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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Polemiche di Céline


A quasi cinquant’anni dalla morte di Céline (1894 – 1961) se da una parte c’è ormai unanimità nel considerarlo uno dei più grandi scrittori esistiti nel XX secolo, dall’altra non è sopita la querelle dovuta all’accusa di antisemitismo che gli procurò il carcere, l’esilio, la confisca di tutti i beni in suo possesso e di quelli futuri, costringendolo a vivere con i pochi soldi della pensione di ex-combattente. Inoltre nei suoi riguardi, in prima fila Jean Paul Sartre (da Céline chiamato Tartre), si mobilitarono in tanti ottenendo che fosse bandito da antologie e dizionari. Anche in Italia, lo scrittore francese subì nel dopoguerra per anni il silenzio sulle sue opere fino a quando, nel 1962 fu ristampato, però pressoché ignorato, da Dall’Oglio “Viaggio al termine della notte” (pubblicato in Francia nel 1932), ma soprattutto allorché due anni dopo uscì “Morte a credito”, tradotto splendidamente dal poeta Giorgio Caproni, con un saggio introduttivo di Carlo Bo.

L’editore Guanda ha mandato in libreria una nuova testimonianza su Céline: Polemiche 1947 - 1961.
Si tratta di sette colloqui realizzati da altrettanti giornalisti lungo un periodo che va dall’immediato dopoguerra fino all’anno in cui morì l’autore che spese gli ultimi anni, lui medico, a visitare gratuitamente, sempre rifiutando l’etichetta di filantropo, i poveri che gli si rivolgevano.
Delle sette interviste, pur tutte veementi per ragionamenti e linguaggio, sono le prime a risultare le più crude, quelle fatte durante il periodo del suo esilio in Danimarca (dall'estate del 1948 all'estate del 1950) passato a Korsoer, in una capanna sulle rive del Baltico, l’abitazione non ha gas, elettricità, acqua, ma quel che più pesa a Céline è la solitudine.
Questo volume è molto interessante perché mostra, da parte degli intervistatori, una grande varietà di atteggiamenti: da quella di François Nadaud notevolmente avverso a Céline all’intervista di Chambri (pseudonimo di Pierre Monnier) schierata dalla parte del romanziere. Attraverso questi vari comportamenti meglio emerge la figura dell’intervistato che non dispone le risposte modulandole su chi ha di fronte, ma con tutti lancia la sua stessa invettiva sul mondo e reclama la propria innocenza. Già, perché in senso strettamente giudiziario, mai il grande narratore ha scritto su di un giornale collaborazionista, mai è stato consulente in qualunque maniera dei tedeschi, ha sempre parlato malissimo del “massone” Pétain, né per lo stesso sovversivo linguaggio che usa nei suoi libri può essere da alcuno, se provvisto di buona fede e di buon senso critico, apparentato ad uno scrittore fascista.
E allora? Era accaduto che in alcuni suoi scritti – primo fra tutti “Bagattelle per un massacro” – il suo violento antisemitismo, pronunciato in anni in cui l’autore era famoso e acclamato, servì ai nazisti (molti dei quali mal tolleravano il suo stile) per legittimare la loro stragista campagna antiebraica; inoltre (e qui Céline ammette nelle interviste il suo sbaglio): “Ho peccato credendo al pacifismo degli hitleriani, ma lì finisce il mio crimine”.
E’ diffusissima abitudine giudicare grandi figure alla luce della loro condotta morale, politica, eppure non mancano esempi nella storia personaggi imponenti nelle arti e nelle scienze che hanno commesso gravi errori o peggio; perché non è possibile separare il giudizio sulle grandi opere da loro prodotte da scelte o comportamenti condannabili?
Ha scritto Céline in “Morte a credito”: È il nascere che non ci voleva.

Per una scheda sul libro: QUI.

Louis-Ferdinand Céline
“Polemiche”
Traduzione di Francesco Bruno
Introduzione di Ernesto Ferrero
Pagine 128, Euro 12.50
Guanda


Con gli occhi di un cerbiatto


Tra i temi politici che sempre più emergeranno nel prossimo futuro, c’è l’animalismo.
Insieme con quelli degli orientamenti sessuali e del postumanesimo determineranno nuove visioni del mondo, ma di questo sono ben lontani dall’accorgersene chi guida le società; in Italia poi…
Nei paesi anglosassoni, c’è indubbiamente più attenzione – anche se ancora insufficiente – verso quegli argomenti (con le incluse questioni: dal clima alla ricerca scientifica, dai diritti civili all’economia), che imporranno un nuovo modo di rapportarsi con l’evoluzione di noi umani alla luce di una nuova etica.
L’animalismo appartiene a una nuova morale perché come scrivevo – e mi scuso per l’autocitazione – in una precedente nota: “Sono molti gli errori che l’animale uomo commette verso gli altri animali. Il primo è quello d’immaginare una propria superiorità naturale. Ecco perché la Chiesa detesta tanto Darwin che – come sostiene lo storico delle scienze Daniel Kevles – “ha osato ficcare il naso nella narrazione giudaico-cristiana dell'origine della vita detronizzando l'uomo dalla sua speciale posizione in cima alla scala biologica, sottraendolo all'autorità morale della religione”.
L’avanzare delle scienze e della tecnologia va sempre più dimostrando (si pensi alla risonanza magnetica neuronale, una delle tecniche di neuroimaging funzionale di sviluppo più recente) come anche animali non umani posseggano un sistema emozionale simile al nostro che, pur attivandosi attraverso stimoli visivi o uditivi spesso (ma non sempre) diversi dai nostri, fa provare loro gioia, dolore, paura, affetti, e altri sentimenti”.

La Longanesi ha mandato in libreria un testo che sul nostro rapporto con gli animali è illuminante. Si tratta di Con gli occhi di un cerbiatto La vita segreta degli animali del bosco firmato da Elizabeth Marshall Thomas.
L’autrice è una delle più note antropologhe americane, considerata fra le più sensibili e attente al mondo degli animali. Si è conquistata la fama internazionale con il bestseller La vita segreta dei cani, un saggio pionieristico di psicologia animale rimasto per quasi un anno in testa alle classifiche del New York Times. Grande successo hanno avuto anche La vita sociale dei cani e La tribù della tigre. I felini e la loro cultura (tutti in catalogo Longanesi).
Vive in una fattoria a Peterborough, nel New Hampshire.

L’occasione per uno studio sui cerbiatti le fu offerta per caso. Nel 2007, una carestia di ghiande nel New Hampshire mise a repentaglio gran parte della vita selvatica della regione. Distribuì allora del mais in campi accanto a casa sua e più di trenta cervi si avvicinarono per sfamarsi. Da lì partì un’osservazione quotidiana del loro comportamento che permise a Elizabeth di studiare e svelare i complessi codici che regolano quella società in cui fa spicco la solidarietà.
Ecco un libro anfibio per età dei lettori: può essere letto da adulti e ragazzi e tutti noi umani abbiamo molto da imparare da quelle pagine.

Per una scheda sul libro QUI.

Elizabeth Marshall Thomas
“Con gli occhi di un cerbiatto”
Traduzione di Paolo Brovelli
Pagine 224, Euro 18.60
Longanesi


Due mostre in Piemonte

In un momento storico qual è quello che drammaticamente stiamo vivendo in Italia, vanno sempre più di moda revisionismi e amnesie. Perciò è tanto più importante ricordare, agli adulti di memoria corta e ai giovani che frequentano le disastrate aule gelminiane, il passato non troppo lontano del nostro paese, come quelle libertà ancora in vita furono conquistate, quali sono i diritti che proprio da quelle libertà ci spettano.
Queste degne cose, spesso, sono proposte, purtroppo, da polverosi convegni o spettacoli affidati a ribalte che risentono di un vetusto brechtismo oppure a mostre generose sì, ma consegnate a un tempo che non è in sintonia con le nuove ricerche espressive.
Ecco perché segnalo con gioia la mostra in corso a Torino Diritti al cubo un percorso multimediale e interattivo attraverso le parole della Democrazia progettata e curata dall’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” (links QUI) e dallo Studio Ennezerotre, realizzata dal Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà di Torino, con il sostegno della Compagnia di San Paolo, il contributo della Regione Piemonte e in collaborazione con Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova.

La mostra fa parte di un progetto più ampio iniziato con l’allestimento permanente del Museo “Torino 1938-1948. Dalle leggi razziali alla Costituzione”.

L’esposizione è una preziosa occasione di scambio e confronto sulla percezione dei diritti da parte di tutti i cittadini: adolescenti, cittadini di recente immigrazione, uomini e donne di tutte le età e tutte le provenienze sociali.
Sono trascorsi oltre sessanta anni dall’approvazione della Carta Costituzionale e grandi trasformazioni sociali e culturali hanno segnato il nostro Paese. La società italiana è cambiata, ci sono nuove problematicità e nuovi conflitti, ma per capire in quale modo i cittadini vivono e percepiscono i loro diritti e i loro doveri risulta utile seguire quest’originale percorso multimediale che, grazie alle nuove tecnologie, raccoglie ed elabora le scelte dei visitatori.
La mostra pone, infatti, il pubblico al centro dell’installazione: ogni visitatore seguirà un percorso di mostra diverso secondo la parola “chiave” scelta per esprimere la propria idea di democrazia: Costituzione – Lavoro – Libertà – Uguaglianza – Voto – Sicurezza e in base al personaggio i cui panni deciderà di vestire per il tempo della mostra.
L’interattività di cui si giova la mostra, sollecita riflessioni sui problemi, le aspettative e le difficoltà che la società in cui viviamo pone a ciascuno di noi. E’ un’esperienza per riflettere e per capire, per confrontarsi con gli altri e anche per mettere in discussione le proprie convinzioni.

I Servizi Educativi del Museo propongono laboratori didattici e visite guidate per le scuole.
Informazioni e prenotazioni al numero verde 800 55 31 30
Programmi dettagliati QUI.

“Diritti al cubo”
Corso Valdocco 4/A – Torino
da martedì a domenica 10.00 – 18.00
giovedì 14.00 – 22.00
Info: 011 – 43 61 433
Ingresso libero
Fino al 19 dicembre 2010

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Elio Garis

Altra mostra che Cosmotaxi consiglia è Dentro la scultura, a cura di Patrizia Bottallo e Diego Bionda che presentano al Museo Clizia di Chivasso sculture di Elio Garis.

L’esposizione è organizzata in collaborazione tra la Fondazione 900, Martin - Associazione Martini Arte Internazionale e l’Assessorato alla Cultura della Città di Chivasso.

Lo scultore prende ispirazione da ciò che lo circonda e dalla materia stessa, ed è proprio la materia che ha iniziato Garis all’arte della scultura: prima l’argilla poi la ceramica, il vetro, le sabbie, la pietra, il gesso, il bronzo, tutto in continua sperimentazione: “... mentre plasmo, è la materia che a volte m’indirizza, ... pian piano diventa autonoma, e come se stessimo crescendo insieme... Una scultura tende all’esistenza vivente, in un certo senso vuol essere viva, pulsante dal suo interno. Deve avere ossa, muscoli e tendini che la sostengono, deve essere qualcosa in più di un contenitore o di qualcosa che occupa lo spazio a discapito dell’aria ”.
Gli spazi interni ed esterni del Museo sono arredati da circa settanta opere tra sculture e bozzetti preparatori.
La prima parte dell’esposizione prevede una sezione dedicata esclusivamente agli inediti in ceramica, realizzati dall’artista durante la sua prima fase di sperimentazione, successivamente si vedono grandi sculture di bronzo lucidato a specchio e in bronzo nero, e in ultimo una serie di bozzetti preparatori per opere di dimensioni monumentali realizzate per l’occasione e distribuite nella città di Chivasso, come il grande arco di lastre d'acciaio corten dal titolo “INarco”.

Per immagini: QUI.
Per visitare il sito dell’artista: CLIC!

Elio Garis
“Dentro la scultura”
Museo Clizia Palazzo “Luigi Einaudi”
Lungo Piazza D’Armi 6, Chivasso (TO)
mercoledì 9.30-12. 30
giovedì e venerdì 16.00-19.00
sabato e domenica 10.00-12.00 e 16.00-19.00
Infotel: 011 - 910 35 91; info@fondazione900.it
Ingresso libero
Fino al 31 ottobre 2010


Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web, si segnala che entrambe le mostre sono promosse dall’Ufficio Stampa di Emanuela Bernascone.
info@emanuelabernascone.com
tel +39 011 - 197 14 998-9; fax +39 011- 197 16 566


La Chiesa e gli Animali

Già alcune volte in questa rubrica sono apparsi servizi sull’animalismo. Quest’anno, però, sarà dato ancora più spazio a quel tema che va sempre più acquistandolo, però mai tanto quanto merita. Non a caso, quindi, tra pochi giorni, ospiterò Danilo Mainardi nella mia taverna spaziale sull’Enterprise.
Il tema è reso ancora più attuale dallo sconcertante provvedimento approvato dall’UE giorni fa che prevede la possibilità di usare per la sperimentazione (leggi pure vivisezione) cani e gatti "vaganti" (cioè randagi). Del provvedimento potranno beneficiare non solo le case farmaceutiche, ma anche quelle produttrici di cosmetici.
Vivaci le proteste degli animalisti, 40 eurodeputati hanno abbandonano l'aula, ma l’improvvido provvedimento resta.

Sono molti gli errori che l’animale uomo commette verso gli altri animali. Il primo è quello d’immaginare una propria superiorità naturale. Ecco perché la Chiesa detesta tanto Darwin che – come sostiene lo storico delle scienze Daniel Kevles – “ha osato ficcare il naso nella narrazione giudaico-cristiana dell'origine della vita detronizzando l'uomo dalla sua speciale posizione in cima alla scala biologica, sottraendolo all'autorità morale della religione”.
L’avanzare delle scienze e della tecnologia va sempre più dimostrando (si pensi alla risonanza magnetica neuronale, una delle tecniche di neuroimaging funzionale di sviluppo più recente) come anche animali non umani posseggano un sistema emozionale simile al nostro che, pur attivandosi attraverso stimoli spesso (ma non sempre) diversi dai nostri, fa provare loro gioia, dolore, paura, affetti, e altri sentimenti.
Su quel provvedimento UE di cui ho già detto, spero molti abbiano notato l’assenza di una protesta del Vaticano. Sorprenderci? No. Ed ecco anche perché oggi voglio presentare un libro che recente non è, ma che per i suoi contenuti è attualissimo: La Chiesa e gli Animali La dottrina cattolica nel rapporto uomo-animale.
Lo ha pubblicato l’editore Alberto Perdisa.
L’autore del pregevole studio è Marco Fanciotti (Milano, 1977), laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ha approfondito la tematica animalista con la guida di Valerio Pocar che firma la prefazione al volume.
Pocar, è anche uno dei presidenti onorari dell’Uaar (QUI alcuni suoi articoli e QUI in video un suo intervento sulla bioetica.

A Marco Fanciotti ho rivolto alcune domande.
Qual è stata la principale motivazione che ti ha spinto a scrivere questo libro?

Paradossalmente la motivazione a “perlustrare” la posizione della chiesa in tema di animali non umani scaturisce dall’educazione profondamente cattolica da me ricevuta. Un’educazione che, come sovente accade, si presentava come acritica, dogmatica e sostanzialmente contraddittoria in relazione al messaggio originale di quell’uomo chiamato Gesù di Nazareth. Al punto che iniziai ad interrogarmi sul trattamento che le stesse società (sedicenti) cristiane riservano agli animali non umani, convincendomi che il tollerare, o più spesso l’agevolare, determinate pratiche fosse qualcosa di così scandalosamente anticristiano da necessitare di una denuncia la più puntuale ed analitica possibile, come spero di avere condotto nel mio libro.

Esiste una differenza tra cristianesimo e religioni da esso derivate (prima fra tutte quella cattolica) nella visione del mondo degli animali non umani?

La differenza tra il messaggio più autenticamente cristiano e la sua non-applicazione nel magistero della chiesa cattolica è esattamente la colonna portante del libro, e in sostanza la tesi che perseguo in ogni capitolo. Ed anzi mi spingo oltre, sostenendo che, sul tema del rapporto esistente tra uomo e animali, è addirittura improprio parlare in termini di “differenze”, riscontrandosi in realtà una vera e propria “antitesi” tra quanto le stesse scritture ci invitano a compiere ed il comportamento cui la chiesa, al contrario, esorta i fedeli ad uniformarsi. Dal sostenere la vivisezione al benedire la caccia, dall’approvazione dei circhi con animali al “sacro” (sic) utilizzo degli animali per cibarsene... non è posto alcun serio limite al massacro di qualsiasi altra creatura di Dio che esuli dalla specie umana, abbandonandosi ad un blasfemo delirio di onnipotenza, in virtù del quale c’è solo da sperare che Dio non esista davvero!.

Il tuo libro cita molte agghiaccianti pagine (encicliche e altri documenti dei Papi) della Chiesa di ieri e di oggi che negano non solo pari diritti, ma ogni diritto agli animali.
Qual è l’origine di quelle poco sante parole?

All’origine delle terribili affermazioni cui ricorre la chiesa riguardo agli animali ritengo che concorrano diversi fattori, che nel libro esplicito maggiormente, e che possono sinteticamente essere riconducibili al primo impatto del cristianesimo col paganesimo romano che in parte ne corruppe l’originale purezza, al considerare “norma” ciò che era stato concesso come “eccezione” (la dieta carnivora, ad esempio), al lucro che la chiesa stessa ricava grazie a determinate pratiche (la sperimentazione ne è un caso emblematico). Consideriamo inoltre che, in termini animalisti, porre determinati imperativi morali ai suoi fedeli porrebbe oggi la chiesa in una seria posizione d’impopolarità che ne potrebbe minare la stessa esistenza (pensiamo solo ai giganteschi interessi economici che andrebbe a toccare nelle fondamenta).

Xenotrapianti. Che cosa puoi dirci su questo tema?

Gli xenotrapianti, in un’ottica cristiana, rappresentano un tema tanto delicato quanto complesso poiché, oltre all’usuale problema morale relativo all’utilizzo degli animali per i nostri egoistici interessi, sorge anche un interrogativo etico inerente all’integrità della creazione che la pratica in questione, e soprattutto la correlata manipolazione genetica che sovente ne è un triste preludio, può mettere in pericolo. Pensiamo, ad esempio, ad un animale il cui patrimonio genetico sia stato modificato e del quale si perda il controllo. Quali conseguenze potremmo dover fronteggiare in questo caso, non è dato saperlo. Ed ancora, pensiamo al principio secondo il quale l’uomo, manipolando il patrimonio genetico finanche a “creare” la vita mediante la pratica della clonazione, possa quasi sostituirsi al ruolo che, per un credente, dovrebbe esclusivamente appartenere all’onnipotente. Tutto ciò, in un’ottica cristiana, dovrebbe rappresentare una sorta d’inviolabile tabù.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Marco Fanciotti
“La Chiesa e gli Animali”
Prefazione di Valerio Pocar
Pagine XVIII + 134, Euro 15.00
Alberto Perdisa Editore


Rubando rubando


Tra i libri che dovrà consultare chi in futuro vorrà studiare gli anni italiani dall’ascesa di Craxi ad oggi, non potranno mancare quelli di Mario Guarino.
Inviato per molti anni del Gruppo Rusconi-Hachette, ha collaborato a testate quali «Gente», «L’Europeo», «Il Mondo», «Avvenimenti-Left»; ha ricevuto il premio giornalistico ‘Mario Pannunzio’.
Il suo racconto di fatti e misfatti è tanto puntuale quanto implacabile, tanto sferzante quanto documentato; ogni giudizio, infatti, è sorretto, da certificazioni che risalgono a esiti giudiziari, a riscontri oggettivi.
Come accade in questo libro Ladri di Stato – dall’eloquente sottotitolo: “Storie di malaffare, arricchimenti illeciti e tangenti” – stampato dalle Edizioni Dedalo.
Per la stessa casa editrice ha già pubblicato: Poteri e segreti della criminalità;L'orgia del potere ; Gli anni del Disonore; Veronica & Sivio.
Altri suoi libri-inchiesta: “Berlusconi. Inchiesta sul signor tv” (1987, 1994); “L’Italia della vergogna” (1995); “Fratello P2. L’epopea piduista di Berlusconi” (2001).

Il volume prende in esame quattro ‘Onorevoli Predoni’ e così è scritto nell’Introduzione: Si tratta di Bettino Craxi, Cesare Previti, Marcello Dell’Utri, Vittorio Sgarbi. Tutti incappati in inchieste della magistratura e condannati in via definitiva per reati finanziari (tangenti, truffe e corruzione) e, comunque, per fatti per i quali si sono arricchiti alla grande. Condanne confermate in Cassazione e, dunque, passate in giudicato. Tutti e quattro – guarda caso – legati a Berlusconi, personalmente e politicamente. Nel presente libro, dopo ogni capitolo – dedicato a ciascuno – ci sono gli “affari” che li hanno visti protagonisti negli ultimi vent’anni: documenti catastali di compravendite di immobili. Case, terreni, ville acquisite grazie anche al denaro dei cittadini che pagano le tasse.

E Marco Travaglio nella Prefazione: “... il nuovo libro di Guarino è un documento impagabile per riassumere in tre tappe – sentenze, intercettazioni, visure catastali alla mano – la follia paranoide che ha imprigionato l’Italia nel lungo incubo chiamato Seconda Repubblica, ottenebrando le migliori menti del Paese e rendendole incapaci di distinguere le guardie dai ladri e dai truffatori. Cioè fra Mani pulite e Tangentopoli. Un periodo buio di cui Piercamillo Davigo ha detto di recente: «Fra qualche anno, quando sarà tutto finito, gli storici tenteranno vanamente di comprendere la nostra epoca. Alla fine penseranno a un’epidemia...».
Invece era tutto vero”.

Qui un'intervista radiofonica con Mario Guarino su “Ladri di Stato”.

Per una scheda sul libro e l’Indice: CLIC!

Mario Guarino
“Ladri di Stato”
Prefazione di Marco Travaglio
Pagine 304, Euro 16.00
Edizioni Dedalo


Es.terni 5


Tempo fa durante un’intervista con Brunella Eruli, francesista e studiosa d’arte contemporanea, mi fu detto: Quando vedo lunghe code per entrare ad una mostra di nomi famosi, sono assalita da due opposte reazioni: una che dice, beh, tutto sommato il gusto del pubblico é cambiato; ma l'altra mi dice: perché queste persone fanno la coda per vedere Picasso, ma non s'interessano ai Picasso di oggi, non sanno riconoscerli, non gliene importa niente. Vogliono il marchio di fabbrica, il bollo dei critici, il prezzo del mercato. La sicurezza dell'investimento del loro tempo.

Se non fossi ateo, direi: parole sante! Dirò, invece, parole sagge.
Ecco perché seguo con interesse quei Centri (sempre di minore numero, grazie anche ai tagli ai finanziamenti per la cultura apportati dal nostro governo) che s’impegnano nell’area della ricerca di operatori e filoni nuovi.
Fra questi, da anni segnalo il maiuscolo gruppo ternano Indisciplinarte che attraverso un duro lavoro organizzativo, un’audace e ragionata direzione artistica e un sapiente piano di comunicazione dell’Ufficio Stampa, ha realizzato, sempre in crescendo, una ribalta non solo italiana per giovani e meno giovani ricercatori.
Il tutto si condensa in Es.terni 5, Festival internazionale dedicato alla creazione contemporanea, giunto in questo 2010 alla sua quinta edizione, ma durante tutto l’arco dell’anno non mancano appuntamenti per mostre, concerti, incontri di studio, presentazioni di libri.

In foto: un’immagine tratta dallo spettacolo in cartellone del Gruppo Fosca: “MMFight - muddy moddy fight”.

L’attenzione di Es.terni è centrata sui nuovi linguaggi, sul rapporto fra schermo e monitor, scena e suono, attraverso spettacoli teatrali, live-media, concerti, azioni performative, installazioni audiovisive, danza, video art, proponendo forme espressive ispirate all’interlinguaggio, all’intercodice.
Una felice occasione per verificare lo stato dell’ibridazione fra i generi. Un incontro che lancia lo sguardo nella nuova ottica delle arti oggi mosse da motivazioni e tecniche che sono vissute, e vanno fruite dal pubblico, con nuove modalità concettuali e nuovi traguardi sensoriali.
Durante gli undici giorni del festival la città si trasforma in un distretto creativo dove spettatori e artisti s’incontrano e confrontano, approfondendo le contaminazioni proposte dal programma che si muove in una dimensione fluida, dove le arti esplorano trasversalmente diversi territori espressivi.
Quest'anno il Festival coinvolge tutta la città perché molte occasioni sono state dislocate in vari punti di Terni con interventi urbani, azioni partecipative, esperienze artistiche in luoghi non convenzionali in cui la città stessa è protagonista.
Anche in quest’edizione il centro del festival sarà il Caos (Centro Arti Opificio Siri), che, inaugurato il 28 marzo 2009, si compone di 6000 mq in cui agiscono il museo d'arte moderna e contemporanea "Aurelio De Felice", spazi espositivi temporanei, il museo archeologico, la biblioteca delle arti, il nuovissimo Teatro Sergio Secci inaugurato lo scorso 22 maggio.

Es.terni 5 è un’ideazione di Indisciplinarte, Compagnia del Pino e Demetra in un tavolo progettuale con l’Assessorato alla Cultura - guidato da Simone Guerra - del Comune di Terni e il Teatro Stabile dell'Umbria .
Il progetto è curato in collaborazione con Civita.

Per conoscere nomi, date, orari del programma: CLIC!

Ufficio Stampa Festival es.terni
Indisciplinarte: Luca Dentini
+39 340 – 38 86 992
stampa@indisciplinarte.it
stampa@exsiriterni.it

Civita:
Barbara Izzo, izzo@civita.it; +39 06692050220
Arianna Diana, diana@civita.it;+39 06692050258

ES.TERNI - V edizione
Dal 23 settembre al 3 ottobre 2010
Caos, Viale Luigi Campofregoso 98
info@caos.museum.it
Tel: +39 0744 285946 / +39 0744 425153


Un libro necessario


Nel 1964 fu pubblicato un libro che ebbe tanto successo da aggiudicarsi in una settimana i premi letterari Viareggio e Campiello. Era la cronaca autobiografica – scritta con grandi meriti stilistici – d’un lunghissimo periodo di sofferenza psichica subita da Giuseppe Berto (1914 – 1978), titolo: Il male oscuro.
Ecco perché anni dopo s’è avuto un nuovo titolo che, affrontando lo stesso tema, volutamente riecheggia l’altro e così abbiamo E liberaci dal male oscuro Che cos’è la depressione e come se ne esce, frutto di una lunga, appassionante, intervista condotta dalla giornalista Serena Zoli a colloquio con lo psichiatra Giovanni B. Cassano.

Nella riedizione, aggiornata e ampliata, adesso mandata in libreria dalla casa editrice Tea, l’autrice giustamente rivendica l’importanza di quel suo lavoro che segnò un’importante tappa della divulgazione scientifica in Italia. Incoraggiò, difatti, molti (il 48% della popolazione ha sofferto almeno una volta nella vita di un disagio psichico) a rivolgersi per la prima volta a uno psichiatra senza più temere quella parola che indica una specializzazione medica un tempo fonte di terrore e vergogna insieme. S’andava, infatti, dal neurologo o dallo psicanalista. Dopo la pubblicazione di quel libro, le cose cambiarono. Anche se all’epoca dell’uscita del volume (1993), come ricorda la Zoli, molti tra gli stessi psichiatri non erano all’altezza delle domande rivolte loro. Oggi, grazie anche all’evolversi della neurofarmacologia, le cose sono cambiate in meglio.
La sofferenza psichica assume varie forme. E qui si apre uno scenario di molteplici ipotesi per curare quei tormenti; sostanzialmente si fronteggiano due posizioni, una organicista (detta anche psichiatria biologica) e l’altra chiamata cognitivista. All’interno di questi due schieramenti scientifici, vivono poi varie correnti di pensiero che giungono a diversi approdi terapeutici.
Non m’azzardo ad entrare in quel dibattito, mi mancano gli strumenti per farlo. Gradirei, però, che anche altri, come me non attrezzati, evitassero d’avventurarsi in dichiarazioni su quel campo.
Perché se si parla di cardiologia si lascia la parola agli specialisti e se, invece, si discute di psichiatria tanti si sentono in diritto d’esprimersi? Perfino evocando ideologie politiche?
Non c’è dubbio che il male psichico risenta d’ambienti sociali (ma perché le cardiopatie no?) in modo più marcato rispetto ad altri malanni che ci acciaccano, ma da qui a farsi esperti, ce ne corre. Vorrei che a parlare fossero i medici e i loro pazienti, le sole due categorie le quali, con diverse matrici, hanno la competenza per pronunciarsi.
E se è vero che non è necessaria una laurea in medicina per dire che Basaglia aveva ragione, è altrettanto vero che occorrono studi scientifici o esperienze di sofferenza per dibattere poi seriamente sulla questione.
Serena Zoli – lei stessa vittima a lungo della depressione – conduce un’intervista esemplare riuscendo – attraverso le parole di Cassano – dapprima a smantellare molti luoghi comuni sul ‘male oscuro’, per poi passare a illustrare termini scientifici, classificare sintomi, attraversare vari temperamenti patologici, illuminare tecniche di terapie.
Gli apparati presenti nel volume offrono plurali occasioni d’informazione. Ad esempio un’antologia di brani d'autori famosi d’ogni epoca che trattano sofferenze della psiche. Colloqui con Louis Bertagna, lo “psichiatra degli artisti”, e Federico Fellini. Una serie di testimonianze sul tema da parte di molti nomi noti colpiti da quel male: da Indro Montanelli a Luca Canali, da Pietro Citati a Valeria Moriconi, da Ottiero Ottieri a Oriella Dorella, da Vincenzo Consolo a Rod Steiger, da Vittorio Gassman a Ornella Vanoni.
Quest’ultima, è diventata oggi amica di Letizia Moratti e ha dichiarato di volersi impegnare in politica; evidentemente ha avuto una ricaduta.
Di sicuro, al termine della lettura, alquanti si chiederanno: ma è meglio andare da uno psicanalista o da uno psichiatra? Serena Zoli, prevedendo la domanda, risponde: se vai da uno psicanalista sbagliato te ne accorgerai dopo qualche anno, se hai sbagliato psichiatra te ne avvedrai dopo qualche mese.

Concludendo, questo E liberaci dal male oscuro è un libro necessario. Necessario a chi soffre di depressione per meglio analizzare il proprio disagio, necessario a chi voglia informarsi su di un aspetto non secondario della vita dei nostri giorni, necessario a chi lavora nell’informazione così evita di dire sfondoni come spesso capita di sentire.

Per una scheda sul libro: QUI .

Serena Zoli
Giovanni B. Cassano
“E liberaci dal male oscuro”
Pagine 448, Euro 9.00
Edizioni Tea


Indemoniato

Visto chi è ritratto in copertina, qualcuno può pensare a male, invece no: pensi al peggio.
Senza scarpine rosse di Prada, ma con una scandalosa sciarpa biancoceleste da supporter della Lazio, indemoniato è, infatti, l’autore del libro: Stefano Disegni.
E’ uno dei nostri migliori fumettisti, e fra i pochissimi autenticamente multimediali perché non solo disegnatore ma musicista rock, scrittore, autore tv; per saperne di più su ciò che ha ben fatto e le sue tante malefatte, cliccate su questo sito.
Indemoniato – edito da Baldini Castoldi Dalai – raccoglie il meglio della sua produzione più recente e reca il sottotitolo Pura furia satirica. Più che un autore una bestia; in molti condividiamo la prima parte di quel sottotitolo, ancora di più, pare, siano quelli che si dichiarano vivaci sostenitori della seconda.
Ma, aldilà di ammiratori e detrattori dell’indiavolato Disegni, questo volume che garantisce gran divertimento, suscita pensieri assai seri come sempre succede quando c’è di mezzo il ridere.
Oggi, la satira, specialmente in Italia, attraversa un momento assai difficile, ma è sempre stata malvista dal potere, fin da tempi antichi. Ne sa qualcosa Aristofane che scrivendo “La pace” s’attirò i violenti attacchi del bellicista generale Cleone che voleva la guerra contro Sparta, bellicista però non a caso perché quel guerrafondaio era un ricco conciatore di pelli, materiale indispensabile per gli eserciti greci. C’era insomma, come dire... un certo conflitto d’interessi. Va detto, però, che Cleone andò a quella guerra da lui voluta e vi trovò la morte, oggi c’è chi le guerre le fa fare agli altri, non ha il coraggio d’affrontare neppure un giudice, e fa le leggi a modo suo per evitarlo.
La satira, più è ben condotta, più fa imbestialire i potenti colpiti dall’arma più temuta da loro: la risata. Disegni, ben lo sa, e ben sa scoccare i suoi dardi dalla punta avvelenata d’inchiostro, così inevitabilmente s’attira l’odio dei corrotti (e, malignazzo, assai ne gode) mentre a noi da anni diverte e ci fa ridere.
E qui s’apre un’altra questione ancora, e ancora una volta, molto seria.
Che cos’è che ci fa ridere? Perché si ride? Tanti gli studi sull’argomento: da Hobbes a Bergson, da Schopenhauer a Kant, da Voltaire fino a Freud con “Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio” a Pirandello che col suo saggio “Sull’umorismo” tanto fece imbufalire Benedetto Croce (in verità quest’ultimo s’imbufaliva troppo spesso, ma mai quanto fa imbufalire me per come lui la pensa).
Di recente, poi, Jim Holt ha scritto «tentare di definire l’humour è già fare dell’umorismo» e, forse, ha centrato con un aforisma tutta la questione.
Sia come sia, l’indemoniata satira verbovisiva di Stefano Disegni è destinata a essere anche in futuro un testo importante per chi vorrà capire questi nostri oscuri anni… come dite?... è tifoso della Lazio?... vabbè, si sa, nessuno è perfetto.
Termino questa not… no!... che distratto!... dimenticavo di dire che la prefazione porta la firma di Marco Travaglio che così scrive: …non so a voi, ma a me Stefano fa questo effetto. Non gli resisto. L’ho conosciuto a metà anni Novanta nella redazione di Cuore. Arrivava in moto, tutto vestito di pelle nera. Pensavo fosse matto, anzi: ne ero sicuro. Poi, dopo la chiusura di Cuore, lo persi di vista per qualche anno, finché ci rincontrammo all’Unità di Antonio Padellaro, dove pubblicava una striscia settimanale nell’inserto satirico «M» (era quasi la sola cosa che mi facesse ridere di quell’inserto). Antonio mi chiamava il sabato per leggermela in anteprima, anche lui singhiozzando dalle risate. Quando abbiamo fondato Il Fatto, è stato il primo che abbiamo chiamato, anzi precettato, con largo anticipo sull’arruolamento dei giornalisti: il nostro nuovo giornale non poteva nascere senza Disegni.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Stefano Disegni
“Indemoniato”
Prefazione di Marco Travaglio
Pagine 136, Euro 24.00
Ed. Baldini Castoldi Dalai


Alle radici dell'Evo-Devo


Chi generosamente legge queste mie note, sa che talvolta mi occupo di tesi di laurea che mi sembrano degne d’attenzione per la loro originalità.
E’ il caso della tesi discussa presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza", nel luglio di quest’anno – relatrice Elena Gagliasso – da Federica Turriziani Colonna.
Titolo: Due paradigmi alternativi nell’embriologia del XIX secolo. Alle radici dell’“Evo-Devo Theory”.

La tesi è di carattere storico ed epistemologico: risale ai precedenti della teoria EVO-DEVO annoverando tra i precursori non solo la figura di Haeckel, ma anche quella di von Baer.
Ad un’amica di questo sito, l’epistemologa Maria Turchetto, ho chiesto di dire qualche parola sull'importanza che rivestono studi di questo genere. Così mi ha risposto.

Lo stato della filosofia, in Italia, non è dei migliori. L'eredità della cultura crociano-gentiliana ha prodotto un esercito di eruditi che studia propriamente storia della filosofia, un manipolo di specialisti che si occupano di logica e alcuni pomposi personaggi che ritengono di occuparsi di filosofia a tutto tondo inanellando discorsi sapienziali su Uomo, Mondo, Tecnica o Cose Ultime - tutto rigorosamente maiuscolo, per far capire che appunto di "filosofia" si tratta. Le cose più interessanti provengono oggi dal settore disciplinare della filosofia della scienza, ma la pesante eredità di cui sopra ha marginalizzato questi studi - che prima del prevalere dell'idealismo vantavano una tradizione di grandissimo prestigio - facendone uno specialismo di secondaria importanza accademica. Eppure proprio in questo campo emerge un ruolo possibile - e vorrei aggiungere dignitoso - per la filosofia: esplicitare le novità filosofiche presenti nelle attuali novità scientifiche, permettere in tal modo la circolazione di temi e di concetti oltre i confini disciplinari specialistici, collocare i nuovi risultati e le nuove tendenze in un più ampio contesto storico, sociale e culturale.

Mi piace ricordare che Federica Turriziani Colonna (in foto), è da qualche tempo una validissima redattrice del bimensile “L’Ateo”. Per leggere alcuni suoi articoli su quella rivista: CLIC!
A lei ho chiesto: qual è, in sintesi, il tema della tua tesi di laurea e che cosa ti ha spinto a occupartene in questi nostri anni che segnano l’ingresso nel XXI secolo?


Negli ultimi anni si è fatto strada nella biologia un approccio – noto con il nome di Evo-Devo - che tiene conto da un lato dello sviluppo embrionale degli individui (DEVO, che sta per “development”), dall’altro della storia evolutiva delle specie (EVO, che sta per “evolution”). Il presupposto dell’unificazione di questi due ambiti si trova già nella riflessione di due contemporanei di Darwin che si sono occupati di embriologia comparata, von Baer e Haeckel. Laddove però gli scienziati evo-devo liquidano la storia della propria disciplina accennando appena ai nomi dei precursori io, che dovevo esercitarmi nello sporco lavoro dell’epistemologo – il filosofo che si occupa delle nozioni più teoriche della scienza – ho deciso di leggere gli scritti di questi due embriologi per scoprire quanto ciascuno avesse realmente da offrire alla nuova disciplina.
Mi sono domandata perché l’Evo-Devo sia nato solo nell’ultimo ventennio e non prima e perché per molto tempo la biologia evolutiva e l’embriologia si siano ignorate. La risposta – provvisoria – che mi sono data è che occorreva un elemento che permettesse di pensare che i cambiamenti che riguardano l’intera stirpe si verificano in realtà già nel corso della formazione di ciascun individuo. Quell’elemento è stato scoperto negli omeogeni, una famiglia di geni responsabile dell’espressione di determinate strutture anatomiche in determinate posizioni del corpo e secondo tempi anch’essi determinati. Fra i numerosi meriti che ebbero i due embriologi di cui mi sono occupata c’è proprio quello di aver pensato alla formazione embrionale come ad un processo indagabile secondo metodi matematici e in relazione ai due fattori dello spazio e del tempo.
La mia è stata dunque un’esigenza storica e teorica dettata da un fatto che riguarda la biologia degli ultimi vent’anni
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Hai tradotto il testo settecentesco di John Toland dedicato a Ipazia.
A distanza di secoli che cosa ancora ci dice quella figura di donna e di scienziata?

La figura di Ipazia non rappresenta che un pretesto, oggi, per riflettere su temi che urgono un certo dibattito. Pensiamo alla morte di questa donna: fu un assassinio messo a punto per stabilire un equilibrio politico fra la parte civile e quella religiosa all’interno della città di Alessandria, nonché l’esito di un atteggiamento di grave fanatismo. Tutto questo non può che offrire un chiaro insegnamento – la storia insegna, bisogna vedere se gli uomini vogliano apprendere… - circa il rischio che si corre quando le religioni acquistano consensi e poteri presso le masse. Pensiamo ancora al suo sesso e alla sua attività: Ipazia fu donna e si occupò di scienza, e lo fece senza mai prostituire le sue idee a compromessi di sorta. È proprio così che si deve far scienza, salvaguardando l’autonomia intellettuale di chi vi opera, perché lo scienziato deve essere libero: da pregiudizi per parte interna, da compromessi per parte esterna.
Il senso della riscoperta di Ipazia è il medesimo che condusse Toland, l’autore del libricino, ad elaborare la propria opera, e va letto come un bisogno di ripensare il valore della laicità e dell’autonomia della ricerca scientifica in un luogo e in un tempo dove questi elementi non sono affatto scontati
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Darwin postumano

A differenza di altre epoche storiche che pure hanno visto svolte decisive nella storia dell’uomo e della sua cognizione di sé, l’attuale ha imposto un’accelerazione del vivere e viversi che ha caratteristiche del tutto nuove. Il postumanesimo è la corrente di pensiero che più intensamente si pone temi e problemi del futuro, e di quanto di esso è già contenuto nel presente, avendo percepito ch’è cambiato il futuro stesso.
La casa editrice Mimesis s’è provvista di una collana – Postumani – tesa a documentare quella tematica ancora poco diffusa nello scenario italiano e, spesso, trattata dai media in modo sensazionalistico. A dirigerla troviamo Antonio Caronia tra i nostri maggiori studiosi dei rapporti fra scienze e tecnologie, letteratura e comunicazione nell'arte.
Ed è proprio lui a firmare la prefazione a uno straordinario libro di Cristian Fuschetto intitolato Darwin teorico del postumano Natura, artificio, biopolitica.
Fuschetto è dottore di ricerca, svolge la sua attività presso il dipartimento di Filosofia “A. Aliotta" dell’Università ‘Federico II’ di Napoli; redattore di «Scienza&Società» (Pristem - Bocconi), e delle riviste telematiche S&F e Scienza&Arte.
Ha pubblicato Fabbricare l'uomo e ha curato Robot. scienza e coscienza delle macchine.

A lui ho chiesto: qual è la principale motivazione che ti ha spinto a scrivere questo libro?

Mi sono chiesto: cosa spinge oggi la gente a porsi ancora delle domande di senso? Senza dubbio la bioetica. Ecco, piuttosto che delle infinite questioni procedurali che stanno sfinendo anche questa giovane disciplina, mi sono concentrato sui suoi presupposti. In particolare su uno, vale a dire sul “bíos”, sulla vita di cui si vorrebbe ricercare un’etica. Il resto vien da sé: è forse oggi possibile parlare, ma soprattutto evitare di straparlare, di vita, delle sue trasformazioni e delle sue ricostruzioni artificiali senza tornare a Darwin? È possibile parlare di un’etica della vita senza riflettere sulla teoria che ha rivoluzionato il nostro modo di intendere il concetto di vita? Evidentemente no. Così ho cercato di chiarire innanzitutto a me stesso se il nuovo concetto di natura e di vita restituitici da Darwin abbiano in qualche modo influenzato il “secolo biotech”. Detto in altri termini, ho cercato di capire se la costruzione della “vita artificiale” che da Craig Venter in giù oggi è prassi nei laboratori di tutto il mondo, non abbia già i suoi presupposti nell’idea di un vita evolutasi per selezione naturale. A pensarci bene, la natura in continua evoluzione di cui ci parla Darwin non è poi così diversa da un laboratorio di forme sperimentali.

Nella sua ricca e interessante introduzione, Antonio Caronia scrive che tra i tuoi meriti c’è il lavoro che svolgi per “una rifondazione biologica del monismo”. Puoi spiegare in parole che siano chiare anche a non addetti ai lavori, quella tua preziosa indagine?

Mi piace spesso dire che Darwin ha fatto per la biologia quello che Einstein ha fatto per la fisica. Come Einstein, Darwin trova infatti una formula di convertibilità della materia in energia. Realizzare, come lui ha realizzato, una genealogia integralmente materialistica della mente e della morale equivale né più né meno che a tradurre la materialità del biologico nell’immaterialità dello spirituale. Roba da cibernetici! In modo molto schematico si può dire che Darwin, dimostrando la plausibilità della discendenza di forme di vita complesse da forme meno complesse, ha anche dimostrato la plausibilità della produzione di vita dalla sola materia e, di qui, la plausibilità della produzione di “intelligenza” o, se preferisci, della produzione di “anima” dalla sola materia vivente.

Il postumanesimo, talvolta, ha permesso rivendicazioni del termine anche in ambienti neonazisti (sia pur occultati dietro l’ambigua dizione di “Sovraumanesimo”). Da qui plurali sospetti – in buona e in malafede - sui teorici del postumano. Vorrei che tu indicassi qual è la linea demarcatrice (o l’abisso) che separa postumanesimo e nazismo…

Su questo intendo essere molto chiaro: il postumanesimo contraddice “in nuce” ogni forma di nazismo. In cosa consiste, infatti, il postumanesimo? Si può dire che il postumanesimo, così come l’umanesimo, altro non è se non una teoria dell'umano, un certo modo di vedere e interpretare l’uomo da parte dell’uomo. Ora, mentre l'umanesimo ha spiegato il fatto della plasticità dell'uomo ricercandone la causa nella sua diversità ontologica dal resto dei viventi (umanisti apparentemente molto lontani come Pico della Mirandola e come Sartre sono per esempio d’accordo nel ritenere che mentre gli animali sono determinati dalla natura a essere quello che sono, l’uomo è libero perché non ha alcuna natura), il post-umanesimo spiega il fatto della plasticità dell'uomo dicendo che l'uomo ha una natura filogeneticamente aperta all'alterità (l’uomo è diventato quel che è attraverso contaminazioni e ibridazioni). Già da queste indicazioni appare chiaro che il postumanesimo non ha né può avere nulla a che vedere con ideologie naziste e neonaziste, le quali per definizione si fondano tutte su una visione purista della natura umana. Infatti ciò contro cui i nazisti esercitavano la loro violenza omicida non erano tanto gli altri come tali, ma erano piuttosto gli ibridi, i “bastardi”, tutti quelli che venivano in qualche modo giudicati come appartenenti a categorie impure. Agli occhi dei nazisti il disabile, l’ebreo e lo zingaro non erano semplicemente l’Altro, ma erano l’Io e l’Altro insieme e, per questo, erano ancora più pericolosi; erano dei mostri da distruggere in nome della restaurazione dell’ordine. In questo senso nel mio libro ho provato a spiegare che, proprio a causa della comune tensione purista che abbraccia sia la tradizione umanistica sia l’ideologia nazista, il nazismo può essere provocatoriamente inteso come la “continuazione dell’umanesimo con altri mezzi”.
Il postumanesimo, invece, proprio grazie a una visione essenzialmente e coerentemente meticcia dell’uomo, si profila come il miglior antidoto a ogni forma di purismo. E il pensiero darwiniano, a mio avviso, gioca un ruolo fondamentale all’interno di questa rinnovata antropologia. Contro ogni violenza dicotomica è stato infatti Darwin ad avanzare – “postumanamente” – il pensiero di un uomo genealogicamente dischiuso nella sua stessa sostanza all’Alterità
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Per una scheda sul libro: QUI.

Cristian Fuschetto
“Darwin teorico del postumano”
Prefazione di Antonia Caronia
Pagine 154, Euro 14.00
Mimesis Edizioni


Piccola filosofia del mare


Più dei due terzi del nostro pianeta sono coperti dalle acque degli oceani e dei mari.
Quasi la metà (secondo l’età) del nostro corpo è fatta d’acqua. Non è acqua di mare, ma di quel mare assai risente se è vero che la nostra prima memoria è legata a quando eravamo esseri monocellulari dotati di motilità direzionale. Lo psicanalista Sàndor Ferenczi ci ha lavorato molto (e, secondo alcuni, forse, fantasticato troppo) su questo tema.
Sia come sia, un legame fra il liquido marino e il liquido posseduto nel nostro organismo è parallelo intellettualmente troppo ghiotto per non aver creato pensieri filosofici.

E’ quanto si analizza in un libro pubblicato da Guanda intitolato Piccola filosofia del mare Da Talete a Nietzsche di cui è autrice Cécile Guérard. Nata nel 1969, ha studiato filosofia alla Sorbonne. E’ pittrice e scrittrice. Ha scritto il romanzo “La femme en bleu” e il saggio “Petite philosophie pour temps variables”.

… la filosofia è nata sotto il segno dell'acqua - scrive la Guérard - nelle città greche dell'Asia Minore, sulle rive del mar Egeo e dello Ionio. Già Talete sosteneva che l'elemento liquido costituisce il principio del mondo, e che cos'era se non una talassocrazia quella che si stabilì sulle rive del Mare Nostrum? Il mare è presente nel pensiero dei più grandi filosofi: da Kant, che descrive il paese della verità come un'isola circondata da un vasto e tumultuoso oceano, a Nietzsche, che insiste sul silenzio del mare, fino ai grandi del XX secolo, come Foucault, per il quale il mare rappresenta l'insignificanza, la perdita di senso.
Da qui parte una fascinosa traversata che dell’acqua saggia la profondità che suscita sull’dea della vita e della morte, ci raggiunge una risacca di pensieri che lambiscono testi filosofici e letterari.
L’autrice – sapientemente tradotta da Leila Brioschi – non trascura alcun aspetto del mare (e della sua infelice dirimpettaia la piscina): che con la sua acqua prigioniera non stimola l’immaginazione […] al cinema accoglie i cadaveri usciti dall’armadio e si ricopre di banconote rubate da Gabin e Belmondo.

Di sicuro il mare suggerisce spiagge di partenze e isole di ritorno, cattura esistenze ora tra onde di gioia e ora tra vortici d’inquietudine, è superficie e abisso, specchio e cecità.
Ed anche sport e sesso. Leggendo questo libro di Cécile Guérard, andavo con la mente a quell’enciclopedia di leggende, vite, curiosità, imprese sul nuoto di Charles Sprawson e alle sensuali bracciate con cui la matura scrittrice francese Colette impartìva lezioni natatorie e non solo natatorie al giovanissimo Bertrand de Jouvenel.
Concludendo, un gran bel libro che termina con un saettante aforisma: Il mare è il nostro cruccio più bello.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Cécile Guérard
“Piccola filosofia del mare”
Traduzione di Leila Brioschi
Pagine 128, Euro 12.50
Guanda


Nerone


Era il 1975 quando Edoardo Bennato cantava “Meno male che adesso non c’è Nerone”. Non che nel ‘75 i fetenti in giro mancassero, ma dopo, come sapete, è andata persino peggio. Qualcuno potrà obiettare che di fronte all’epoca neroniana oggi si tratta solo di mariuoli (come un famoso mariuolo chiamò un altro mariuolo), ma non è così perché c’è anche tanto spargimento di sangue; se una volta a farlo scorrere erano le daghe ora ci sono gli esplosivi, ma di sangue se ne sparge lo stesso in tante stragi di casa nostra e cosa nostra.
Certo, Nerone non c’è più. Inutile cercarne il nome nella Cricca dei nostri giorni.
Nato ad Anzio il 15 dicembre del 37, finì male perché a 31 anni morì suicida a Roma, il 9 giugno del 68.
L’editrice Laterza ha mandato in libreria una festa di pagine che di Nerone racconta tutto, ma proprio tutto; libro adatto a letture per ragazzi (ecco un buon regalo da fare loro alla riapertura – drammaticamente gelminiana - di quest'anno scolastico), ma anche per noi adulti, sapiente ritratto di un’epoca e di un personaggio eccessivo e morboso.
La terribile storia di Nerone raccontata da Andrea Giardina, questo il titolo che va sul lungo rinunciando alla classica ripartizione autore-titolo-sottotitolo, ma preciso quant’altri mai in quel suo “raccontata”. Già, perché la storia narrata s’affida a una scansione di scrittura che sceglie i ritmi dell’oralità sicché sembra d’ascoltare un racconto fatto in voce che fa scorrere episodi, ora piccanti ora atroci, lungo una esposizione che, pur puntuale e còlta, è condotta con leggerezza, lontana da ogni accademismo.
Il merito di quest’operazione – corredata da disegni di Emanuele Luzzati – va (come il titolo già ricorda) a Andrea Giardina, un nostro grande storico come attesta la sua biografia scientifica.
Ed ecco che la vita di Nerone scorre davanti ai nostri occhi da quando nacque da Agrippina – bella e ambiziosissima, autoritaria e implacabile (“donna fallica” direbbe di lei uno psicoanalista) – fino alla fine accanto al suo amato liberto Faone.
Ne aveva combinate di tutti i colori, anche se con il crimine per cui più è ricordato (l’incendio di Roma) pare che, povera creatura, non c’entrasse proprio; anzi, molto si sia adoperato per soccorrere durante i giorni di quel disastro e molto abbia ben fatto nell’opera di ricostruzione.


A Andrea Giardina ho chiesto: che cosa principalmente ti ha interessato di Nerone tanto da spingerti a dedicargli questo lavoro?

Il fatto che più mi affascina è uno straordinario contrasto. La tradizione antica, sia pagana sia cristiana, lo ritrae come una belva, come il simbolo del potere dispotico che assume dimensioni mostruose e grottesche. Ma tra le pieghe della documentazione emergono dati dissonanti. Sappiamo che la plebe portò a lungo fiori sulla sua tomba, che i suoi immediati ed effimeri successori, Otone e Vitellio, dichiararono di volersi ispirare alla sua politica, che in Oriente comparvero dopo la sua morte alcuni falsi Neroni che suscitarono per qualche tempo l’entusiasmo delle masse. Un autore vissuto alcuni decenni dopo fa inoltre questa straordinaria dichiarazione: «Ancora oggi il mondo non si rassegna all’idea che Nerone sia morto, e molti lo rimpiangono». Questo contrasto è una sfida per tutti gli storici che si occupano di Nerone.

Come spieghi che Nerone, pur non mancando altri esempi, sia diventato uno dei più
grandi simboli del Male dell'antichità?

Perché la sua storia è assolutamente fuori del comune. Vi troviamo un repertorio terribile e affascinante: Nerone uccide il fratellastro, la madre, la moglie, l’amante, il maestro, perseguita i cristiani e nella persecuzione muoiono san Pietro e san Paolo. Vengono giustiziati i responsabili di congiure vere o presunte. Sotto di lui Roma è devastata da un incendio e i nemici lo accusano ingiustamente di esserne il responsabile. Nerone canta, fa l’auriga ed entusiasma le folle. E’ smodato in tutto, nell’odio come nell’amore, e spesso confonde i due piani. La sua sensualità non ha freni. Costruisce nel cuore di Roma la più splendida reggia mai concepita, la domus Aurea. Muore infine giovane e disperato. E’ per questo che Nerone è anche una delle più grandi star della storia del cinema: i film i cui egli compare da protagonista o sullo sfondo sono molte decine. Il suo successo non finirà mai.

Per una scheda sul libro e l’Indice: CLIC!

“La terribile storia di Nerone
raccontata da Andrea Giardina”
Disegni di Emanuele Luzzati
Pagine 106, Euro 12.00
Editori Laterza


I segni dell'inganno

Ospite oggi di Cosmotaxi è una grande linguista italiana: Caterina Marrone.
Di lei ho già scritto in queste pagine web allorché pubblicò per Stampa Alternativa Le lingue utopiche. Ora, per la stessa casa editrice, è nelle librerie I segni dell’inganno Semiotica della crittografia.
L’autrice, studiosa del testo letterario e figurativo, si è occupata in particolare dell’immaginario linguistico, ed è docente di Filosofia del linguaggio alla “Sapienza” di Roma.
In questo più recente testo affronta le affascinanti storie delle scritture segrete da quelle tramandate da Erodoto e Plutarco al Cilindro di Thomas Jefferson al giallo che girò intorno alla macchina “Enigma” usata dai tedeschi per le comunicazioni e la cui cifratura fu violata (da Marian Rejewski prima e da Alan Turing dopo) fornendo un grandissimo aiuto alla vittoria delle forze alleate. Né mancano studi sui codici cifrati rinascimentali, su Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci e Athanasius Kircher, sulle scritture universali dell’età dell’Illuminismo, alle frontiere con la Cabala e le scienze dell’occulto.
Ampio spazio trovano anche de Saussure e Wittgenstein accanto alle suggestioni narrative del Viaggio al centro della terra e del Mathias Sandorf di Jules Verne, del caso dei Pupazzi ballerini di Arthur Conan Doyle, dello Scarabeo d’oro di Edgar Allan Poe.

A Caterina Marrone ho chiesto: nei nostri giorni, in cui la comunicazione in modo complesso è affidata non solo alla scrittura, ma anche a visione, ascolto, percezione virtual-sensoriale, qual è stato il principale dei motivi che ti ha spinto a scrivere questo libro?

La comunicazione è un’azione complessa che non palesa sempre e tutto quanto si vuole esprimere, in più, proprio nella modernità in cui viviamo, in cui tutto appare o vuole apparire manifesto a tutti, esistono invece messaggi, distribuiti in una grande varietà di codici, che appartengono a un coté riservato per non dire occulto. Le modalità di rendere occulto un messaggio sono anch’esse di grande interesse per una disciplina come quella linguistica e/o semiotica e rivelano molte caratteristiche proprie dei codici. In realtà questa necessità di nascondere non è un fatto precipuamente moderno: il mio lavoro cerca di mostrare proprio le radici antiche dei metodi del nascondere, metodi che nella storia si sono modificati ed evoluti attraverso nuove scoperte ed espedienti, ma di cui conserviamo ancora i principi basilari che rimangono quelli appartenenti alle crittografie più antiche, all’inganno dei sensi e dunque della percezione, alla mistificazione visiva, eccetera.

Scrivi: "le scritture alfabetiche sono fondamentalmente lineari" (da sinistra a destra o viceversa, dall'alto in basso oppure al contrario). E' cambiata qualcosa con il web che propone alla tradizionale scrittura sequenziale quella reticolare attraverso l'ipertesto mosso dai links?

Direi di no. Il principio di base resta quello della linearità della scrittura (e dell’oralità ovviamente). L’ipertesto, attraverso i link, non fa che dar luogo a un cambiamento di codice. Mi spiego: poniamo il caso di passare dalla definizione scritta di “dinosauro” all’immagine di un dinosauro, a un video, ebbene per ciò che riguarda la scrittura avremo sempre una linearità, quando passiamo a un’immagine o video che sia avremo invece un codice visivo (a volte accompagnato da un parlato e dunque da un codice lineare) i cui segni hanno altre prerogative che non sono la linearità. Ma il web vive proprio della pluralità dei codici che passano da uno all’altro servendosi dei link. Certo non vorrei semplificare troppo perché è necessario tener presente che il cambiamento di codice non è indifferente alla percezione del messaggio realizzato, così come non è indifferente realizzare per esempio l’avviso VIETATO FUMARE scritto in rosso o in nero o in verde. Anzi a volte ci si chiede con quale colore si riesca ad attrarre maggiormente l’attenzione: il significato dell’avviso, in un codice linguistico, resta lo stesso, ma il suo impatto sulla percezione risulta essere, a seconda del colore utilizzato, più o meno forte, date certe circostanze di luce e di ambiente. L’immagine poi, segno iconico a vari gradi di codificazione, diventa, a volte, così perspicua da poter essere addirittura considerata uno “stimolo surrogato” tanto da agire, sulla percezione, come se si fosse in presenza dell’oggetto da essa rappresentato. Non voglio addentrarmi troppo ma la pornografia si serve proprio di questo. E, absit iniuria verbis, alcune religioni sono iconoclaste proprio per timore dell’immagine, il timore di scambiare l’immagine per realtà, il timore di non saper controllare il segno iconico nella sua diversità dal referente oltreché, ovviamente, per ragioni di tipo metafisico e altro che non sto qui a menzionare.

I segni dell'inganno: è meno difficile ingannare parlando o scrivendo?

Non si può dire cosa sia più facile o difficile. Esistono modalità diverse. Certo è che una crittografia lo dice la stessa parola può essere solo scritta. Per l’oralità si possono introdurre vari espedienti per rivolgersi, mentre si parla a tutti gli ascoltatori di una assemblea, solo ad alcuni comunicando certe cose dedicate solo a loro. Per esempio si possono introdurre nel discorso alcune parole convenute che non disturbano il discorso generale ma che, per chi sa, hanno un significato particolare. Oppure ci si può metter una cravatta o un vestito di un certo colore che siano significativi per il gruppo ristretto di persone alle quali si vuole comunicare qualcosa di convenuto e che invece per tutti gli altri siano insignificanti. Ci sono molti espedienti, non tutti codificati, e c’è ampio spazio per l’inventiva.

Caterina Marrone
“I segni dell’inganno”
Pagine 200, Euro 18.00
Stampa Alternativa


La commedia dei filosofi

La sera del 4 gennaio 1960, a una Facel Vega diretta a Parigi, guidata dall’editore Michel Gallimard, in località Yonne-Villeblevin scoppiò uno pneumatico, l’auto si schiantò contro il tronco di un albero, il contachilometri schizzato via dal cruscotto fu ritrovato a decine di metri di distanza con la lancetta che indicava i 165 km/h.
In quell’incidente, insieme con il guidatore, morì, a 47 anni, Albert Camus; era nato in Algeria nel 1913, aveva ottenuto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1957.
Lo scrittore francese è stato largamente pubblicato in Italia, ma mancava una sua piéce che ora, grazie alle Edizioni Via del Vento, possediamo nella nostra lingua, titolo: La commedia dei filosofi, scritta probabilmente nel 1947.
Si tratta di una trasparente satira dell’esistenzialismo e del suo più popolare rappresentante Jean-Paul Sartre. Non a caso il protagonista (si scoprirà poi che è un matto fuggito dal manicomio) si chiama “Monsieur Néant”, Signor Nulla, dov’è chiaramente leggibile un riferimento a L’Être et le Néant.
E’ importante questo lavoro teatrale di Camus perché oltre a darci un’ulteriore prova della sua abilità scenica (già espressa in “Caligola” e “Il malinteso” – titoli del 1944 – e poi confermata in “Lo stato d'assedio”, 1948, e “I giusti”, 1950), anticipa e profila i temi che lo porteranno alla rottura con Sartre, definitiva dopo la pubblicazione del libro L'uomo in rivolta nel 1951 (in italiano solo 11 anni dopo!).
E qui va detto che, com’è accaduto anche con altri autori, circa negli ultimi quindici anni, c’è un penoso tentativo da parte di alcuni furbetti dei giornalini d’impossessarsi della figura di Camus disponendolo su quanto mai improbabili posizioni destrorse. In Italia, robe così spuntano da più parti. Veneziani e napoletani, torinesi e palermitani, mordicchiano astutamente solo parti dell’opera del francese per ricavarne vantaggi. Se è vero che Camus ripudiò il partito comunista e i suoi programmi (con lodevole anticipo su molti altri), è pur vero che condannò ogni autoritarismo, contrapponendosi a Sartre (impagabile il calembour di Céline che lo chiamava Tartre) restò un esistenzialista ateo, laddove l’ateismo era rivolto non solo verso fedi nella metafisica, ma anche verso ogni ideologia terrena dal pensiero unico, contro ogni forma d’intolleranza: Invece di uccidere e morire per diventare quello che non siamo, dovremo vivere e lasciare vivere per creare quello che realmente siamo, così in “L’uomo in rivolta”.

A curare questa prima edizione della “Commedia dei filosofi”, troviamo Antonio Castronuovo, saggista finissimo che ama esplorare singolari angoli e plurali personaggi della letteratura ora indagando su Macchine fantastiche o Assassine, ora sulle inquietudini che determinarono Suicidi d'autore, illuminando tratti nascosti oppure obliati di figure quali nelle sue preziose pagine su Joe Bousqet o Irène Némirovsky, su Emil Cioran o Isabelle Rimbaud.
In questi giorni partecipa ad una mostra patafisica – la curatrice è Tania Lorandi – in corso alla Galleria milanese Derbylius fino al 30 settembre.

Per una scheda su “La commedia dei filosofi”: QUI.

Albert Camus
“La commedia dei filosofi”
A cura di Antonio Castronuovo
Pagine 32, Euro 4.00
Edizioni Via del Vento


Isola

Oggi presento un esperimento (ben riuscito, a mio parere) che fa convivere la pagina stampata con la voce, la musica, l’effettistica sonora, l’illustrazione.
Tutto parte da un racconto dalle forme gotiche ideato da Alda Teodorani: titolo: L’isola.
In queste pagine web, da tempo parlo malissimo dei tanti scrittori di gialli e di noir il cui numero, oggi in Italia, supera ormai quello degli evasori fiscali. Ma la Teodorani – a parte il fatto di non poco conto che scrive assai bene – non è accomunabile a quei tanti di cui dicevo, anche perché lo fa da ben prima che scoppiasse questa che ormai è diventata una perniciosa moda di scrittura.
Mi occupo di questo suo lavoro, però, soprattutto per la forma innovativa in cui è proposto.
E qui mi va di fare una considerazione.
Il romanzo – in Italia se ne pubblicano oltre 40 al giorno… brrr! – è certamente vivo, ma, a mio avviso, vive la vita dello zombi; non nego che accanto a tanti (ma proprio tanti!) romanzi brutti, ce ne sia perfino qualcuno ben fatto, ma più che belli o brutti, oggi, sono inutili.
E non da oggi.
Già Fernando Pessoa diceva: “Il romanzo è la favola delle fate per chi non ha immaginazione”.
E Giorgio Manganelli: “Basta che un libro sia un romanzo per assumere un connotato losco”.
Poi c’è pure qualcuno che s’inventa qualche corrente nuova; ad esempio quelli del NIE (acronimo che sta per New Italian Epic), e, fatalità, NIE sono anche le tre lettere iniziali della parola “niente”.
Il nuovo sta da tutt’altra parte, sta nell’Umanesimo Digitale nel cui Manifesto si legge al punto 1): “La stampa non rappresenta più il medium esclusivo o normativo nel quale la conoscenza è prodotta o disseminata: piuttosto, la stampa viene assorbita in nuove configurazioni multimediali”.
Non si tratta soltanto di trasferire la pagina stampata in formato elettronico, come fa, ad esempio, l’e-book, ma di praticare un linguaggio che possa essere generato e fruito solo attraverso pratiche multimediali. Iniziali, timidi, tentativi, li trovo nel vook, sintesi multimedia tra video e book che interfaccia libro, internet e i social network. O in quel fenomeno che in Giappone è chiamato ‘keitai shosetzu’ cioè romanzi per telefonino, oppure nell’‘articuento’ (articolo-racconto) lanciato in Spagna da Juan Josè Millàs fruibile solo via sms sui cellulari.
Al momento, però, la nuova, più completa, narratività la trovo soprattutto nei videogames e poi nella graphic novel e in certe sperimentazioni sul multiverso, ancora acerbe che, con la crisi che vive Second Life, non accennano a maturare.
Ecco perché ho apprezzato L’isola: si pone il tema narratologico in termini nuovi.
Questo racconto (ben più difficile da scrivere che non un romanzo, perché è un genere che non perdona pause) di Alda Teodorani è messo in musica da Le forbici di Manitù e illustrato da Emanuela Biancuzzi con un libro-cd in cui il libro rimanda al cd e il cd al libro.
L’operazione vede all'origine Vittore Baroni uno dei poliartisti e agitatori culturali che, in Italia e non solo in Italia, più stimo.
Nel febbraio 2003, Alda Teodorani fu ospite della mia taverna spaziale sull’Enterprise, quella conversazione, nonostante il tempo trascorso, credo dia ancora un buon ritratto dell’autrice e del suo profilo stilistico.

“L’Isola (Euro 13.10) è distribuito in Italia da Audioglobe; lo trovate anche nell’etichetta Snowdonia e nel catalogo del negozio Thrauma, può essere altrimenti richiesto il catalogo mail order E.O.N. (comprendente anche varie altre produzioni delle Forbici di Manitù) a vittorebaroni@alice.it


Corrispondenze

“Squisito e sgarbato, accademico e rivoluzionario, ascetico e gaudente, passa la vita a studiare, ma a volta la nonchalance di certi suoi giudizi estremi lo fa sembrare un dilettante che vuol fare il professionista, mentre è evidentemente il contrario”.
Ad essere così definito dal critico musicale Giorgio Vidusso è Mario Bortolotto del quale la casa editrice Adelphi va collezionando le opere e siamo, infatti, all’ottavo titolo con questo Corrispondenze, da poco in libreria, che raccoglie articoli, recensioni e altri scritti apparsi fra il 1994 e il 2007.
In realtà, si tratta di una serie di minisaggi che permettono di rintracciare il pensiero di Bortolotto che tempo fa ebbi ospite della mia taverna spaziale sull’Enterprise.
Per una sua biobibliografica: QUI.

A parlare di Corrispondenze ho invitato il musicista e musicologo Guido Zaccagnini. Autore di colonne sonore per il cinema, la radio, la tv, da molti anni uno dei più noti e apprezzati fra i conduttori di Radiorai 3; autore di un saggio su Berlioz: Hector en Italie; per Adelphi ha curato e tradotto il volume di Charles Rosen La generazione romantica.
Inoltre, vanta anche una sua pluridecennale attività di Consulente Tecnico in processi incentrati su - veri o presunti - casi di plagio musicale.
A Guido Zaccagnini, ho chiesto di tracciare sinteticamente l’importanza della figura di Mario Bortolotto.

Mario Bortolotto si pone oggi come la voce - italiana, ma non solo - più autorevole nel campo della critica e della storia musicale: e ciò, senza nulla togliere a studiosi quali Giorgio Pestelli, Quirino Principe, Giovanni Morelli ed altri. Bortolotto, quasi mezzo secolo fa, si fece conoscere con un piccolo, ma stupefacente, libro sul Lied romantico, per poi diventare, con “Fase seconda”, il teoreta più acuto e profondo della musica del secondo dopoguerra. Da allora, i settori storici, stilistici e geografici nei quali è intervenuto quasi non si contano: dall'Ottocento francese a Wagner, da Richard Strauss all'opera lirica e alla Russia del XIX secolo. Ma l'unicità di Bortolotto, a parte le analisi e le considerazioni di carattere storiografico e musicologico, risiede in una prosa tanto sofisticata quanto incandescente nonché nella sua inesauribile capacità di proporre connessioni tra l'oggetto musicale esaminato e i mondi della letteratura, della pittura, della filosofia, del costume.

Che cosa ti ha particolarmente interessato in “Corrispondenze”?

Al di là dell'intrinseco valore dei singoli saggi, la loro scelta e l'ordine in cui sono presentati. E' di tutta evidenza che Bortolotto abbia inteso proporre un ‘resumé’, o - se si preferisce - una summa del proprio iter di storico e di critico musicale. Mi spiego meglio. Di centrale importanza è l'ambito della ‘Romantik’ (Weber, Schubert, Mendelssohn, Brahms...); ma di altrettale ponderosità sono le indagini, diciamo così, collaterali: effettuate in regioni quali la Francia, la Russia e l'Italia. E infine non mancano le incursioni - fugaci ma tutt'altro che sporadiche - che testimoniano una curiosità per tutto ciò che possa avere a che fare con il Bello e con il Sapere: ed è così che passiamo dalla "Musica d'alta montagna" a "Leopardi teorico", da un "Fiore dell'Avana" a un'icona veneratissima in Russia per vedere la quale l'inarrestabile Bortolotto si è spinto fino a Tichvin, un piccolo paese distante circa 200 chilometri da S. Pietroburgo. Un autentico globe-trotter della cultura.

Per una scheda sul libro: QUI.

Mario Bortolotto
“Corrispondenze”
Pagine 511, Euro 36.00
Adelphi


E in mezzo il fiume

“Rispetto alla città il Tevere va al contrario della Senna. La Senna si butta nella Manica, il Tevere nel mar Tirreno, e dunque, l’una si volge al nord, l’altro procede da nord a sud. Per questo la rive gauche di Roma è geograficamente la rive droite. E Trastevere, che incarna il quartiere intellettuale, artistico e bohémien della capitale si trova sulla sponda destra”.

Quest’istantanea altimetrica che fotografa il territorio tra le due sponde tiberine in modo letterale e metaforico, lo dobbiamo alla raffinata penna di Sandra Petrignani che nel suo recente E in mezzo il fiume A piedi nei due centri di Roma – editore Laterza – compone un ritratto stratigrafico di Roma sondandone depositi archeologici e rilevandone recenti incrostazioni di una città, fra quelle occidentali, dove l’antico e il nuovo, l’immaginario e l’icastico vivono accanto senza per questo convivere.
Fra strade e monumenti, vicoli e osterie, accompagnandosi a personaggi noti e meno noti, l’autrice passeggia restituendoci con brevi, efficaci tratti, l’immagine storica, sociale e antropologica di Roma colta fra i suoi due centri illustrati nel libro in una cartina realizzata da Luca De Luise.
La Petrignani non è, però, una viaggiatrice incantata dal nasino all’insù, ma attraversa i luoghi lanciando sguardi attenti e anche qualche occhiataccia. Ai più distratti ricordo alcuni fra i suoi precedenti lavori, quali, ad esempio, Come cadono i fulmini; Care presenze; Ultima India; La scrittrice abita qui; Dolorose considerazioni del cuore.
Per altre informazioni, segnalo il sito web dell’autrice: CLIC!


A Sandra Petrignani, ho chiesto: c'è un luogo di Roma che, oggi, ti fa venire la scarlattina o altra malattia?

D'estate lungo il fiume intorno all'Isola Tiberina, sorge una baraccopoli del divertimento che attira a Trastevere una massa di gente senza gusto e senza rispetto per la città. Una tendopoli consumistica, una specie di mega Festa dell'Unità il cui unico senso è vendere qualcosa a qualcuno. Ci sono bar dagli arredi improbabili, dai colori stridenti. Una grande fiera cafona di volgarità estrema. Non c'è nessun rapporto con la città, con le sue vecchie pietre. Niente. La diseducazione totale al gusto, alla bellezza (che viene coperta da questa specie di Luna park dove nessuno in realtà si diverte, ma solo bighellona). Nessun luogo della vecchia Roma mi "fa venire la scarlattina": la malattia me la fanno venire quelli che di Roma non sanno niente, niente capiscono, e la vogliono uguale a ogni altro posto massacrato da deleterie attività commerciali di cui davvero non abbiamo alcun bisogno. Ce n'è a sufficienza ovunque.

Che cosa è intervenuta negli ultimi anni nel carattere dei romani che meno sopporti?

Non so nemmeno se si può ancora parlare di carattere romano. Per me la sua incarnazione era Marcello Mastroianni. Quella sua eleganza sciatta, quella sua sorniona seduttività, quel gigionismo fine a se stesso, quell'aria da ragazzo che conosce la pesantezza della vita e per questo cerca solo di alleggerirla... m'incantava. Non esiste più questo carattere, nemmeno l'ombra. Non lo cogli più per strada o nelle botteghe, come non c'è più quella Roma campagnola che ho fatto ancora in tempo a conoscere. Trastevere ne conserva un'ombra, un profumo lontano. Ma lontano tanto. E non d'estate, e non nei fine settimana. Devi perderti nei vicoli nei giorni qualunque, devi mescolarti alla gente del quartiere, scendere a patti con l'anima antica assopita nel sonno dei gatti, nascosti nelle case, non più girovaghi e padroni del quartiere. Ci sono troppi cani compagni dei barboni, e i gatti sono spariti. Ma Roma senza gatti è meno Roma. Perché il carattere romano era felino quanti altri mai: bello, altero, pronto al graffio e alla carezza, secondo un improvviso capriccio. Individualista. E invece tutti gli interventi pubblici vanno in senso opposto e snaturano ogni volta un po' di più la vera anima della città. Diceva Laura Betti: «A Roma puoi uscire di casa zoccolando». Oggi a Roma non si zoccola più.

Per una scheda sul libro: QUI.

Sandra Petrignani
“E in mezzo il fiume”
Pagine 140, Euro 10.00
Editori Laterza


13 cose senza senso


“Nella scienza, essere completamente bloccati può essere una buona cosa: spesso significa che una rivoluzione è alle porte”.
Ecco il promettente avvio di un affascinante libro pubblicato da Longanesi: 13 cose che non hanno senso Dove si spiegano i grandi enigmi della scienza.
Lo firma Michael Brooks.
Dopo aver conseguito il dottorato in fisica quantistica, ha lavorato fino al 2006 come giornalista scientifico per New Scientist, rivista alla quale collabora tuttora in qualità di consulente. Ha pubblicato saggi scientifici su The Guardian, The Independent, The Observer e The Times Higher Educational Supplement. Ha inoltre partecipato alla realizzazione di documentari per Discovery Channel. Vive in Gran Bretagna.

L’autore, partendo dalla premessa che ho citato, dimostra come di fronte a estreme difficoltà si sia pervenuti a risultati solutivi eccellenti. Un esempio contemporaneo per tutti: nel 1911, Marie Curie, Hendrik Lorentz e il giovane Albert Einstein non riuscivano a venire a capo sul perché i materiali radioattivi apparentemente si facessero beffe delle leggi della conservazione dell’energia e della quantità di moto. Alla fine, il problema fu risolto con la nascita della teoria dei quanti. Fu un momento straordinario per la scienza. La teoria dei quanti racchiudeva l’idea innovativa che in natura alcune cose accadessero senza una causa.

I misteri di ciò che osserviamo ancora oggi in natura sono tanti (ma un tempo erano di più e sono stati svelati con gran dispiacere di cardinali, mullah e rabbini; questo lo dico io, non Brooks), nel volume ne sono elencati 13.
In tutti i casi osservati, l’autore ricorda che si tratta di risolvere anomalie non soltanto studiando la natura di esse, ma ponendoci in modo nuovo di fronte ad esse.
Importante in questo procedere del pensiero è il contributo di Thomas Kuhn il quale, agli inizi degli anni ’60, sostenne che la scienza invece di progredire gradualmente verso la verità è soggetta a rivoluzioni periodiche che egli chiama “mutamenti di paradigma”.
13 cose senza senso, cui si riferisce il titolo del libro, è bene precisarlo, non significa parlare di 13 cose inutili o errate, tutt’altro, si tratta di 13 anomalie. Ad ognuna di quelle Brooks dedica un capitolo attraversando i territori della biologia, della cosmologia, della chimica, della psicologia, della fisica. Riguardano: l’effetto placebo, le accelerazioni delle sonde Pioneer, i raggi cosmici, le implicazioni di un virus trasgressivo, l’omeopatia, il decimo pianeta, i segnali di una vita extraterrestre, le costanti variabili, la fusione fredda, la vita e la morte del corpo umano, il libero arbitrio e il sesso. Sì, anche il sesso non inteso come necessità di prosecuzione della specie né per il piacere che esso ci procura, bensì il mistero che contiene allorché la riproduzione avviene per via asessuale come accade in natura (in alcuni rettili e pesci), quella cioè in cui un organismo produce una copia di se stesso.
Concludendo, una nota di elogio va fatta alla traduttrice Isabella C. Blum alla quale dobbiamo la resa in italiano di un testo che in altre mani sarebbe stato di difficile lettura e qui, invece, è di scorrevole comprensione.

Per una scheda sul libro: QUI.

Michael Brooks
“13 cose che non hanno senso”
Traduzione di Isabella C. Blum
Pagine 294, Euro 18.60
Longanesi


Scienza Quiz


Cosmotaxi riprende oggi le pubblicazioni e poiché siamo in prossimità della riapertura delle scuole, mi piace dedicare questa prima nota postvacanziera a un libro ad hoc.
Libro che consiglio di regalare a questi nostri ragazzi i quali entrano in una scuola che, non è un mistero, per nulla è in grado di rispondere alle tante domande che dagli alunni provengono specie su questioni e curiosità scientifiche.
Scienza Quiz 200 e più quesiti per mettere in moto il tuo cervello, proprio interrogativi curiosi propone; lo fa in una divertente forma enigmistica… don’t panic, please… con tanto di soluzioni, s’intende.
L’arguto testo è di Giacomo Spallacci, le vivacissime illustrazioni sono di Agostino Traini.
E’ stampato da Editoriale Scienza (… a proposito auguri di buon lavoro alla nuova Addetta Stampa Marilisa Cons), editrice che, a mio avviso, meglio fa i libri scientifici per ragazzi, specie per i giovanissimi lettori.

Il libro è diviso in sei colori per sei sezioni:
Grunt! : ali, peli, piume, squame, denti, code, baffi, corna, zanne, antenne.
Splash!: fiumi, mari, nuvole, gocce, spruzzi, onde, stagni, sorgenti, zampilli.
Gnam!: abbuffate, languorini, cibi strani, cibi nel mondo.
Frush!: muschio, sequoie, frutta, radici, rami, piante.
Uau!: portenti, stranezze, meraviglie della Terra.
Zap!: invenzioni e inventori, lampi di genio, scoperte eccezionali.

Ecco qualche esemplificazione delle pagine di quel volume.
“La calotta di ghiaccio che copre l’Antartide, al Polo Sud, è spessa più di 2 chilometri e si estende per una superficie pari a 45 volte quella dell’Italia”.
Vero o Falso ?

Oppure è richiesto di scegliere fra 3 risposte al seguente quesito: “Tutti i mari sono salati, ma alcuni di più, altri di meno. Il mare più salato del mondo è il Mar Morto, tra Israele e Giordania. Che cosa succede a chi ci si tuffa?
A) Galleggia molto più del solito
B) Diventa saporito al punto giusto
C) Rischia di affogare

Né mancano racconti flash di famose invenzioni. Ad esempio: “Alexander Fleming era uno scienziato brillante ma molto disordinato. Se ne partì in vacanza, senza badare al fatto che in laboratorio c’erano parecchie colture di batteri in gelatina. Al suo ritorno trovò che una muffa aveva colonizzato una delle colture e che tutti i batteri erano morti. Fleming capì che proprio quella muffa aveva ucciso i batteri: era nata la penicillina”.

Insomma un libro che istruisce divertendo e divertendo istruisce, l’esatto contrario che fa la nostra scuola.
Vecchia storia il disastro scolastico italiano, quello che faceva gridare a Giovanni Papini, dianzi che diventasse fascista prima e mezzo prete dopo, “Chiudiamo le scuole!” e, a quasi un secolo di distanza fa intitolare a Marcello D’Orta un recente libro (dedicato a Gianni Rodari), “Aboliamo la scuola!”; un D’Orta che evidentemente è meno ottimista di quell’alunno che gli diceva un tempo “Io speriamo che me la cavo”.
No, oggi di speranze in giro poche poche, e di cavarcela, poi, pochissime.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Giacomo Spallacci – Agostino Traini
“Scienza Quiz”
Pagine 65, Euro 6.90
Editoriale Scienza


Luca Traini


Luca Traini (1966) – qui in una foto scattata da André Villers – insegna Storia e Filosofia, ha scritto una ventina di opere in prosa, in poesia e per il teatro (fra queste: “Ottone III”, 1991; “900 vampiri: Bela Lugosi”, 1993; “Fratello Wolfgang, Sorella Mozart“, 2006) apparse in diverse pubblicazioni.
Nel 2007 ha pubblicato per "TraRari Tipi" il romanzo: "Il Dittico di Aosta".
E’ stato interprete di cortometraggi-video tratti dai suoi testi, ad esempio: “Resurrezione e morte di Jean-Antoine Watteau”, andato in onda su Rai 2 nel 1997. Ha curato, insieme con Debora Ferrari, ad Aosta, The Art of Games.

Ora insieme con il giornalista e regista Paolo Grosso (entrambi già vincitori di un premio con “Fuoriluogo: poesia all’angolo” alla prima edizione del Festival Cortisonici nel 2004, ha prodotto nuovi video con il suo solito stile colto e birichino a un tempo. Troviamo, infatti, protagonisti versi famosi tratti da Dante (“Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io”, Rime, LII) e versi noti come quelli di una vecchia canzone (“Casetta in Canada”, di Panzeri – Mascheroni, 1957).

Il primo video lo trovate QUI e per il secondo: CLIC!

Le cose che inducono al riso nascondono sempre un discorso serissimo che spazia tra le leggi del linguaggio, i meccanismi nascosti del logos e della sua rappresentazione. Nel caso dell’audiovisivo la faccenda si complica felicemente proponendo talvolta riflessioni (come in questo caso) sugli effetti della dislocazione e la dislocazione degli effetti.


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