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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Il mese più lungo


La casa editrice Marsilio ha pubblicato una testimonianza che sarà di riferimento per tutti quelli che vogliano, anche in futuro, sapere come andarono i drammatici fatti vissuti dal 4 febbraio 2005 in occasione di un famoso rapimento.
Il libro è intitolato Il mese più lungo Dal sequestro Sgrena all’omicidio Calipari.
L’autore è Gabriele Polo. Direttore del quotidiano “il Manifesto” dal 2003 al giugno 2009, ne diventa poi direttore editoriale, oltre che commentatore e inviato fino al 31 dicembre 2012, quando - in seguito al cambio di proprietà, dopo la liquidazione del "manifesto cooperativa editoriale" - ha lasciato il quotidiano, per lavorare come freelance. Dal gennaio 2015 dirige la casa editrice Meta.

I meriti di questo volume, oltre a rivelare particolari inediti su quell'avvenimento, sono molteplici.
In primo luogo rilevo la descrizione dei fatti narrati con una scrittura di gran classe giornalistica. Periodi brevi, scattanti. Una tensione che mai si allenta in tutte le pagine, si rivivono i fatti come se non se conoscesse l'epilogo.
Poi c’è, accanto alla partecipazione emotiva, una lucidità che porta l’autore a confrontarsi con ambienti e uomini fino allora visti da lontano e con occhio critico.
Polo scoprirà, e noi con lui, come nei servizi segreti – sempre osservati con ragionato sospetto – esistano persone eccezionali, fuori di ogni stereotipo, come Nicola Calipari che arriverà a sacrificare la propria vita pur di salvare Giuliana Sgrena.
“L’incontro con Nicola” – scrive Rosa Villecco Calipari in prefazione – “tra due persone che forse non comunicano ancora ma che hanno imparato ad ascoltarsi è il fulcro del libro. Due uomini apparentemente lontani […] sono meno distanti di quanto si possa pensare: sobri, riservati, taciturni, entrambi portati naturalmente dai loro rispettivi lavori a guardare la realtà con razionalità […] due uomini privi di cinismo, si accosteranno l’uno all’altro nel ‘mese più lungo’ e si comprenderanno. Il giorno dei funerali il direttore del ‘quotidiano comunista’ titolerà il suo giornale Uno di noi”.
Libro teso e commosso sì, ma Polo, come dicevo in apertura, da buon giornalista qual è, non gli sfugge qualche inopportuna battuta di Berlusconi oppure la rivalità con Calipari che muove, ad esempio, Mancini, né qualche ombra che attraversa le parole di Pollari, e neppure le ambigue reticenze del Sismi che sarà poi travolto, insieme con i suoi vertici, dagli scandali Nigergate, Abu Omar e Telecom-Pirelli.
Inoltre, le pagine non risparmiano d’illustrare le debolezze manifestate dal governo italiano verso gli Stati Uniti, né i modi risoluti con i quali il governo americano opera la sottrazione alla giustizia italiana dello sparatore di Calipari, il soldato Mario Luis Lozano che ora vive “sotto protezione” in qualche luogo degli Stati Uniti.
Amara è, infatti, la conclusione del libro che ricorda come il Ministro Martino nel primo anniversario della morte di Calipari attribuì quella tragica fine ”agli oscuri disegni del destino”. Così Polo, sdegnato, commenta quelle parole: Qualcosa di soprannaturale e inevitabile. Come sono le ingiustizie del mondo quando vengono accettate per paura di dar loro un nome.

Gabriele Polo
Il mese più lungo
Prefazione di Rosa Villecco Calipari
Pagine 192, Euro 18.00
Marsilio


Alla ricerca dei sogni perduti

Allo Studio Gennai è in corso una mostra presentata da Vittore Baroni.
Riproduciamo qui il suo scritto (In foto opera in mostra).

Seduzioni e incantamenti, illogicità e paradossi, alterazioni e frammentazioni spazio-temporali secondo la grammatica allegorica e universale tipica dei sogni, è quanto traspare dalle composizioni verbovisuali realizzate a quattro mani, in collaborazione differita ma anche sincretica, da Lamberto Pignotti (Firenze, 1926), poeta e saggista, uno dei maggiori protagonisti dell'intensa stagione della Poesia Visiva, e Antonino Bove (Palermo, 1945), autore multimediale dedito al connubio tra arte e scienza, da decenni impegnato in una peculiare ricerca sulla materializzazione dei sogni. Fondatore di una fantomatica “Società degli Onironauti” e inventore di apparecchiature improbabili quali l’Oniroscopio Fisicizzatore, Bove ha allestito un intrigante teatro onirico, combinando immagini enigmatiche estrapolate dalle proprie sperimentazioni e tracce di una memoria artistica comune e condivisa. Pignotti è quindi intervenuto sui collage, interagendo con notevole sintonia ed inserendovi suoi versi evocativi e pertinenti schegge di un poema concepito appositamente, in una perfetta fusione della poetica dei due autori.
Dalla metà degli anni '50, Pignotti si è imposto, con ironia e arguzia, come uno dei più originali e graffianti studiosi del rapporto fra parola e immagine, soprattutto in relazione alla comunicazione visiva nella società di massa. Tra i padri fondatori della Poesia Visiva, aderente al Gruppo '63, l’autore ha aperto nuove strade alla poesia sperimentale esaminando le più diverse dinamiche tra segni e codici linguistici nei diversi media.
Dai ’70, Bove si è occupato invece di fenomeni para-scientifici come la levitazione, la reificazione dei sogni e il mito dell’immortalità. Cofondatore a Viareggio nel 2003 dell’associazione culturale BAU, l’artista ha creato nella sfera della meta-genetica installazioni e sculture vive, utilizzando organismi unicellulari quali il lievito, i batteri e anche alghe marine, meduse, anguille, tacchini.
Forti di queste formidabili pratiche ed esperienze, Pignotti e Bove hanno dato forma nella serie di opere in mostra ad un clima fantastico e visionario, con ibridazioni inusitate e accostamenti sorprendenti in una recherche che non mira semplicemente ad esplicitare simbologie e associazioni oniriche, ma vuole spingersi piuttosto all’interno di aree inesplorate della dimensione sogno, per interiorizzarne l’energia, per liberare nuovi archetipi e figure chiave, per incontrare non tanto freudianamente se stessi bensì l’altro, l’arcano e ineffabile, tra malinconiche fantasmagorie e incongrui ribaltamenti di senso (in una vita sempre più razionale e tecnologica). E se fossero i personaggi dell'arte, dipinti e scolpiti, a sognare la realtà di noi umani
?

Lamberto Pignotti – Antonino Bove
“Alla ricerca dei sogni perduti”
Studio Gennai Arte Contemporanea
Via San Bernardo 6, Pisa
dal martedì al sabato ore 17.00 - 19.30
Info: studiogennai@yahoo.it
Fino al 30 giugno 2015


Non Credo


Il titolo non tragga in inganno, non si tratta del divenuto famoso intercalare di Crozza nell’imitazione del senatore (!) Razzi, qui si parla d’altro.
Nello scenario, non troppo vasto in verità, delle pubblicazioni laiche, va registrata la presenza di una rivista ben attrezzata quanto ad elaborazioni teoriche non disgiunte da indicazioni di contrasto alle prepotenze delle religioni, specialmente quelle monoteiste.
Mi riferisco al bimestrale: Non credo la cultura della ragione e del dubbio.
È emanazione della Fondazione ReligionsFree, il suo strumento di comunicazione cartacea e internettiana che intende “alimentare speranze e consapevolezza di ogni NonCredente, cioè di ogni corretto cittadino che nel rispetto delle leggi, dell’etica condivisa e della solidarietà umana opta responsabilmente per la cultura del dubbio, per la consapevole autonomia della coscienza e per la libertà di pensiero”.

In foto il logo della Fondazione.

A dirigere la Fondazione e Non Credo è Paolo Bancale che, a proposito delle religioni, così scrive sul più recente numero della rivista: È un termine antico quanto ambiguo: va dal potere dei sacerdoti egizi a quello dei papi, dal culto dei morti al dio di turno, passando per l’interpretazione di umani stati d’animo e angosce interiori […] Le religioni saranno sempre ottuse aggregazioni di masse dominate da mantra ossessivamente riciclati dai loro preti, fintantoché non si riproporranno invece come “religiosità” con tutto il Mistero che la sottende.
Qui va detto che la pubblicazione fa un’ampia apertura alle filosofie orientali, al buddismo, orientamenti dai quali io sono molto lontano ma, ovviamente, rispetto quelle convinzioni esposte in articoli ben fatti su “Non Credo”.
Merito della rivista, infine, è il giovarsi di una vivace composizione grafica che ne rende scorrevole la lettura anche dei testi più impegnativi che, comunque, sono tenuti su lunghezze assolutamente non invasive.

Il costo di un numero, di circa 100 pagine, è di 8 euro.

Non Credo
Direttore: Paolo Bancale
Fondazione Religions Free
Borgo Odescalchi, 15/b
00053 Civitavecchia
email:info@religionsfree.org
tel: +39.366.5018912
fax:0766.030470


Filmfestival Lo Spiraglio (1)

Il 18 maggio, durante la Giornata Internazionale dei Musei, a Roma si è avuta al Museo della Mente una serie di proiezioni – presentate nell'Auditorium "Paolo Rosa" da Vera Fusco – di corti tratti dal Filmfestival Lo Spiraglio.

È questa la quinta edizione di un ottimo festival dedicato a plurali, per temi e stili, riflessioni espressive sulla salute mentale e, soprattutto, sui disagi che provocano i disturbi che assediano tanti.
Ma che cos’è la salute mentale?
Con tale espressione, secondo la definizione dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), si fa riferimento “a uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all'interno della società, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell'ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni”.
Quanti di noi possono riconoscersi quali appartenenti a quel gruppo? Credo pochi pochi.
Infatti, uno studio della stessa OMS ha evidenziato che i disturbi riguardanti le malattie mentali rivestono un’importanza crescente in tutti i Paesi industrializzati sia per il numero dei soggetti colpiti, sia per l’elevato carico di disabilità e di costi economici e sociali che comportano per chi si ammala e per i loro familiari.
In Europa, ad esempio, la mortalità per suicidio è più elevata di quella per incidenti stradali, e il solo disturbo depressivo maggiore rende conto del 6% del carico di sofferenza e disabilità legati alle malattie.
“Anche in Italia, come in altri Paesi industrializzali” – si legge sul sito del Ministero della Salute – "i disturbi mentali costituiscono una delle maggiori fonti di carico assistenziale e di costi per il Servizio Sanitario Nazionale; si presentano in tutte le classi d'età, sono associati a difficoltà nelle attività quotidiane, nel lavoro, nei rapporti interpersonali e familiari e alimentano spesso forme d’indifferenza, di emarginazione e di esclusione sociale”.

Non amo molto quel mezzo prete di Chesterton, però una cosa credo l’abbia detta giusta: Il pazzo è uno che ha perso tutto, tranne la ragione.
La Legge Basaglia (13 maggio 1978) ha indicato la via maestra da percorrere, ma molta strada resta da fare.
Che il cinema e la salute mentale (intesa come il complesso di pensiero e azioni che si muovono per tutelarla) abbiano un legame stretto è cosa nota. Non era invece presente, in Italia, tra tanti filmfestival tematici, uno spazio dedicato al Cinema della Salute Mentale.
“Lo Spiraglio” si propone come un evento scientifico e di cultura, attraversato da prodotti cinematografici densi di contenuti, idee, suggestioni che possono interessare il grande pubblico, così come gli esperti del settore.
Ecco perché questo festival è uno strumento non solo da apprezzare ma anche da sostenere concretamente da parte di chi ha responsabilità governative sia nazionali sia locali.

Guardiamo adesso, nella prossima nota, più da vicino il Festival Lo Spiraglio.


Filmfestival Lo Spiraglio (2)


Il Festival si avvale della direzione scientifica di Federico Russo e di quell'artistica di Franco Montini.

Russo, psichiatra psicodinamico è il responsabile della Unità Organizzativa Semplice di via Palestro, dove opera un Centro di Salute Mentale e un Centro Diurno. Predilige il lavoro clinico riabilitativo e scientifico su situazioni di marginalità e gravità, come la disabilità, la tossicomania, le psicosi. Attento al potere delle immagini, dagli anni ottanta ha realizzato documentari, ricerche, studi, pubblicazioni sull'uso dei sistemi audiovisivi in psichiatria, partecipando come organizzatore e/o relatore a congressi, seminari, corsi di rilevanza nazionale e internazionale. Ha studiato le interconnessioni profonde tra cinema e mente con uno sguardo alla reciprocità dei linguaggi, alla formazione dei pregiudizi, al potenziale scientifico e didattico del cinema in psichiatria.

Sul Festival, così dice: Quante cose della follia sfuggono alla comprensione. E’ talmente difficile che si preferisce chiudere gli occhi e tirare avanti. Eppure la follia è un potente microscopio che guarda dentro l’animo umano, la famiglia, la società, la cultura.
Da questo punto di vista origina l’idea di un festival dedicato ad opere che affrontano i grandi temi della psichiatria, della psicologia e della salute mentale nel suo insieme.
Questo festival tematico è organizzato da un gruppo di lavoro integrato: al suo interno passano stagisti che seguono un percorso riabilitativo, volontari, esperti di cinema, di comunicazione e professionisti della salute mentale. Ringraziamo il cinema per la luce che illumina il nostro mondo. Cerchiamo di maneggiare con cura ogni opera che entra nel nostro circuito. E’ lo stesso rispetto, attenzione e cura che ci aspettiamo quando siamo noi, dal mondo della follia a chiedere accesso alla società
.

Nella foto: un particolare del muro inciso da NOF (Nannetti Oreste Fernando) nel manicomio di Volterra.

Montini, giornalista e critico cinematografico, è presidente dell’Associazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici e dell’Associazione Made in Italy da anni impegnata nella promozione del cinema italiano all’estero.
Collabora con diversi festival, con la Casa del Cinema di Roma come organizzatore di incontri e rassegne, ha curato trasmissioni radiofoniche di àmbito culturale per la Rai.
Scrive per il quotidiano “La Repubblica” e per “Il giornale dello spettacolo“, “Vivilcinema“, “Cinema & Video International”, “Ciak”. Ha pubblicato i volumi: “I novissimi” edito dalla Eri, una biografia di Carlo Verdone per Gremese ed una di Luigi Magni per la Eri. Ha curato il volume “Il cinema italiano del terzo millennio” pubblicato da Lindau; “Gian Maria Volontè- Lo sguardo ribelle” per Fandango Libri; “Istantanee sul cinema italiano" per Rubbettino.

A proposito del Festival, scrive: Il cinema può aiutare a curare il disagio mentale? I film possono essere utilizzati come valido strumento terapeutico? Sull’argomento si discute da tempo, il dibattito è aperto e le opinioni di medici ed esperti si confrontano e si scontrano appassionatamente. Una cosa comunque è certa: attraverso il linguaggio delle immagini disagi, ossessioni, fobie, paure, patologie possono essere mostrate, raccontate, analizzate nella maniera più approfondita e precisa. Attraverso il cinema si possono comprendere meglio patologie ignote perfino a chi ne soffre e riflettere su realtà spesso sconcertanti. Tutto ciò aiuta anche a superare l’aprioristica diffidenza che spesso si prova nei confronti del disagio psichico, che tende ad emarginare chi ne soffre in un mondo a parte, condannandolo ad un’angosciosa solitudine.

Nella prossima nota ancora una zoomata sul Festival “Lo Spiraglio”.


Filmfestival Lo Spiraglio (3)

Tra i premi del Festival: il Premio Fausto Antonucci al miglior cortometraggio, il Premio Fondazione Roma Capitale diretta da Maurizio Saggion.

In foto: Deborah Stevenson, Attention to Detail, fotocollage.

Per i cortometraggi, la giuria ha premiato “La valigia”, animazione, colore, sonoro, 15’00”, 2014, di Pier Paolo Paganelli
Questa la scheda film.
Un anziano è seduto sul bordo di un letto all’interno di una stanza spoglia e dai muri stonacati, il viso solcato da profonde rughe e la barba incolta, mani nodose ma ancora piene di vita, spalle ricurve: è solo e pensieroso. Unico sfogo verso l’esterno una piccola e sgangherata finestra con le sbarre. Davanti a sé ha una misteriosa valigia. Aprendola l’uomo si ritrova tra le mani le fotografie e gli effetti personali di un’intera vita. Inizia così la sequenza di ricordi e visioni, sinapsi della mente che prendono vita e invadono la stanza dell’anziano riportandolo indietro nel tempo, prima adulto poi ragazzo, infine bambino.

La Fondazione Roma Solidale ha conferito il suo premio a Sergio Castellitto.
Questa una parte della motivazione.
Ha prestato il proprio volto alle due più indimenticabili figure di psichiatri proposte di recente in Italia dal cinema e dalla televisione: Arturo, il giovane e generoso neolaureato de “Il grande cocomero” di Francesca Archibugi, e Giovanni Mari, il brillante e problematico psicoterapeuta de “In treatment” di Saverio Costanzo. Ma a testimoniare dell’assiduità ricorrente fra Sergio Castellitto e il tema del disagio e della malattia mentale è soprattutto la straordinaria galleria di personaggi disturbati ed inquieti, che l’attore ha interpretato, senza mai giudicarli e tanto meno condannarli, nel corso di una lunga e prestigiosa carriera […] Ma anche da regista Sergio Castellitto ha mostrato sensibilità e interesse per il tema. E’ per questi motivi che la direzione del festival ha deciso di assegnargli il premio Lo Spiraglio Fondazione Roma Solidale onlus 2015.

Appuntamento al Festival “Lo Spiraglio” con l’edizione del prossimo anno.


I siciliani

Quanta Sicilia c’è nelle epoche lontane e nella storia moderna d’Italia!
Tanti i testi che riflettono sulle antiche colonizzazioni e dominazioni attraversate da quell’isola (la più grande del Mediterraneo e anche il più grande contenitore occidentale di plurali culture), e sulla storia a noi più vicina dal maggio 1860, sbarco a Marsala dei Mille, ai giorni nostri.
Tanti pure gli studi su singoli personaggi che dalla letteratura al teatro, dalla politica alla mafia, hanno reso famosa e famigerata la Trinacria, ma un libro che mi ha particolarmente affascinato per struttura e scrittura l’ha pubblicato Beat Edizioni; è intitolato I siciliani, l’ha scritto Alfio Caruso.
Nato a Catania nel 1950, ha dato alle stampe anche altri titoli quali “Da Cosa nasce Cosa”, “Italiani dovete morire”, “Tutti i vivi all’assalto”, “Breve storia d’Italia”. V’invito a visitare il suo sito web per più diffuse notizie sia biografiche sia letterarie.

In I siciliani, Caruso procede tracciando, con scrittura sintetica e fosforescente, le biografie, con ricchezza di notizie inedite e molti aneddoti, di oltre sessanta personaggi appartenenti alle cronache siciliane sia culturali sia della delinquenza, sia dell’impresa sia della grande storia (il libro si apre con Federico II).
Si viene a creare così un palcoscenico su cui si alternano vite di ieri e di oggi che sfilano all’interno di scene indicate con un cartello brechtiano, sicché si esibiscono “Figli e Figliastri della Storia” (da Jacopo da Lentini a Pirandello, da Cagliostro a Finocchiaro Aprile, “Sperti e Malandrini” (da Calogero Vizzini a Matteo Messina Denaro, da Salvatore Giuliano a Benedetto Santapaola), “Nipotini di Platone” (da Giovanni Verga a Franco Battiato, da Angelo Musco a Salvatore Quasimodo).
Non solo nomi famosi, però, perché sono illuminate anche vite ignote o trascurate che, nel bene e nel meglio come nel male e nel peggio, hanno avuto ruoli nella Storia italiana, come, ad esempio, la grande scrittrice Goliarda Sapienza troppo spesso colpevolmente dimenticata oppure il tetro razzista Telesio Interlandi scomparso nelle tenebre assolutorie di una mancata vera epurazione.
Scrive l’autore: … in questo libro il numero degli assenti supera quello dei presenti. D’altronde c’erano tremila anni di storia siciliana da racchiudere: togliere, però, è stato più faticoso e lacerante che raccontare. Alla fine ha trionfato il libero arbitrio, quello dell’autore. Per ogni nome che troverete, nel Bene e nel Male, almeno tre sono rimasti fuori. E ciascuno avrebbe avuto l’identico diritto di figurare fra cotanti migliori e cotanti peggiori.

Apprezzato da molti, Caruso è stato attaccato (da siciliani... e ti pareva!) che lo accusano “d’infangare la Sicilia” quando evidenzia terribili verità che sono verità e sono terribili. La cosa non mi sorprende perché càpita anche a me quando parlo di Napoli, mia città natale, e i miei concittadini, spesso, m’insultano se dico che – hai visto mai? – da quelle parti camorra e camorristi, sono nei governi locali e anche nei partiti una volta immuni dal morbo del malaffare adesso invasi dalla malavita organizzata, e tutto questo è in grandissima parte responsabilità dei napoletani stessi.
Una buona risposta di Caruso a quei signori l’ho trovata QUI… d’accordo, è un sito 5 Stelle, che volete, mica si può essere perfetti! L'importante è che siano dette cose giuste, e Caruso ne dice di giustissime.

Alfio Caruso
I siciliani
Pagine 679, Euro 9.00
Beat Edizioni


Walter Marchetti


Giorni fa un infarto s’è portato via il musicista Walter Marchetti.
Ebbi modo di conoscerlo, alla metà degli anni ’70, quando utilizzai sue musiche in uno sceneggiato radiofonico di cui ero regista negli studi di Milano della Rai.
Di musica parlammo poco, molto di più, bevendo, parlammo d’alcol.
Nato nel 1931 a Canosa Di Puglia, aveva collaborato con il compositore spagnolo Juan Hidalgo, conosciuto nel 1956, e fondato con lui gli Zaj, formazione influenzata dal pensiero di John Cage (con il quale sia Hidalgo sia Marchetti avevano collaborato) attiva dal 1964 al 1993, che aveva accolto nel proprio organico anche importanti figure letterarie come il critico e poeta Luis Castillejo.

Per quelli che non lo conoscessero, traggo due significativi brani dall’ottimo sito di ricerca musicale Angelica.
Il primo è del pianista Reinier van Houdt che così dice a proposito dell’esecuzione di "Concerto per pianoforte per la mano sinistra - in un solo movimento" (1994): Il pianista viene messo davanti al compito paradossale di dover tenere un ombrello aperto con la mano sinistra, mentre suona un concerto per la mano sinistra. Dato che è impossibile, dovrà decidere quale azione è cruciale: tenere l'ombrello o suonare la musica. Tuttavia nel fare entrambe le cose si possono raggiungere due risultati: ci sarà un tipo di ascolto intensamente concentrato su ciò che l'ombrello cerca di riparare invano, e al tempo stesso il suono di una pioggia proverbiale diverrà udibile.

Secondo brano. Marchetti di se stesso così dice: Fin dai primi anni della mia vita sono stato condannato a lavorare e mi son visto, di volta in volta, vendemmiatore, muratore, sellaio, vinaio, tranciatore, tornitore, saldatore di carter per moto e biciclette, operaio specializzato in una vetreria industriale, aggiustatore, impiegato alle poste e telegrafi, venditore di musica e dischi, consulente musicale, tecnico del suono, traduttore, responsabile di una galleria d’arte, compositore in una tipografia, imprenditore, ecc. In musica, tengo a precisarlo, sono autodidatta, quantunque ci siano stati tentativi di fare studi musicali seri e rigorosi, ma, poi, la cosa non mi sembrò per niente seria. Nel 1954-55 incontrai Bruno Maderna, grande musicista e grande amico, che mi diede una mano e cui rimasi sempre legato da una vera e profonda amicizia, nonostante la rottura avvenuta nel ’58 come conseguenza della "calata" di John Cage in Europa; anche se fu proprio lui a spingermi nella "gabbia". Infatti, da allora, tutto fu un’altra cosa.

Un assaggio del suo stile ascoltando Le Secche del Delirio (Per Porci e Pianoforte).


Voooxing Poooêtre

La poesia sonora deve molto a Enzo Minarelli che da anni è attivissimo come autore nonché, con 3ViTre Archivio di Polipoesia, custode e promotore internazionale della performance acustica.
Ora annuncia la pubblicazione in CD dell'LP esaurito da tempo Voooxing Poooêtre (1982).
Il disco s’avvale di una nuova presentazione di Minarelli.
Ne trovate di seguito alcuni stralci.

La prima edizione di questo LP risale all’ottobre 1982, ora, questo nuovo prodotto, grazie ad una stretta collaborazione tra Recital Editions [Los Angeles] e 3ViTre Archivio Polipoesia, reca la data di febbraio 2015.
Anzi, mi sembra che solo ieri mi stessi occupando della compilazione di questa antologia, della selezione delle poesie sonore giuste da inserire nell’LP nonché scrivere testi critici per ogni autore; era, in ogni caso, Voooxing Poooêtre, uno dei primi dischi apparsi, almeno in Italia, interamente dedicato alla sperimentazione sonora […] Molti dei pezzi antologizzati sono stati realizzati a metà degli anni Settanta, all'inizio degli anni Ottanta, ma nonostante quasi quattro decadi, ancora contengono un alto tasso di comunicazione.
Perché?
Questa è una delle grandi intuizioni avute dai poeti sonori, quando si lavora dentro l’apparentemente impalpabile ma concretissima materia dell'oralità, della vocalità, o della vocoralità per usare un mio neologismo, succede che non si percepisce affatto il monopolio del significato così tipico, e limitante, per certi versi, del poetare scritto; operare con la voce vuol dire anche agire all'interno di una zona di sicurezza, sfornare un mix sempre verde di parole e suoni, di fonetica e linguistica, di note e rumori che trasformano il poeta sonoro in una sorta di Dorian Gray della poesia sonora […] Ciò che si può affermare oggi, soprattutto dopo il grande contributo teorico di uno studioso come Paul Zumthor, è che il suono della poesia, della polipoesia hanno acquisito i propri diritti di essere iscritti al livello della letteratura, pur usando una strumentazione diversa rispetto ai poeti lineari; qui la voce ricopre il ruolo principale diventando vera protagonista su tutti gli ingredienti dello spettacolo, i quali per forza di cose, declinano verso funzioni più defilate; tuttavia, da questo incontro tra il dominio della voce e la spettacolarità degli altri elementi (musica, immagine, movimenti, luci, costumi ecc.) scaturisce un'energia inaspettata che va molto oltre il valore della scrittura, e anche durante l’ascolto di questo CD, è possibile individuare, se si è in grado pazientemente di cercare, vari messaggi «universali».
Ripubblicare Voooxing Poooêtre, significa riaffermare la validità della vocoralità come una pratica di ricerca, ribadire quella sfrontata libertà che permette ai polipoeti di sperimentare, di spingere ancor più in avanti i confini dell'avanguardia poetica
.

Scrivere a info@3vitre.it per informazioni sull’acquisto.

Voooxing Poooêtre
disco internazionale di poesia sonora
a cura di Enzo Minarelli


Inferno Novecento

La Compagnia Lombardi - Tiezzi presenta quest’anno due spettacoli nel tradizionale appuntamento di primavera nel Cortile del Museo del Bargello di Firenze.
Dal 28 maggio al 1° giugno, alle ore 21.15: Inferno Novecento L’Inferno e il grande giornalismo del Secolo Breve.
A distanza di dieci anni dal fortunatissimo "Dante Inferno", Federico Tiezzi riunisce di nuovo Sandro Lombardi e David Riondino (in foto) intorno alla Commedia dantesca.
“Lo spettacolo” – informa un comunicato stampa – “nasce da un’idea del giovane drammaturgo Fabrizio Sinisi, e mette a confronto i maggiori personaggi dell’Inferno con grandi icone del Novecento (Lady Diana e Dodi Al Fayed, Marylin Monroe, Giulio Andreotti, Andy Warhol, Pier Paolo Pasolini…) o con momenti cruciali della sua storia (Hiroshima, il Vietnam, la guerra del Golfo…), costruendo una diversa possibilità di lettura e fruizione del poema fondante della nostra cultura.
È così innescato uno strumento attraverso il quale il mondo contemporaneo possa interpretare la prima cantica dantesca: ma offre anche un modo per farsene interpretare. La grande poesia di Dante diventa un percorso all’interno delle contraddizioni dell’uomo contemporaneo. E a sua volta la contemporaneità intride di nuove figure e di fatti presenti alla nostra memoria l’universo immaginario dell’al di là dantesco.
Alternando episodi dell’Inferno con brani di celebri firme del giornalismo italiano, si realizza un viaggio non solo attraverso la Commedia, ma anche una discesa nei gorghi dell’anomalo, tremendo secolo appena trascorso.
Accanto ai versi dell’Inferno, il Novecento occidentale trova infatti una sua disarmante coincidenza; e il testo di Dante, usato come lente d’ingrandimento della nostra epoca, rivela una straordinaria e quasi angosciante attualità.
Inferno Novecento invita dunque lo spettatore a un percorso in cui la poesia si faccia complementare alla cronaca: il ‘900 – per tanti aspetti ancora il nostro tempo – diventa il luogo di una discesa agli inferi, di uno sguardo sulla nostra storia recente e sul nostro presente".

I testi

Canto III - Per me si va ne la città dolente
Virgilio Lilli, Hiroshima angoscia del mondo, La Stampa, 9 dicembre 1948

Canto V - Paolo e Francesca
Aldo Cazzullo, Lady D, angoscia nel tunnel, La Stampa, 1 settembre 1997

Canto XII - I tiranni
Matteo Durante, Esecuzione eseguita: Saddam impiccato, Panorama, 30 dicembre 2006

Canto XIII - La selva dei suicidi
Giovanni Grazzini, Marilyn è tornata donna, Corriere della Sera, 6 agosto 1962
Rossana Rossanda, Anche per me (Haydée Santamaria), Il manifesto, 29 luglio 1980

Canto XIV - Il sabbione ardente
Oriana Fallaci, Sono tornata da Saigon in fiamme, L'Europeo, 22 febbraio 1968

Canto XV - Brunetto
Fernanda Pivano, Lou Reed e Andy Warhol, Corriere della Sera, 18 dicembre 2004

Canto XXVI - Ulisse
Enzo Siciliano, L'idroscalo di Ostia, il manifesto, 5 novembre 1975
Franco Fortini, Postilla a In morte di Pasolini, Il manifesto, 7 novembre 1975

Canto XXVII - Guido da Montefeltro
Oriana Fallaci, Intervista a Giulio Andreotti, L'Europeo, marzo 1974

Canto XXXI - I Giganti
Oriana Fallaci, La rabbia e l'orgoglio, Corriere della Sera, 15 settembre 2006

Canto XXXIII - Conte Ugolino e Arcivescovo Ruggieri
Renzo Guold, La nuova regia dell'orrore, La Repubblica, 18 febbraio 2015

Canto XXXIV - E quindi uscimmo a riveder le stelle
Dino Buzzati, Cronaca di ore memorabili, Il Nuovo Corriere, 26 aprile 1945

“Inferno Novecento”
uno spettacolo di Federico Tiezzi
drammaturgia a cura di Fabrizio Sinisi
con Sandro Lombardi e David Riondino
musiche eseguite in scena a cura del Conservatorio Cherubini di Firenze
in collaborazione con il Conservatorio di Musica Luigi Cherubini, Firenze
Ex Soprintendenza Speciale P.S.A.E e per il Polo Museale della città di Firenze
Museo Nazionale del Bargello – Associazione “Amici del Bargello”
Firenze Musei – Fondazione Teatro della Toscana

Stampa e Comunicazione: Simona Carlucci, tel. 335.5952789 - 0765.24182
info.carlucci@libero.it

Per informazioni: Compagnia Lombardi-Tiezzi tel. 055 – 600 218
Prevendita Circuito Regionale Box Office tel. 055 – 21 08 04


Il ritorno di Casanova

Ancora parliamo della Compagnia Lombardi – Tiezzi perché a “Inferno Novecento” seguirà dal 3 al 14 giugno - ore 21.15: “Il ritorno di Casanova” di Arthur Schnitzler, in foto.
Traduzione, adattamento e regia di Federico Tiezzi
Il bellissimo racconto “Il ritorno di Casanova” è scritto nel 1918 dall'austriaco di famiglia ebraica Arthur Schnitzler (Vienna, 15 maggio 1862 – 21 ottobre 1931), autore che anticipa, con la sua lucidità e la sua rottura con la tradizione, il tema della “finis Austriae” della letteratura fra le due guerre.
Introduce nella letteratura tedesca il monologo interiore e questo fa tanto pensare alla sua originaria professione di medico (smessa poi per dedicarsi allo scrivere) molto interessato al mondo della profondità psichica che lo rese amico e corrispondente di Freud.
“Il ritorno di Casanova” fu scritto quando Schnitzler aveva terminato di leggere due anni prima i Memoires dell’avventuriero veneziano e nel 1915, anno d’inizio della composizione del racconto, Arthur Schnitzler aveva 53 anni, la stessa età di Giacomo Casanova immaginato e descritto nella narrazione.
Nel grande seduttore “andava spegnendosi” – scrive Schnitzler – “il fulgore intimo non meno di quello esteriore", e questo introduce il tema del disfacimento caro a Schnitzler che già in “Anatol” (1893), opera d’esordio, raffigura personaggi i quali cercano di eludere il decadimento che li affligge e, più marcatamente, questo tema apparirà in “Morire” (1895) dov’è descritto il progressivo dissolversi delle facoltà psichiche e fisiche di un moribondo.
“Gli indistinti confini tra realtà e bugia, il relativismo etico, l’illusione del libero arbitrio”, è stato scritto “sono le idee motrici dello scrittore”.
La sua idea sull’arte la possiamo conoscere da un suo aforisma: "I tre criteri dell'opera d'arte: coerenza, intensità, continuità".
Terribili gli ultimi anni della vita di Schnitzler. Il 26 luglio del 1928 la figlia Lili si uccide. Lui tre anni dopo morirà per un ictus.

Da “Il ritorno di Casanova” nel 1992 è stato tratto in Francia un film di Édouard Niermans con Alain Delon nel ruolo del seduttore veneziano, ed Elsa Lunghini, nel ruolo di Marcolina.
C’è stato un adattamento televisivo con la regia di Pasquale Festa Campanile e uno radiofonico, nel 1985, con la regia di Aldo Sarullo, protagonista Ennio Balbo.
Sempre per RadioRai, nel 1981, nel contenitore “Il Girasole”, andò in onda una sintesi di quel racconto con la mia regìa e le voci di Dario Penne (Casanova), Angiolina Quinterno (Mirandolina).

Lo spettacolo è pensato e realizzato da Tiezzi come un melologo. Quest’arte a cavallo tra musica e teatro, nasce e si sviluppa nel XVIII secolo, proprio il periodo in cui Arthur Schnitzler situa l'ultima avventura amorosa di Casanova.
Sandro Lombardi, insieme con due percussionisti e con un violoncellista, creano una narrazione teatrale in cui gli accenti drammatici del testo di Schnitzler sono sottolineati dalle trascrizioni contemporanee della musica di Antonio Vivaldi.
Musiche eseguite dal vivo in collaborazione con il Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze.

Nell’avventuriero veneziano, ormai giunto a 53 anni, stanco di avventure erotiche e nauseato dal suo passato di diplomatico da strapazzo, ha un solo desiderio: tornare nell’amata Venezia ma, proprio quando sembra che il suo sogno stia per realizzarsi, un vecchio amico lo trascina in una sua casa di campagna nei pressi di Mantova, dove Casanova incontra la giovane Mirandolina, che riaccende il suo desiderio.
Lo sguardo che la donna gli rivolge, freddo e indifferente, lo getta però nella disperazione: si sente vecchio e ormai incapace di esercitare fascino. L’amaro sapore della sconfitta lo spinge a un estremo quanto folle tentativo: sospettando che la giovane sia in realtà l’amante di un bellimbusto, il sottotenente Lorenzi, fa di tutto per scoprire la verità e, avuta conferma dei suoi sospetti, una notte si sostituisce con l’inganno a Lorenzi. Avrà così il corpo della bella Marcolina ma, dopo un sogno misterioso, al risveglio, la situazione precipita.
In questo meraviglioso racconto - che Tiezzi riduce ad opera teatrale attraverso l’artificio di far parlare Casanova in prima persona - si rivela la tragicommedia della coscienza moderna, sganciata dai valori della tradizione, attenta ai propri istinti e alle proprie falsità, minacciata dal trascorrere del tempo, per cui ogni avventura è il tentativo di sfuggire alla vecchiaia e alla morte. Il cuore del testo è quindi un freudiano scontro fra Amore e Morte, segnato dall’angoscia della fine di un’epoca “felice”.
Torna dunque da un’angolazione ancora diversa, l’indagine sul mistero dell’amore, al quale Tiezzi e Lombardi hanno già dedicato “Un amore di Swann” di Marcel Proust, rappresentato con successo nel 2012 e nel 2013, e “Non si sa come” di Luigi Pirandello, spettacolo molto apprezzato da pubblico e critica nel corso dell’ultima stagione.
“Il ritorno di Casanova” sarà in tournée nella prossima stagione in Lussemburgo (novembre), Pistoia, (Teatro Manzoni, 8-10 gennaio), Torino (Teatro Gobetti 9-14 febbraio), Milano (Teatro Studio, 17-29 maggio).

Ufficio Stampa: Simona Carlucci, tel. 0765 – 24 182; 335 – 59 52 789
info.carlucci@libero.it

Il ritorno di Casanova
di Arthur Schnitzler
regìa di Federico Tiezzi
con Sandro Lombardi e Marco Brinzi
Firenze - Cortile del Museo Nazionale del Bargello
info e prenotazioni: tel. 055 – 600 218; 055 – 60 94 50 / info@lombarditiezzi.it
Prevendita Circuito Regionale Box Office tel. 055 – 21 08 04
Dal 3 al 14 giugno ‘15


Stories from the Edge


È partito il viaggio in camper di “Stories from the Edge” (in foto il logo), un progetto itinerante e partecipativo nato dalla collaborazione tra le artiste Nayari Castillo, Kate Howlett-Jones e Marina Sartori.
Curatori il tandem Manuel Fanni CanellesFrancesca Lazzarini.
Quest'ultima è stata già ospite di questo sito in qualche precedente occasione, ad esempio, QUI.
Ecco il comunicato che illustra “Stories from the Edge".

Obiettivo del progetto è indagare l’identità dei luoghi turistici lungo le coste di Friuli Venezia Giulia, Slovenia e Istria croata nei periodi di bassa stagione. Come una sorta di osmizza (luogo tipico del Carso in cui si vendono e si consumano vini e specialità locali, direttamente nella casa o nella cantina dei produttori) itinerante il camper - guidato dalle tre artiste - sarà un luogo d’incontro, convivialità, auto-produzione, e, al tempo stesso, di ricerca artistica. E come nella tradizione delle osmizze, che per decreto di Giuseppe II d’Asburgo avevano il permesso di aprire al pubblico solo otto giorni l’anno (il termine osmizza deriva, infatti, dallo sloveno osem, che significa 8), il camper farà 8 tappe, di cui sei di ricerca lungo la costa e due conclusive a Trieste e Graz, dove due mostre presenteranno al pubblico l’esito del progetto.
Le sei tappe sono suddivise in due viaggi: il primo, iniziato a maggio, ha toccato Lignano, Portorose e Rovigno; il secondo, a fine Settembre, toccherà Parenzo, Pirano e Grado.
Per ogni stazione è previsto un momento di aggregazione intorno al camper trasformato in osmizza; qui le artiste inviteranno le persone del luogo e le comunità artistiche a raccontare il posto e le sue caratteristiche. Gli incontri saranno agevolati dalla presenza di altri sei artisti, invitati – uno per luogo - a unirsi a Stories from the Edge per realizzare lavori di ricerca personali sul tema del progetto, ciascuno nella località assegnatagli e attraverso il linguaggio artistico preferito. Saranno coinvolti: Polonca Lovsin (Slo), Ryts Monet (I), Renata Poljak (Hr), Pila Rujan (Slo), Nika Rukavina (Hr), Alessandro Sambini (I).
Sul sito di Stories from the Edge sarà possibile seguire il viaggio del camper e le suggestioni raccolte on the road.
Ultime due tappe del progetto saranno infine la mostra a Trieste (Novembre 2015, presso spazio5 e MLZ Art Dep) e quella a Graz (Gennaio 2016) dove saranno esposte tutte le opere prodotte e i materiali raccolti durante il percorso.
Si concluderà così un viaggio tra iper e ipo identità dei luoghi lungo la costa nord-adriatica
.

Indubbiamente un’operazione intelligente che ha già prodotto risultati espressivi di rilievo.
Solo applausi? No, una cosa che non mi va ce l’ho. Una pratica siffatta tesa ad esaltare il genius loci, sul sito web è descritta solo in inglese. Non sarebbe meglio accompagnarla anche da una traduzione italiana visto, fra l’altro, che i luoghi percorsi sono in parte italiani? Perché ridurci a periferia dell’Impero anche nelle occasioni - come questa lodevolissima - in cui non lo siamo? Ah, saperlo…saperlo!

"Stories from the Edge" è organizzato da The Daily Rhythms Collective in partnership con Gruppo Immagine, ed è supportato dal Dipartimento Culturale della Regione Stiria, con il contributo di Alpe Adria Allianz.


Aminoacid Boy

Parecchi anni fa, precisamente nell’ottobre del 2007, invitai, nella sezione Nadir di questo sito, Diego Lazzarin un videoartista di cui avevo notato il notevole talento.
Aveva allora realizzato Punk Attitude che molto mi piacque e mi piace ancora molto con quella colonna sonora affidata al gameboy.
Così si presentò in una scheda dalla quale estraggo alcune righe: Ho studiato grafica pubblicitaria e scenografia. Da sempre m’interesso di pittura e musica, da poco realizzo animazioni e video musicali.
Ho realizzato un cortometraggio liberamente tratto da un romanzo di Michaeil Bulgakov (Cuore di cane), grazie al quale ho ricevuto diversi riconoscimenti.
I miei pittori preferiti sono Chagall e Basquiat […] I soggetti che prediligo sono la mostruosità, la neurochirurgia, la biologia, la biomeccanica, ciò che è surreale o appartiene al subconscio
.

Ora ha lanciato una campagna crowdfunding per finanziare la stampa del suo primo libro a fumetti intitolato Aminoacid Boy and the Chaos Order.
Sarà un libro a colori di 156 pagine composto con l’onirico stile acido e acidista che contraddistingue il suo lavoro.
A tutti quelli che amano la graphic novel (la sola narrativa dei nostri giorni che io riesco a leggere) rivolgo l’invito a incoraggiare Diego Lazzarin in questa sua nuova impresa.


Scritti diversi e dispersi


Pubblicato in collaborazione con la Fondazione Marino Piazzolla, la casa editrice Fermenti manda nelle librerie Scritti diversi e dispersi Saggi 2000 – 2014. Ne è autore Gualberto Alvino, critico, romanziere, filologo e di Antonio Pizzuto tra i massimi studiosi; qui una conversazione che ebbi con lui nel febbraio 2001. Anni dopo, pubblicherà il romanzo “Là comincia il Messico".
Zoomiamo adesso su “Scritti diversi e dispersi”.

In foto, la copertina che riproduce un lavoro di Bruno Conte: “Germitrama”, 2014.

Dalla prefazione di Mario Lunetta: Il filologo, il critico, il linguista fanno tutt’uno in Alvino con la figura dello scrittore, in linea operativa con la sua assoluta convinzione che in tutte le operazioni di scrittura risulta definitivamente centrale e protagonistico il linguaggio. Come Baudelaire ha asserito a più riprese che un poeta degno del nome contiene sempre dentro di sé un critico, così, ribaltando a specchio la parola del fondatore della poesia moderna, Alvino si dice convinto che un attendibile indagatore di testi non può non essere uno scrittore di solida caratura. L’acutezza di un’analisi letteraria coincide, insomma, contro ogni estetismo, con l’energia stilistica con cui è problematicamente condotta.

Per visitare il sito web di Gualberto Alvino: CLIC.

Gualberto Alvino
Scritti diversi e dispersi
Pagine 294, Euro 21.90
Fermenti Editrice


Algorithmic Memories


Con il titolo implacabilmente in inglese, Algorithmic Memories Spot the Difference, è on line una nuova mostra di Mark… pardon!... di Marco Cadioli.
Di lui questo sito si è occupato più volte, la più recente delle quali in occasione di Totem alla Widget Art Gallery.

Cadioli vive e lavora a Milano, dove è docente presso l’Accademia di Comunicazione. Fra le sue mostre personali: Der Neue Wanderer (Overfoto, Napoli 2009) e Abstract Journeys (Gloriamaria Gallery, Milano 2012). Dal 2004 ha preso parte a festival e collettive a livello nazionale e internazionale, tra cui: Premio Michetti, Francavilla al Mare 2005; Superneen, Milano 2006; Netspace, MAXXI, Roma 2007; Atopic Festival, Parigi 2009 e 2010; FotoGrafia, Macro Testaccio, Roma 2010; Neoludica, Biennale di Venezia 2011; AFK, Casino Luxembourg 2011; BYOB, Museo Pecci Milano 2012; InterAccess Electronic Media Arts Centre, Toronto 2013.
QUI il suo sito web.

Ricca e interessante, per spunti ideativi e realizzazioni tecniche, anche questa sua mostra in Rete che dell’arte elettronica ne fa una delle più specifiche rappresentazioni di linguaggio.
Poiché il concetto che muove l’esposizione ruota sull’algoritmo, è, forse, utile sapere di più su questo procedimento che prende il nome dal nome del matematico persiano Mohammed ibn-Musa al-Khuwarizmi (VIII secolo d.C.) effigiato nel disegno in foto.
Volentieri rilancio il comunicato che della mostra ne illustra motivazioni e approdi.

Algorithmic Memories mostra una serie di video generati da Google+ per i propri utenti, affrontando temi estremamente attuali quali la rappresentazione del sé sui social network e la standardizzazione delle emozioni e dei ricordi.
“Year in Photos” è il titolo del video che Google+ ha mandato in dono ai propri utenti in occasione della fine dell'anno 2014. Ognuno di questi video è stato generato da un algoritmo che ha selezionato le immagini ritenute migliori tra quelle condivise da ogni singolo utente, siano esse state effettivamente scattate o già elaborate dal sistema che si occupa, tra le altre cose, di individuare i sorrisi meglio riusciti e ricombinarli tra loro per offrirci fotografie perfette. Selezionate, ritagliate e corredate da una colonna sonora le immagini vengono montate secondo una sequenza precisa, uguale per tutti.
Affiancando sulla stessa pagina web due di questi video Cadioli ci offre la possibilità di individuare somiglianze e motivi ricorrenti riflettendo sul ruolo sempre più preponderante che gli algoritmi stanno assumendo non solo nella selezione dei contenuti ai quali possiamo avere accesso, ma anche nella gestione delle immagini, dello storytelling e della rappresentazione del sé. Un fenomeno che genera secondo l'artista una standardizzazione dei ricordi e delle emozioni, in un contesto in cui il format conta di più dei contenuti
.

Link Cabinet – un progetto di Matteo Cremonesi per il Link Art Center – è una singola pagina web pensata per mostre personali in cui ogni artista presenta una singola opera realizzata secondo una logica site-specific. Concepito come uno spazio bianco e con un’interfaccia essenziale, Link Cabinet è un ambiente neutro pronto a essere rimodellato dalle opere che ospita. Dopo la mostra, il lavoro esposto non sarà più fruibile sul sito.
Il Link Center for the Arts of the Information Age (Link Art Center) è un'organizzazione no-profit che promuove la ricerca artistica con le nuove tecnologie e la riflessione critica sui temi dell’età dell’informazione: organizza mostre, eventi, conferenze e workshop, pubblica libri, attiva partnership con realtà private e istituzionali e svolge un intenso lavoro di networking con analoghe realtà internazionali.
Fa parte di Masters & Servers. Networked Culture in the Post-digital Age che indaga su di una nuova generazione di azionismo digitale, sostenuta dal progetto Europa Creativa 2014 - 2020.
Fino all'agosto 2016 Masters & Servers investigherà la cultura di rete nell’era post-digitale.

La mostra “Algorithmic Memories” sarà on line fino al 30 maggio 2015.


Ifigenia in Aulide (1)

Una tradizione biografica afferma che Euripide (la foto ritrae una scultura raffigurante il drammaturgo, conservata presso la galleria del Colosseo) sia nato nell’isola di Salamina addirittura il giorno della famosa battaglia che da quell’isola prese nome e vide i Persiani sbaragliati dai Greci. Diffidare! Sono biografi che se la costruiscono a misura coinvolgendo altresì gli altri due grandi tragici attici: nello stesso anno Eschilo avrebbe valorosamente combattuto il nemico e Sofocle avrebbe guidato il coro di giovani che intonarono il peana per la vittoria.
Più probabile che sia nato nel 485 a. C., cinque anni dopo quell’epico scontro navale vinto da Temistocle. “Del resto, molte voci che lo riguardano sono inattendibili” – scrive Federico Condello – “come quella che lo vuole figlio di un bottegaio e di un’ortolana; maldicenze comiche (specialmente di Aristofane), smentite dalla semplice constatazione che il giovane poeta ricevette un’educazione inconcepibile per un popolano e che egli ricoprì il prestigioso incarico di tedoforo nel culto di Apollo Zosterio: la sua famiglia doveva essere dunque almeno benestante […] Scarsamente attendibili sono molte altre notizie relative alla biografia del poeta; non meno fantasioso il dato relativo all’abitudine di ritirarsi in una grotta di Salamina per comporre le proprie tragedie. Che Euripide abbia avuto rapporti non saltuari con alcuni dei grandi intellettuali suoi contemporanei, e in particolare con i più illustri rappresentanti della nuova filosofia e della sofistica, è alquanto probabile: ma certo non si può prendere alla lettera la notizia secondo cui egli sarebbe stato allievo dei filosofi Anassagora, Prodico, Protagora e Socrate, benché non siano rare, nelle sue tragedie, le tracce di apporti teorici provenienti dai più avanzati settori della filosofia coeva”.

Più certa, pare, la sua misoginia come attesta anche una discutibile battuta contenuta nell’”Ippolito”: ‘La donna è il peggiore dei mali’. Mica sono d’accordo. Ringrazio gli dei che esistano. C’è soltanto una sola cosa che non perdòno loro: che ci facciano nascere. Per il resto tutto ok. Come dite?... l’umanità non esisterebbe?... e chi l’ha detto che sarebbe una disgrazia.
Altra cosa che sembra certa la sua esperienza nella lotta detta “pancrazio” e nel pugilato, insomma: evitare discussioni con quel poeta, se ne poteva uscire malconci.
Non evitarono, invece, vivaci dissensi e acerbe critiche con lui i suoi contemporanei, gli spettatori non lo amarono e la sua fama, infatti, è postuma.

L’Ifigenia in Aulide fu scritta tra il 407 ed il 406 a.C., nel periodo che l’autore passò alla corte di Archelao, re di Macedonia. Periodo espressivamente felice, ma, al tempo stesso, peggior esito non poteva avere per lui perché fu allora che Euripide morì.
L’opera fu rappresentata per la prima volta nel 403 a.C.
Messa in scena da un suo figlio (secondo altri un nipote) che pure Euripide si chiamava.
Tanti e, spesso, contraddittori i giudizi su questo grande autore di cui Friedrich Nietzsche disse: Euripide è il primo drammaturgo che segue consapevolmente un'estetica. Di proposito egli cerca ciò che è perfettamente comprensibile: i suoi eroi sono nei fatti quel che sono quando parlano. Essi si esprimono totalmente, completamente, attraverso le parole, là dove invece i personaggi di Eschilo e di Sofocle sono più profondi e più pieni rispetto alle parole che dicono: propriamente essi balbettano su di sé.

L’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) giunge nel 2015 al suo 51° ciclo di rappresentazioni classiche al teatro greco di Siracusa.
Dopo 100 anni di attività (1914/2014), la Fondazione propone quest’anno la Trilogia del mare, in scena al Teatro greco di Siracusa dal 15 maggio al 28 giugno. Saranno rappresentati i testi classici Supplici di Eschilo, Ifigenia in Aulide di Euripide e Medea di Seneca.
Ora zoomiamo sull’allestimento di “Ifigenia in Aulide” .


Ifigenia in Aulide (2)

Sarà Federico Tiezzi a dirigere “Ifigenia in Aulide” con la traduzione di Giulio Guidorizzi che così dice a proposito del suo lavoro: In linea generale io non ho progettato una traduzione filologica ma una traduzione pensata per essere “detta”, fatta cioè per raggiungere un pubblico di spettatori e non di lettori, e quindi più espressiva e intensa. L’Ifigenia è in linea con l’ultimo Euripide, che inventa un nuovo tipo di tragedia, che potremmo quasi definire tragicommedia, con intrecci complicati, lieto fine, scene a volte decisamente comiche: penso a opere come Elena, Oreste, Ione (non certo alle Baccanti!). Per questo non sono d’accordo con chi la ritiene un’opera minore; al contrario, dal punto di vista teatrale è un testo geniale. E comunque è affascinante da tradurre.
Il regista replica dicendo: In questa tragedia ci sono parti di comicità e abbiamo tenuto conto di questi elementi e di come Euripide in alcuni passaggi tratti la situazione con grande ironia. Sono molto soddisfatto della traduzione perché Guidorizzi utilizza un italiano molto dicibile, che sta bene nella bocca degli attori.
Le scene sono di Paolo Bisleri, costumi di Giovanna Buzzi
Personaggi e interpreti
Agamennone - Sebastiano Lo Monaco; Clitennestra - Elena Ghiaurov; Achille – Raffaele Esposito; Ifigenia - Lucia Lavia; Menelao - Francesco Colella; Araldo - Turi Moricca; Vecchio - Gianni Salvo; Corifee - Deborah Zuin e Francesca Ciocchetti; Coro - Allievi dell’Accademia d’arte del dramma antico “Giusto Monaco”.

Tiezzi (in foto), precedentemente, ha messo in scena “Uccelli” di Aristofane, uno dei suoi spettacoli di maggior successo, con Sandro Lombardi protagonista, mentre ha affrontato la tragedia classica attraverso “Antigone”, nel rifacimento di Bertolt Brecht.
Con Ifigenia in Aulide affronta quindi per la prima volta in maniera diretta un poeta tragico greco, con l’intenzione di allontanare la tragedia euripidea dall’uso recente di modernizzarla in chiave borghese e al contrario immergerla il più possibile nella dimensione sacra e barbarica del mito. È pur vero che in Euripide, e in special modo in questo dramma tragicomico, si possono rilevare elementi legittimamente leggibili come suggestive anticipazioni della prima struttura del dramma borghese di fine Ottocento, quello di Strindberg e di Ibsen. E’ stato quindi per me naturale rileggere la tragedia anche in questi termini (e inoltre lavorare il testo secondo le strutture interpretative di Freud e di Jung). Le dinamiche psicologiche che serpeggiano tra i personaggi e che fanno pensare a Ibsen non necessariamente debbono travalicare il piano delle intenzioni recitative e tracimare anche nella dimensione dell’ambientazione scenica. Mi piace dunque l’idea di far convivere due dimensioni apparentemente inconciliabili: l’astoricità del mito con la moderna formulazione del dramma borghese, che superava la distinzione tra comico e tragico.

Un comunicato stampa ulteriormente chiarisce: "Tiezzi divide il testo in tre scatole.
La prima è quella che contiene il plot: un padre, diviso tra le ragioni del suo cuore e le necessità della guerra, attira la figlia in Aulide con un inganno per sgozzarla, obbedendo alle richieste sanguinarie di Artemide. Questa scatola contiene il dipanarsi dell’azione e del racconto. Contiene le relazioni e i conflitti tra i vari personaggi che sviluppano il racconto, concluso dal sacrificio di Ifigenia e dalla sua sostituzione con una cerva.
La seconda scatola è quella che contiene questo dramma come capitolo della saga della famiglia maledetta di Micene, come antefatto dell’Agamennone di Eschilo. È la scatola dei macro-conflitti: quelli tra l’aristocrazia, impersonata da Agamennone e Clitennestra, e la casta dei guerrieri che vogliono la partenza da Aulide e la guerra. Ed è la scatola che contiene i macro-valori del testo: la difesa dai barbari, la protezione del ghenos, la protezione, in definitiva, della Grecia stessa e della sua cultura. Appartiene a questa seconda scatola anche il tema della lotta per il potere e del duro contrasto tra opposte fazioni dell’esercito, in cui campeggia la figura di Ulisse con la sua astuzia, pronto a esautorare il comandante in capo, a prendere lui stesso il comando, con l’aiuto di Calcante.
Infine la terza scatola è quella che contiene la lotta tra grandi ordini in contraddizione tra loro, come la lotta tra uomini e dèi (il dramma si fonda sulla pretesa di Artemide di avere un sacrificio dopo l’offesa di Agamennone); la contrapposizione tra Natura (la bonaccia) e Storia (la guerra di Troia impedita da un fatto naturale).
A questa terza scatola appartiene anche l’assenza di Artemide, un’assenza che magicamente parla grazie a un prodigio finale squisitamente teatrale”.

Ufficio Stampa: Simona Carlucci: tel. 0765.24182 - 335.5952789; info.carlucci@libero.it

"Ifigenia in Aulide" di Euripide
regia Federico Tiezzi
Teatro Greco di Siracusa - dal 16 maggio al 27 giugno - (ogni 3 giorni)
ore 18.45 dal 16 al 31 maggio - ore 19.00 dal 3 al 27 giugno


L'ultimo viaggio


Elemento estravagante del Gruppo ‘63, Enrico Filippini (nato a Cevio, Svizzera, nel 1932) è stato filosofo, scrittore, traduttore, redattore editoriale e, come lo definì Umberto Eco, “inviato un poco speciale” delle pagine culturali di Repubblica, chiamato da Eugenio Scalfari fin dalla fondazione del quotidiano.
Aveva studiato a Milano, Berlino, Monaco e Parigi. Cofondatore del Gruppo 63, fu consulente editoriale per Feltrinelli, il Saggiatore e Bompiani. Trasferitosi a Roma nel 1977, collaborò per dodici anni con «la Repubblica». Una selezione degli oltre cinquecento articoli scritti per il quotidiano uscirà nel 1990 con il titolo “La verità del gatto”.
Tradusse dal tedesco Edmund Husserl, Walter Benjamin, Ludwig Binswanger, Max Frisch e Günter Grass. Inoltre realizzò diversi programmi per la radio e per la televisione italiana e scrisse alcuni racconti, raccolti poi nel volume “L’ultimo viaggio” (1991).
Nel 2003 sarà pubblicata “Byron & Shelley: un’amicizia eterna”, sceneggiatura televisiva mai portata sullo schermo. Per Castelvecchi è uscita l'anno scorso la raccolta di articoli “Frammenti di una conversazione interrotta” (1976-1987) a cura di Alessandro Bosco, primo di due volumi che raccoglieranno in maniera organica un’ampia scelta dell’opera giornalistica di Enrico Filippini.
È morto a Roma, a 56 anni, nel 1988.

Dopo il debutto al Teatro San Materno di Ascona nel settembre scorso e repliche al Teatro Out Off di Milano, al Teatro Studio di Scandicci e un’edizione sul treno Milano - Zurigo e sul battello Arona-Ascona sul Lago Maggiore, approda adesso a Roma (tappa intermedia della tournée in corso) L’ultimo viaggio la verità di Enrico Filippini.
Autori: Giuliano Compagno e Concita Filippini.
Ne sono interpreti Xhilda Lapardhaja, Marco Solari (che dello spettacolo è anche regista), Alessandra Vanzi, qui in foto.
Il disegno luci è di Luca Storari; la colonna sonora è prodotta dall’OASI Studio di Roma.
Il tutto – realizzato grazie a Pro Helvetia – è una produzione Terre Vivaci col patrocinio del Municipio XII (Roma) e dell’Istituto Svizzero di Roma.

Scrive Compagno: “Nessuno avrà dimenticato lo stile di Filippini che teneva a debita distanza ogni lusinga, e grazie alla figlia Concita che ne ha tutelato con equilibrio la posterità, quello che resta del giornalista-letterato è come prima: insuperato.
Mi aveva turbato molto “L’ultimo viaggio”. Poteva essere il 1992, di Enrico Filippini conoscevo alcune sue interviste, sapevo della sua morte tanto prematura. Presi a consigliare quel suo libro postumo, a rileggerne i brani più emozionanti insieme a un’amica di lettere, a immedesimarmi in alcune delicate attitudini del protagonista. Mi aveva commosso l’immagine di un uomo che, accanto a una donna amata, ritornava ai paesaggi della sua prima giovinezza, come a rivelare i suoi primi luoghi, i suoi segreti”.

Marco Solari – con Alessandra Vanzi, due nomi maiuscoli della scena del teatro italiano di ricerca – così dice: È uno spettacolo breve e credo emozionante, che racconta di un grande giornalista culturale del '900 italiano, un lavoro che ci fa ripensare ai nostri padri, a quelli che l'Europa l’hanno costruita davvero. È anche uno spettacolo dedicato alla figura di un padre e al suo amorevole e contrastato rapporto con la figlia. Insomma riguarda tutti noi, e tanto.
Nella stanza di una clinica, in penombra, padre e figlia si abbracciano e iniziano a raccontarsi pezzi di vita. Nessuna tristezza aleggia in quel luogo da dove, entrambi lo sanno, lui non uscirà più. Sono i giorni della memoria e della leggerezza, ritmati da visite continue al capezzale di un raffinato intellettuale svizzero-italiano. Il loro dialogo viene ogni tanto interrotto o ritmato da una voce letteraria che racconta immagini e pensieri di un tempo trascorso. Lui è Enrico Filippini, scrittore, germanista, traduttore, una firma che ha saputo illustrare quant'altre mai il giornalismo culturale italiano. Lei è Concita Filippini, che dopo anni si ritrova accanto al padre, tanto cercato e amato. Per lui, in quei giorni, sarà persino bello ripercorrere le orme di ragazzo, rivedere scorci di vita vissuta, ricordare una società per la quale “Cultura” suonava come una parola importante, forse la più importante di tutte. Lo spettacolo si propone, più che ricordare Filippini, far risentire la sua voce, celebrane l’attualissima eco
.

Ufficio Stampa della Compagnia: Giovanna Nicolai 333 – 66 38 186
Ufficio Stampa del Teatro: Cristina D'Aquanno: promozione@teatrovascello.it

L’ultimo viaggio
di Giuliano Compagno e Concita Filippini
Regìa di Marco Solari
Teatro Vascello
Via Giacinto Carini 78, Roma
Info e prenotazioni: 06/5881021 e 06/5898031
12 e 13 maggio, ore 21.00


Ebbrezza

"Affinché ci sia arte, affinché ci sia un qualunque fare e contemplare estetico, è indispensabile una condizione fisiologica preliminare: l'ebbrezza. Bisogna che anzitutto l’ebbrezza abbia potenziato l’eccitabilità di tutta la macchina: senza di ciò non si dà arte".
Friedrich Nietzsche, “Il crepuscolo degli idoli”, 1888.

Mandato in libreria dalle Edizioni Mimesis, Ebbrezza è il titolo d’un volume di Jean-Luc Nancy e Tommaso Tuppini che s’interrogano sulla possibile parentela fra l’ebbrezza e la filosofia.

Jean-Luc Nancy (Bordeaux 1940) è una delle figure più importanti e originali del pensiero contemporaneo a livello internazionale. Tra le sue opere più significative, segnaliamo: Ego sum, 1979 (Milano 2008); L’esperienza della libertà, 1988 (Torino 2000); La comunità inoperosa, 1990 (Napoli 2002); Corpus, 1992 (Napoli 1995); Hegel. L’inquietudine del negativo, 1997 (Napoli 1998); Il pensiero sottratto, 2001 (Torino 2003); All’ascolto, 2002 (Milano 2004); La dischiusura. Decostruzione del Cristianesimo I, 2005 (Napoli 2007).
Tommaso Tuppini (Verona, 1974) insegna filosofia all’Università di Verona, dove è responsabile scientifico del Centro di ricerca Orfeo – suono immagine scrittura. Ha tenuto lezioni e conferenze in diversi paesi europei, negli Stati Uniti e in Brasile. È autore di Ludwig Klages. L’immagine e la questione della distanza (Milano 2003), Essere uno, essere due. Eros e bellezza (Verona 2009), Jean-Luc Nancy. Le forme della comunicazione (Roma 2012). Per Mimesis ha pubblicato Deleuze e il cinema francese (con Michele Bertolini 2002) e Kant. Sensazione, realtà, intensità (2005).

A Tommaso Tuppini ho rivolto qualche domanda.
Che cosa si propone questo libro?

Io e Jean-Luc Nancy abbiamo cercato di vedere se esistono delle situazioni, delle nozioni, capaci di far stare insieme esperienze che appaiono diametralmente opposte come la filosofia e l’ebbrezza. Anzitutto e perlopiù sembra che l’ebbrezza e la filosofia abbiano ben poco a che spartire. E’ oggettivamente difficile mettersi al tavolo da lavoro e scrivere se si è anche solo leggermente brilli, e quando si è ebbri il più delle volte non abbiamo la pazienza per sviluppare pensieri o concetti rigorosi ed è più facile abbandonarsi a un “flusso di coscienza” concitato e senza ordine. Ma queste sono considerazioni abbastanza scontate e non ci dicono forse granché. E’ un dato di fatto che la filosofia comincia intorno a un cratere – come lo chiamavano i Greci – in cui c’è del vino che viene fatto bere per incoraggiare la discussione: pensiamo al “Simposio” di Platone. Per Hegel – che dopo ventidue secoli chiude in qualche modo la “gigantomachia” sull’essere che Platone aveva inaugurato – lo spirito (cioè la realtà della vita, della prassi e della storia) celebra il proprio trionfo (cioè diventa filosofia) nell’ebbrezza del corteo bacchico in cui non c’è membro che non sia in movimento (e per ciò stesso, aggiunge Hegel, anche in quiete assoluta: in questa strana identità tra quiete e movimento è inscritto il senso del fare filosofia). Per i filosofi l’ebbrezza sembra diventare quasi la stessa cosa della filosofia. Ovvero quello che Husserl – ma anche Platone – chiamava la “cosa stessa”, “to pragma”, che è l’identità tra ebbrezza e concetto, movimento e quiete. Appunto perché l’ebbrezza fa inciampare il passo rettilineo del discorso e lo sviluppo logico del ragionamento, essa diventa l’ultima risorsa del pensiero, il quale è ben più che “logica” e “ragionamento”, perché il pensiero accetta l’agon, si espone al pericolo, e quindi è una cosa molto più importante e divertente rispetto a tutti i giochi enigmistici o sedicenti “analitici” che oggi le università di mezzo mondo spacciano per filosofia. Là dove c’è un partito preso per la sobrietà e la noia non ci può essere pensiero, quindi neppure filosofia.

L’alcol rende uguali gli alcolisti o, invece, li differenzia?

Come nessuno reagisce allo stesso modo di un altro al peperoncino oppure a una giornata di sole, così anche per l’alcol ognuno ha il suo modo di assimilarlo e, diciamo così, gestirlo. Alcuni si estroflettono verso gli altri e il mondo, “socializzano” secondo gradazioni diverse, che vanno dalla conversazione più o meno brillante all’aggressione fisica. Altri invece si chiudono in se stessi e s’intristiscono. Alcuni amano lasciarsi andare e farsi trasportare dall’onda dell’entusiasmo alcolico, altri preferiscono tenere le redini e prendono il loro piacere dal controllo esercitato su quelle pulsioni che proprio l’alcol ha scatenato. Anche se vista da lontano una folla di alcolisti sembra uniforme, vista da più vicino è un panorama pieno di differenze, in cui ognuno tendenzialmente dà il peggio e il meglio di sé.

Jean-Luc Nancy
Tommaso Tuppini
Ebbrezza
Pagine 98, Euro 9.00
Mimesis Edizioni


A testa nuda


In viaggio sull’Enterprise, anni fa – dicembre 2003, leggo sul diario di bordo – incontrai Franca Rovigatti e scambiammo quattro chiacchiere in un bar malfamato del pianeta Poliartistico. È lì che lei abita proiettando, infatti, su più campi espressivi la sua arte – sapiente e birichina, giocosa e perciò serissima, riflessiva e irriverente anche verso se stessa – che investe la poesia (basta un CLIC per leggere alcune sue composizioni o un altro CLIC per affacciarsi sul alcuni suoi video, oppure… mica siete stanchi di cliccare?... un altro tocco sul tasto Invio per assaggiare un brano di critica letteraria.

Ora, a Roma, si terrà una sua mostra che va oltre le immagini proposte, presentata in maniera dura ed elegante, aspra e delicata.

Quasi due anni fa, in conseguenza alla massiccia caduta dei capelli per la chemioterapia, ho rasato la testa. Io che tutta la vita ho avuto capelli lunghi e biondi mi sono trovata improvvisamente “nuda”. Ho dovuto familiarizzare con una nuova immagine. Scoprendo subito che non si trattava solo di immagine, ma che c’era qualcosa di più sostanziale.

Ho riflettuto. La testa rasata è, almeno nella nostra cultura, una vergogna da nascondere: l'industria della parrucca resiste quasi solo per le donne in chemioterapia. Perché il cancro è ancora una malattia innominabile ("brutto male", "malattia incurabile"), in quanto ancora strettamente connesso alla morte. Come fosse una vergogna indicibile, una colpa.
Ma più mi guardavo, più ci pensavo, più sentivo che questa rasatura aveva per me un significato profondo. Stavo approdando in una regione nuova, sconosciuta e cruciale. Molto diversa, nessun facile stereotipo di femminilità. E allora mi sono messa a percorrerla, questa regione, a esplorarla.

Le fotografie e il video esposti in mostra sono solo una piccolissima parte del materiale prodotto: la mia testa nuda che da rosa-dolly diventa nera, bianca, terra, che viene guardata da ogni angolo, vista in ogni piega e ruga. Giunta alla fine mi accorgo che l’esplorazione non è stata solo della malattia, della vecchiaia, della paura: questo lavoro mi ha soprattutto messo in contatto con un antichissimo dolore. Fin allora nascosto, forse e anche, sotto i miei capelli lunghi.

Franca Rovigatti
“A testa nuda”
Romalibera
Via Roma Libera 10
(Piazza San Cosimato)
giovedì 7 e venerdì 8 maggio 2015
dalle 18.00 alle 21.00


Aforismi per Marie-Louise

Figura centrale dello scenario culturale del secolo scorso, Elias Canetti (Ruse, Bulgaria, 25 luglio 1905 – Zurigo, 14 agosto 1994) è noto per Auto da fé (1935) il suo unico romanzo che vede il protagonista Kien morire ridendo avvolto dalle fiamme dei suoi libri cui aveva consacrato tutto se stesso, e soprattutto per Massa e potere (1960) – lo impegnò per 38 anni della sua vita – in cui studia il fenomeno della massa in plurali ottiche scortato da un antico testo ebraico che afferma «Non esiste spazio vuoto fra cielo e terra, bensì tutto è pieno di schiere e moltitudini».

La casa editrice Adelphi da anni va esplorando l’opera di Canetti ed ora presenta, a cura di Jeremy Adler, un suo testo meno noto, efficacemente tradotto da Ada Vigliani: Aforismi per Marie-Louise scritto nel 1942, pubblicato postumo nel 2005.
Redatto in inchiostro blu scuro, con titoli e dedica in pastello giallo, rilegato da un cordoncino dorato, il manoscritto fu offerto come dono di compleanno alla pittrice Marie-Louise von Motesiczky, con la quale Canetti aveva avviato in Inghilterra una relazione appassionata destinata a durare oltre mezzo secolo, fino alla morte dello scrittore.
Quel librino, fu offerto a Marie-Louise il 24 ottobre 1942, mentre i tedeschi ingaggiavano contro i russi la terribile battaglia di Stalingrado e in Inghilterra – dove Canetti e la Motesiczky erano esuli – giungevano incessanti le notizie delle violenze perpetrate nei paesi occupati. Non stupisce quindi che più esplicitamente, rispetto ad altri testi coevi e già noti, gli Aforismi per Marie-Louise ruotino intorno all'orrore della guerra.
Ha scritto Pietro Citati: “Canetti era duro, superbo, orgoglioso: nutriva disprezzo e una specie di gelosia per tutti gli altri; persino verso gli scrittori che amava e imitava [… ] Da molti anni dedicava la parte maggiore del proprio tempo all’elaborazione della sua opera fondamentale, “Massa e potere”. Avvertiva questo impegno come una specie di ossessione: sentiva in sé un’oppressione che acquistava dimensioni pericolose; e diventò indispensabile per lui crearsi una valvola di sfogo. Al principio del 1941 la trovò nei suoi quaderni di appunti, dove elaborava aforismi. La loro libertà, la loro spontaneità, la convinzione che i quaderni non servissero ad alcun scopo, l’assenza di responsabilità per cui non li rileggeva mai, lo salvarono dall’irrigidimento quotidiano. A poco a poco divennero un indispensabile esercizio. Respirava: respirava con assoluta libertà e naturalezza. Viveva senza nessuno scopo, neppure pensando all’eternità. Lasciava liberi gli altri, abbandonando qualsiasi forma e desiderio di potere”.

Dalla Postfazione di Jeromy Adler: Si è giustamente celebrato Canetti come maestro dell’aforisma grottesco, fantastico e il suo umorismo, che non di rado indulge al cattivo gusto, risalta negli “Aforismi per Marie-Louise”. Nello spazio che intercorre fra riso e meraviglia egli dispone di molti registri, ma parla per lo più con toni veementi, incalzante e con passione. Grazia e leggerezza non fanno per lui. L’aforisma in Canetti, scrive ancora Adler Anziché correre, a mo’ di freccia, verso il finale a effetto come nel modello classico, rallenta inaspettatamente: La birra non ha più, per lui, il buon gusto di una volta: dal boccale sbircia la guerra.

Elias Canetti
Aforismi per Marie-Louise
A cura di Jeremy Adler
Traduzione di Ada Vigliani
Pagine 101, con foto
Euro 12.00, eBook, Euro 6.99
Adelphi


Super_Natural


Prima di partire dal parcheggio di Roma Monte Mario, avverto i viaggiatori saliti su questo Cosmotaxi che la meta – Taipei, capitale di Taiwan – si trova fuori del Gran Raccordo Anulare, perciò il prezzo della corsa s’intende maggiorato.

Proprio in quella metropoli – oltre 2 milioni e 600.000 abitanti – si trova da qualche tempo invitata, dopo aver vinto una residenza in quella località, Marta Roberti, e lì è in corso (negli spazi dell'USR27, all'interno dell'Università della Cultura Cinese) una mostra di suoi disegni ispirati alla foresta e alle piante che si trovano nel Parco Nazionale di Yangminshan, proprio a Taipei.
Chi è Marta Roberti?
Di sè stessa (qui in foto) così dice: Sono nata nel 1977 nella provincia di Brescia, dalla quale me ne sono andata a 18 anni per studiare filosofia a Verona. Mentre ero all'università, frequentavo corsi di disegno e ho cominciato a dedicarmi intensamente alla pittura, ma in realtà credevo di voler fare la scrittrice. Dopo aver vagabondato per il mondo qualche anno, ho frequentato tra il 2006 e il 2008 il biennio specialistico di Cinema e Video all'Accademia di Brera a Milano.

In questo sito si è già parlato di lei altre volte, ricordo, ad esempio, QUI dove sono presenti alcuni suoi video.
Torniamo adesso a Super_Natural.
Parola ancora a Marta Il titolo dell’esposizione deriva dalle principali sensazioni che provo da quando vivo a Taipei: un nuovo tipo d’impressioni sulla realtà, che cambia le mie precedenti, radicate, convinzioni.
Mi chiedo che cosa sia la natura e se sia possibile che la natura ci guardi. Perciò, tento con i miei disegni di giungere a una nuova prospettiva: se possibile, a una prospettiva illusionistica, nella quale le cose non solo mi osservano ma anche riescono a sedurmi.
Come ha scritto Clarice Lispector: “La vita, amore mio, è una grande seduzione, nella quale tutto ciò che esiste seduce”
.

Una precisazione: la scrittrice Lispector (1920 – 1977), ucraina naturalizzata brasiliana, quando ha scritto quella frase non poteva sapere, ad esempio, di Berlusconi, Renzi, Capezzone, Del Rio, Santanchè, D’Alema, e altri personaggi altrimenti quelle parole le avrebbe sbianchettate.

Marta Roberti
Super_Natural
Taipei (Taiwan)
2 – 17 maggio 2015


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