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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Non è solo un gioco


“Come? Lei crede ancora al tifo e agli idoli?... Ma dove vive, Don Domeq? … Non esiste punteggio, né formazioni, né partite. Oggi le cose succedono solo alla televisione e alla radio. La falsa eccitazione dei locutori non le ha mai fatto sospettare che è tutto un imbroglio? L’ultima partita di calcio è stata giocata tanto tempo fa… Da allora il calcio, come tutta la vasta gamma degli sport è un genere drammatico, interpretato da un solo uomo in una cabina e da attori in maglietta davanti al cameraman”
(Borges, da ‘Esse est percipi’, 1967).

Che piacciano o dispiacciano queste amare parole di Borges scritte mezzo secolo fa, sta di fatto che il calcio è diventato sempre più un tema che ha attirato un numero crescente di studiosi che ne hanno fatto oggetto d’investigazioni sociologiche.
Tra queste eccelle un recente saggio pubblicato dalle Edizioni Meltemi intitolato Non è solo un gioco Perché il calcio è così importante per l’uomo.
L’autore è Federico Casotti
Giornalista professionista dal 2004. Laureato in Scienze politiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e in Scienze antropologiche ed etnologiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, da molti anni è apprezzato telecronista di calcio internazionale. Attualmente è Executive Producer per DAZN.
QUI intervistato su Youtube.

“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” diceva Pier Paolo Pasolini.
È questa citazione l’apertura del libro che attraversa in quattro cospicui capitoli l’indagine che l’autore svolge partendo dal “Calcio come fenomeno antropologico” per trattarlo poi come “Dramma sociale”, osservarlo con le esperienze ed esempi del “Calcio dei migranti e la crisi migratoria”, finendo con “Il calcio e la creazione di capitale sociale: un caso nel centro di Milano”.
Nella conclusione del volume l’autore si sofferma sull’ecumenicità del calcio sia per la sua diffusione (perfino con l’atomizzazione tv cui assistiamo) sia per la pratica che vede dilettanti e professionisti, sia ancora per il corpo stesso dell’atleta che supera perfino handicap, dalla pinguedine di Maradona, alla zoppìa di Garrincha. Non ultima forza del calcio è l’unione tra tifosi e calciatori di una certo club creandosi così una ‘communitas’ sicché una squadra di calcio può diventare, come scrive Casotti, “una stampella identitaria con cui affermare i propri valori anche in un contesto in cui la madrepatria è lontana”.

Insomma, un libro di trascinante lettura anche per i non appassionati di calcio perché permette di capire uno dei fenomeni di massa che caratterizzano il nostro tempo.
Notevole la bibliografia che permette a chi lo voglia di spaziare fra studi italiani e stranieri.

Dalla presentazione editoriale
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«Secondo uno spot pubblicitario di qualche anno fa, il calcio ha conquistato il mondo, là dove hanno fallito i più grandi condottieri della storia. Un concetto che inquadra alla perfezione quanto questo sport sia penetrato in profondità nella vita quotidiana delle persone in tutto il mondo.
“Non è solo un gioco” di Federico Casotti è un’analisi socio-antropologica delle tante sfaccettature che caratterizzano il gioco del calcio e del suo rapporto in continua evoluzione con l’individuo e con le comunità. Nel testo, i concetti base dell’antropologia – i riti di passaggio, il fatto sociale totale, la corporeità, il social drama, la communitas, il capitale sociale – vengono spiegati attraverso il calcio in maniera rigorosa ma con un approccio accessibile a tutti».

Notizia di oggi: "La polizia indonesiana ha dichiarato che oltre 170 persone sono morte e 100 sono rimaste ferite dopo una partita di calcio a Malang, nella provincia indonesiana di Giava est. Alla fine della partita i tifosi della squadra perdente hanno invaso il campo...". No, non è solo un gioco

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Federico Casotti
Non è solo un gioco
Pagine 184, Euro 16.00
Meltemi


La critica viva


La casa editrice Quodlibet ha pubblicato un libro che studia la nascita dei moderni studi critici letterari che avvenne a partire dal 1920.
Il libro è a cura di Luciano Curreri e Pierluigi Pellini.
Titolo: La critica viva Lettura collettiva di una generazione 1920-1940.

Dalla presentazione editoriale.

«Cent’anni fa cominciava a nascere, nel nostro Paese, una curiosa, distesa, eclettica generazione di personalità critiche che – tra lingua e letteratura, filologia e strutturalismo, teoria e comparatistica, psicanalisi e sociologia, narratologia e semiologia, estetica della ricezione e storia della cultura... – avrebbe tenuto a battesimo una buona parte dei nostri studi letterari, nelle università e non solo, fino a oggi. In circa ventuno anni – dal 24 marzo del 1920, in cui viene alla luce Cesare Cases, al 6 dicembre del 1940, data di nascita di Romano Luperini – abbiamo provato a selezionare cinquantadue temperamenti critici, con Adelia Noferi, Lea Ritter Santini, Delia Frigessi, Lidia De Federicis, Maria Luisa Doglio, Grazia Cherchi, Rosanna Bettarini e Teresa de Lauretis come sole ma eloquenti rappresentanti di un plurale pensiero femminile, capace già – pur in seno a una minore rappresentanza figlia dell’epoca – di passare da una critica più accademica e teorica a una più militante e didattica, capace di dirsi all’università come nell’editoria, tra commento ai testi, impegno civile e studi di genere, tra Italia, Europa e America.
Si tratta perciò di un volumetto denso ma abbastanza agile, che forse potrebbe dare inizio a una piccola serie prospettica (1941- 1960, per dire), intesa già qui non solo e non tanto come omaggio, ma come profilo di una politica (fra molte virgolette, ma anche senza virgolette) delle critiche e dei critici nel secondo Novecento e all’alba più o meno sfrangiata e irta del nuovo secolo e millennio che stiamo vivendo. Ecco, il volume che avete fra le mani non è solo un omaggio ai maestri e un profilo dei maggiori critici italiani del secondo Novecento – magari con qualche dimenticanza, di cui chiediamo venia: il canone è tanto provvisorio quanto ampio, e vuole tendere all’oggettività, ma risente (come è inevitabile e tutto sommato giusto) delle passioni, delle curiosità, e forse pure delle idiosincrasie, peraltro diversissime, dei curatori. La critica viva – questo è il punto – ha anche un’ambizione etica e appunto politica, che si dipana tra insegnamento, ricerca e società: contesta il crescente (e sciagurato) abbandono, nelle università, della storia della critica; rende evidente la capacità degli studi letterari di incidere sul discorso sociale, contribuendo – con la loro libertà e diversità – a restituire nel suo insieme più ricca, meno provinciale, più complessa un’intera cultura; rivendica il contributo imprescindibile che le studiose e gli studiosi di letteratura hanno dato al Novecento italiano e (forse) ancora sono in grado di dare».

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A cura di
Luciano Curreri – Pierluigi Pellini
La critica viva
Pagine 368, Euro 24.00
Quodlibet


Sbronzi

L’irriverente Coluche amava ripetere nei suoi recital: "Gesù trasformava l’acqua in vino. Non mi stupisce che dodici discepoli lo seguissero dappertutto".
Prima d’inoltrarmi in questa nota che del vino parla, ho il dovere sociale di segnalare quanto dice sull'alcol l'Organizzazione Mondiale della Sanità in sigla OMS (da me colpevolmente inascoltata).
In Italia uno dei testi importanti sui danni provocati dall’alcol (“Il trattamento farmacologico dei pazienti alcoldipendenti") è stato scritto da un medico di nome ‘Giovanni’ che – sarà un caso? – di cognome fa ‘Addolorato’.
Basta con tendenziose premesse, ed ecco il libro che presento oggi; ha a che fare, l’avrete già capito, con bevute e bicchieri.

L’ha pubblicato la casa editrice Utet ha per titolo Sbronzi e per sottotitolo Come abbiamo bevuto, danzato e barcollato sulla strada della civiltà .
L’autore è Edward Slingerland (New Jersey, 1968).
È professore di filosofia presso l’Università della Columbia Britannica. Esperto di religione e filosofie orientali, ha pubblicato numerosi saggi accademici e divulgativi sulla filosofia cinese, il pensiero olistico e la storia della scienza.
In questo libro, si dimostra quanto l’alcol abbia plasmato fin dalle origini la società degli uomini influenzando plurali aspetti del nostro vivere attraversando anche I territori delle arti, da quelle visive a quelle letterarie (saggi, romanzi, poesia) dal teatro al cinema.
Bruno Gambarotta ricorda alcuni episodi umoristici. Da quel malvagio che giurava sul fatto che il presidente Saragat, gran bevitore, ogni mattina nel cortile del Quirinale assisteva al rito dell’alzaBarbera… a Luciano Bianciardi che riceveva la grappa ordinata con l’indirizzo “Ditta Luciano Bianciardi” perché chi gliela spediva non poteva credere che quella quantità fosse per una sola persona… a Beppe Viola che amava ripetere “Liberté. Egalité, Beaujolais”.
Torniamo a Slingerland che scrive “Sono stati pubblicati molti libri interessanti sulla storia dell’alcol e di altre sostanze inebrianti, ma nessuno ha mai offerto una risposta esaustiva e convincente alla domanda di fondo sul perché abbiamo così tanta voglia di sballarci”.
L’autore tenta varie risposte osservando tracciati storici, psicologici, evolutivi.
Conduce il lettore, con scorrevolissima scrittura, attraverso un’investigazione che mette insieme il dato filosofico o scientifico, perciò scrive “...é solo quando associamo la storia alla scienza possiamo finalmente capire non solo perché desideriamo ubriacarci, ma anche in che modo potrebbe farci bene prenderci una sbornia di tanto in tanto”.

Dalla presentazione editoriale.

«L’alcol da un lato migliora i rapporti umani, dall’altro comporta il lento avvelenamento del corpo… ma allora perché in migliaia di anni non abbiamo mai abbandonato questa abitudine nociva? Sbronzi dipana il groviglio di leggende urbane e aneddotica varia per fornire la prima spiegazione rigorosa e scientificamente fondata del nostro amore per l’alcol. Attingendo dall’archeologia, dalle neuroscienze, dalla letteratura e dalla genetica, Edward Slingerland dimostra che il nostro amore per l’ebbrezza non è un errore evolutivo, ma piuttosto ci ha permesso di affrontare una serie di sfide squisitamente umane: migliora la creatività, allevia lo stress, aiuta a costruire la fiducia, e ha compiuto il miracolo di far cooperare tra loro le tribù primitive, giocando un ruolo cruciale nella formazione delle prime società. Non avremmo la civiltà senza l’ebbrezza.
E allora brindiamo all’abbandono dionisiaco insieme a Tacito, George Washington e Lord Byron; visitiamo orge annaffiate di vino nell’antico Egitto; cerchiamo l’ispirazione nella whiskey room di Google; fermiamoci ad ascoltare le testimonianze del Burning Man Festival. Perché la storia del bere è, in fin dei conti, la storia dell’umanità».

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Edward Slingerland
Sbronzi
Traduzione di Francesco Zago
Pagine 416, Euro 26.00
Utet


Finestra sul Nulla

Fra i meriti della casa editrice Adelphi c’è quello di avere pubblicato finora ben 18 titoli di quel gigante che è Emil M. Cioran; un profilo biografico e critico QUI.
La più recente edizione adelphiana delle pagine di Cioran è Finestra sul Nulla a cura di Nicolas Cavaillès e con la bella traduzione di Cristina Fantechi.

Tra i grandi pensatori del XX secolo da me più amati c’è il romeno Cioran (1911 – 1995) con la sua nera scrittura, la sua vita abissale, il suo sguardo che va oltre il disincanto e la disperazione: “Colui che avendo frequentato gli uomini si fa ancora illusioni sul loro conto, dovrebbe essere condannato alla reincarnazione”.
Sulla sua figura grava il peso dell’adesione giovanile alla Guardia di Ferro, errore che ancora molti anni dopo, nel 1973, in una lettera al fratello non si capacitava d’aver commesso: “L’epoca in cui ho scritto 'Trasfigurazione della Romania' è per me incredibilmente lontana. A volte mi domando se sia stato proprio io a scriverlo. In ogni caso, avrei fatto meglio ad andare a spasso nel parco di Sibiu… L’entusiasmo è una forma di delirio”.
Il rimorso per avere tanto sbagliato è una delle chiavi per capire Cioran come bene illustra Patrice Bollon (in “Cioran l’hérétique”, pubblicato da Gallimard nel ’97), quando indaga su quella breve ma imbarazzante produzione dello scrittore romeno.
Altra protagonista, da non sottovalutare, della vita di Cioran, come lui stesso afferma, fu l’insonnia. Dell’insonnia di Cioran me ne parlò tempo fa – ne riferisco QUI – uno che lo frequentò e ha tradotto per Adelphi “Confessioni e anatemi”: Mario Bortolotto.
A me che non amo (con pochissime eccezioni) il genere romanzesco contemporaneo, ancora una cosa a gloria di Cioran mi va di dirla: mai ha scritto un romanzo. A differenza del suo amico Mircea Eliade (lui sì compromesso pesantemente col fascismo) che si macchiò della colpa di vari racconti e romanzi fra i quali il metafisico “Un’altra giovinezza” da cui ha tratto un pessimo film il pur bravissimo Francis Ford Coppola.

“Finestra sul Nulla” è una raccolta di pensieri spietati, giudizi taglienti, aforismi disperati che trascinano il lettore in un vortice di riflessioni sui veleni contenuti nel mondo.
Scrive Antonio Di Gennaro suo grande studioso: “… rispetto all’attività di aforista, saggista e prosatore scettico (sistematico), il mistico nichilista Cioran – ‘teologo ateo’, ancorché, de facto, ateo convinto – sviluppa, negli anni, un’intensa, proficua verve orale, caratterizzata non certo da lezioni universitarie o da eventi pubblici (ufficiali), ma da interviste e colloqui personali (privati) con poeti, giornalisti e scrittori…”.
Prezioso questo libro di Adelphi perché concorre a fare conoscere questo gigante del pensiero. A una signora che gli rimproverava d’essere contro tutto ciò che s’era fatto dopo la Seconda guerra mondiale, replicò: ”Lei sbaglia data, cara signora. Io sono contro tutto ciò che si è fatto dopo Adamo".

Dalla presentazione editoriale.

«Quando, dopo la morte di Cioran, furono ritrovati i trentaquattro taccuini che per quindici anni aveva riempito con le annotazioni più disparate, si rimase sbalorditi di fronte a quell’imponente giacimento, raccolto poi in un libro, Quaderni, che leggiamo oggi come uno dei vertici della sua opera. A quel libro possiamo ora affiancare – e sarà come integrare in un mosaico numerose tessere mancanti – questa raccolta di frammenti rinvenuti nella Bibliothèque Doucet di Parigi. Risalgono alla metà degli anni Quaranta, e sono le ultime pagine che Cioran scrisse in romeno, quando già da sette anni si trovava a «muffire gloriosamente nel Quartiere Latino». E anche qui, tra schegge sulfuree, sentenze fulminanti, spietate dissezioni del proprio intimo, ci aggireremo nelle stanze più segrete di un pensiero in perpetua ebollizione – capace come sempre di trafiggere, con un colpo secco e preciso, tutto ciò che lo circonda: «L’imbecille basa la sua esistenza solo su ciò che è. Non ha scoperto il possibile, la finestra sul Nulla».

Per leggere le prime pagine: .CLIC.

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E. M. Cioran
Finestra sul Nulla
A cura di Nicolas Cavaillès.
Traduzione di Cristina Fantechi
Pagine 221, Euro 14.00
Adelphi


Mutaforma

L’arte su ceramica ha origini antichissime, addirittura preistoriche, praticata nella quasi totalità delle aree geografiche abitata dagli uomini con una vastissima e diversificata produzione: vasellame, sculture, elementi decorativi in architettura.
Coltivata attraverso i secoli quest’arte arriva fino ai nostri giorni, infatti, troviamo tanti artisti contemporanei fra i ceramisti d’eccellenza: Chagall, Léger, Dufy, Matisse, Picasso.
Fra gli italiani: Martini, Fontana, Sassu, Manzù, Melotti, Zauli.
E proprio a Carlo Zauli (Faenza 1926 – ivi 2002) la sua famiglia ha dedicato un museo che quest’anno festeggia il ventennale dell’apertura con una mostra, a cura del Collettivo NN intitolata Mutaforma Mutazioni ceramiche del codice CZ.
Espongono: Salvatore Arancio, Pierpaolo Campanini, David Casini, T-Yong Chung, Giulia Dal Monte & Isabela Benavides, Alberto Garutti, Eva Marisaldi, Mathieu Mercier, Jonathan Monk, Ornaghi&Prestinari, Italo Zuffi, Sisley Xhafa, Shafei Xia, Carlo Zauli.

Il museo Zauli è uno spazio sia espositivo sia di produzione culturale creato nel 2002, immediatamente dopo la morte dell’artista, all’interno dello storico laboratorio-atelier dello scultore. Attraverso le sue collezioni e le diversificate attività culturali svolte esplora e diffonde l’arte contemporanea in tutti i suoi linguaggi, con un’attenzione particolare alla ceramica, materiale della tradizione locale. Si trova infatti a Faenza, in pieno centro storico, all’interno dei locali che furono dal 1949 di Carlo Zauli,

In foto: Carlo Zauli, Flessuosità. Metamorfosi di un primato, 1975

«Con questa mostra» – come recita un comunicato stampa – «il Collettivo NN intende portare nuove riflessioni su Carlo Zauli e sulla ceramica contemporanea, partendo dal concetto di metamorfosi, qui intesa come principio di vita e di relazione che attraversa e lega ogni forma vivente in un tutto organico.
L’esposizione restituisce l'ibridazione tra la componente ereditaria di Zauli e la cultura ceramica di Faenza in quanto tradizione di una forma d’arte tra le prime espressioni artistiche dell’essere umano. Questa eredità culturale diventa un’eredità genetica, che nel corso dei vent’anni di residenze è stata assorbita e rielaborata dagli artisti che hanno abitato gli spazi del museo. È in questo modo che il DNA dell’opera di Zauli ha subito una mutazione. Gli agenti mutanti sono le poetiche, i processi personali e le influenze delle personalità artistiche che hanno portato nei laboratori generando forme ceramiche alla luce di una voce contemporanea e delle sue nuove istanze. La mutazione è dunque intesa come un atto creativo, un punto di osservazione che mette in luce i punti di continuità con l’eredità di Zauli, e allo stesso tempo i punti di discontinuità necessari per innescare nuovi processi evolutivi.
La mostra (progetto Video: Veronica Santi, progetto Grafico: Camilla Marrese – Susanna Tomassini) è installata negli storici spazi del cinquecentesco Palazzo Vizzani, a Bologna, sede dell’Associazione Alchemilla»

Per saperne di più sull’Associazione Alchemilla: CLIC.

Ufficio Stampa: Irene Guzman | irenegzm@gmail.com | +39 349 1250956

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Mutaforma
A cura del Collettivo NN
Sede della mostra:
Associazione Alchemilla
Palazzo Vizzani
Via Santo Stefano 43, Bologna
Informazioni: info@alchemilla43.it
24 settembre – 30 ottobre
Ingresso libero


Liberare Arte da Artisti

Tecnoarte e Interazione, è il fulcro della nuova sezione espositiva, dedicata al primo net artist italiano, Giacomo Verde, in foto (CLIC per una una antologia video) curata da Andreina Di Brino (Università di Pisa) con la collaborazione di Anna Maria Monteverdi (Statale di Milano) e Sandra Lischi (Università di Pisa).
Di Anna Maia Monteverdi voglio ricordare la recente pubblicazione di Scenografe e, nel 2020 di Leggere lo spettacolo multimediale.
Di Sandra Lischi un incontro su questo sito quando uscì il suo testo La lezione della videoarte.

La mostra in corso dedicata a Giacomo Verde è intitolata Liberare Arte da Artisti.
QUI un video di presentazione e di seguito il comunicato stampa.

«L’allestimento si concentra più che sul prodotto artistico sul processo creativo che sta alla base della realizzazione delle video-opere analogiche e interattive, ideate e realizzate da Verde a partire dagli anni ‘90, grazie all’esposizione inedita dei disegni preparatori, dei materiali di studio, dei progetti e delle grafiche che corredano le opere in mostra.
Diverse le traiettorie artistiche di questo allestimento ad hoc che vedrà anche, nel corso della nuova vernice, la presentazione della ristampa del libro curato da Silvana Vassallo, “Giacomo Verde. Videoartivista”, edito da ETS nel 2018, contenente testi di Andreina Di Brino, Marco Maria Gazzano, Sandra Lischi, Francesca Maccarrone, Anna Maria Monteverdi e, ovviamente, Silvana Vassallo. Copie del volume saranno anche a disposizione del pubblico presente. Purtroppo, l’autrice è scomparsa di recente e proprio alla sua figura di studiosa è stata dedicata questa inaugurazione.
Infine, fa parte dell’allestimento anche la prima opera di net art italiana - ovviamente di Giacomo Verde - intitolata “X-8X8-X.net”. Realizzata nel lontano 1999, dedicata a Anna Monteverdi e Tommaso Verde, l’opera fu presentata alla manifestazione ‘Techné - Tra arte e tecnologia. Viaggio nel mondo delle videoinstallazioni’, mostra che si tenne presso lo Spazio Oberdan di Milano dal 19 novembre 1999 al 27 febbraio 2000. Accanto a Verde, allora, esposero alcuni tra i più celebri pionieri della video arte - quali Steina Vasulka con “Machine Vision“ e Mario Canali che presentò “E.mX”.
Al CAMeC è anche in visione l’opera di net art restaurata e ai primi visitatori che ne faranno richiesta sarà regalato il libretto dell’epoca, che accompagnava l’opera interattiva».

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Ufficio Stampa Comune La Spezia: Luca Della Torre, Tel. +39 0187 727324 ufficiostampa@comune.sp.it
Ufficio stampa del progetto: Simona Frigerio, Tel. +39 340 600 9106 simona.m.frigerio@gmail.com
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Liberare Arte da Artisti. Giacomo Verde artivista
Camec, La Spezia, Piazza Cesare Battisti 1
Info: Tel. +39 0187 727530 | camec@comune.sp.it
Fino al 15 – 1 – 2023


Sul nazionalismo


La casa editrice Lindau – dopo avere edito Sullo scrivere e sui libri – ha pubblicato un interessante saggio di lucidissima intelligenza storica e psicosociale intitolato Sul nazionalismo.
Entrambi i titoli sono di Eric Arthur Blair, meglio noto con lo pseudonimo di George Orwell(1903 – 1950).
Scrittore
(giornalista, saggista, attivista e critico letterario britannico) Orwell (QUI più diffuse note sulla sua opera e attività politica) è tra le maggiori firme della letteratura antiautoritaria del secolo scorso.
Le sue opere più note: “La fattoria degli animali” (1945) e “1984” (1949)
Tanti hanno scritto su di lui. Un paio di flash.
Geno Pampaloni: “I cattolici gli rimproverano la mancanza di Dio e le punte anticlericali, Molti laici il suo riserbo costante e il sentimento dell'apocalisse. A me pare che Orwell sia scrittore da ricordare a lungo, e che nella parabola della sua vita abbia toccato molti punti di verità.“
Umberto Eco: “Con il terribile libro ‘1984’ Orwell ha segnato il nostro tempo, gli ha fornito una immagine ossessiva, la minaccia di un millennio assai prossimo, e dicendo ‘quel giorno verrà...’ ci ha impegnato tutti nell'attesa di quel giorno”.
In realtà, pochissimi si schierarono a suo favore e mentre Il Mondo di Pannunzio fu subito dalla parte dello scrittore e pubblicò a puntate “1984”, massiccia parte della stampa comunista lo attaccò ferocemente (Togliatti definì quel libro “una buffonata informe e noiosa”).
Breve: fascisti e comunisti lo amarono quanto si ama una colica renale.

Il titolo “Sul nazionalismo” è restrittivo perché nelle pagine è usato in modo più vasto.
Come Orwell stesso scrive: “ … lo uso nella sua accezione comune, se non altro perché il sentimento che descrivo non è sempre riferito a ciò che chiamiamo nazione, ossia una determinata razza o una specifica area geografica. Può riferirsi a una Chiesa o a una classe sociale; o può avere un significato esclusivamente negativo e denotare un semplice essere contro questo o quello, senza alcun sentimento di lealtà verso qualcos’altro. Per «nazionalismo» intendo soprattutto quell’abitudine a pensare che gli esseri umani possano essere classificati come insetti, e che interi blocchi di milioni o decine di milioni di persone possano tranquillamente essere etichettati come «buoni» o «cattivi».

Dalla presentazione editoriale di “Sul nazionalismo”.
«La tendenza a «identificare sé stessi in una singola nazione o in un’unità di altro tipo, collocandola al di là del bene e del male e non riconoscendo altro dovere che la promozione dei suoi interessi»: in questo, secondo Orwell, consiste il nazionalismo, che può assumere forme diverse, dall’appartenenza a un gruppo politico o religioso alla difesa di ideologie di varia colorazione. In tutti i casi comporta la soppressione dello spirito critico, la censura e l’autocensura, l’asservimento cieco a un’idea di realtà a discapito della realtà stessa.
Scritto durante le ultime fasi della seconda guerra mondiale, in uno dei periodi più bui della storia occidentale, questo breve saggio è un testo essenziale per comprendere un fenomeno che richiama i grandi totalitarismi del ’900, ma che in realtà rappresenta ancora oggi una delle principali minacce alle democrazie liberali. Anzi, proprio in tempi come il nostro diventa particolarmente pericoloso, quando l’«incertezza generale riguardo a ciò che succede realmente rende più facile aggrapparsi a credenze stravaganti».

In questo breve video, con sottotitoli in italiano, una terribile profezia di Orwell.

QUI alcune pagine dal libro.

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George Orwell
Sul nazionalismo
Pagine 56, Euro 9.00
Lindau


Una quasi eternità


«Per la strada gli uomini avevano smesso di guardarla. Non che fosse mai stata bella, ma una certa qualità della sua carne, una materia ferma e un po’ eccessiva che non era facile rinchiudere nei vestiti, si era spesso attirata occhiate e commenti.
Da ragazza aveva provato imbarazzo e fastidio, qualche volta perfino paura per quegli sguardi: ancora si ricordava di uno che in una strada del Vomero aveva fatto il gesto di morderle un seno.»

Non è l’incipit di un romanzo, ma di un piccolo grande libro che ho riletto in una nuova edizione ampliata: casa editrice Quodlibet
Pagine luminose per i lettori più esigenti, quelli, per capirci che si tengono lontani dai Moccia e dalle Tamaro
Il titolo del piccolo capolavoro letterario cui prima mi riferivo: Una quasi eternità
L’autrice è Antonella Moscati.
Nata a Napoli, vive a Siena. Ha pubblicato Verbali; Che cos'è l'atto di creazione (Con Gilles Deleuze)

Su questa rubrica web avevo già fatto una nota su “Una quasi eternità” quando il volume uscì per un’altra casa editrice nel 2006.
Scrissi allora in data 6 marzo quanto leggerete, sempre che lo vogliate.
Perché tanta puntigliosa precisazione di date? Perché nell’accresciuta edizione di adesso c’è un nuovo capitolo intitolato “Sedici anni” tanti quanti trascorsi dalla prima uscita del volume. Le nuove pagine riflettono su come può essere vissuto quello spazio di tempo secondo le età della vita. Sono passati 16 anni da quella mia prima lettura di “Una quasi eternità” (chi ero allora?... come attraversavo quel periodo?... non so rispondermi, cipria del tempo volata via senza effetti cosmetici sugli anni?), di sicuro non è cambiato il mio giudizio su quel libro, anzi dopo sedici anni ne ha ingrandito l’immagine.
Sedici anni fa, così ne dissi. Copio e incollo alcune righe di allora.
…Moscati, scrive, in modo elegantemente rapido, su quell’età femminile influenzata dalle leggi della menopausa, momento che qui è narrato sia nella sua fisiologica crudezza e sia come allegoria di ogni camminamento, di ogni passaggio, che trasforma vite, esistenze e vissuti nel trascorrere del tempo. Non s’invecchia gradatamente, ma a strappi dostiene l’autrice. Pagine di grande sentimento senza che mai si affacci in loro sentimentalismo, libro esemplare nel tenere insieme ricordi infantili e annunci di senilità visti nella luce di uno stesso crepuscolo.
E proprio per queste qualità, il piccolo volume di Antonella Moscati può essere letto, con diverso sentire ma uguale emozione, dalle donne e dagli uomini.
Ancora una cosa. Quante e quanti con meno cose da dire, al contrario delle tante contenute in “Una quasi eternità”, ne avrebbero fatto (e, ahimè, spesso ne fanno) racconto o romanzo. Aver scritto, invece, una riflessione tanto lucida quanto appassionata fuori della narrativa è un ulteriore merito di quest’autrice che vi consiglio assolutamente di leggere.
Mi ringrazierete
.

Dalla presentazione editoriale del 2022
«Alla soglia dei cinquant’anni una donna osserva e racconta, con struggimento e con ironia, i tanti cambiamenti che avvengono in quel periodo di passaggio: nel proprio corpo, nella percezione del tempo, nei rapporti fra i sessi.
Con la pausa, o meglio con la battuta d’arresto della fertilità, la vita di una donna sembra, infatti, subire uno strano contraccolpo. Come se all’improvviso si fosse persa quella che fino a poco prima sembrava una condizione destinata a durare per sempre: la "beata incoscienza d’essere", cioè la sottile e tacita sintonia fra il tempo del proprio corpo e quello del mondo.
In uno scenario meridionale, i ricordi recenti si mescolano con quelli luminosi dell’infanzia e dell’adolescenza».

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Antonella Moscati
Una quasi eternità
Pagine 82, Euro 10.00
Quodlibet


Fili: trame della cultura pop

Che cosa sta combinando Sergio Messina?
Già, perché mentre lo lasci che ha scritto un libro (ad esempio, Real Sex) eccolo impegnato a scrivere sul suo sito web, oppure a presentare il recente disco (Sensual Musicology).

Adesso – ammesso che io sia bene aggiornato – lo vediamo all’opera in una nuova, impagabile, impresa.
È intitolata: Fili: trame della cultura pop.
Si tratta di una serie di conversazioni su quattro aspetti significativi della cultura pop intrecciando musica, cinema, grafica, editoria
Per saperne di più: CLIC!


Il dominio dei robot

A partire dalla seconda metà del XX secolo si sono avuti i primi segnali su come Il futuro avesse cambiato natura. Dapprima fisicamente rappresentato, si è sempre più dematerializzato fino ad oggi in un’alba transumana, così come sono definiti i nostri recenti anni da alcuni antropologi.
La tecnofilosofia di Max More, di Eric Drexler il pensiero di Ray Kurzweil con la sua Teoria della Singolarità (oggi studiata nell’Università da lui fondata con i finanziamenti della Nasa e di Google), la genetica, le nanotecnologie, la robotica cognitiva, l'intelligenza Artificiale, sono elementi che vanno a disegnare un futuro non più affidato all’immaginazione, ma alla realtà di laboratori dove ci sono state realizzazioni o sono in corso ricerche che cambieranno la società e le sue regole, le psicologie di gruppo e il pensiero politico, in un lontano futuro la stessa creatura umana se così ancora la si potrà definire, e in parecchi ne dubitano. Come, ad esempio Kevin Warwick il quale sostiene che il prossimo passaggio dell’evoluzione potrebbe non essere scritto in un libro di biologia ma di informatica per effetto della sempre più raffinata ibridazione Uomo-Macchina.
In un momento, come l’attuale, la figura del robot già ricopre molteplici ruoli: nell’assistenza medica (diagnosi, chirurgia, riabilitazione), nella domotica, nell’industria, nei trasporti, nello sport, nell’arte, suscitando dibattiti sociologici, etici, politici.
Le pubblicazioni che trattano le nuove tecnologie sono in larghissima parte divise fra gli apologeti del futuro e i profeti di sventure che proprio il futuro possa recapitare. Questi ultimi sono in maggioranza perché quando si parla della paura che hanno le persone nei confronti delle macchine bisogna considerare che gli esseri umani proiettano su qualunque altra individualità, artificiale o naturale, i propri errori e le proprie debolezze.
Si aspettano dagli altri quello che la versione peggiore di loro stessi farebbe.

La casa editrice Il Saggiatore ha pubblicato un libro che è fra quei rari testi i quali dell’avvenire, prossimo e meno prossimo, tracciano con saggio equilibrio vantaggi e pericoli dimostrando come le stesse leggi del progresso (si legga ad esempio quanto sostiene Paul Virilio) comportino inevitabilmente il buono e il meglio insieme con il cattivo e il peggio.
Titolo e sottotitolo Il dominio dei robot Come l'intelligenza artificiale rivoluzionerà l'economia, la politica e la nostra vita
L’autore è . Martin Ford
Fondatore di un’azienda di software con sede nella Silicon Valley, scrive di tecnologia e automazione per diverse riviste, tra cui The New York Times, Fortune, Forbes, The Guardian, Financial Times, oltre a tenere conferenze sull’argomento in tutto il mondo.
Nel 2017, di Ford Il Saggiatore ha pubblicato “Il futuro senza lavoro”

“Il dominio dei robot” si sofferma principalmente sull’Intelligenza artificiale (in acronimo AI, seguendo la dizione inglese) L’Intelligenza Artificiale non è cosa nata in tempi recenti o recentissimi, per trovarne le prime tracce. dobbiamo fare un salto all’indietro sul calendario e arrivare al 1955. Precisamente al 31 agosto di quell’anno quando Marvin Minsky e John McCarthy coniarono allora il termine “intelligenza artificiale” e annunciarono un convegno a Dartmouth che segnò un radicale mutamento nel rapporto tra l’uomo e le macchine.
Negli ultimi anni, le nuove tecnologie hanno fatto passi da giganti, dando luce al mondo del touch, della 3D alteration, degli smartphone, di app che possono, addirittura, valutare lo stato di salute dell’essere umano monitorarlo costantemente. Se parole come deep fake, chatbot, biohacking sono entrate nel lessico quotidiano di molti, la sfida dell’intelligenza artificiale è ancora tutta da giocare.
Martin Ford in “Il dominio dei robot” afferma, ad esempio, che pur trascurando catastrofisti che sconfinano nella fantascienza distopica, un problema reale è la versatilità delle nuove macchine che, per esempio, sostituiranno tanti lavori svolti da noi umani di oggi creando disoccupazione. Questo, però, è stato vero anche in passato quando con la rivoluzione industriale si passò dal sistema agricolo-artigianale-commerciale al sistema industriale moderno caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate. In questi cambiamenti epocali, però, nascono nuovi mestieri e professioni. Fino a pochi anni fa chi avrebbe previsto l’esistenza del webmaster? Del programmatore informatico? Dell’analista di data base? Si tratta, quindi, di fare di un’emergenza un’opportunità. In altri paesi europei, la disoccupazione – specie giovanile – non è alta come in Italia, e pure là sono arrivate le nuove tecnologie. Via, non diamo tutta la colpa ai robot! Ma anche ad una politica che non favorisce investimenti, ad una scuola non aperta a nuovi mestieri e professioni.
Rinunciare perciò a tanti vantaggi del progresso? No, ma studiare i modi per prendere il più possibile il meglio dal nuovo, riducendone i rischi.
Come costruire un futuro che abbia a che fare con l’intelligenza artificiale e che allo stesso tempo risulti benefico? Come includere l’intelligenza artificiale nel praticare un domani migliore che non rappresenti una minaccia? La soluzione risiede molto probabilmente nel progettare con e per le persone: L’Intelligenza Artificiale deve avere al centro l’essere umano che l’ha creata.
Il futuro non lo si ferma. Secondo parecchi futurologi, grazie all’Intelligenza Artificiale in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di Spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli di esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli.
Sta a noi fare del futuro un’epoca migliore di quella presente.

Dalla presentazione editoriale.

«Sono tra noi. Forse non avranno le fisionomie umanoidi sognate da Asimov o le inquietanti capacità rigenerative dei cyborg di Terminator, e nemmeno la volontà di potenza delle macchine di Matrix, ma i robot sono oggi una realtà: l’innovazione tecnologica ci ha permesso di costruire automobili senza conducente, app che traducono segni incomprensibili in frasi di senso compiuto, abitazioni che accendono luci e riscaldamento a nostro comando. E questo è niente in confronto alle rivoluzioni che altri dispositivi, ancora più sofisticati, stanno mettendo in atto. Martin Ford ci guida all’interno delle implicazioni presenti e future dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale: dalla completa automazione di ristoranti e supermercati alla fabbricazione di armi capaci di uccidere senza intervento umano; dai robot disinfettanti in grado di eliminare ogni batterio da una camera d’ospedale agli algoritmi impiegati nella selezione del personale (che hanno imparato da noi a discriminare in base a genere ed etnia); dalle scoperte in ambito chimico, sanitario ed energetico rese possibili dal deep learning ai raffinati sistemi di riconoscimento facciale utilizzabili dai governi per identificare gli oppositori politici; fino alla chimera dell’AGI, l’«intelligenza artificiale generale» che, se realizzata, permetterebbe a una macchina di comunicare, ragionare e concepire idee al livello di un essere umano o addirittura superiore. Il dominio dei robot è un’affascinante narrazione scientifica che, alternando esperienze personali dell’autore, interviste a specialisti del settore e i dati delle più recenti ricerche, ci rivela il panorama delle trasformazioni economiche e sociali che affronteremo nei prossimi anni. Una riflessione illuminante, per capire se quello che abbiamo davanti è l’inizio di una nuova era o la fine della nostra. Un viaggio tra le promesse e le minacce dell’intelligenza artificiale per comprendere quale futuro i robot hanno in serbo per noi».

………………………….……………

Martin Ford
Il dominio dei robot
Traduzione di Alessandro Vezzoli
Pagine 320, Euro 24.00
il Saggiatore


Mike e Robin


Dal febbrile poliartista Vittore Baroni ricevo una comunicazione che volentieri rilancio.
Riguarda le Forbici di Manitù gruppo del quale mi sono già occupato in precedenti occasioni.
Se volete sapere perché mi piacciono, cliccate QUI.

Ecco di seguito quanto apprendo da Vittore (in foto)

«"Incredibile?!" è il nuovo progetto musicale collettivo delle Forbici di Manitù & Friends dedicato al repertorio e all'eredità culturale della Incredible String Band, la leggendaria formazione folk-psichedelica scozzese guidata nei '60-'70 da Robin Williamson e Mike Heron.
L'uscita ufficiale (1 settembre 2022) del doppio album su etichetta Sussidiaria è stata diffusa dal 15 agosto su YouTube dal video realizzato da Ignazio Lago per "Mike e Robin", brano originale delle Forbici di Manitù incentrato sulle due anime guida dell'ISB, personalità differenti ma complementari, "insieme ma lontani come due soli".

Ignazio Lago, anche tra i collaboratori sonori di "Incredibile?!", è artista, filmmaker e musicista "eterodosso" in attività dai primi '80 (Circle Angulaire, Gi-Napajo, Ancolmit, Ratto Goal, ecc.), coordina inoltre le attività dell'etichetta di produzioni indipendenti Muriki Manipolazioni e della casa di cine-produzioni epimur film.

Tra fiori, piante, insetti, l'acqua di un piccolo stagno e una campagna rigogliosa, la natura diviene la principale protagonista di un video (QUI per visione e ascolto) che, attraverso le azioni e danze di vari personaggi simbolici, evoca la magia della prima creazione musicale, la prossimità e il distacco in un rapporto di amicizia, il moto continuo e inarrestabile del suono e dei cicli della terra. In sintonia coi dischi dell'ISB, il video attinge all'immaginario dell'Alice di Carroll in una dimensione fiabesca ma concreta e tangibile, in dialogo armonioso con gli elementi del paesaggio. Una ballata elegiaca intesse in aggraziato ricamo il filo d'Arianna che lega indissolubilmente Mike e Robin al loro destino comune, prima di trasformarsi in scanzonata e bucolica marcetta, una surreale parata guidata seguendo il pulsare magnetico della cornamusa da un piccolo tamburino “che non vuole crescere”».

Le Forbici di Manitù & Friends "Incredibile?!" (Sussidiaria - SD024)
2 LP vinile / 2 CD + download digitale - sussidiaria.bandcamp.com


Vite di animali illustri


“Gli animali hanno propri diritti e dignità come te. È un ammonimento che suona quasi sovversivo. Facciamoci allora sovversivi: contro ignoranza, indifferenza, crudeltà”.
(Margarite Yourcenar)
E Fernando Pessoa: “L’uomo non sa di più degli altri animali; ne sa di meno. Loro sanno quel che devono sapere. Noi, no. Anche da qui derivano tanti errori che l’animale uomo commette verso gli altri animali”.
Quanti? Tanti.
Il primo è quello d’immaginare una propria superiorità naturale. Ed ecco perché la Chiesa detesta tanto Darwin che – come sostiene Daniel Kevles – ha osato ficcare il naso nella narrazione giudaico-cristiana dell'origine della vita detronizzando l'uomo dalla sua speciale posizione in cima alla scala biologica, sottraendolo all'autorità morale della religione.
Doloroso risultato della dottrina cristiana sugli animali è stato Cartesio, uno dei principali esponenti dello 'specismo' termine coniato dallo psicologo Richard Ryder nel 1970. Il filosofo Peter Singer poi lo riprenderà, dandogli maggiore visibilità e articolazione teorica (soprattutto nel suo "Animal Liberation" del 1975).

Un gran bel libro sul ruolo recitato dagli animali in tante occasioni, talvolta ai confini della realtà, ci viene dalla casa editrice Quodlibet è intitolato Vite di animali illustri.
Ne è autore Roberto Kaz.
Nato nel 1982 a Rio de Janeiro, ha lavorato per la rivista «piauí» e come giornalista per i quotidiani «Folha de São Paulo» e «Globo», vincendo nel 2014 il premio «Esso» per i suoi reportage; è sposato e ha tre gatti.

Quel titolo non tragga in inganno, non si tratta di un Bestiario, testo che specie in epoca medievale, raccoglieva descrizioni di animali (reali e immaginari), accompagnate da spiegazioni moralizzanti. No, niente di tutto questo, ma storie vere di animali realmente esistiti, protagonisti di singolari avventure.

Dalla presentazione editoriale curata da Ermanno Cavazzoni.

«Storie di animali davvero vissuti e che si sono distinti per qualche impresa. Alcuni diventati delle celebrità, come il topo russo andato in orbita e che ha girato 477 volte intorno alla terra, tornando poi applaudito e onorato. Poi i grandi lavoratori, come il malinconico toro da monta Fajado, che copulando ad un ritmo stacanovista con una provetta, ha generato quasi 300 mila figli sparsi nel mondo. E poi animali musicisti che suonano il piano da veri maestri; animali artisti, sportivi, randagi, preistorici e finanche di stoffa o di polistirolo. Storie a volte commoventi o piene di umorismo. Sullo sfondo i retroscena umani, con le tipiche truffe, arricchimenti, battaglie ideologiche e così via».

Ho cominciato questa nota con un aforisma di Margherite Yourcenar, la chiudo con uno di Tiziano Terzani: “Quella che chiamiamo eufemisticamente 'carne' sono in verità pezzi di cadaveri, di animali morti, morti ammazzati. Perché fare del proprio stomaco un cimitero?”

……………..………….....…...…….
..
Roberto Kaz
Vite di animali illustri
Traduzione di Daniele Petruccioli
Illustrazioni di Audrey Furlaneto
Pagine 335, Euro 18.00
Quodlibet


Domani festa grande


Mai ho voluto partecipare alle dispute estetiche intorno alla bellezza o bruttezza della statua di Publio Morbiducci (1889 – 1963) dedicate al bersagliere), m’è cara per quel che celebra e mi basta così. Quando a Roma passo per Porta Pia, e non solo allora, gioisco al pensiero del 20 settembre 1870, data che sancì la definitiva fine del potere temporale dei pontefici romani… definitiva?... mah… sorge qualche dubbio.
Quasi quasi esco di casa e vado a vedere se l’hanno tolta quella statua a Porta Pia.... vuoi vedere che lì trovo un’iscrizione in frames che celebra Porta a Porta di Vespa?
In fondo, quel bersagliere – diciamo la verità – è un autentico terrorista, uno che ha sparato sul serio, mica a parole, e ha fatto secchi anche alquanti mercenari delle truppe papaline, o no?
Ma via, non esageriamo, la statua sta ancora lì, è inutile che io vada a controllare.
Al più, potrà essere successo che il bersagliere non stia con il volto verso Roma, ma che le volti le spalle (come tempo fa immaginò un umorista), per fare capire a tutti che, sconfitto, è stato messo in fuga; oggi, le cose, infatti, stanno suppergiù così.
Un tempo il 20 settembre era festa nazionale. Dal 1930, per decisione del governo fascista, più non lo fu. Né è stata ripristinata dai governanti che vennero dopo la Liberazione. Evidentemente è una ricorrenza ancora sgradita ad alcuni. E non solo Oltretevere.

Perciò è importante che domani, martedì 20 settembre alle ore 11.00 ,ci si ritrovi a Porta Pia per il tradizionale omaggio alla Breccia organizzato dall’Associazione Libero Pensiero.
La Presidente Maria Mantello così apre un suo breve scritto dedicato alla data: Era l'alba del 20 settembre del 1870, quando l'artiglieria dell'esercito italiano entrava in azione per aprire un varco nella cinta muraria vaticana. Dopo 5 ore di cannoneggiamenti il muro cedeva nel tratto tra Porta Pia e Porta Salaria. Alle 9.45 i bersaglieri della XII e XIV divisione entravano in Roma. Era la fine della teocrazia vaticana. Roma diventava capitale d’Italia. Roma era restituita all’Italia, e l’Italia all’Europa,

Il resto dell'articolo sul link precedente.


PSY -- Ombre abbaglianti

Dopo il successo di “Libra” nel 2021, (QUI un’intervista video col regista) dal 21 al 24 settembre (poi in tournée) al Teatro Rossetti di Trieste debutta PSY - Ombre Abbaglianti il nuovo spettacolo diretto da Gigi Funcis. Il suo è un teatro particolare perché si pone in un territorio che senza trascurare la scena tradizionale con la parola scritta poi recitata, si avvale delle innovazioni espressive date dalle nuove tecnologie. Da qui ologrammi, visual mapping e altri contributi multimediali pilotati in tempo reale dalla regia, proiettano questo spettacolo in un’atmosfera steampunk, filone della narrativa fantastica, e più precisamente di quella fantascientifica.


Dal comunicato stampa.

«In scena, 3 attori protagonisti – Lorenzo Acquaviva, Veronica Dariol, Giovanni Boni e, a interagire con loro, altri quattro attori in visione olografica che agiscono sulla quarta parete dove Lino Guanciale interpreta un meta-presentatore a cavallo tra finzione e realtà.
“PSY” è una storia dai risvolti psicologici e tecnologici, che fa incontrare fisica quantistica e letteratura fantastica dal taglio steampunk, con una domanda su tutte: è possibile una realtà parallela - che la scienza contempla nella nota interpretazione a molti mondi della fisica quantistica?
Ambientato in un passato dove la tecnologia si è evoluta più della nostra, la detective story “PSY” trasporta lo spettatore tra i vapori della notte e le ombre della mente, fluttuando tra steampunk, profilazione criminale e fantatecnologia.
Il tutto con un pizzico di ironia.
Il motore del racconto è brutalmente semplice: un assassino, delle indagini e dei sospetti, da qui un cameo di Roberta Bruzzone.

Lo spettacolo fa parte del cartellone di Approdi Futuri (qui anche info e prenotazioni) festival realizzato con il contributo della Regione Friuli Venezia Giulia attraverso il Bando di Ripartenza Cultura e Sport #Restart»

Ufficio stampa HF4 www.hf4.it
Marta Volterra marta.volterra@hf4.it 340.96.900.12
Alessandra Zoia alessandra.zoia@hf4.it 333.76.23.013

PSY - Ombre Abbaglianti
Regia di Gigi Funcis
Teatro Rossetti
Trieste
Dal 21 settembre 2022


Gli e-Sport in Italia

"Con la dizione ‘e-sport’ si fa riferimento “al complesso universo connesso allo svolgimento delle competizioni elettroniche organizzate di videogiochi".
Con queste parole si apre un libro di grande interesse intitolato Gli e-Sport in Italia Come sviluppare una strategia di successo.
La pubblicazione si deve alla casa editrice FrancoAngeli.
L’autrice è Laura D’Angeli.
Business consultant con un'esperienza ventennale nell'ambito dell'innovazione, della strategia e del business development. Negli ultimi 15 anni la sua attività si è concentrata sul settore del gaming, nel quale ha seguito lo sviluppo di primarie società di gioco, media company e Telco. Ha realizzato progetti di consulenza strategica ed operativa supportando le aziende nel processo di ingresso in questo ambito e nella definizione del modello di business più idoneo ad uno sviluppo sostenibile e duraturo.
Collabora con diverse Università in Italia in progetti di ricerca e formazione sul gioco.

Spesso in Cosmotaxi mi sono occupato di videogames, sarà perché m’intriga quel loro modo giocoso di proporre un intercodice tecnologico fra musica, immagine, letteratura, cinema, sia quando sono umoristici sia quando sono distopici; sarà che preferisco Lara Croft, la creatura di Toby Gard, con i suoi pixel che lèvati, all’altra Lara, quell’Antipov di Boris Pasternak, funesta crocerossina full time dello sfortunato Dottor Zivago

Come definire un videogioco? Lascio la parola a Paola Carbone che da me intervistata tempo fa così mi disse: “Il videogioco può essere inteso come un ‘dispositivo tecnosociale’, vale a dire un fenomeno sociale e culturale che deve imprescindibilmente avvalersi della tecnologia. Nato come mera sperimentazione (si ricordi, “Tennis for two”, sviluppato per oscilloscopio nel 1958), il videogioco ha sempre seguito l’evolversi della tecnologia fino a diventare oggi un vero e proprio campo di sperimentazione. Negli ultimi anni la modellazione tridimensionale degli ambienti e lo sviluppo della grafica applicata alla caratterizzazione dei personaggi hanno favorito la creazione di ambienti immersivi sempre più coinvolgenti dal punto di vista emotivo. In particolare, il non-luogo (o l'iper-luogo virtuale) videoludico oggi si configura fortemente come luogo della socializzazione, del consumo, dello scambio.

Matteo Bittanti ha dedicato alla materia alcuni libri, ecco una sua definizione del videogame: Quello che mi affascina di questo medium è che contiene tutti i linguaggi e i codici degli altri, ma non è per questo una forma espressiva inferiore o “minore”. L’errore da evitare è di applicare al videogame i criteri qualitativi dei media tradizionali, analogici e lineari.

L’avanzamento della tecnologia ha aperto nuove strade al potenziale immersivo dei videogame. Nel corso della sua evoluzione il medium ha puntato a coinvolgere il giocatore attraverso la complessità dell’impianto narrativo e le plurali finalità che è possibile trarne come illustra benissimo nel suo libro Laura D’Angeli.
In “Il matematico impenitente” Piergiorgio Odifreddi scrive: “In fondo, se Mecenate vivesse oggi non finanzierebbe più poeti e letterati, ma divulgatori e comunicatori scientifici: cioè, gli eredi del dio Hermes, il messaggero degli dèi, la cui funzione era appunto quella di stabilire un ponte di collegamento fra l'Olimpo e la Terra. E dove mai risiede oggi l'Olimpo, se non nei centri di studio e di ricerca nei quali si allestiscono non più i fulmini e le tempeste della mitologia antica, bensì i materiali e le macchine della tecnologia moderna?”.

Dalla presentazione editoriale.
«Gli e-sport, così strettamente intrecciati alle nuove tecnologie, sono tra i protagonisti indiscussi della trasformazione digitale. Palcoscenico emergente dei nuovi paradigmi dell'intrattenimento, connessi all'espansione virtuale del mondo reale, non solo attraggono un'ampia audience, ma hanno anche la capacità, unica e distintiva, di dialogare con le nuove generazioni.
Per favorire la comprensione di questo settore, il testo propone un quadro sintetico dal punto di vista manageriale, chiarendo e sistematizzando le opportunità di sviluppo e i modelli di business prevalenti, con un approfondimento sugli aspetti di natura strategica e operativa. Particolare attenzione è data alla descrizione e alla mappatura delle sinergie che possono scaturire con i vari settori produttivi, e alla definizione di un percorso metodologico per iniziare ad operare.
Scritto con un taglio accessibile, ricco di riferimenti pratici e di case history, il volume si rivolge a manager e imprenditori, per interpretare il nuovo mondo dei videogiochi e le sue competizioni e conoscere meglio il valore che gli e-sport possono apportare al business».

………………………………

Laura D’Angeli
Gli e-Sport in Italia
Pagine 120, Euro 18.00
FrancoAngeli


L'origine delle specie


D’accordo, non ho letto tutti giornali italiani usciti il 12 febbraio scorso, ma un’occhiata alle principali testate l’ho data. Nessuno dei grandi quotidiani ha, però, ricordato che in quella data nacque un uomo che ha rivoluzionato il mondo scientifico: Charles Robert Darwin (Shrewsbury, 12 febbraio 1809 – Londra, 19 aprile 1882) biologo, naturalista, antropologo ed esploratore britannico.
Neanche Cosmotaxi l’ha ricordato? Sì, ma ho ampie giustificazioni: ero in ospedale a curare uno dei mali che affliggono noi umani.
Proprio, però, in quei giorni meritoria è stata la pubblicazione da parte della casa editrice Editoriale Scienza che ha mandato in libreria L’origine delle specie con testi di Brett Harris e illustrazioni di Nick Hayes.
Ottimo libro che traccia la biografia e il pensiero di quel grande scienziato avversato da tanti.
Perché in molti contro di lui? Ne profilò bene il perché Daniel Kevles, storico della Yale University. Nel Seicento la Chiesa teme Copernico che rimuove la Terra dal centro del sistema solare minando l'autorità dei teologi… poi perseguiterà Darwin che ha osato ficcare il naso nella narrazione giudaico-cristiana dell'origine della vita detronizzando l’uomo dalla sua speciale posizione in cima alla scala biologica, sottraendolo all'autorità morale della religione.

Di recente tre scienziati americani hanno scoperto nel territorio artico canadese i resti fossili di un pesce osseo che dimostra, ribadendo la validità della teoria darwiniana, com’è avvenuta la transizione tra i pesci e i mammiferi – tra cui la specie umana – gli anfibi, i rettili e gli uccelli.
Ma Darwin – scrive Umberto Veronesi – sarebbe stato assai più soddisfatto del fatto che adesso la scienza non deve più accontentarsi delle scoperte dei paleontologi: la conferma della spiegazione darwiniana ci viene dalla grande scoperta del Dna che è identica in ogni organismo. Il Dna di un virus è uguale a quello di un elefante.

Il volume del duo Brett – Hayes spiega tutto quanto e informa persino sui dubbi avanzati sulla teoria di Darwin fornendo le risposte a quegli interrogativi.


FINALE IN MUSICA.

Sapevate che Darwin era un eccellente cantante?
Nooo? Lo scoprirete cliccando QUI.

L’origine delle specie
testo di Anna Brett
traduzione di Mara Pace
illustrazioni d Nick Hayes
pagine 64, euro 22.90
Editoriale Scienza


Vedere voci


Il silenzio viene elogiato da molti tra filosofi, aforisti, poeti, ma esiste il silenzio?
C’è chi lo nega. Ad esempio, il celebre musicista statunitense John Cage (Los Angeles, 1912 – New York, 1992) che ne fa dimostrazione in 4’33”, brano di assoluto silenzio QUI brevemente spiegato.
Perfino quella camera anecoica che ispirò Cage era attraversata da rumori.
Eppure esiste un’impermeabilità ai suoni dovuta a chi ha la sfortuna di nascere o diventare sordo, il solo caso in cui il suono esiste, ma non è possibile percepirlo.
Inoltre, il sordo è anche spesso oggetto d’ilarità in commedie o barzellette non riconoscendogli l’infelicità che deriva da quella condizione.
Orson Welles, (non ricordo in quale suo cortometraggio) rivolge ad alcuni suoi amici intellettuali una domanda: «Perché quando in scena appare un sordo che dice protendendo la testa “Cheee?... Cheee?” il pubblico ride, mentre quando avanza un cieco mani tese in avanti dicendo “Dov’è?… Dov’è?” lo stesso pubblico, commosso, non reagisce?»
Seguono risposte confuse.
Al di là delle speculazioni filosofiche sul silenzio, per coloro che sono privi dell’udito è un grande dramma, gravissimo handicap.
La casa editrice Adelphi ha pubblicato in una nuova edizione ampliata Vedere voci Un viaggio nel mondo dei sordi che reca la firma di un grande studioso: il famoso Oliver Sachs (Londra, 9 luglio 1933 – New York, 30 agosto 2015), medico, chimico, scrittore, neurologo e accademico britannico.
Per una sua biografia: CLIC!
Scrive Sachs: “Anni fa non sapevo nulla della condizione dei sordi e non avrei mai immaginato che essa potesse far luce su tanti àmbiti diversi, soprattutto in quello del linguaggio. Poi, e fu una scoperta sorprendente, venni a conoscenza della loro storia e delle straordinarie sfide (linguistiche) che essi devono affrontare; scoprii anche, con meraviglia, che esisteva un linguaggio completamente visivo, fatta di Segni, che si esprimeva in una modalità diversa dalla mia lingua, il parlato (…) Lo studio dei sordi ci mostra che in buona parte le nostre facoltà precipuamente umane – possedere un linguaggio, pensare, comunicare, creare una cultura – non si sviluppano in modo automatico, non sono solo funzioni biologiche, ma hanno anche un’origine sociale e storica, esse sono un dono – il più meraviglioso dei doni – che una generazione fa all’altra.

Vi sono fondate ragioni – qui riassumo quanto sostiene nelle sue pagine Sachs – per supporre che la competenza linguistica generale sia determinate geneticamente e sia essenzialmente la stessa per tutti gli umani. Ma la forma particolare di grammatica, chiamata da Chomsky ‘grammatica superficiale’ è determinata dall’esperienza dell’individuo: non è un patrimonio genetico, ma una conquista epigenetica. Essa viene appresa, o meglio si evolve, attraverso l’interazione tra una competenza linguistica generale dell’esperienza. Esperienza che nei sordi ha natura peculiare, anzi unica, perché ha modalità visive.
“Vedere voci”- nell’eccellente traduzione di Carla Sborgi - partendo dal nucleo di pensiero prima sintetizzato, si apre a una serie di temi e problemi che vanno dalla psicologia sociale a spunti più propriamente sanitari. Sachs è tra i pochissimi che agendo nell’àmbito delle neuroscienze mai si abbandona a ipotesi romanzesche.
Libro che è di lettura obbligatoria non solo per chi opera medicalmente del campo della sordità, ma pure per chi ne è direttamente o indirettamente investito (si pensi a familiari ed amici dei privi d’udito). E resta, comunque un volume affascinante anche per la storia degli studi condotti sulla sordità lungo varie epoche.

Dalla presentazione editoriale.

«In questo libro Oliver Sacks abbandona il terreno dei disturbi neurologici per indagare un altro mondo, che generalmente viene ignorato: il mondo dei sordi. Qui, come in altri casi di menomazione, Sacks riesce a scoprire che il meno può anche nascondere un più: per esempio, una capacità acutissima di sviluppare l’esperienza visiva – base, questa, su cui si è formato un affascinante linguaggio visivo, i «Segni», che permette ai sordi di costituire comunità. Ancora una volta, è l’enorme dono di empatia, in Sacks, a guidare l’indagine, che toccherà alcuni problemi fondamentali del rapporto fra parola, immagine e cervello, ma anche renderà conto di esperienze dirette dell’autore, sino alla sua partecipazione alla rivolta nell’unica università per sordi al mondo, la Gallaudet University, nel marzo 1988. Per questa nuova edizione italiana, Sacks ha scritto una prefazione nella quale delinea la storia dei sordi in Italia, e racconta della sua visita, nel novembre 1990, alla comunità dei sordi e alla scuola di via Nomentana a Roma».

Osservo il silenzio. Perché il silenzio non si sente ma si vede.
Albert Camus

………………..……………..

Oliver Sachs
Vedere voci
Traduzione di Carla Sborgi
Pagine 256, Euro 13.00
Adelphi


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