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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Festival VolterraTeatro


Cosmotaxi Special per il Festival VolterraTeatro: 18 - 31 luglio 2005

II PARTE


Volterra Teatro: La Compagnia della Fortezza


Di teatro nel carcere se ne sono occupati in molti, da Eduardo a Beckett ad altri ancora, ma s’è trattato di viaggi episodici, sia pur valorosi, in quel particolare universo.
L’esperienza, invece, di Armando Punzo a Volterra è unica al mondo per unicità di vocazione. Ed estensione nel tempo: due decenni, scrivo così perché dire vent’anni, in questo contesto, può suonare sinistro.
Armando Punzo è uno di quei miei compaesani dolenti, i migliori; gli altri, gli euforici, sono insopportabili. E' questa dolenza del sentire che lo ha portato, e lo porta, a questo teatro che è detto ‘impossibile’ dove non è solo il teatro ad entrare in carcere, ma anche viceversa.
Vecchia storia questo del rapporto fra il mondo dei detenuti e la poesia, me n’occupo più estesamente, in questo stesso special, nella nota “convegno su teatro e carcere”.
Ma veniamo ad Appunti per un film che Punzo ha presentato nel penitenziario volterrano. Un talk-show carcerario che incrocia le riprese di un film, da qui il titolo.
Attori (detenuti) e spettatori (in prigionia provvisoria) sono mischiati sulle scalee e le provocazioni e i ciak si susseguono incalzanti. Il fine teatrale (quello cinematografico non so) è d’innescare un corto circuito su domande rilanciate fra due società che dovrebbero scoprirsi (perché lo sono) come una soltanto attraverso domande e risposte che vertono su alcuni dei più ardenti temi d’attualità. Lo spettacolo (due ore circa), quindi, cambia ogni giorno e c’è chi ha criticato che talvolta quel corto circuito, quella scintilla di comunicazione manchi. Ad esempio, alla replica cui ho assistito io, è mancata. Ma a me pare che il meccanismo abbia lo stesso magnificamente retto. E lasciatelo dire a me che sono lontanissimo da quel tipo di teatro e amo la scena di parola quanto un’operazione alle tonsille. Ma non sono un fondamentalista, bensì un professionista che sa ammirare le cose belle anche quando sono lontane dalle proprie scelte estetiche. Il meccanismo ideato da Punzo, dicevo, mi pare riuscito anche quando, secondo alcuni, fallisce. Perché? Presto detto: il fine di quella drammaturgia non sta nella clamorosità del risultato, ma anche quando tale clamorosità è assente. In questo caso, s’è verificato il silenzio, la presa d’atto della scissione di due incomunicabili realtà… hai detto un prospero!
Da un breve scambio di battute con Punzo, ho capito che forse sono tra i pochissimi se non il solo a pensarla così, ragazzi la cosa non m’appaura, anzi tutt’altro.
Lo spettacolo s’è concluso con un ciak che si chiama “realismo 1”: noi spettatori maschi siamo stati rinchiusi in celle (le femmine no… ma che ingiustizia!) e qui abbiamo assistito, e soprattutto ascoltato, un breve dramma che ricostruisce uno dei tanti momenti “normali” della giornata carceraria, nulla d’eccezionale vi accade, tutto normale: richiami e voci (tutto sull’urlo) su accadimenti minimi, una drammatica vicenda acustica di rara potenza. Bravo Armando!
Lasciamo, infine, il carcere, noi spettatori qui usati anche come comparse di un futuro film. A proposito, abbiamo lavorato gratis, Armando ha risparmiato cachet e contributi enpals, quasi quasi quando torno a Roma lo denuncio…
Lasciato il carcere, dicevo, e da parte mia mi dolgo di non avere lasciato fra i detenuti Fanny & Alexander che meriterebbero una pena esemplare per il lavoro (presuntuoso e pallosissimo) che hanno inflitto agli spettatori con il loro Spettacolo “Acqua Marina” in questo Festival.


Parole di teatro


Folial – Sì, prenderò gli orologi a calci in culo! Ho fretta di farla finita…

(Michel De Ghelderode, “La scuola dei buffoni”, Scena I)


Volterrateatro: Carvankermesse


Ideazione, regia, interpretazione Davide Batignani e Natascia Curci.
Produzione: Isole Comprese.
Se volessimo riunire i ricordi d'incontri passati, vissuti, sognati e immaginabili per custodirli in un luogo a misura d'uomo dovremmo comprimerli e sottoporli a nuove e differenti leggi di tempo e di spazio. Per arrivare a ciò il signor Ker e la signorina Messe hanno affidato le loro esigenze alle imprevedibilità di un camper e si sono messi in viaggio, stanchi di restarsene a casa e continuare a dimenticare.
"...all'inizio si hanno tutte le possibilità, e ogni giorno che passa ce ne tolgono un paio.
Quando siamo piccoli abbiamo una gran fantasia ma sappiamo molto poco e siccome è così, dobbiamo usare la nostra immaginazione per ogni cosa. Diventando più grandi la nostra capacità d'immaginare si restringe sempre più man mano che le nostre conoscenze aumentano."
Si può scegliere di continuare a crescere senza negarci le possibilità. Un caravan parcheggiato decorato alla maniera dei carrozzoni del circo, tutti gli ospiti sono accolti all'esterno per ricevere il biglietto d'ingresso. Lo spettacolo ha già avuto inizio. Tra l'alternarsi di entrate e uscite, due personaggi accolgono, si sfiorano, si scontrano e non si incontrano mai.
Bel gruppo questo Isole Comprese che ha in programma per il prossimo autunno, come mi ha detto Elena Turchi, rassegne di spettacoli e un convegno su temi di teatro e società.
Conto di occuparmene in quelle date. Vi farò sapere.


Parole di teatro


Professore – Signorina, le insegnerò adesso la filologia comparata
Governante – No, professore, no!… la filologia comparata conduce al peggio.

(Ionesco, “La Lezione”, Atto Unico)


Volterrateatro: Teatro delle Albe


Il Teatro delle Albe è stato fondato nel 1983 da Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina, Marcella Nonni. Nel 1988 la compagnia acquisisce al suo interno dei griots senegalesi: Mandiaye N'Diaye, Mor Awa Niang e El Hadji Niang, la formazione diventa così afro-romagnola. Nel 1991 fondano il Teatro Ravenna Teatro, "Teatro Stabile di Innovazione". Fin qui la scheda anagrafica.
A Volterra, hanno presentato La Mano da un romanzo di Luca Doninelli pubblicato da Garzanti, in un’ideazione scenica di Marco Martinelli e Ermanna Montanari con regìa del primo e interpretazione della seconda.
Si narra della morte di Geremia Olsen, un grande chitarrista rock. Si è troncato la mano sinistra con una scure. La sorella ha deciso di farsi suora, ma i conventi cui si è rivolta non l'hanno fatta entrare. Allora ha trasformato la propria stanza nella cella di una monaca, si è nominata Suor Isis, si è separata dal mondo. Lì passa i giorni a scrivere il suo diario, esercizio di memoria in cui al ricordo si mescola l'interrogativo: perché è avvenuto tutto questo?


Parole di teatro


Goetz – C’è da fare questa guerra, e la farò

(Jean-Paul Sartre, “Il diavolo e il buon dio”, Atto III)


VolterraTeatro: Teatro delle Ariette


Il Teatro delle Ariette è un’associazione culturale nata nel 1996. Da allora ha sempre operato in situazioni non teatrali in case, forni, ospedali, scuole, nei campi ed in mezzo alle campagne. I soci fondatori, Paola Berselli e Stefano Pasquini, sono coltivatori diretti dal 1989. Il nome dell’associazione viene dal nome del podere, vicino Bologna, dove ha sede: Le Ariette.
Già ne ho scritto in una precedente occasione, sono uno scansafatiche e replico quanto già ebbi a dirvi: uno spettacolo magnifico, emozionante, strepitoso, interpretato dai progettisti Paola Berselli e Stefano Pasquini e da Maurizio Ferraresi, Gregorio Fiorentini, Claudio Ponzana.
Si è assistito ad un racconto frammentato eppure drammaturgicamente unitario quant'altri mai, alla comparsa di Monna Falce in forma di un'autentica quanto occhiuta e fatale risonanza magnetica che testimonia un cancro che divorò una persona cara al Gruppo.
Lo spettacolo - titolo: "Estate - Fine", sposando un richiamo a Pasolini - s'avvale anche di letture di pagine pasoliniane nonché di colonne sonore di alcuni film di PPP. Ma questo, in verità, è la cosa che meno c'entra con la magnifica rappresentazione di cui vi sto parlando. Poteva, infatti, trattarsi invece di Pasolini, di Dylan Thomas o Ginsberg, Cardarelli o Montale, le cose sarebbero state le stesse, le stesse bellissime cose che ho visto.
Sia come sia, questo Teatro delle Ariette propone azioni sceniche che innovano gli statuti linguistici teatrali e anche del nuovo teatro. Lavorando sulla Natura felice e maligna, su di un campo che diventa campo di giochi e camposanto attraverso un lavoro lento e muscolare destinato a mettere in imbarazzo i funzionari enpals quanto all'identificazione del genere contributivo.


Parole di teatro


Poeta – Ottimamente! Può darsi che proprio l’igiene universale sia un’uscita da questa situazione.

(Slawomir Mrozek, “Il tacchino”, Atto II)


Volterra Teatro: convegno su teatro e carcere


Nel programma del Festival, un importante momento di riflessione e, come dirò fra poco, d’operatività, è venuto da un convegno su teatro e carcere.
Di solito questo tema resta schiacciato (non solo in Italia) fra il delirio repressivo della destra e la retorica buonista della sinistra. Entrambe le posizioni procurano guai: la prima è criminogena, la seconda è utopica. E poiché alla sinistra appartengo, m’interessa soffermarmi sugli equivoci che in questo schieramento spesso si verificano; quanto alla destra non mi va troppo di trattenermi. Solo poche constatazioni. L’ordine che reclamamo mi pare assai parziale. Quando tocca a loro sono fra i primi ad eluderlo, dalla materia fiscale fino a quella delle norme di sicurezza sul lavoro, ad altre numerose ancora. E se qualche giudice vuole occuparsi di loro, trova subito chi lo ingiuria, avvìa contro di lui provvedimenti disciplinari e via infangando.
La sinistra. Troppo spesso si santifica qualcuno solo perché ha varcato la soglia del carcere. Erore, con una sola erre, direbbe Petrolini. Questo è un guaio che viene da lontano, da tanta cattiva letteratura, da tanto neorealismo, da tanta sociologia d’accatto. Robe che hanno portato di recente più d’uno, poco tempo fa, perfino a tifare per il bandito Liboni. Ragazzi, dietro le sbarre potrebbe anche trovarsi anche qualche fetente o lo escludete? Purtroppo, ci sarebbe posto per altri fetenti che purtroppo stanno fuori e viaggiano pure con la scorta, ma questo è un altro discorso.
Il convegno tenutosi a Volterra, ha preso le distanze da entrambe le posizioni. Vada reso quindi gran merito ai promotori.
In breve, che cosa è successo? Ecco qui.
L'Unione Europea ha approvato e finanziato il progetto "Teatro e Carcere in Europa. Formazione, sviluppo e divulgazione di metodologie innovative".
E' il primo progetto del genere a diventare operativo a livello europeo e punta a rendere "visibili" tanto le attività e le condizioni del Teatro e Carcere in Europa, quanto i sistemi di riabilitazione e recupero delle persone detenute. Tra i suoi obiettivi, anche quello della formazione degli operatori impegnati nelle attività di trattamento.
Ideatore del progetto, realizzato dall'Associazione Carte Blanche, è Armando Punzo, storico leader della Compagnia della Fortezza e del Centro Nazionale Teatro e Carcere di Volterra che, per questo programma vede al suo fianco il Riks Drama Teatern di Stoccolma, il Theatre de L'Opprimè di Parigi, l'Aufbruch di Berlino, L'Escape Artists di Cambridge, il Teatro Yeses di Madrid e la Newo di Firenze.


Parole di teatro


Lorna – Viviamo nel ventesimo secolo Tom… non accadono più miracoli a New York.

(Clifford Odets, “Ragazzo d’oro”, Atto I)


Volterra Teatro: Tony Clifton Circus


TVTB: noto acronimo per sms che sta per ‘Ti Voglio Tanto Bene’ è una sperimentazione mediatica di Tony Clifton Circus, meditazione sul teatro e oltre il teatro, affidata al mezzo televisivo.
tvtb è stato un riuscito esperimento dell’uso del mezzo televisivo come strumento d’informazione e spettacolo di comunicazione.
Usando la tecnica nota come Street Television – l’uso di un ripetitore televisivo autonomo che occupa una frequenza libera dell’etere – ha coperto per tutto il periodo del Festival un raggio di circa 2 km.
Si tratta di un’esperienza che ha radici nordamericane, lì la chiamano hyperlocaltv e narrowcasting, canali cioè dedicati solo a una città o a un villaggio, o addirittura a un caseggiato, l’importanza di questa formula è stata ben osservata in Italia da Omar Calabrese
Dicono i massmediologi che non c’è nulla di più reale della tv e non c’è nulla di più finto del teatro, ebbene il Tony Clifton Circus ha trasformato in reale un linguaggio “finto” come quello teatrale attraverso un linguaggio “vero” quale quello televisivo.
Il palinsesto della trasmissione è stato dettato dagli avvenimenti del festival: spettacoli, artisti, pubblico, e anche dall’osservazione di Volterra e dei volterrani.
La trasmissione, veniva replicata più volte nell’arco della giornata, fruibile attraverso un qualsiasi apparecchio televisivo situato a Volterra.


Parole di teatro


Simone – Aveva i capelli lunghi come una coda di cavallo e gialli come l’oro
Pietro – Beh, pace all’anima sua!

(Eugene O’Neill, “Desiderio sotto gli olmi”, Atto I)


Volterra Teatro: la vena di vino


All’Enoteca La vena di vino c’è una singolare esposizione.
Dal soffitto pendono molti reggiseni provenienti da tutti io continenti, di varia foggia e di varie misure. Il luogo che li ospita, guidato dagli ottimi Lucio e Bruno (al banco un cordialissimo Fausto) è di buon valore enologico, dispone di un sito web dove (udite! udite!) ci sono i prezzi praticati per ogni etichetta. Un gesto di trasparenza e buon gusto che va elogiato milioni di volte. Andateci in quell’enoteca se passate per Volterra, non ve ne pentirete.
Ora una riflessione che giro agli studiosi di percezione circa la mostra di reggiseni.
Questo carissimo indumento lì appeso per un lato senza ciò che di solito lo riempie, mi ha fatto l’effetto di un negozio di protesi, di ortopedia, di museo ospedaliero.
Chissà perché. A voi studiosi di percezione mi sono rivolto. Che qualcuno risponda.


Parole di teatro


Manfurio - … e megliormente voi, che dei nostri casi fastidiosi ed importuni siete stati gioiosi spectatori, Valete et Plaudite.

(Giordano Bruno, “Candelaio”, Atto V)


FINE DELLO SPECIAL SU VOLTERRA TEATRO ‘05


Per sapere tutto sui Festival


Torna in libreria Le vie dei festival, pubblicazione annuale – giunta alla XI edizione – diretta da Natalia Di Iorio.
Si tratta della più informata guida di cui disponiamo in Italia sui festival estivi e autunnali, attrezzata con date, indirizzi, numeri di telefono, siti web, e-mail.
Il librino, di formato tascabile, con illustrazioni di Guido Scarabottolo, è uno strumento di grandissima utilità per tutti quelli che lavorano nella stampa quotidiana e periodica, nelle radio, nelle tv, nel web pubblishing; oltre ad essere una preziosa mappa per compagnie e singoli artisti che vogliono inviare le loro proposte mirate (ogni festival è corredato da una nota con le caratteristiche del cartellone) alle direzioni delle oltre 300 rassegne lì elencate.
Né va trascurato che il volume è anche un ghiotto vademecum per quanti praticano il turismo culturale, e non solo in Italia perché si occupa pure di altri paesi europei.
Le vie dei festival, come già avvenuto negli anni scorsi, si trasforma poi in una rassegna delle rassegne (cui Cosmotaxi dedicò l’anno scorso uno Special), selezionando alcuni degli spettacoli presenti nei vari programmi e presentandoli a Roma tra settembre e novembre prossimi.
Accanto alle grandi manifestazioni, molto spazio è riservato ai piccoli festival perché come scrive giustamente Natalia Di Iorio:… sempre più spesso proprio dai piccoli festival arrivano nuovi stimoli e vengono indicate nuove strade mentre molte grandi sigle, un tempo prestigiose, sono diventate palcoscenico per riti mondani, passerelle per politici e personaggi televisivi. Questo, pur non essendo una novità assoluta, avviene con estensione e forma più avvilenti, aggiungo io, anche per i disastrosi effetti della politica di questo governo che, nell’assegnare le sovvenzioni, premia le occasioni con lustrini e castiga quelle dai contenuti più vivaci temendo le idee che lì sono rappresentate. Affidare il Ministero dei Beni Culturali a Buttiglione e la Pubblica Istruzione alla Moratti, equivale a consegnare i centri trasfusionali al Conte Dracula.
Il libro lo trovate in tutte le librerie Feltrinelli. Se non avete a tiro una di queste, prenotatelo telefonando all’Associazione Cadmo (06 – 32 02 102; fax: 06 – 320 19 94), oppure per mail: info@leviedeifestival.it

“Le vie dei Festival”, 139 pagine, 7:00 euro


Le Tribù della Memoria


A Roma è in corso dal 21 giugno, e durerà fino al 18 settembre culminando con la Notte Bianca, una mostra dall’originale progetto in tre tempi d’esposizione.
La formula nasce dall’interazione tra otto artisti e otto corsisti del Master in Ideazione, Management e Marketing degli eventi culturali dell’Università di Roma “La Sapienza” diretto da Alberto Abruzzese, in collaborazione con la Soprintendenza alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
Titolo: TM – Le Tribù della Memoria
Il tema è stato scelto da Andrea Pollarini, docente del Master e Direttore della Scuola del Loisir di Rimini, da anni impegnata nella ricerca, nella comunicazione e nel marketing dei nuovi consumi vocazionali in campo urbano e turistico. Luisa Valeriani e Franco Speroni, anch'essi docenti del master, hanno assistito il progetto espositivo dei corsisti: Stefano Calderano, Antonella Catanese, Eleonore Grassi, Cecilia Guida, Daniela Gusmano, Ilaria Lazzarotti, Roberta Malentacchi, Ottavia Nicolini, insieme con Angela Rorro e Marina Gargiulo della Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
E proprio da una ricerca socio-antropologica svolta dalla Scuola Superiore del Loisir e degli Eventi di Comunicazione di Rimini, sono state individuate attorno al concetto di “memoria” otto categorie di “tribù”: la memoria come ‘eden’, ‘enciclopedia del presente’, ‘avventura e scoperta’, ‘spazio ludico’, ‘ancoraggio’, ‘ricerca del tempo perduto, ‘lascito’, ‘religione laica’.
Terminata la prima parte, è la volta ora di tre giovani artisti: Massimo Arduini, Iginio De Luca, Roberto Piloni. Esporranno fino al 6 settembre.
In occasione del vernisssage di questa seconda parte, domani 26 luglio, nelle sale interne della Galleria, al Caffè delle Arti, a partire dalle 21.30, si avrà un concerto di Canio Loguercio.

Galleria Nazionale Arte Moderna, Roma
“Tribù della Memoria”, fino al 18 settembre
Info sull’intero ciclo della Mostra: Stefano Calderano, 333 – 50 93 522


Ippolita al Computer


Una casa editrice che muove il suo progetto attraverso forti connotati politici, è destinata fatalmente ad avere un catalogo tutto da sbadigli. Non accade, però, questa sciagura ad Elèuthera, piccola editrice milanese con già al suo attivo oltre 160 titoli; cliccate sul suo catalogo e vedrete che ho ragione, ne troverete di chicche. Eppure Elèuthera dichiara come la pensa fin dal suo slogan libri per una cultura libertaria cosa che mi renderebbe assai diffidente (perché non sono utopista per niente) se non conoscessi parte dei libri che pubblica.
Tanto per dirvene una soltanto, ma gli esempi sono parecchi, tra i suoi titoli ne figurano alquanti, altrove introvabili, del grandissimo Vonnegut.
Molto interessante è anche questo recente Open non è Free che ha per
sottotitolo ‘Comunità digitali tra etica hacker e mercato globale’. A scriverlo: Ippolita. Non pensate alla regina delle Amazzoni, non si tratta di quell’incazzosa signora, bensì di un server indipendente che tale nome ha e, quanto a tozzaggine, niente ha da invidiare a quella tosta regina con la quale trafficarono anche Boccaccio e von Kleist. Insomma, Ippolita è un nome collettivo, un pensiero in più penne.
La parola “hacker”, per via di un fin troppo disinvolto uso giornalistico, ha assunto un significato inquietante perché lo si confonde con “cracker”. Erore, con una sola erre, come direbbe Petrolini. La filosofia hacker può essere, sia pure un po’ di corsa, essere condensata in 3 principii: 1) tutta l'informazione deve essere libera; 2) se non si ha accesso all'informazione non c’è libertà; 3) qualsiasi sistema trae vantaggi e opportunità dal libero flusso dell'informazione. Il cracker, è invece uno che avendo la conoscenza tecnica e gli strumenti degli hackers li usa per scassare le sicurezze di un sistema per furto o vandalismo… ma che fetentone! Naturalmente, le cose - ve l’ho detto che andavo di corsa o no? – non sono da intendersi: il bene da una parte e tutto il male dall’altro. Piaccia o no a Benedetto XVI, il relativismo è una cosa seria. Sta di fatto però che esiste ad esempio un “hacker-art” (in Italia un cospicuo modello lo troviamo in Tommaso Tozzi) e non, o perlomeno non ancora, “una cracker-art”. L’hacker ha a che fare con il mondo cyberpunk, mentre il cracker è, spesso, uno che agisce sperando d’essere scoperto e assunto in qualche grand’azienda oppure organizzazione militare (da lui violate) che, se lo ritengono con i fiocchi, se n’accaparreranno i servizi. E’ accaduto, è accaduto.
Open non è Free, aiuta a capire l’assetto culturale e politico deI mondo digitale oggi e permette al lettore d’accedere anche all’etica hacker e ai suoi approdi comunicativi. Ippolita fa il surf sulle onde della tecnocultura, naviga tra codici, metodi e tattiche, pilota chi legge tra Scilla e Cariddi della politica e del mercato, fotografa in modo aereo e pure subacqueo il Maelström della net economy, analizza le acque della strategia economica dell'Open Source.

Ippolita, “Open non è free”
Ed. Eleuthéra, 128 pagine, 11:00 euro


La natura crea, ma non conserva la Cirio

Da lettore appassionato, fino alla tossicodipendenza, del settimanale L'Espresso, su queste pagine web già lamentai il trattamento che quel glorioso settimanale riserva al teatro da un po’ di tempo in qua restringendo lo spazio alla rubrica che da anni conduce Rita Cirio. Un tempo veri microsaggi sulle cronache degli spettacoli e sul modo di fare teatro. E' ancora bravissima, e non so proprio come faccia ad esserlo nelle poche righe che il giornale le assegna.
Io sono uno molto ascoltato. E, infatti, adesso, nella settimana in cui c’è la rubrica (telegrafica) di teatro… sì, non più tutte le settimane, una sì e una no… perfino nell’Indice se la scordano, e non appare indicata. Ve l’ho detto, io sono uno molto ascoltato.
Lapsus tipografico? Distrazione redazionale? Chissà. Tenebroso mistero. Gesù, fate luce.


Marchi di classe


Considero Identità Golose uno dei migliori angoli web sull’enogastronomia, e molta stima ho per il suo ideatore e conduttore Paolo Marchi, ottimo critico che unisce competenza e passione dispiegandole in una lingua divertita e saggia, per niente sussiegosa come, purtroppo, spesso càpita di leggere in cronache poco ghiotte destinate a noi ghiottoni.
A lui, tempo fa, in questo webmagazine, già dedicai una mia nota e ora brindo con piacere alla nuova edizione, pochi giorni fa andata in Rete, del suo sito che qui v’invito a visitare.
Elegante grafica, fluida navigabilità, pluralità di sezioni, rendono l’escursione web di grande, manco a dirlo, appetibilità. E siamo appena all’aperitivo, perché – come promette Marchi – presto si avranno infoltimenti dei notiziari, delle rubriche, degli articoli, delle interviste, delle informazioni.
A proposito d’informazioni, la home annuncia il secondo appuntamento con il congresso di cucina d’autore “Identità Golose” (Milano, 29 gennaio – 1 febbraio 2006) con la partecipazione di molti nomi italiani e stranieri di primo piano del mondo della Cucina e dei suoi Artefici. Fra i quali noto con piacere il nome di Massimo Bottura di cui rivendico, con orgoglio, d’essere stato tra i primi ad accorgermi; gli dedicai anche un mio volo spaziale sull’Enterprise; però Marchi, naturalmente, mi ha preceduto… e ti pareva!
Quel congresso a Milano sarà double face perché dedicato al salato e al dolce, avrà, infatti, “giorni salati e giorni dolci, con gli chef-chef a iniziare i lavori e, stesso salone, stesso palco, gli chef-pasticcieri che li concluderanno, esattamente come succede in ogni ristorante”.
Non mi sorprende perché fa parte della storia, della filosofia e, visto che ci sono, anche della geografia, culturale di Paolo Marchi il quale da tempo sostiene: L’alta cucina non deve isolarsi in una torre d’avorio abitata da una casta inaccessibile […] deve indicarci come mangiare e stare bene sempre, non solo nelle due ore al ristorante.
Sul congresso, conto di tornarci e informarvi.
Tra tanti piaceri, alcuni già presenti e altri promessi, da Identità Golose, ho anche registrato un dolore. Vedere un link alla chiacchieratissima comunità di San Patrignano (... sì, la stessa tanto amata dalla sciura Moratti), che se non lo sapete, produce anche improbabile vino (con la tartufesca etichetta “bere con sobrietà”), vale a dire la droga – da me amatissima – che ha la responsabilità del maggior numero di morti per cause dirette e indotte, roba che l’eroina, in percentuale, viene moooolto dopo. Certo, affidare a quel centro il recupero per tossicodipendenti è, a mio avviso, come affidare la direzione di un centro per la terapia del dolore a Torquemada.
Marchi, nella vita avrai molto peccato, ma non autocastigarti in quel modo che è di durezza islamica; via, e che cosa avrai fatto mai per infliggerti tanto!
Concludo citando l’attento Ufficio Stampa Eidos che provvede in maniera cordialissima alla comunicazione, guidata da Gloria Gerosa, di “Identità Golose”.

Identità Golose, Sito in Rete


Danzando in Itali@rte


Mediascena Europa, Ente di Promozione della Danza, ha inaugurato ieri la XIX edizione di Itali@rte, l’annuale vetrina della danza italiana a Roma.
Fino al 30 luglio, a Piazza Cavalieri di Malta 2, presso il giardino dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, nove compagnie si esibiranno sull’Aventino con le loro più recenti produzioni.
Un ampio ventaglio di proposte che va dalla rivisitazione di momenti classici fino alle più recenti occasioni espressive della danza italiana.
Le Compagnie: Artemis Danza di Monica Casadei, Balletto Classico di Liliana Cosi e Marinel Stefanescu, Florence Dance di Marga Nativo e Keith Ferrone, Ariston Ballet, Movimento Danza di Gabriella Stazio, Balletto del Sud diretto da Fredy Franzutti, Danza Prospettiva di Vittorio Biagi, Euro Balletto di Marco Realino, Astra Roma Ballet di Diana Ferrara.
Danilo Esposito, Presidente di Mediascena Europa, così dice a proposito di questa rassegna: Siamo d’accordo con chi ritiene che la cultura non debba essere ‘fine’ bensì ‘mezzo’, attraverso cui trasmettere le domande, le spinte e soprattutto le energie buone che vengono dalla nostra società. La cultura italiana, largamente simboleggiata dalla sua architettura, dalle chiese, dai conventi come quello di S.Alessio, che ospita Itali@rte 2005, dalla tecnologia avanzata che viene applicata alla loro salvaguardia, infine dalla danza e dalla musica, rimane l’espressione più alta della nostra identità nazionale in tutto il mondo. Mediascena Europa guarda a questo scenario con fiducia: se energie occorrono, la cultura può essere fonte energetica, se idee necessitano, la cultura può essere fonte di ispirazione.

Itali@rte, fino al 30 luglio
Per info: Mediascena, Tel. 06 – 841 31 92
Ufficio stampa: Valeria Bochicchio 348 – 82 15 906


Corti energici a Tellaro


Sono ormai tanti i Festival dedicati ai corti cinematografici, un genere che ha una sua autonomia espressiva segnata non soltanto dal minutaggio; un modo di fare cinema di cui molte tv (tranne la Rai, diretta com’è da teste di silicio) si sono accorte del valore e se ne avvalgono nei loro palinsesti. E poi, sia detto sottovoce, i corti hanno un gran merito: quando sono belli li si gode intensamente, quando brutti li si soffre brevemente.
Tempo fa, queste produzioni approdarono anche nel circuito commerciale delle sale, l’esperimento non fu però troppo esaltante. Credo che quell’insuccesso si debba anche alla selezione che fu fatta. Si preferirono pellicole di fiction, in pratica lungometraggi contratti, e quando il “corto” viaggia su quel terreno lì fallisce quasi sempre.
I suoi risultati migliori li ottiene, infatti, col microdocumentario, o con storie dalla trama fulminante, oppure con la videoart.
Molti festival in giro, dicevo. Bene. Anche qui, però, troppo spesso assistiamo a rassegne nelle quali manca un perno concettuale su cui far ruotare le proiezioni, si mette a casaccio questo e quello, badando solo al fatto che siano produzioni di non troppi metri di celluloide.
Certo, è difficile inventare, ma c’è chi vi riesce, dedicando, ad esempio, un Festival di corti ad un tema precisato e attualissimo: l’Energia.
Da domani fino al 23 luglio incluso, nella splendida scenografia naturale di Tellaro, nasce un nuovo festival: tre giorni di proiezioni, incontri con addetti ai lavori e un concorso riservato a giovani filmmakers.
Non ultimo degli obiettivi del festival: incoraggiare, con appositi premi, nuove produzioni e garantire visibilità ai registi finalisti. Finalisti che usciranno dal giudizio di una giuria composta dal regista Silvio Soldini, presidente, Chiara Barbo (critico), Sandra Ceccarelli (attrice), Esmeralda Catania (montatrice), Marco Gallo (presidente di Shortvillage), Paolo Mereghetti (critico).
Accanto a consistenti premi, sia in euro e sia in materiali per lavorazioni, ai vincitori andrà anche il Trofeo ‘Octopus’ realizzato da Carlo Bacci.
Un’altra caratteristica di questo Festival è dato da un’attenzione ai mestieri del cinema. Ed ecco un’apposita sezione, “Per chi il cinema lo fa”, dove sono state scelte tre importanti professioni legate al cinema: l’aiuto regista, l’attore, e il capo macchinista. Sul lavoro dell’attore, interverranno le attrici Valentina Cervi e Sandra Ceccarelli; di altri aspetti del set parleranno il capo macchinista Mario Tessarin e l’aiuto regista Pierantonio Micciarelli
Ci saranno anche “Incontri d’autore”, e qui troviamo tre giovani cineasti: Alessandro Piva (‘La capagira’, ‘Mio cognato’), Gianluca Maria Tavarelli, (‘Un amore’, ‘Borsellino’), Paolo Genovese, (‘Incantesimo napoletano’, ‘Nessun messaggio in segreteria’). Attraverso la presentazione dei loro lavori, i registi faranno conoscere al pubblico il proprio percorso professionale che sarà lo spunto per riflettere e discutere sulle più recenti tendenze del cinema italiano.
Tornando al tema Energia verranno inoltre dedicate alcune proiezioni speciali a storiche pellicole: Fiamme nella miniera di Karl Grune del 1923 recentemente restaurato (presentato a Tellaro con accompagnamento musicale “live”), La diga sul ghiaccio e Tre fili fino a Milano di Ermanno Olmi.
Il fondatore del Festival è Giorgo Seregni, a dirigerlo c’è Stefano Negri. La realizzazione è delle Associazioni Epicentro, Nakla e Orsoblu in collaborazione con il Comune di Lerici e la Cineteca Italiana di Milano.
L’Ufficio Stampa è dello Studio Sottocorno di Milano, condotto da Lorena Borghi e Patrizia Wächter. A proposito, mi va di fare una menzione speciale per questo Studio, come usano le giurìe dei Festival. Accanto agli abbondanti e ben articolati materiali che sono offerti a noi dell’informazione, ho notato con piacevole sorpresa che ha allegato anche orari di treni, bus, traghetti. Ecco un esempio da imitare da parte di altri Uffici Stampa; non tutti si muovono, o vogliono muoversi, in automobile, è bene ricordarlo. E fa piacere che qualcuno se lo ricordi.

Tellaro, 21 – 23 luglio
Per il programma, con date e luoghi, cliccate su: Festival.


Lo stato critico della critica


E’ in libreria una nuova edizione de Le teorie della critica letteraria, un monumentale attraversamento della storia della critica partendo da Platone per giungere fino ai temi che ad essa si pongono oggi all’inizio del terzo millennio.
L’autore è Francesco Muzzioli. Insegna Teoria della letteratura presso l’Università “La Sapienza” di Roma; è valorosamente attivo da anni nella critica letteraria stampata e web, nell’organizzazione culturale. Per una sua bibliografia, cliccate QUI.
Potete anche leggere di un mio incontro con lui che avvenne, ci crediate o non, durante un volo spaziale. Non sorprendetevi troppo, anche la premessa a questo libro di cui mi sto occupando è in forma di divertente parabola fantascientifica.
Le teorie della critica letteraria non è soltanto una storia delle principali scuole di pensiero (dalla semiotica alla psicoanalisi, dalla scuola di Francoforte all’ermeneutica, ad altre ancora), ma è pure un innovativo approccio d’interpretazione di quelle stesse scuole.
Francesco Muzzioli ha il merito, inoltre, nel trattare quei temi di starsene alla larga da una lingua paludata, cattedratica (la sussiegosità linguistica è uno dei più ricorrenti difetti in questo campo), riesce in forma piana a spiegare tutto quanto, insomma ho capito perfino io! Né fa mistero del suo punto di vista di critico militante giungendo però ad approdi assai diversi da altri che pure a quell’area appartengono. Volete un esempio? Ecco un passaggio illuminante: “… la caduta dei ‘muri’, cioè delle grandi contrapposizioni ideologiche, ha condotto alla fine del dogmatismo. L’adesione indefessa alle scuole di pensiero non paga più, anzi, oggi semmai conviene essere eclettici, flessibili, mescidati. Se è vero che questo dà la stura a un nuovo conformismo – e non mi stancherò di respingere le sirene del pluralismo post-moderno – è anche vero, però, che la fine delle affiliazioni assolute e fideistiche consente utili interscambi tra i metodi, produttivi confronti e
imprevedibili aperture”.
A lui ho rivolto la seguente domanda.
Premettendo che non sto per riferirmi ai webmagazine dei quotidiani – poiché fatalmente risentono della stessa sudditanza verso la proprietà da cui dipendono cioè le grandi concentrazioni editoriali (di cui parli anche nel tuo libro) –, ti chiedo: la Rete, fermandoci all’oggi, è uno strumento al quale riconosci la capacità di diffondere efficacemente la critica letteraria? E, inoltre, ritieni adeguato, oppure non adeguato a questo nuovo medium, il linguaggio usato dai critici allorché si misurano con quello del web?
Francesco Muzzioli mi ha così risposto.
La rete, oggi, accoglie molti operatori letterari e offre “asilo politico” a quello strumento che nel Novecento è stato importante, fondamentale per le attività e i raggruppamenti degli scrittori, parlo delle riviste, ormai divenute impraticabili su “supporto cartaceo”. Inoltre, in rete, si sta sviluppando un genere di critica “dal basso”, con la diffusione e l’interscambio dei pareri sui libri letti. Ma ciò non esclude l’utilità del libro; e che la rete possa servire a informare sui libri penalizzati dal sistema che domina l’editoria. Se c’è una guerra dei media , essa non è di uno contro l’altro, ma all’interno di ciascuno (del resto, tutte le guerre sono incivili, tranne la guerra “civile”...). Ciò non esclude, inoltre, la riflessione sui metodi di analisi del testo. Infatti, se è vero che sul web è necessario un linguaggio concentrato (ed è vero: già sento che mi sto dilungando troppo...), tuttavia, anche in meno parole, dovrò comunque dimostrare di aver capito la strategia retorica del testo che affronto (leggo) da qualunque medium esso venga veicolato. Il punto è imparare la “lettura attenta”, o meglio l’atteggiamento della criticità verso l’esistente.

Francesco Muzzioli, “Le teorie della critica letteraria”
Editore Carocci, 251 pagine, 19:50 euro


Festival Volterrateatro


Cosmotaxi Special per il Festival Volterrateatro: 18 - 31 luglio 2005


I PARTE


La seconda parte sarà in linea il 28 luglio


VolterraTeatro: chi, quando, dove e perché


Giro per Festival da una vita, come regista e come reporter, un po’ me ne intendo, eppure uno come quello che si svolge a Volterra ha un fascino unico. Perché è il solo che puntando esclusivamente su di un tema, da questo riesce ad irraggiare una serie d’avvenimenti (dalle arti visive alla danza, dalla convegnistica alla poesia, dalla musica al video), che girando soltanto su di un perno illuminano tracciati d’esistenza, scenici ed extrascenici, che di quel tema sono al tempo stesso realtà e allegoria, esperienza e fantasia, riflessione sull’oggi e ipotesi sul futuro.
Il tema, già molti di voi lo sanno, è il carcere.
E il Festival traccia percorsi di riflessione su penitenziario e pene, detenuti e guardiani, artisti e visitatori, rendendoli interpreti e testimoni di un universale Panopticon.
Il tutto si deve alla competenza, la passione, la tenacia di Armando Punzo che guida da anni la Compagnia della Fortezza (che s'avvale del lavoro di Cinzia De Felice nel non facile ruolo dell'organizzazione generale) e che di questo Festival dei teatri dell’impossibile è direttore artistico.
Qualche informazione tecnica.
Il Festival si svolge a Volterra e nei vicini Comuni di Pomarance, Castelnuovo Val di Cecina, Monteverdi Marittimo e Montecatini Val di Cecina, Questa XIX edizione è organizzata dall’Associazione Carte Blanche, in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi.
Si rinnova anche la collaborazione con il Teatro Metastasio Stabile della Toscana e il Premio Scenario che da anni va scoprendo giovani compagnie.
Il Festival è promosso dai Comuni che ho citato prima e, inoltre, da: Comunità Montana Alta Val di Cecina, Azienda Asa-Livorno, Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A., Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra; ed è in collaborazione con il Consorzio Turistico di Volterra.
L’Ufficio Stampa è guidato impeccabilmente dallo Studio Pepita Promoters un’Agenzia diretta da tre giovani professioniste di grandissime capacità: Rossella Gibellini, Anna Maria Manera, Cristina Radi.
Per informazioni: info@pepitapromoters.com


Parole di teatro


L’Araldo – E in che ho errato contro la giustizia?
Il Re – Non sai d’esser straniero, in primo luogo

(Eschilo, “Le supplici”)


VolterraTeatro: Armando Punzo


Armando Punzo, è una singolare quanto importante figura del teatro italiano. Svolge da anni un lavoro centrale (e quanto centrale!) sul piano dell’intelligenza della proposta scenica: proposta forte, rischiosa, unica. E’ diventato un caso artistico noto in tutta Europa.
Inizia nel 1978 a Napoli, sua e mia città natale, con spettacoli di strada.
Fa esperienze di lavoro con Jerzy Grotowski. Dal 1983 è a Volterra e lavora con i detenuti.
Nasce la Compagnia della Fortezza che ha prodotto spettacoli indimenticabili. Su quell’esperienza sono stati scritti tanti libri e oltre 40 tesi di laurea.
Un buon ritratto del suo pensiero teatrale, lo trovate QUI.
A proposito di questa XIX edizione di VolterraTeatro così dice:
"VolterraTeatro del Nuovo Mondo" è il titolo che abbiamo dato al Festival di quest'anno.
Ci siamo sempre posti l'obbiettivo di offrire uno spazio per la presentazione di pratiche teatrali che affrontano le problematiche del contemporaneo e allo stesso tempo le mettono in relazione con quanto di nuovo accade in discipline apparentemente lontane dal teatro.
VolterraTeatro, coinvolge personaggi delle arti, della filosofia, dell’economia, della scienza che si affiancano ai nuovi autori della scena per disegnare, insieme con il pubblico, il profilo di un nuovo mondo possibile.
VolterraTeatro è un festival che, peraltro, si pone da sempre, non solo come "vetrina" e luogo di produzione del Nuovo Teatro, ma vuole anche creare occasioni per la nascita e realizzazione di creatività, promuovendo l'incontro dei diversi linguaggi e discipline.
L'idea è, che ci sono in ambiti diversi, persone e idee che lavorano nella stessa direzione e che devono trovare un luogo comune dove il pubblico possa incontrarle e conoscerle.
Nei diciotto anni di lavoro in carcere abbiamo dimostrato attraverso la nostra azione artistica, la reale possibilità di cambiare alla radice la natura e l’idea di un Istituto di Pena allora considerato tra i più duri d’Italia.
Questo ci fa sperare che qualcosa di concreto è ancora possibile fare. Ovunque.
Da qui il titolo di quest’edizione: "VolterraTeatro del Nuovo Mondo"
.


Parole di teatro


Coro – Viva il vino spumeggiante / di Frascati e di Marino, / viva ognor l’Asti spumante /
lo Champagne ed il Bordeaux. / E fra il bere ed il mangiare / con le donne a noi vicino /
ci faremo sollazzare / sulle molle del sofà.

(Petrolini, “Nerone”, Atto Unico)


VolterraTeatro: Vino e parole

L'idea è di Armando Punzo con la partecipazione straordinaria di Giacomo Trinci e si svolge a cura di Slow Food Condotta Volterra in collaborazione con la Vena di Vino di Volterra e la collaborazione della famiglia Bettini.
Percorsi sensoriali in natura, suggestioni gastronomiche, le parole di Giacomo Trinci, poeta e autore toscano, sono la nuova alchimia che il Progetto Slow Food propone al Festival, nella splendida cornice di Borgo S. Stefano, uno dei luoghi più affascinanti della città di Volterra.
Un incontro tra teatro, sapori e profumi della natura, per riscoprire un modo antico di vivere cibo e teatro, restituendo ad entrambi il loro valore di condivisione e comunanza.

Per data, ora e luogo, cliccate su: Programma


Parole di teatro


Luisolo - … Marietta, se non vuoi essere mia moglie, sii almeno il mio ideale!

Carmelo Bene,

“Ritratto di signora del cavalier Masoch per intercessione della beata Maria Goretti”


Volterrateatro: Fanny & Alexander


… perché il cervello dell'uomo può diventare il miglior luogo di tortura tra tutti quelli da lui stesso inventati, istituiti e utilizzati per milioni di anni, in milioni di terre, su milioni di creature urlanti. Così, Vladimir Nabokov.
“Ada, cronaca familiare - Aqua Marina”, ideato da Chiara Lagani e dal regista Luigi de Angelis, è il nuovo capitolo del lavoro che da tre anni Fanny & Alexander stanno compiendo sul romanzo “Ada” di Nabokov (Pietroburgo, 1899 – Montreux, 1977). Autore divenuto famoso per “Lolita” (1955), ma che, forse, proprio in “Ada” (1969) toccò i vertici dei suoi temi: la duplicità del reale, la passione per il gioco, l’ossessione del sesso qui spinto fino all’incesto.
La Compagnia, in scena con Marco Cavalcoli, Chiara Lagani, Francesca Mazza, immagina di trovarsi all'interno di un cervello, teatrino di alcune ansie che prenderanno la forma di una rappresentazione sul filo dei suoni di Giacinto Scelsi, un musicista che è un vero e proprio caso della storia musicale del ‘900 – ricorre quest’anno il centenario della nascita – per saperne di più cliccate QUI.
Questo teatrino si trasformerà, nelle scenografie e nei movimenti scenici ideati da Antonio Rinaldi, in un ospedale psichiatrico al centro del dramma.
Le protagoniste sono Aqua, adolescente erratica, affetta da una sindrome di "esistalienazione" e Marina, sorella di Aqua, attrice e primattrice del dramma. Sarà una storia di amore e di gelosia. Entrambe le sorelle ameranno, infatti, uno stesso uomo, ovvero avranno lo stesso demone, Demon, marito di Aqua e amante di Marina.
Fanny & Alexander chiedono allo spettatore:
1. Se questo cervello sia più teatro della clinica o viceversa.
2. Se la cattiveria di Marina sia più dannosa della bontà di Aqua.
3. Di quale delle due sorelle sia figlio quel bimbo di cui sempre si straparla; inoltre se il suddetto bambino sia poi mai veramente esistito.
4. Quale sia il "codice EL", forse esatta soluzione dell'intricato plot, una sorta di prova finale insomma; in altre parole cosa sia indispensabile capire e trascurabile trascurare.
5. Chi sia, infine, il vero morto e il vero vivo"
Riuscirà il pubblico a bene assolvere il compito di detective che gli è affidato?

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Parole di teatro


Zia Lena – Cia!... Cia!... Cia!

(Luigi Pirandello, “Come tu mi vuoi”, Atto III)


Volterrateatro: Motus


Tra i gruppi impegnati nel nuovo teatro, ritengo i Motus fra i migliori oggi in circolazione, in Italia e non solo in Italia.
Motus è una compagnia che nasce a Rimini nel 1991 fondata da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò. Agisce in un'ottica di commistione tra forme espressive che vanno dalle arti visive al cinema, dal video, al teatro.
Lo spettacolo che propongono a Volterra si chiama L’ospite, un adattamento da Teorema, film e omonimo romanzo del '68 di Pier Paolo Pasolini.
Ne sono autori: Enrico Casagrande e Daniela Nicolò; interpreti: Catia Della Muta, Dany Greggio, Frank Provvedi, Daniele Quadrelli, Caterina Silva, Emanuela Villagrossi.
Di questo spettacolo mi sono già occupato un anno fa, sono uno scansafatiche e replico qui quella nota.
Ma prima voglio dire due cose a proposito di Emanuela Villagrossi: 1) quando il cinema si ricorderà di lei sarà sempre troppo tardi; 2) pensavo, vedendola in scena, che se l'avessi avuta in un mio spettacolo di tempo addietro, quella cosa sarebbe venuta tanto meglio... come?... quale spettacolo?... non lo dico nemmeno se m'offrite un'intera cantina, sarebbe indelicato verso quella generosa interprete che ebbi allora, chiaro no?
"L'ospite" s'avvale di un impianto scenotecnico d'eccezionale forza di Fabio Ferrini
(realizzato dalla Plastikart di Istvàn Zimmermann & Giovanna Amoroso) e si muove su di un'intuizione degli autori del testo quanto mai centrata.
Pasolini dichiarò che "Teorema" era nato contemporaneamente lavorando sulla pagina e sulla pellicola, questa duplicità è stata pienamente afferrata da Casagrande e Nicolò che fanno navigare fra immagini teatrali e immagini filmiche tutto il percorso drammaturgico che risulta equamente diviso fra cellulosa e celluloide.
Fin qui i meriti. Demeriti? A mio avviso, allo spettacolo qualche taglio in minutaggio gli gioverebbe di molto. A proposito, nella remota ipotesi che i Motus raccolgano questo mio consiglio, attenti a non tagliare la scena in cui Emanuela Villagrossi prende il sole, se lo fanno li denuncio. E ancora: perché scrivere nei titoli "cura delle parole" di Daniela Nicolò? Non è lei stessa autrice del testo? E perché mai cura le parole? Di che cosa si sono ammalate dopo la brillante scrittura dell'autrice di cui ho già prima lodate le intuizioni?
Ah, saperlo! saperlo!

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Parole di teatro


Principessa – Sento che tutto diventa più torbido, più torbido. Questa volta l’autunno è triste oltre ogni limite.

(Franz Kafka, “Guardiano alla tomba”, Atto Unico)


VolterraTeatro: Caterina Sagna


Protagonista della scena europea di danza, Caterina Sagna con la sua Compagnia propone a Volterra lo spettacolo Sorelline, tratto dal celebre Piccole donne (1869) della scrittrice americana Louisa May Alcott nata a Germantown nel 1821 e morta a Boston all’età di 56 anni nel 1888.
"Può un libro essere al tempo stesso il classico femminile per l'infanzia, e l'opera più diseducativa tra quante i secoli abbiano ammanite al pubblico delle fanciulle in fiore?”
In questa domanda le premesse del lavoro coreografico della Sagna che s’avvale della drammaturgìa di Roberto Fratini Serafide.
Illuminante è quanto i due autori dicono a proposito delle musiche dello spettacolo:
Jingles da sit-com, sigle televisive, tormentoni familistici, cari alla parte più corriva dell’immaginario collettivo: cose che tutti conosciamo e che nessuno ammetterebbe di ricordare, o canticchierebbe se richiesto. Musiche “imbarazzanti”, perché per decenni le abbiamo associate a un modello di pace domestica che consumavamo con la falsa riluttanza del vero teledipendente. Musiche che, va detto, si sviluppano su durate inadatte alla danza e al teatro (per non dire alla vita e al sentimento), come lenzuola troppo corte, e che per questo saranno oggetto di costante manipolazione interna, ridistribuzione, deformazione.

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Parole di teatro


Polonio – Che cosa leggete o mio signore?
Amleto – Parole, parole, parole…

(William Shakespeare, “Amleto”, Atto II)


VolterraTeatro: Compagnia Babbaluck


"Il teatro di Parola non ha alcun interesse spettacolare, mondano, ecc.; il suo unico interesse è l'interesse culturale, comune all'autore, agli attori e agli spettatori; che dunque, quando si radunano compiono un "rito culturale". Così scriveva Pier Paolo Pasolini su ‘Nuovi Argomenti’ nel marzo 1968 enunciando i postulati teorici ed i caratteri tecnici, stilistici e drammatici della sua idea di teatro. Chiariva poi che il “Teatro di Parola vuol opporsi al teatro tradizionale ed anche a quello d'avanguardia o di contestazione”, da lui definito "Teatro della Chiacchiera, del Gesto e dell’Urlo".
Ecco una delle poche cose che non condivido di quel grande autore. Anche perché amo il teatro di parola quanto una trapanazione odontoiatrica.
Eppure, proprio nell’àmbito della nuova scena, che spesso s’avvale, con mia gioia, di strumenti tecnologici avanzati, di energie del gesto, di pirotecnìe sonore e visive, Pasolini è frequentemente il punto di partenza per spettacoli della nuova scena.
Talvolta è un benvenuto spunto, talaltra un infelice pretesto, ma tant’è.
A proporre un nuovo spettacolo su Pasolini, a Volterra, è la Compagnia Babbaluck - diretta dall'attore e regista Sergio Longobardi - che nasce nel 1997 con uno spettacolo di strada intitolato “Babbaluck, Grand Seigneur”, ispirato al romanzo ”Il sorriso ai piedi della scala“ di Henry Miller; per conoscere quanto accaduto da allora ad oggi, cliccate QUI.
Lo spettacolo – prodotto In collaborazione con Magazzini di Fine Millennio – con cui è presente in questo Festival s’intitola Italia mia, sottotitolo: ‘oratorio incivile per Pier Paolo Pasolini’. Libera elaborazione drammaturgica dall'opera poetica, letteraria e cinematografica di Pasolini. La regìa è di Sergio Longobardi.
Gli Interpreti, indosseranno costumi di Daniela Salernitano e si muoveranno nelle scenografie di Marco Zezza; eccoli nell’ordine in cui li presenta la locandina: Carmine Paternoster, Fabio Palmieri, Alan Wurzburger, Francesco Troisi, Giovanna Staffieri, Sergio Longobardi, e Mimmo Di Gennaro.
Cospicuo manipolo. Lascia prevedere che molte saranno le parole che risuoneranno in scena fra le luci ideate da Antonio Gatto e le ombre create da Luca Acito.

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Parole di teatro


Massimo – Dicono che l’Orloff sia alla ricerca di un secondo marito. Dovresti farti avanti…

(Giuseppe Giacosa, “Come le foglie”, Atto II)


Volterrateatro: musica e installazioni per i ragazzi


Il Festival dedica attenzione anche al mondo dei ragazzi attivando spettacoli e laboratori.
E così avremo Valzercancantwistagain proposto dal Teatro del Clown di e con Pasquale Vaira e Giulia Villa.
I due performers utilizzeranno una colonna sonora molto varia, una colorata scenografia ricca d’oggetti e costumi originali dando spazio alla rappresentazione della danza in tutte le sue forme: classica, tribale, collettiva, divertente, moderna e buffa.

Dietro il misterioso titolo P.P.P….hhh è ben celato un percorso creativo rivolto a bambini e genitori: dal teatro a ciò che rimane di un'esclamazione.
Gianni Gronchi guiderà ragazzi e adulti nel magico mondo delle macchine teatrali. con la scenografia del P.P. Pasolini della Compagnia della Fortezza.
Il tutto nasce da “P.P.P. Elogio al disimpegno”, spettacolo realizzato all'interno del carcere dalla Compagnia della Fortezza con la regia di Armando Punzo nella passata edizione; quest’anno verrà riallestito nella piazza principale della città.
Intorno a quest’avvenimento scenico si svilupperà un laboratorio con la partecipazione di studenti della Facoltà di Scienze della Formazione Primaria dell'Università di Firenze.
Il laboratorio, unirà grandi e piccini nella realizzazione di un'installazione-performance che crescerà con le varie fasi d’allestimento e messa in scena dello spettacolo.

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Volterrateatro: Mimoun El Barouni


Uno dei segni che caratterizzano “La Compagnia della Fortezza” consiste nel non fermarsi agli spettacoli allestiti, ma raccontarne anche il prima e il dopo attraverso un lavoro che va oltre i progetti e gli esiti scenici esplorando pure che cosa accade ai singoli partecipanti, quali effetti sociali ed artistici il teatro ha avuto su di loro.
Il risultato non è soltanto sociologico, perché partendo da un'apparente non teatralità apre nuove occasioni di conoscenza, d’elaborazioni del vissuto, e ridiventa spesso teatro.
E’ il caso di questo Libro della Vita, studio autobiografico di un attore della Compagnia: Mimoun El Barouni
L'incontro tra il regista Armando Punzo ed il suo attore dà vita ad un confronto con frammenti di realtà raccontati da un'individualità che è quella di Mimoun El Barouni, ma che, forse, travalica la sua stessa esperienza.
...mentre camminavo nella strada a Volterra avevo incontrato Armando e m'aveva proposto di fare uno spettacolo raccontando la mia vita, ed avevo accettato.
E’ un buon avvìo per portare la vita nel teatro e il teatro nella vita.

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Cosmotaxi Special per il Festival Volterrateatro: 18 - 31 luglio 2005
FINE DELLA I PARTE
La II parte sarà in linea il 28 luglio


Cinema Glocale


Da oggi fino al 17 luglio, si svolgerà a Capalbio la “Prima Rassegna Internazionale del Film-Documentario” organizzata da Capalbio Art con la direzione artistica di Piero Cannizzaro.
Il tema della rassegna è dedicato al “Glocale” nelle sue varie forme e linguaggi.
Nei locali del Frantoio, ogni sera, a partire dalle 19,30 (con un intermezzo eno-gastronomico offerto dalla Cantina Vini Capalbio) verranno proiettati di volta in volta, i film documentari “L’Uomo flessibile” di Stefano Consiglio, “I nostri 30 anni” di Giovanna Taviani, “Arundhati Roy” di Paolo Brunatto, “Siamo troppo sazi” di Stefano Missio, “Rimini Lampedusa Rimini” di Marco Bertozzi, “Memmet and Memmet” di Michela Guberti, “District Six” di Diana Manfredi, “Ritratti dal Salento” di cui è autore lo stesso direttore del Festival.
Inoltre, venerdì 22 luglio, in occasione della presentazione della quinta edizione della Rassegna del Lungometraggio (titolo, in verità, non troppo seducente), si terrà un incontro-dibattito proprio sul tema del rapporto tra il cinema narrativo e il cinema verità, cui prenderanno parte: Marco Bertozzi, Piero Cannizzaro, Nicola Caracciolo, Laura Delli Colli, Massimiliano Fasoli, Stefano Missio, Franco Montini. Coordinerà gli interventi il presidente di Capalbio Art Lidia Tarantini che io ricordo autrice di un interessante libro fra cinema e psicanalisi: “Lo sguardo che ascolta. Immagine e parola nell'interpretazione analitica” pubblicato a Roma, dalla S.E.P. Adversal Editore, nel 1996.
Dopo la discussione, seguirà la proiezione del film “Ritorno a Kurumuny” di Piero Cannizzaro, premio Ischia Film Festival 2004, e il concerto di una delle più importanti figure della musica tradizionale salentina Enza Pagliara, voce storica dell’ensamble “La Notte della Taranta” e protagonista del già citato Ritorno a Kurumuny.
Piero Cannizzaro, regista, reporter, autore radiotelevisivo, ci parla di questo Festival.
La finalità della Rassegna da me diretta è quella di segnalare quelle opere non di fiction che hanno per oggetto situazioni, storie, personaggi, ambienti, in qualche modo ai margini o ai limiti del tessuto sociale. Ad esempio, il poeta contadino del sud Italia che ha uno stretto rapporto con la pietra, le osterie come luogo di aggregazione che stanno scomparendo, eccetera. Emarginazione causata dalla globalizzazione economica e culturale. Il più delle volte si tratta di storie di personaggi che nonostante tutto non si vogliono arrendere a tale processo, e tentano in tutti i modi di salvare la loro identità sociale ed anche economica. Naturalmente questo tipo di processo - il locale che si scontra o incontra o interagisce con la globalizzazione – avviene in tutto il mondo ed è per questo che ho scelto film-doc che "guardano" varie parti del mondo:.dall'Italia al Sud Africa, dalla Turchia all'India.
In qualche situazione questo incontro/scontro crea nuovi lavori e nuove identità, in altre delle vere e proprie "resistenze" , nate il più delle volte spontaneamente, per difendere una cultura o un'economia che rischia di scomparire per sempre
.

Prima Rassegna Internazionale del Film-Documentario
Info: Comune di Capalbio
Tel. +39 564 897701


PACco a Milano


Avevo ancora negli occhi la splendida mostra di Christian Boltanski, un avvenimento di primo piano nello scenario espositivo italiano di quest’anno - cui tempo fa dedicai un’entusiastica nota, allorché il Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano ha fatto scendere un velo di mestizia su sé stesso proponendo la mostra Arte Religione Politica .
Brutto titolo. Brutta mostra.
Comincia già presentandosi male perché afferma in modo temerario: “Le tre principali espressioni delle culture e delle civiltà umane vengono rappresentate in un'unica esposizione”. Principali espressioni di civiltà? Via, non scherziamo. Con quello che nei secoli hanno combinato e ancora combinano in questi giorni? E ancora: siamo sicuri che oltre quelle tre non ci sia qualche altra cultura al mondo o sono soltanto loro le principali? Ma non basta, la presentazione s’inabissa parlando anche di “radici storicamente cristiane” riferendosi a Beuys, Flavin, Fontana, Klein, Nitsch, Tàpies! E perché allora non anche Andres Serrano? In fondo, anche lui si è occupato del Cristo…
E’ lecito chiedersi: “Siamo su Scherzi a parte?”
Ora la cosa strana è che il curatore della Mostra, e direttore del Pac, Jean-Hubert Martin, sia lo stesso ordinatore della mostra di Boltanski e di altre di grande valore.
Le ipotesi sono tre: 1) il Martin di questa esposizione è soltanto un omonimo dell’altro; 2) si tratta dello stesso, ma ha concepito la mostra sotto l’effetto di un overdose di melanzane alla parmigiana; 3) il Sindaco di Milano e l’Assessore alla cultura (la “c” minuscola in questo caso è d’obbligo) lo abbiano costretto al misfatto impugnando una Madonnina.
La mostra è un’accozzaglia di improvvidi avvicinamenti, una deviante presentazione di artisti che vengono proposti in un contesto lontano dalla loro autentica espressività, una mostriciattola.
Non resta che sperare in una pronta guarigione di Jean-Hubert Martin che gli consenta di tornare quell'ottimo curatore di mostre ch'è stato un tempo. Glielo auguro. E sono sicuro che ce la farà.


Approfittate dello squalo che dorme


Chi frequenta questo webmagazine sa che non mi occupo spesso di romanzi.
Non è il mio genere letterario preferito. Concordo con quanto disse Giorgio Manganelli: “Basta che un libro sia un ‘romanzo’ per assumere un connotato losco”.
Però non sono un fondamentalista e le eccezioni (rare) a quell’aureo motto esistono.
E’ il caso di Mentre dorme il pescecane , libro che mi è assai piaciuto.
N’è autrice Milena Agus e lo ha pubblicato nelle ottime edizioni nottetempo.
Agus, nata a Genova da genitori sardi, vive a Cagliari dove insegna italiano e storia in un istituto superiore tecnico-professionale. Questo è il suo primo romanzo che in un breve volgere di tempo è giunto, meritatamente, alla sua seconda edizione.
Ma se è vero, e lo è, che non amo i romanzi, è altrettanto vero che sono costretto per lavoro a leggerne alquanti e, quindi, credetemi se vi dico che ci troviamo di fronte ad una godibilissima festa di pagine, roba che in giro non ce n’è. Nel quarto di copertina – in gergo bugiardino –, è detto: “Un modo di raccontare che non assomiglia a nessuno”; una volta tanto, il bugiardino dice la verità.
Ed è proprio il linguaggio usato dall’autrice che m’interessa, non certo la trama (peraltro, qui come plot, pressoché assente... meno male!), un linguaggio da bambina icastica che osserva più che narrare la storia di una famiglia attraverso veloci sequenze, rinchiudendo personaggi e ministorie in una sorta di Panopticon di cui lei è occhiuta guardiana e talvolta prigioniera. Un linguaggio che, avvalendosi anche di passaggi di malandrina comicità, riesce a rappresentare innocenza e malizia, pagine incantate accanto ad altre a luci rosse.
Ho rimorchiato Milena Agus a bordo di questo Cosmotaxi e le ho chiesto di parlarmi del libro e delle scelte linguistiche da lei praticate.
Ti racconto un po' come è nato questo libro. Intanto non pensavo di pubblicarlo, era una cosa più o meno da cassetto. In questo senso: io non sono granché con le parole dette oralmente, ho sempre l'impressione di venire fraintesa e spesso parlo a vanvera, pezzi di questo libro li ho fatti leggere nel tempo a delle persone perché capissero i miei sentimenti, che non avrei mai avuto il coraggio di esprimere a voce. Mi sono nascosta dietro i personaggi e questa è una cosa che faccio sin da piccola: se avevo qualcosa di difficile da dire scrivevo un raccontino che sapeva tanto di realtà, ma che realtà non era. Questo libro è nato anche dalla disperazione che mi provocano gli addii, le cose che finiscono, le persone che se ne vanno. Scrivere è un modo per conservare tutto. La pubblicazione è avvenuta in modo strano: mi piaceva la casa editrice nottetempo, era affascinante. Io avevo nel cassetto un libro da leggere di notte, così l'ho mandato, come si mette un manoscritto in una bottiglia e lo si tuffa nel mare. Quando Ginevra Bompiani mi ha telefonato ho pensato a uno scherzo.
Nello scrivere ho seguito questa idea fissa: non essere pallosa. Il linguaggio è quello di una ragazzina, perchè anche se sono una signora nemmeno più granché giovane quello è il mio modo di ragionare, quelle sono le mie parole, la mia sintassi. Poi, però, prima di mandarlo alla casa editrice, ci ho lavorato molto su, nel senso che volevo dare un bel ritmo, un po' veloce, mai palloso. E' una cosa che mi viene facile fare, forse anche perché insegno Italiano e Storia. E insomma, è andata così
.
Ancora una cosa: perché quel titolo? Comprate il libro e lo saprete.

Milena Agus, “Mentre dorme il pescecane”
171 pagine, 12:00 euro, edizioni nottetempo


Telescherno


Sulla televisione, agli strali scoccati da Karl Popper preferisco quanto dice Clive Barnes: La tv è la prima cultura voluta per tutta la gente; la cosa più terrificante è ciò che la gente vuole dalla tv.
Mi è tornato in mente questo aforisma pensando alla recente pubblicazione di Einaudi Stile Libero: Telescherno, di Stefano Disegni, uno dei nostri migliori autori di satira. Ai più distratti ricordo che è vincitore del Premio Satira Politica di Forte dei Marmi, ha pubblicato anche per Mondadori, Feltrinelli, e collaborato a storiche testate da ‘Cuore’ a ‘Ciak’ dal ‘Guerin Sportivo’ a ‘Linus’. Da qualche tempo, lavora per il ‘Corriere della Sera’, dove tutte le settimane è presente nell'inserto-magazine con la rubrica Telescherno, dalla quale sono state selezionate le storie per il libro omonimo.
E’ anche rocker a tempo ritrovato, ne potete ascoltare brani cliccando sul suo sito.
A lui mi lega il ricordo di una tempestosa traversata spaziale che finì in tragedia, se volete saperne di più cliccate QUI.
In questo libro, le sue matite satireggiano personaggi, tic e lapsus della tv attraverso irridenti ministorie che svelano con epifanie comiche le plurali devianze della nostra televisione. Stefano Disegni, conosce bene quel mondo perché è anche autore televisivo; la sua più recente trasmissione: “Cronache marziane”.
Renzo Arbore, presentando il libro dice: Ben venga questa raccolta delle malefatte tivvú, che ne racconta gli ultimi anni potentemente, dannatamente, semplicemente, allegramente e assolutamente... evidentemente.
A Roma, il 13 luglio, alle 19:00, in Via Ostiense 95, negli studi di NessunoTv (per chi possiede Sky è sufficiente procedere alla sintonizzazione degli "Altri Canali", dalla sezione Menu, e selezionare il canale NessunoTV tra i preferiti) sarà presentato Telescherno. La serata condotta dal Trio Medusa finirà, assicurano gli organizzatori, a tarallucci e vino.
Purtroppo attraverso un periodo di forzata astinenza alcolica e non potrò esserci…sigh!

Stefano Disegni, “Telescherno”
184 pagine, 14:00 euro, Einaudi


L’uomo comune secondo Pino Caruso


Un libro che comincia con le seguenti cinque parole: L’ideale sarebbe non scrivere nulla, è per ciò stesso già un libro nobile. Mi diventa amico subito.
Mi riferisco al recente lavoro letterario di Pino Caruso, pubblicato dalla casa editrice Marsilio, intitolato Un uomo comune.
Come nel precedente Il venditore di racconti (2003) – giunto nel frattempo alla II edizione – anche qui l’autore si misura con la più difficile forma di scrittura: il racconto breve.
Su affinità e differenze del suo procedere sulla pagina e sulla scena parlai con lui in uno dei miei incontri sull’Enterprise, per saperne cliccate QUI.
Nonostante i primi sette racconti costituiscano una sorta di libro nel libro occupando un terzo del volume, trovo un disegno unitario nel testo dato dal tema che lo ispira: la commedia e tragedia dell’esistere, ben espresso da Samuel Beckett in un suo aforisma: “Quando si è nella merda fino al collo non resta che metterci a cantare”.
L’unitarietà tematica, assecondata da uno stile appropriato di scrittura, mi pare evidente perfino dal fatto che è un libro che comincia da una breve, e densissima, avvertenza introduttiva che tratta “Di nulla e di nessuno” e si conclude con un malizioso sogno intitolato “Il fiume dei suicidi”. Dal nihil del non essere al néant della fine, in una corsa slapstick tanto amara quanto divertente, perché è bene rilevarlo, in queste pagine si ride assai spesso; irresistibile fra gli altri, il racconto “Psicanalisi”, che farebbe la felicità di Svevo se potesse leggerlo.
Ho chiesto a Pino Caruso: Chi è l’uomo comune? E che cosa gli diresti incontrandolo? E Pino così mi ha risposto: L'uomo comune non è l'uomo medio o mediocre, ma l'uomo, o meglio l'essere umano che ha in 'comune' con gli altri la sorte di nascere, vivere e morire. L'aggettivo comune, quindi, nel mio libro, va inteso in questo senso.
Le domande che rivolgerei all'Uomo Comune sono le medesime che rivolgo a me stesso e che tutti i viventi si rivolgono, anche vicendevolmente; ma sono domande senza risposte: l'esistenza rimane un mistero. Ed è questo mistero che ho voluto sottolineare. Cioè: ho preteso di raccontare l'irraccontabile, di vedere l'invisibile, di definire l'indefinibile. Tutto qua. Che poi è tutto quanto: il possibile e l'impossibile
.
Il risvolto di copertina giustamente dice che “Caruso ci porta per mano a conoscere il suo mondo, fatto di gioco, di malinconia, di tenerezza, ma anche di irridente follia”.
Follia… già! E mi piace ricordare che il pazzo è uno che ha perso tutto. Tranne la ragione.

Pino Caruso, “L’uomo comune”
Marsilio, 137 pagine, 11:00 euro


Lo schermo nomade


E’ uscito un libro che riempie un vuoto editoriale: si tratta di un ragionamento a più voci sul cinema fatto sul popolo rom e il cinema girato da registi con ascendenze rom.
Titolo del volume: Per un cinema nomade.
Spero di non sbagliare, ma mi pare che sia il primo in Italia su questo tema.
E’ a cura di Elisabetta Amalfitano. Per sapere di lei cliccate su biografia.
Nel 2000 ha fondato a Firenze la Cooperativa Il Gigante, e proprio edito da Il gigante e dalla Mediateca Regionale Toscana è questo libro che raccoglie saggi, oltre che della stessa curatrice, di Silvia Angrisani, Michele Barontini, Luca Bravi, Edouard Chiline, Loredana Narciso, Andrea Pocsik, Paola Traverso, Carolina Tuozzi.
Scritti di grande vigorìa critica, documentatissimi, che spaziano dalla storia del popolo rom alla loro lingua, dai giudizi e pregiudizi che quel popolo suscita in occidente al cinema su di loro e fatto da loro. E’ edito assai bene, con corredo di note, bibliografia, filmografia, foto.
Per qualche assaggio, cliccate QUI.
Ho chiesto ad Elisabetta Amalfitano di parlarmi di questo suo volume che esce dopo la realizzazione del film di Massimo D'orzi “Adisa o la storia dei mille anni”.
Ecco la sua risposta.
Abbiamo sentito l'esigenza di affiancare a un'opera cinematografica che si esprime per immagini, un libro che si esprime con le parole. E io, da filosofa, che uso il linguaggio verbale e il pensiero razionale, ho avvertito l'esigenza di avvicinarmi al mondo dei registi e degli zingari, che non hanno un linguaggio scritto e si esprimono in modo irrazionale. Il libro affronta un paradosso: il paradosso del movimento. Esso risulta infatti un'illusione, sia per gli zingari, che ormai sono per lo più stanziali, sia per il cinema, che lo rappresenta attraverso una fissità dei fotogrammi. Il libro si divide in una prima parte cinematografica, una sezione fotografica e una seconda parte di tipo storica.
Un libro dunque sul popolo rom, ma soprattutto, sul cinema, che parla di rappresentazione e che dà un nuovo significato alla parola nomadismo: per entrambi, cinema e gitani, si tratta di un movimento della mente, più che del corpo; di un movimento temporale e non spaziale
.

Elisabetta Amalfitano (a cura di), “Per un cinema nomade”
Edizioni Il Gigante e Mediateca Regionale Toscana
183 pagine, 15:00 euro


La guerra del vino


In concorso al Festival di Cannes 2004, uscito nelle sale italiane nella primavera scorsa, Mondovino, lungometraggio documentaristico di Jonathan Nossiter (per una sua biofilmografia cliccate QUI) esce in Dvd + libro per Feltrinelli nella collana Real Cinema, costa 19:00 euro.
Il film è un documento storico, un appassionato e coinvolgente viaggio in un universo fatto di uomini, filari e diversità. Diversità perché ci aiuta a comprendere il mondo del vino nelle sue diverse sfaccettature, perché ci consente di capire che cosa si agita dietro una bottiglia, quali processi e quali strategie si trovano alla base della produzione vitivinicola, la posizione di singoli produttori opposti alle multinazionali, e ancora tante altre cose d’interesse gustativo e politico.
Al proposito, il regista ha dichiarato: Con ‘Mondovino’ ho lasciato spazio ai miei protagonisti (tutti non attori) affinché potessero esprimere in modo pieno e vivido le loro personalità. [...] Ho girato il tutto in quasi due anni, con un raro senso di piacere.
Per me che amo il vino, e lo frequento da moltissimi anni, vedere quel film è stato un godimento (quasi) pari a sorseggiare una grande bottiglia.
E vi consiglio il film di Jonathan Nossiter riproposto ora da Feltrinelli.
Amo il vino, dicevo, appassionatamente. E, proprio per questo, non ne ignoro certi suoi perniciosi risvolti. Discorso che, ovviamente, e ancora di più, riguarda i superalcolici. Della sconsiderata pubblicità che la stampa, la tv pubblica e privata, la cartellonistica stradale accettata dai Comuni (lungo strade e autostrade!), fa agli alcolici mi sono già occupato in precedenti note.
Preciso: non ce l’ho con i pubblicitari, ma con l’ipocrisia, soprattutto cristiana, di chi chiude gli occhi sui pericoli dell’alcol e criminalizza i consumatori di altre droghe.
In malafede o per ignoranza. Scelgano loro.
Perché è vietata la pubblicità alle sigarette e non agli alcolici?
Rispondono gli interessati, perché “bere con moderazione, non fa male”.
Già, ma pure se ti spari una pera una, non è che il giorno dopo sbavi in piazza alla ricerca di un pusher. Il fatto è che per le droghe pesanti – e l’alcol lo è – superare la ‘moderazione’ è facile facile.
Su questa disgustosa ipocrisia c’è chi ha scritto meglio di me (ma forse non è un complimento) è il grande Sergio Messina. Se leggete QUI, ne apprenderete delle belle. E soprattutto delle brutte. In esempi e cifre.


La creatività in Testa


E’ in libreria un nuovo libro di Annamaria Testa intitolato La creatività a più voci, edito da Laterza, con una bella copertina di Simona Mulazzani.
Come molti di voi già sanno, Annamaria Testa è una delle più grandi menti applicate alla pubblicità che abbiamo in Europa, sue notizie biografiche potrete trovarle in una scheda da me redatta in occasione di un vertiginoso viaggio spaziale che ho fatto con lei in un’enoteca startrekkiana; per saperne, cliccate QUI.
La creatività a più voci è un libro scritto con la tecnica dell’arazzo, infatti Annamaria Testa ha intessuto la trama dei suoi ragionamenti, tutti veloci e illuminanti, con l’ordito di una serie d’interventi d’altri studiosi sul tema della creatività.
Il tutto discende da un Festival – “Nuovo e Utile”, al quale Cosmotaxi ha dedicato uno Special
– di cui proprio l’autrice ne guidò la direzione. Una ciclopica impresa sulla creatività, le sue origini e i suoi approdi, mai prima realizzata in Italia: 200 eventi in 5 giorni, tra performances, dibattiti, incontri, presentazioni di centri culturali, e una permanente attività destinata ai ragazzi.
Questo libro, però, è per niente soltanto la raccolta di alcuni tra i più interessanti contributi scientifici offerti in quel Festival, bensì un seducente viaggio dell’intelligenza di Annamaria Testa attraverso molteplici campi: dalla linguistica all'economia, dalla storia, alla pedagogia, dal cinema alle biotecnologie, dai mass media al web, dalla moda alla letteratura.
Nel corso di questo tragitto, il libro s’avvale anche d’interventi degli studiosi: Alison Abbott, Paola Antonelli, Manuela Arata, Stefano Isidoro Bianchi, Remo Bodei, Stefano Boeri, Omar Calabrese, Gianni Canova, Franco Carlini, Sylvie Coyaud, Tullio De Mauro, Svante Lindquist, Giangiacomo Nardozzi, Alberto Oliverio, Paolo Prodi, Michele Serra, Benedetto Vertecchi, Elisabetta Visalberghi, Ugo Volli, Samir Zeki, Giovanna Zucconi.
Un libro, La creatività a più voci, imperdibile non soltanto per chi lavora nella pubblicità, ma anche in tante altre forme di comunicazione, penso che dovrebbero leggerlo, ad esempio, gli insegnanti, i giornalisti, la gente di cinema e teatro.
Quando ho cominciato a scrivere questa nota, volevo citare qualche passaggio del volume, ma ho dovuto arrendermi al fatto che era troppo denso di decisive (e, spesso, divertenti) indicazioni fulminanti. Costruendo la Testa, come procede, con lucenti microsaggi una ricognizione, al modo di un ingegnere di Babele che, come dice Bufalino di quell’architetto, “illumina con un’epitome certosinesca di panopticon e bric-à-brac, scrapbook e digest, fusées e mots-sésame”.
Ho deciso allora di chiamare Annamaria Testa e porle una sola domanda.
Nella tua attività professionale, nell'osservazione quotidiana di chi ti circonda (tuoi corteggiatori inclusi), come decidi chi è "creativo" e chi no? In altre parole, quali principii ti guidano nel distinguere e classificare?
Bella domanda. Cerco di dare una risposta ordinata, anche se il processo del "distinguere e classificare" non lo è per nulla.
I principi sono del tutto arbitrari e in larga parte umorali.
Elenco (non in ordine di importanza) alcuni dei segni che mi rendono diffidente.
L'abuso del termine "creativo", non importa se riferito a se stessi o ad altro.
L'abuso del termine "trasgressivo". L'abuso di diminutivi (da "attimino" a "mercatino", per intenderci). La difficoltà nel gestire con precisione e misura i congiuntivi (esclusi stranieri, anziani, bambini, persone con bassa scolarità). La coazione a fare battute su tutto, sganasciandosi a sproposito. Le persone pedanti o piagnucolose: gasp.
Le persone (sempre) pigre: bleah. Le persone prepotenti: brrr.
Le persone che non leggono (mai) un libro o un giornale): gulp.
Le persone troppo e sempre sicure di sé: uff.
Ecco invece alcuni dei segni che mi sembrano positivi.
La capacità di cogliere l'aspetto paradossale delle cose. Il sense of humour. La capacità di essere empatici e compassionevoli.
E poi: le persone tenaci. Le persone curiose. Le persone flessibili nei comportamenti. Le persone che sanno assumersi delle responsabilità. Le persone che sanno stupirsi. Le persone competenti. Le persone genuinamente anticonformiste.
Però, però: va detto che sparare giudizi a capocchia, o ridurre a categorie semplificate la multiformità del mondo, NON è un segno di creatività.
Quindi, tutto quanto è detto sopra andrebbe davvero preso con le molle
.
Ora sappiamo meglio come regolarci incontrando Annamaria Testa. Corteggiatori inclusi.

Annamaria Testa, “La creatività a più voci”
224 pagine, 12:00 euro; Editore Laterza


La stella del brigante


Alfonso Santagata dedica al brigantaggio meridionale tra Basilicata, Campania e Puglia nella seconda metà dell’800, uno spettacolo dal titolo Il sole del brigante.
Sono anni che ricerco e raccolgo materiali sul brigantaggio e potrei continuare ancora per anni senza riuscire a finire, data l’enorme quantità di documentazione su queste figure – dice Alfonso Santagata, e così prosegue – Se dovessi indicare in quale percorso inserire queste storie sui briganti, penso alle tentazioni di un mondo che voglio attraversare per cogliere qualcosa che mi appartiene, senza però cadere nel rischio del teatro cosiddetto di impegno civile. Le ragioni di questa scelta intendono comunicare una complessità lontana dalla fascinazione romantica e dal giudizio cinico e negativo.
Non mi occuperò dei briganti più famosi, quelli che la cronaca più che la storia ha catalogato, controllato, mitizzato e quindi svuotato da ogni motivazione politica facendoli così cadere nell’oblio. Fra le centinaia di storie di briganti che ho conosciuto mi piace inventarne uno che abbia la forza di tutti, arrivare ad un’icona unica: un’invenzione che nasce dalla trasfigurazione della memoria
.

Compagnia Katzenmacher; date delle prossime repliche:
6 - 7 luglio, ore 21.30, Chiostro Teatro San Martino, Bologna
8 luglio, ore 21.30, Fontanelice (Colline Imolesi - BO) - Magazzini di via VIII dicembre
17 luglio, ore 21.30, Villa Bonaccorsi - Potenza Picena (MC)
19-20-21 luglio, ore 21.45, Parco ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini - Milano
31 luglio 2005, Vivo D’Orcia fraz. Castiglione D’Orcia (Monte Amiata ¬ SI)
25 agosto, Rocca di Mezzo (AQ)
07 settembre 2005, Ortus Conclusus - Benevento
04-05-06-07-08-09 ottobre 2005, Teatro Arsenale, Milano


Italiani brava gente?

Era questo il titolo (senza punto interrogativo) d'un film del 1964 di Giuseppe De Santis che, pur volendo mostrare gli orrori della guerra in Russia, finiva col fare, attraverso una galleria macchiettistica, un elogio di un presunto carattere nazionale bonario.
Ma siamo poi così buoni? Una risposta a quest’interrogativo lo fornisce una recente pubblicazione dell’Editrice manifestolibri.
Mi riferisco ad una nuova edizione di Genocidio in Libia, studio storico sulle atrocità nascoste dell'avventura coloniale italiana.
Un libro necessario.
Uno di quei volumi che se la scuola italiana non fosse amministrata dalla pirluscona Moratti andrebbe messo nelle biblioteche degli istituti e consigliato ai ragazzi.
N’è autore Eric Salerno. Nato a New York, si è trasferito in Italia giovanissimo. Per dieci anni redattore di 'Paese Sera' prima di passare al 'Messaggero' dove è stato capo del servizio esteri e per anni inviato in Africa e Medio Oriente. Dal 1994 è corrispondente da Gerusalemme per il quotidiano romano e per la Radio della Svizzera italiana.
Oltre a "Genocidio in Libia", ha pubblicato "Guida al Sahara" (1974, SugarCo), "Fantasmi sul Nilo" (1977, Sugarco), "Rossi a Manhattan" (2001, Quiritta), e nel 2002, per i tipi degli
Editori Riuniti, "Israele, la guerra dalla finestra".
Genocidio in Libia descrive, con agile scrittura, d’invogliante lettura, la storia dell'avventura coloniale in Libia, tra il 1911 e il 1931, e degli orrori che l'accompagnarono. Oltre centomila libici morti per difendere la loro patria da noi invasa, tredici campi di concentramento in Cirenaica e nella Sirtica, deportazione dei libici verso l’Italia, uso dei gas contro la popolazione civile.
Eppure, come scrive Eric Salerno “…il mito dell’Italiano Buono, portatore di Civiltà, non è del tutto scomparso. Anzi. Assomiglia, quando viene evocato, alle giustificazioni del presidente americano, George W. Bush, quando giustifica l’invasione dell’Iraq […] Assomiglia alle parole dei crociati moderni contro l’Islam, a chi insiste per sottolineare gli aspetti positivi, illuministici del Cristianesimo nella storia dell’Europa dimenticando, e cito soltanto due tragici imperdonabili prodotti della società cristiana, l’Inquisizione e l’Olocausto”.
Interessato dalle pagine di questo libro imperdibile, ho chiesto ad Eric Salerno di dirmi com’è nato questo suo lavoro e che cosa lo ha spinto a ripubblicarlo.
La prima edizione di ‘Genocidio in Libia’ apparve nel 1979 dopo una lunga ricerca da me compiuta negli archivi del ministero degli esteri (ed ex ministero delle colonie) e sul campo in Libia. Gheddafi, almeno una volta l’anno, accusava l’Italia di Giolitti e poi quella fascista di atrocità nei confronti della popolazione libica e volevo capire esattamente ciò che era accaduto. Trovai la conferma di molte cose, dai campi di concentramento alle impiccagioni dei combattenti contro l’invasione e l’occupazione e scoprì anche il fatto che l’aviazione fascista si era servita di bombe all’iprite contro la popolazione civile. Ho sentito la necessità di ripubblicare il volume con nuovi elementi storici dopo aver ascoltato vari tentativi revisionisti da parte di esponenti della destra italiana. Sostenevano, come l’attuale ministro degli esteri Fini, che l’Italia aveva portato in Libia soprattutto la cultura italiana. Italiani brava gente, dunque. Non certo in epoca coloniale.
Ho cominciato con la citazione di un film, termino ricordandone un altro: “Il leone del deserto” (1979) di Moustapha Akkad. Racconta le atrocità da noi commesse in Libia. Protagonista del film è Omar El Mukhtar: un maestro di scuola che dimostrò grandi doti di strategia militare, al punto che gli italiani incorsero in più di una sconfitta, prima di vincerlo.
Mi piacerebbe vederlo quel film. Non mi aspetto un capolavoro, ma m’interessa. Non sono il solo in Italia a non conoscerlo. Da noi, infatti, è censurato da 26 anni.

Eric Salerno, “Genocidio in Libia”, pp.160, 14:00 euro
Edizioni ManifestoLibri


I burattini di An Happy World

Armando Roscia, è un attore che proviene dalla prestigiosa Accademia Pietro Sharoff; da anni in teatro recita in ruoli di grandi classici da Plauto a Giulio Cesare Croce, da Goldoni a Shakespeare, avvicinandosi anche a testi d’autori della sua terra d’origine (è nato a Salerno) e così lo troviamo ad interpretare personaggi di Scarpetta e Peppino De Filippo. Un rilevante successo lo ha ottenuto con “Pinocchio musical”, spettacolo che è stato in tournée anche in Francia, Inghilterra, Spagna, Grecia, Olanda, Germania, Svizzera.
Non mancano sue presenze alla tv e al cinema dove ha lavorato con registi che vanno da Josée Dayan a Liliana Cavani.
Uomo di molteplici curiosità culturali, da qualche tempo è andato interessandosi al teatro d’animazione e, in particolare, a quello dei burattini fondando l’Associazione An Happy World che si propone di riscoprire quella scena con nuove formule narrative .
Cedo ad Armando Roscia la parola.
I ragazzi stanno troppo davanti alla tv guardando di tutto. Varie indagini di diversi osservatorii sociologici concordano sul fatto che a 14 anni un ragazzo ha assistito (numero più, numero meno) a 18.000 scene d’omicidi e violenza in tv. Questa cosa favorisce emulazione secondo alcuni, indifferenza – forse ancora più pericolosa – secondo altri. Eppure, nonostante questa virulenza mediatica, specie i più piccoli, è questa l’esperienza che ho maturato, sono interessati alla rappresentazione delle fiabe di una volta.
Perciò monto spettacoli sulle paure ancestrali dei bambini e le presento affidando il racconto ai burattini.
Filo conduttore di “Fiabilandia”, i tre spettacoli con musiche che stiamo replicando in questa stagione estiva, è un bambino che aiuterà i suoi coetanei ad esorcizzare le loro paure, qui simbolicamente rappresentate da lupi, orchi e streghe.
Abbiamo deciso l’accorpamento di più fiabe (da Hansel e Gretel a Pollicino, da Cappuccetto Rosso a Peter Pan, da Il gatto con gli stivali a Il lupo e i 7 capretti, ad altre ancora) in ogni spettacolo per dare plurali argomentazioni al tema di volta in volta proposto, e anche per l’esigenza che hanno i bambini di “ricaricare” l’attenzione, e d’immedesimarsi in ciò che vedono.
Le rappresentazioni sia al chiuso (teatri, aule o palestre delle scuole, circoli culturali) sia all’aperto (giardini, parchi, piazze), affascinano sempre. Forse perché come ha scritto Gustavo Marchesi “il burattino mette in fuga tutti i fantasmi di questo mondo. E’ un puro, e come tale vince, come sono puri e vincono i bambini, quando gli adulti non s’incaricano di tradire la loro purezza”
.
Armando Roscia ha fatto riferimento alla stagione estiva che va conducendo, ma gli spettacoli sono disponibili anche in altri periodi dell’anno.
Anzi, penso che durante il periodo scolastico, gli insegnanti potrebbero con profitto didattico sperimentare questa forma di fruizione scenica che permette loro d’introdurre un discorso sulla storia di questo tipo di teatro che proviene dal Medio Evo, sugli autori che hanno dato vita a quelle celebri narrazioni, sulla differenza fra burattini e marionette, spiegare gli statuti linguistici delle varie forme di fiction, come, ad esempio, le differenze espressive con, e fra, i cartoons e i videogiochi.

Per prenotare gli spettacoli, telefonare alla segreteria organizzativa di An Happy World ai numeri: 06 – 58 97 112 e 347 – 33 18 283


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