi monocellulari e cartoon, vedrai probabilmente Luca Novelli”.
QUI il suo sito web.

In questo suo più recente lavoro, di cui è autore del testo e dei disegni, ha creato un libro verbovisivo in cui parole e immagini s’integrano portando alla ribalta le invenzioni che hanno cambiato la storia della nostra specie.
Antiche voci anonime dell’antichità e personaggi storici, in appositi box, in prima persona raccontano sinteticamente come ebbero quel lampo di genio che permise loro di fare le scoperte delle quali oggi usufruiamo.
Un Dizionarietto alla fine del volume permette di rintracciare e conoscere tante nuove idee del nostro tempo e di quello del nostro possibile futuro: dai viaggi interstellari ai nuovi organi artificiali, dalla realtà aumentata al teletrasporto di startrekkiana memoria.
Il genetista Edoardo Boncinelli (su questo sito è disponibile un’intervista che mi rilasciò, cliccare QUI) ha scritto di questo libro: “…un fuoco di fila di trovate. Uno scintillante scoppiettio di idee e di immagini. I lampi di genio sotto la penna di Luca Novelli sembrano semplicissimi, ma è chiaro che non è stato e non è così. Buon divertimento!”.
Un divertimento che ben si presta, vista l’imminenza delle feste, da far trovare sotto l’albero di Natale per i nostri figli e nipoti di verde età.

E se non si è un Genio è inevitabile cadere in depressione?
Pare di no. Almeno a sentire un genio qual è stato Albert Camus che dice: “Non voglio essere un genio: ho già problemi a sufficienza cercando di essere solo un uomo”.

La collana "Lampi di Genio" è anche scaricabile in versione ebook: CLIC!

Luca Novelli
100 Lampi di Genio
Pagine 144, Euro 17.90
Editoriale Scienza


Una storia americana


Tra le tante frasi che Andy Warhol (Pittsburgh 1928 - New York 1987) ha detto, una che più lo rappresenti credo sia: “Io non vado mai a pezzi perché non sono mai tutto intero”.

Così su di lui ha scritto Miriam Leto.
“Dopo una delle più importanti mostre di Warhol andata in scena nel 1964, l’artista decide di dare vita ad rivoluzionaria fucina di pop art, un grande laboratorio e punto d’incontro, che passerà alla storia come la Factory. The Factory è la base operativa di Andy Warhol, uno studio frequentato da una combriccola di artisti e intellettuali irriverenti ed estremamente creativi; la Factory in breve diventa “il” posto dove trovarsi a New York.
Warhol continua ad ispirarsi per le sue opere a tutte le arti del visivo, in primis al cinema, ma anche ai fumetti, in special modo dopo aver conosciuto da vicino il lavoro di Roy Lichtenstein. Le contaminazioni da altri mondi sono sempre presenti nei lavori cult del pioniere della pop art. La scelta dei soggetti e degli oggetti si basa sugli emblemi di massa del suo tempo, i simboli del consumismo americano, immortalati nelle sue tele nell’attimo, regalando al pubblico delle future generazioni un vasto panorama della cultura di massa made in USA. L’intenzione dell’artista apparentemente non è però polemica, Warhol costruisce un registro-archivio per immagini di quella che è l’embrione della società dell’immagine globale e multimediale di oggi.
Per tutti gli anni ottanta continuano le performance di Andy Warhol, gli happening, le produzioni di video, i ritratti delle star di Hollywood e tanti altri progetti che toccano tutte le discipline dell’arte. Dopo aver terminato Last Supper, un’opera ispirata all’Ultima cena di Leonardo, Andy Warhol lascia improvvisamente il suo ormai vastissimo seguito di pubblico, un giorno banale e inspiegabilmente, a causa di una banale operazione chirurgica alla cistifellea. Era il 1987”.

In foto: Warhol, Dollaro, 1981.

Dopo le mostre dedicate a Chagall, Mirò, Picasso, Kandinsky, che hanno portato a Pisa oltre 300.000 visitatori in 4 anni, BLU | Palazzo d’arte e cultura ha aperto le sue porte, all’arte di uno dei principali artisti del XX secolo con la mostra Andy Warhol Una storia americana.
La Fondazione Palazzo Blu, in collaborazione con Gamm Giunti che pubblica il catalogo, prosegue così il proprio progetto d’indagine sui Maestri che hanno scritto la storia dell’arte del Novecento.
L’esposizione, curata da Walter Guadagnini e Claudia Beltramo Ceppi, presenterà circa 150 opere, tra cui 20 fotografie Polaroid, in grado di ripercorrere l’itinerario creativo dell’autore che tanto ha rivoluzionato l’arte del XX secolo, grazie alla collaborazione con l’Andy Warhol Museum di Pittsburgh, che custodisce una larga parte del suo lascito, e al supporto di alcune storiche collezioni, come quelle delle gallerie Sonnabend, Feldman, Goodmann di New York, di musei europei come il Museo d’arte moderna e contemporanea Berardo di Lisbona, il Museo d’arte moderna di Nizza, l’Albertina e il Mumok di Vienna, oltre ad alcuni capolavori da raccolte pubbliche e private italiane, come la Collezione Lucio Amelio, The Teutloff Photo + Video Collection e la Collezione UniCredit.

Ufficio Stampa, CLP Relazioni Pubbliche: Marta Paini, tel. 02 - 36 755 700; marta.paini@clponline.it

Andy Warhol: una storia americana
Palazzo Blu
Lungarno Gambacorti 9, Pisa
Info: 050 - 220 46 50; info@palazzoblu.org
Fino al 2 febbraio 2014


Una Mole così grande

Quest’anno ricorrono i 150 anni dalla data dell’inizio della costruzione della Mole Antonelliana.
Al suo interno oggi ha sede lo splendido Museo Nazionale del Cinema, che per presenze di visitatori è uno dei musei più frequentati in Italia.

In foto: Matilde Domestico, "Moletazza", bassorilievo in carta, cm. 130x70


Valentina Laganà, siciliana d’origine, “... per omaggio alla città che l’ha adottata e che a sua volta ha adottato” – come estraggo da un comunicato stampa – “ha cominciato a inserire la Mole nel suo immaginario e quindi a disegnarla e realizzarla nelle sue creazioni. Da qui l’idea di un’esposizione.
Valentina ha coinvolto l’amica Caterina Fossati, esperta d’arte contemporanea e organizzatrice di manifestazioni artistiche e letterarie, e insieme hanno delineato le linee guida dell’idea: un vero e proprio omaggio alla Mole, come luogo d’incontro di artisti e di idee, un progetto articolato che partendo dalla mostra vuole dare continuità alle opere.
La mostra, infatti, non sarà un’esposizione di opere d’arte ‘uniche’ ma la realizzazione di oggetti che sono o possono divenire ‘gadget’ riproducibili, avere vita e circolazione oltre la mostra”.

Partecipano a “Una Mole così grande”: Leandro Agostini, Claudia Isa Alban, Cornelia Badelita, Alessandro Berardi, Stefania Bertola, Luca Cassine, Alessandro Ciffo, Corina Cohal, Jonny Dell’Orto, Diego De Silva, Michele Di Mauro, Matilde Domestico, Gianni Farinetti, Mattia Fossati, Bruno Gambarotta, Moisi Giuga, Valentina Laganà, Luciana Littizzetto, Riccardo Marchina, Margherita Oggero, Enrico Remmert, Hamid Ziarati.

Una Mole così grande
La Fucina di Valentina Laganà
Via delle Rosine 1bis – Torino
Dal 4 dicembre ‘13 al 31 gennaio ‘14
Dal martedì alla domenica


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