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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

I malvagi


Sono fra quelli – e non siamo pochi – che ritengono Alfonso Santagata (in foto) un protagonista della scena teatrale contemporanea.
Regista, attore e autore di testi “pieni di incanto e ferocia”, come ha scritto Cristina Valenti, con la sua Compagnia Katzenmacher ha scritto pagine memorabili della nostra scena.
Su questo sito, anni fa, ho avuto una conversazione con lui ambientata in un viaggio spaziale.
Ora nel corso di una tournée è a Roma con I malvagi da Fëdor Dostoevskij.
Un mondo di sopravvissuti, esiliati, condannati in un campo di prigionia siberiano come capitò all’autore russo quando nel 1849 fu arrestato dalla polizia zarista perché faceva parte d'un circolo di giovani intellettuali di tendenze socialiste.
Con Santagata in scena: Carla Colavolpe, Massimiliano Poli, Tommaso Taddei, Giancarlo Viaro Produzione Katzenmacher soc. coop. col sostegno di MiBACT – Regione Toscana – Comune di San Casciano Val di Pesa – Comune di Gavorrano.

«Il nichilismo è la fonte di tutte le ideologie perché è la fonte di tutte le divisioni. E per Dostoevskij colpisce e coinvolge anche lo sventurato, il sofferente in modo completamente umano. Come accade per Raskol’nikov, con la sua malattia e la sua follia» – dice Santagata – «I demoni e Delitto e castigo sono le cronache dei suoi tempi… spunti da cronache giudiziarie. Raccontano di cinici, di demoni che Dostoevskij trovava nel corpo malato della Russia dentro le generazioni del suo tempo. Raskol’nicov si chiede infatti: “perché dovrei uccidere?”, voglio fare del bene alla società voglio rendere felici gli uomini ma c’è una vecchia strozzina che maltratta sua sorella e tiene in casa un mucchio di soldi, perché non dovrei prenderli? In fondo quanta gente ha ammazzato Napoleone per realizzare i propri fini? Oggi “manca la risposta al perché?” perché devo stare al mondo? In un mondo che non mi considera, che non mi chiama per nome, che non mi vive come risorsa ma come problema. Ancora oggi il nichilismo è quanto mai attivo anche fra i giovani, penetra i sentimenti, confonde i pensieri».

“Lo spettacolo” – ricorda Amelia Realino dell’Ufficio Stampa Teatro Argentina – “si inserisce nel percorso di Stagione “Trittico Dostoevskij, una proposta di viaggio nell’opera e nella visione dell’autore russo: dall’innovativo allestimento di Delitto e castigo del moscovita Konstantin Bogomolov; alla proposta di una doppia riscrittura all’India: quella del già citato I malvagi diretto e interpretato da Alfonso Santagata, e Ivanov, con Fausto Russo Alesi diretto da Serena Sinigaglia in una riscrittura di Letizia Russo”.

I Malvagi
Ideazione e regia: Alfonso Santagata
Teatro India, Roma
Lungotevere Vittorio Gassman 1
Dal 5 all’8 aprile


I Futuristi e l'incisione


Alla Fondazione Ragghianti di Lucca – diretta da Paolo Bolpagni – è in corso dal 24 febbraio la mostra I Futuristi e l’incisione Il segno dell’avanguardia a cura di Francesco Parisi e Giorgio Marini.
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Una sezione è dedicata alle pubblicazioni con immagini che contengono opere di grafica originale, come cataloghi autoprodotti o libri illustrati, evidenziando in questo modo il contributo delle tecniche grafiche confluite nella vastissima pubblicistica futurista.
L’incisione è un aspetto meno noto del fenomeno futurista, ma di non secondaria importanza nell’analisi di quel movimento.
Esposte opere di artisti quali Boccioni, Russolo, Carrà, Soffici, Sironi, Depero, Severini, Prampolini, solo per citarne alcuni
In un tempo che va dalla fine del XIX secolo fino al 1944, i lavori sono ripartiti in tre sezioni cronologiche: Simbolismo, Prefuturismo e Futurismo.

Scrive Francesco Parisi: Già a una prima ricognizione, il numero di opere realizzate secondo i precisi dettami della sintesi plastica futurista che possiamo riassumere nell’assunto di Boccioni (“Linterno e l’esterno appaiono in simultanea compenetrazione. Sintesi di colore e forma. ) non si rivela poi così esiguo (…) Una rivoluzione quella attuata dall’incisione futurista, che è riuscita a trasformare i grafismi delle sensazioni in pure linee e masse.
E Giorgio Marini: Oltre a un’oggettiva, maggiore difficoltà a rendere con il mezzo grafico quella percezione emotiva rispetto a situazioni di ‘simultaneità’ e di ‘compenetrazioni dinamiche’ che interessavano le nuove ricerche espressive, non pochi, pur partecipando alle esposizioni e agli eventi del nuovo movimento, dovettero aver vissuto a un certo punto come troppo radicale la dichiarata istanza palingenetica del futurismo.

Il catalogo della mostra pubblicato da Silvana Editoriale e Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’Arte (142 pagine, 25.00 euro), contiene approfondimenti e contributi sull’incisione futurista firmati dai due curatori, da Niccolò D’Agati, e Giacomo Coronelli, oltre a un ricco apparato scientifico e iconico.

Ufficio Stampa Fondazione Ragghianti: Elena Fiori, elena.fiori@fondazioneragghianti.it

Fondazione Ragghianti
Via San Micheletto 3, Lucca
I Futuristi e l’incisione
Info: 0583 – 467 205
Fino al 15 aprile


Senso e non senso


L’Istituto di Cultura Austriaco, in collaborazione con lo Studio Varroni presenta la mostra di poesia concreta: Zwischensinn und Unsinn (Tra Senso e non Senso) Parola, suono, immagine nella poesia austriaca del 900.
L’esposizione è a cura del poliartista Giovanni Fontana e dell’editore Piero Varroni.

La poesia concreta ha origine in plurali settori di ricerca espressiva.
Gli artisti coinvolti provengono, infatti, da ambiti molto diversi, non solo geograficamente, ma anche per ottiche tecniche e culturali. In Brasile, in Svizzera e, in seguito, in numerosi altri paesi, sono impegnati in questa sperimentazione estetica letterati, pittori, grafici pubblicitari, architetti, perfino fisici (Edgar Braga) o filosofi (Max Bense).
L’Austria si profila fin dai primi momenti come uno dei più interessanti e vivaci territori di ricerca in quest'ambito, specialmente grazie al nucleo di artisti e letterati appartenenti al Wiener Gruppe (1953), di cui fecero parte per oltre un decennio autori quali Hans Carl Artmann, Friedrich Achleitner, Konrad Bayer, Gerhard Rühm, Oswald Wiener.
Il gruppo era nato nell’ambito di una precedente organizzazione, l’Art-Club, sorta nell’immediato dopoguerra, di cui fece parte anche il germanista Ernst Jandl (Vienna 1925 – 2000) di cui si ricordano i suoi famosi "giochi linguistici" (Sprachspiele), interpretati da lui stesso e spesso accompagnati da musica jazz.

A Giovanni Fontana (in foto) ho chiesto perché la mostra è intitolata "Senso e non senso"?

Perché il fenomeno della poesia concreta ha coinvolto artisti che talora hanno agganciato la loro ricerca ad equilibri semantici molto razionali, giocando su relazioni testuali mirate alla rivelazione di contenuti nascosti o orientati verso la sorpresa di nuovi livelli di significato attraverso la sperimentazione di nuove modalità visive del testo; talaltra hanno preferito lavorare esclusivamente sulle forme (visive o sonore) esaltando il puro significante. Pertanto, la parola si carica del peso della propria rappresentazione; diventa oggetto grafico-tipografico che impone i suoi valori formali, anche al di là di quelli strettamente semantici. Nella poesia concreta la configurazione bidimensionale o tridimensionale delle parole determina il senso dell’opera; la sintassi tradizionale è sostituita da un sistema strutturale di matrice geometrica (spaziale); la nozione di sequenza lineare è sostituita da quella di campo morfologico. La lettura scandita per gradi deve iscriversi nella visione simultanea della pagina di mallarmeana memoria, ma talvolta si carica di valori semantici, talaltra affonda nel piacere della forma pura.

Fontana è anche il curatore della mostra che la Fondazione Berardelli (Via Milano 107, Brescia) inaugura il 14 aprile 2018 con finissage il 18 maggio, dedicata ad Arrigo Lora Totino dal titolo "In fluenti traslati".

Forum Austriaco di Cultura
“Zwischen sinn und unsinn”
a cura di Giovanni Fontana e Piero Varroni
Info: 06 - 36082626
Viale Bruno Buozzi 113 – Roma
Orari: ore 9.00 – 17.00 dal lunedì al venerdì
Da mercoledì 4 aprile a venerdì 4 maggio


Amiche mie isteriche

La casa editrice Cronopio pubblica una nuova edizione – la prima si ebbe nel 1998 sempre da Cronopio – di Amiche mie isteriche un piccolo, importante testo di Angela Putino (Napoli, 1946 - 2006).
Angela Putino, filosofa e femminista, si laureò in filosofia morale presso l’università degli studi di Napoli. Nel 1981 vinse il concorso di ricercatrice presso l’università di Salerno, dove diventò professoressa associata di bioetica e di filosofia del linguaggio e della scienza. Collaborò con la rivista trimestrale di politica e cultura femminile “Madrigale”, ideata da Lucia Mastrodomenico e curò una rubrica di filosofia per la rivista DWF.

Stefania Tarantino così scrive di Angela Putino nell’Enciclopedia delle donne: «È stata una donna libera che si poneva fuori dalle regole di pensieri e azioni codificate (...) Studiosa del pensiero di Michel Foucault e di Simone Weil, non si limitava a dare interpretazioni. Porgeva il loro pensiero in maniera nuova (...) Da Cantor a Dumézil, da Freud a Lacan, da Spinoza a Foucault, da Duras a Blanchot, da Kristeva a Deleuze, da Virginia Woolf a Ingeborg Bachmann, Leopardi e oltre, il bersaglio per lei era riuscire a centrare la differenza che passa tra "tendenze umane che si muovono verso l’infinito, inteso come illimitato, indistinto o spostato in una virtuale potenzialità, da quelle forgiate dagli infiniti attuali, entro cui il limite si interiorizza, e che consentono di accostare, in modo nuovo, il senso dell’incarnazione". Da queste figure si vede come Angela avesse una passione per tutto ciò che la portava a toccare i limiti del pensiero e a stare nelle contraddizioni irrisolvibili sul piano razionale e dialettico, ma non su quello del senso che, come già scriveva Simone Weil, ha a che fare quel surplus muto che pure enuncia silenziosamente il suo codice (...) Angela era napoletana. Il segno “della città impietosa” era il suo. Negli ultimi mesi della sua vita aveva ribadito la profonda vocazione anticammorista veicolata dalla sua famiglia, anche da un nonno che diede le dimissioni dalla Prefettura pur di non “controllare” gli antifascisti napoletani: l’ultimo articolo da lei scritto ha significativamente come tema O’sistema. Disegnava sirene ed era un’appassionata di romanzi gialli; lei stessa stava accingendosi a scriverne uno se solo non avesse incontrato, in una sera di gennaio, ciò che aveva definito il volto traverso del divenire».

Dalla postfazione a “Amiche mie isteriche” di Laura Boella
"Angela Putino ha lasciato un'eredità in denaro contante, secondo l'espressione di Georg Simmel. Il suo pensiero non ci è stato consegnato dentro l'involucro protettivo di formule e teorie firmate, ma nella forma di un fluido e diramato processo di trasmissione che avveniva su scene ogni volta diverse. Raccogliendosi in disparte nel corpo a corpo con un testo di Simone Weil, di Cantor, di Foucault, di Deleuze e di molti altri o inseguendo 'mongole travestite da mongoli su montagne lontane'; nell'incontro con amiche filosofe e altre impegnate in politica o in varie attività; nella scuola di filosofia, nella redazione di una rivista, nei vari luoghi di discussione e militanza instancabilmente creati e partecipati".

Angela Putino
Amiche mie isteriche
Postfazione di Laura Boella
Pagine 86, Euro 10.00
Cronopio


Ragazze con i numeri

Ancora oggi nel mondo scientifico solo un 5% dei vertici è donna, mentre è donna oltre il 60% della manovalanza e il 35% occupa ruoli di segreteria o amministrativi.
Nel 1999 l’Unesco ha creato un organismo per aiutare la donna a entrare nel mondo della scienza, a questo progetto ha dato il nome “Ipazia”.
Perché Ipazia? Perché Ipazia (370 - 415 d.C.), erede della Scuola Alessandrina, fu filosofa, matematica, astronoma, antesignana della scienza sperimentale; studiò e realizzò l’astrolabio, l’idroscopio e l’aerometro.
Ne ebbe gioie? Mica tanto. Aizzati dal vescovo Cirillo nel marzo del 415 un pio gruppo di uomini di fede cristiana, guidati dal lettore Pietro, la sorprese mentre ritornava a casa, la tirò giù dalla lettiga, la trascinò nella chiesa costruita sul Cesareion e la uccise brutalmente, scorticandola fino alle ossa (secondo alcune fonti utilizzando “ostrakois” - letteralmente "gusci di ostriche"), e trascinando i resti in un luogo detto Cinarion, dove, giusto per andare sul sicuro, bruciarono quei resti.
Cirillo d’Alessandria? Fu fatto santo.
Del resto, che vogliamo aspettarci da quella parte se un Dottore della Chiesa qual è San Tommaso d’Aquino così scrive “La donna è fisicamente e spiritualmente inferiore (…) Essa è addirittura un errore di natura, una sorta di maschio mutilato, sbagliato, mal riuscito”.
Ovviamente, sul rapporto donne e scienza, ben diversamente la pensa Rita Levi Montalcini: "Geneticamente uomo e donna sono identici. Non lo sono dal punto di vista epigenetico, di formazione cioè, perché lo sviluppo della donna è stato volontariamente bloccato".

Nonostante i tanti pregiudizi ancora non del tutto vinti, progressivamente si fa sempre più alto il numero delle donne che lasciano il loro nome nella storia delle Scienze.
Ne è testimonianza un ottimo libro per ragazzi pubblicato da Editoriale Scienza intitolato Ragazze con i numeri Storie, passioni e sogni di 15 scienziate.
Età consigliata per la lettura: da 11 anni.
Autrici un tandem di ottime comunicatrici:Vichi De MarchiRoberta Fulci.
Il volume festeggia con questa pubblicazione i quindici anni della collana Donne nella Scienza.
Le 15 scienziate delle quali si scrive nelle pagine, vanno da un’astronauta a un’antropologa, da una fisiologa a un’attrice: Valentina Tereshkova, Jane Goodall, Tu Youyou, Katherine Johnson, Rita Levi Montalcini, Margaret Mead, Katia Krafft, Maryam Mirzakhani, Wangari Maathai, Rosalind Franklin, Vera Rubin, Sophie Germain, Laura Conti, Maria Sibylla Merian, Hedy Lamarr.

Dall’introduzione:
«Quelle che stai per leggere sono le storie di tante passioni diverse: per la natura, per la medicina, per le invenzioni, per i popoli lontani. Sono storie di ragazze, poi diventate donne famose, che hanno inseguito un progetto e alla fine hanno scritto pagine fondamentali della scienza. Quindici vite fatte di coraggio, di fatica, di entusiasmo, ma soprattutto di sogni che si avverano.
Forse un giorno questa sarà anche la tua storia! Il segreto sai qual è? Bisogna crederci».

Vichi De Marchi – Roberta Fulci
Ragazze con i numeri
Illustrazioni di Giulia Sagramola
Pagine 208, Euro 18.90
Editoriale Scienza


In un batter d'occhi

Quante sono state le tappe dell’evoluzione tecnologica del cinema? Tantissime.
Partendo dall'invenzione della pellicola cinematografica del 1885 per opera di George Eastman fino alla proiezione in sala di una pellicola stampata, di fronte ad un pubblico pagante, avvenuta il 28 dicembre 1895, grazie ai fratelli Louis e Auguste Lumière.
Poi dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore, il cinemascope, il 3D, fino ad arrivare, per ora, ad Avatar con l’utilizzo della Performance Capture con la quale Cameron ha realizzato personaggi di sintesi i quali hanno ricreato i movimenti degli attori sul corpo dei quali erano inseriti appositi sensori.
Tutto questo senza calcolare i tanti progressi registrati dalla luministica, dal suono, dalla macchina da presa, da quella di proiezione…
Il passaggio che più ha segnato nei tempi recenti la lavorazione del film, influenzando lo stesso linguaggio cinematografico, è stato l’avvento del digitale. Ha rivoluzionato, infatti, la produzione partendo fin dal progetto, dal piano lavorativo, dalla scelta degli elementi della troupe dove sono preferiti i più esperti nelle nuove tecnologie.
Rilevante, ovviamente, è stato l’impatto anche con il montaggio.

La casa editrice Lindau ha pubblicato un importante testo su questo tema: In un batter d’occhi Una prospettiva sul montaggio cinematografico nell’era digitale.
L’autore è Walter Murch.
Montatore e regista statunitense, ha collaborato nella sua carriera con alcuni importanti nomi tra cui George Lucas (“L’uomo che fuggì dal futuro” e “American Graffiti”), Fred Zinnemann (“Giulia”), Philip Kaufman (“L’insostenibile leggerezza dell’essere”), Terry Zweigoff (“Crumb”).
Ha rimontato “L’infernale Quinlan” di Orson Welles secondo le intenzioni del regista, e ha anche diretto un film (“Nel fantastico mondo di Oz”, per la Disney).
Ha vinto diversi premi internazionali tra cui pure 3 Oscar: al miglior sonoro 1980 con il film “Apocalypse Now”, e 2 Oscar al miglior montaggio e sonoro del 1997 con “Il paziente inglese” di Anthony Minghella.
QUI più diffuse sue notizie biografiche.
Il volume è strutturato in due parti, la prima dedicata al montaggio cinematografico nella sua complessità realizzativa con particolare riferimento agli “stacchi” cui Murch assegna un ruolo di primaria importanza.
La seconda parte, scritta per l’edizione italiana, è rivolta esclusivamente a temi e problemi del montaggio digitale.
Scrive nella prefazione Francis Ford Coppola: “Mentre io prendo decisioni impulsivamente basandomi solo sull’emozione e l’intuizione, Walter è analitico e metodico in ogni mossa che fa. Mentre io oscillo tra l’estasi e la depressione come la corrente alternata di Tesla, Walter è sempre caldo e rassicurante. È ingegnoso e intuitivo quanto me, e in più è costante”.
George Lucas dice di questo libro: “Un viaggio incredibilmente lucido nella formidabile arte del montaggio, che secondo me è la quintessenza del cinema come forma d’arte. La profondità della visione di Walter Murch in questo campo è sbalorditiva, e questo libro è fondamentale per chiunque voglia capire veramente come si fanno i film”.

Dalla presentazione editoriale.
«Walter Murch nella prima parte del libro offre il suo punto di vista privilegiato su temi come: la continuità e la discontinuità spazio-temporale nei film, nei sogni e nella vita di tutti i giorni; il batter d’occhi come corrispettivo dello stacco nel montaggio dei pensieri.
La seconda parte del libro analizza in profondità i pro e i contro del montaggio non lineare e racconta l’avventurosa storia della sua personale rivoluzione digitale, dai primi esperimenti di montaggio elettronico con Francis Ford Coppola, con il quale ha vinto il primo Oscar per il suono di Apocalypse Now, fino al clamoroso doppio Oscar per il montaggio (digitale) d’immagine e suono in Il paziente inglese».

Walter Murch
In un batter d’occhi
Prefazione di Francis Ford Coppola
Traduzione di Gianluca Fumagalli
Pagine 164, Euro 18.50
Lindau


La verità sul processo Andreotti


«“Assolto! Assolto! Assolto!” Parole urlate a piena gola in un telefonino, sottolineate con un energico pugno sul tavolo, in mezzo a una folla di microfoni e telecamere».
Comincia così un libro di poche, preziose, pagine edito dalla casa editrice Laterza.
A gridare tre volte quella parola in un tribunale di Palermo, è l’avvocatessa Giulia Bongiorno, palermitana, e si rivolge a un imputato eccellente: Giulio Andreotti.
Sarebbe offensivo per la valorosa professionista (oggi senatrice leghista, un passato in Alleanza Nazionale) immaginare che avesse confuso i termini di una sentenza, diciamo che, forse, voleva confortare il suo cliente dandogli una notizia ancora più rosea dall’averla sfangata. Altrimenti qualche malpensante potrebbe considerare quello – e rifiuto di crederlo – il calcolato inizio di una grandissima mistificazione.
Già, perché Andreotti Giulio sottoposto a giudizio (reato di associazione per delinquere) non era stato “assolto”.
La sentenza di appello, emessa il 2 maggio 2003, distinguendo il giudizio tra i fatti fino al 1980 e quelli successivi, stabilì, infatti, che Andreotti aveva «commesso» il «reato di partecipazione all'associazione per delinquere» (Cosa Nostra), «concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980», reato però «estinto per prescrizione».
Sentenza confermata dalla Cassazione il 15 ottobre 2004.
“Commesso” il “reato di partecipazione all'associazione per delinquere estinto per prescrizione” Cosa questa ben diversa dall’essere assolto.

Il libro pubblicato da Laterza è intitolato La verità sul processo Andreotti
Ne sono autori Giancarlo CaselliGuido Lo Forte
Gian Carlo Caselli è stato giudice istruttore a Torino, ha guidato la Procura della Repubblica di Palermo, è stato poi procuratore generale e procuratore della Repubblica di Torino. Attualmente dirige l’Osservatorio di Coldiretti sulla criminalità nell’agricoltura e sulle ‘agromafie’.
Guido Lo Forte è stato pubblico ministero a Palermo, prima come sostituto e poi come procuratore aggiunto, e a Messina, come procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale. Con la Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha curato il processo Andreotti nella fase delle indagini e del dibattimento di primo grado.

Caselli e Lo Forte, titolari di quell’inchiesta, vertici allora della procura di Palermo, descrivono, in “La verità sul processo Andreotti”, lo svolgimento di quel dibattimento senza usare un liguaggio tribunalizio bensì affidandosi ad una comunicazione piuttosto diaristica in cui emergono fatti e nomi inquietanti.
È descritta l’atmosfera creata da tanti giornali e radiotv tesa sostanzialmente a screditare gli accusatori e a elogiare i difensori, fino ad arrivare a calunnie nei confronti dei giudici che avevano indagato.
Fino a una legge 'contra personam' nei riguardi di Caselli impedendogli di diventare Procuratore antimafia, posto che andò a Pietro Grasso il quale (due anni dopo la nomina, però) ammise che era stata commessa una grave scorrettezza nei riguardi di Caselli. Questi in un’intervista rilasciata a Marco Lillo dirà. “Nel 2005 quando il mandato del procuratore Pierluigi Vigna sta scadendo, il Csm bandisce un concorso e il centrodestra fa il primo intervento contro di me prorogando il mandato di Vigna fino al compimento del suo 72esimo anno di età. Poi il Csm pubblica nuovamente il concorso e io ripresento domanda. La commissione degli incarichi direttivi vota. Ed è un pareggio: tre voti a Grasso e tre voti a Caselli. La parola passa al plenum ma prima che tutti i consiglieri possano esprimersi viene approvata una seconda norma, proposta da un ex magistrato eletto con An, che mi esclude”.
Il nome di quell’ex magistrato: Luigi Bobbio.

Dopo quella sentenza dai media fatta passare per assolutoria mentre per niente lo era, articoli su molti quotidiani e periodici, trasmissioni radiofoniche e televisive amplificarono quella bugia mentre Andreotti distribuiva enigmatici sorrisi.
L’immagine mi ricordava quei versi di Palazzeschi in una sua celebre poesia: “L'Assolto”.

Fuggire? Nascondersi agli occhi della gente? Macché!
Sottrarsi alla sconcezza del dubbio ch'io rivesto? Macché!
Rivestirlo dignitosamente o con disinvoltura? Macché! Niente, niente!
Esibirsi, senza misura, generosamente
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Giancarlo Caselli – Guido Lo Forte
La verità sul processo Andreotti
Pagine 144, Euro 12.00
Editori Laterza


L'albero del latte

Intitolata L’albero del latte è in corso, presso la Fondazione Dino Zoli di Forlì, una mostra di Silvia Bigi a cura di Francesca Lazzarini-.

Francesca Lazzarini, laureata in sociologia, si avvicina alla fotografia alla fine degli anni Novanta, prima da artista e, dal 2007, come critica.
Ha collaborato alla nascita e allo sviluppo di Fondazione Fotografia Modena, presso la quale è stata curatrice, responsabile dei programmi educativi e coordinatrice editoriale.
Dal 2013 lavora come curatrice indipendente.
Nel 2016 ha lanciato il programma di residenze d’artista A.i.R. Trieste mentre nel 2017 è tra i fondatori della piattaforma di ricerca sulle immagini POIUYT.

Dal comunicato stampa.
«Il titolo della mostra è tratto dal “Kanun” di LekDukagjini, un antico codice di precetti e consuetudini tramandate oralmente nei Balcani sin da epoca medievale, e forse ancor prima, e in seguito raccolte in forma scritta. Nel canone – che veniva tramandato dai membri anziani delle comunità e regolamentava l’intera vita sociale, giuridica ed economica dei territori di sua applicazione – era definito “Albero del latte” la stirpe femminile, mentre “Albero del sangue” indicava l’unica vera discendenza: quella maschile, dominante.
Il lavoro di Silvia Bigi si sviluppa da un ritrovamento casuale: l’immagine di una donna, VukosavaCerovic ritratta insieme con un uomo. In realtà, la persona dalle sembianze maschili è sua sorella Stana, ultima vergine giurata dei Balcani. La scoperta dell’esistenza delle tobelije – donne disposte a diventare uomini e mantenersi vergini pur di sfuggire a matrimoni combinati e assicurarsi una vita indipendente in una società fortemente patriarcale – è il punto di avvio di una riflessione che tocca temi tradizionali come il matrimonio, la dote, la sessualità, la perpetuazione delle norme sociali dominanti».

“Potrebbero sembrare storie appartenenti a un altro tempo, a un altro luogo” – osserva l’artista – “eppure tutt’oggi la donna è sottoposta a drammatiche scelte, in ogni luogo del Pianeta. È un fatto che, in Occidente, la sua età fertile coincida con gli anni della sua realizzazione sociale e professionale. È un fatto che sia ancora e sempre chiamata a scegliere, a sfidarsi in ogni limite. A tentare di far tacere, per necessità, l’una e l’altra parte di sé”.

«Con “L’albero del latte”» – scrive la curatrice – «Silvia Bigi esplora il tema dell’identità di genere mescolando realtà e finzione, suggestioni poetiche e provocazioni critiche. Fotografie e installazioni, documenti d’invenzione e objets trouvés raccolti tra i Balcani e la Romagna compongono un percorso che affronta argomenti universali e quotidiani, storici e di attualità, per riflettere sul ruolo della donna nella società contemporanea e sulle possibilità di cambiamento sociale».

Ufficio Stampa:
CSArt – Comunicazione per l’Arte

Silvia Bigi
L’albero del latte
a cura di Francesca Lazzarini
Fondazione Dino Zoli
Viale Bologna 288, Forlì
Info: Tel. +39 0543 755770
info@fondazionedinozoli.com
Fino al 14 aprile 2018



Vite straordinarie di uomini volanti (1)

Spesso alcuni critici acuti e molti lettori raffinati lamentano il decadimento delle nostre patrie lettere deplorando da parte di tanti editori l’abbandonarsi alla letteratura di consumo indicando nel passato maggiore rigore e più alta qualità.
Francamente non so se questo sia vero. Sarà perché credo mai sia esistita, in ogni campo, un’età dell’oro, sia perché pensando a ieri e all’altro ieri scorgo esempi che smentiscono quel, pur nobile, pessimismo.
Già nella letteratura latina e greca troviamo satire contro poetastri che riscuotevano gran successo, ma senza andare per le lunghe, in Italia, in termini storici appena poco fa, i libri di Guido da Verona andavano alla grande e quelli di Italo Svevo giacevano invenduti sui banchi. L’informazione culturale? In quegli stessi anni la rivista “Le grandi firme” di Pitigrilli con in copertina le tornite signore di Boccasile, vendeva il decuplo della “Fiera Letteraria”. E quando per effetto delle leggi razziali Pitigrilli lasciò la direzione data a Cesare Zavattini il quale migliorò i contenuti del periodico, che successe? La rivista in breve chiuse per sempre.
Hanno torto quei critici e lettori di palato fine? Non del tutto. Il fatto è che oggi, cambiata la comunicazione, amplificata com’è dai più numerosi e moderni mezzi di trasmissione, il prodotto mainstream è promosso in modo tanto imponente e assordante da sembrare che esista solo ciò che è più gradito al mercato.
Semmai, trovo peggiorata, rispetto a un tempo, proprio la confezione di genere, e non solo in letteratura. Avviene per varie cause, nei nostri tempi ansiogeni di cui sono carnefici e vittime autori, editori, produttori, funzionari radiotv.
A farla corta: i buoni libri esistono. Bisogna avere pazienza più di ieri nel cercarli. Soprattutto presso quelle case editrici (poche, in verità) che facendo surf sull’onda mercantile, pur tenendo un occhio non distratto sull’amministrazione, praticano qualità.
Ad esempio, la Sellerio e di uno straordinario libro proprio dell’editrice palermitana mi accingo a dire.
Si tratta di Vite straordinarie di uomini volanti, l’autore è Errico Buonanno, nato a Roma nel 1979. Per sue notizie biografiche CLIC.

Quando pubblicò nel 2003 “Piccola serenata notturna” fu da me invitato a fare quattro chiacchiere nella sezione Enterprise su questo sito.
Chi si loda s’imbroda, ed eccomi imbrodato perché “Piccola serenata notturna” mi piacque moderatamente, ma quindici anni fa l’invitai perché intuii che dietro quelle pagine che non mi entusiasmavano c’era uno scrittore vero che avrebbe fatto cose buonissime.
Mi pare che una volta tanto non ho toppato.
“Vite straordinarie di uomini volanti” racconta di creature che volano e di molti pronti a testimoniare che volavano proprio.
Famoso, e noto ad alquanti, è Frate Giuseppe da Copertino nato nel 1603 e fatto aereosanto nel 1767. Buonanno, però, fa conoscere tante e tanti (circa duecento) che decollavano, roba da costituire una vera e propria flotta destinata a plurali incarichi volontari o non che fossero. Due esempi: soccorso da eliambulanza (il caso di Fra Bentivoglio che trasportava lebbrosi); bombardieri (i temibili tempestarii che devastavano i campi con una meteoguerra ma dovevano vedersela con i contadini defensores).
Ecco un gran libro, di quelli che più mi piacciono e ve ne consiglio l’acquisto se siete fra quei lettori raffinati di cui dicevo in apertura.
«Vite straordinarie di uomini volanti» - è detto nella presentazione editoriale – «è il sorprendente resoconto di quanto la capacità di volare fosse regolarmente presente dentro la realtà fantastica, ma è anche un “manuale sul volo umano scritto abbracciando la trasognata visionarietà di quei levitanti personaggi. Tra questi Frate Giuseppe da Copertino, un sempliciotto, un “idioto”, ma che, come giurano documenti e testimonianze, sapeva volare quando un’emozione o una gioia lo prendeva. Questo libro racconta l’intero arco delle cronache di persone volanti, mettendo insieme fonti storiche, pensieri sul volo e pagine letterarie».

Ancora una cosa. Nell’epoca moderna si ha notizia di uomini volanti?
Sì, un precursore dei paracadutisti c’è stato. Un sarto francese. Franz Reichelt, il suo nome. Del suo volo esiste documentazione cinematografica. Inventore di un paracadute, la mattina del 4 febbraio 1912, salì sulla Torre Eiffel e si tuffò. Gli andò male. Le corde si attorcigliarono e si schiantò al suolo. L’autopsia dimostrò che non era morto per l’impatto sul terreno, ma d’infarto. Accortosi in volo della morte vicina, era morto di paura.
Uomo volante fai da te?... Ahi, ahi, ahi!

Segue ora un incontro con Errico Buonanno.


Vite straordinarie di uomini volanti (2)

A Errico Buonanno (in foto) ho rivolto alcune domande.
Com’è nato questo libro?

Tutto inizia da Giuseppe.
Giuseppe da Copertino, questa figura incantevole in ogni senso. E dai fratelli Flavio e Paola Soriga, che mi avevano chiesto di partecipare al loro festival “Sulla terra leggeri” all’Argentiera, in Sardegna, tenendo una sorta di lezioni sulla leggerezza. Nel prepararle, incappai per caso in Giuseppe, un “idioto”, come lo definiscono le cronache del Seicento, un uomo che, letteralmente, aveva la testa fra le nuvole. Campione di disastri, buono a nulla, semi-analfabeta ma, proprio per questo, dotato di un potere. Ogni volta che si emozionava, o che si sentiva felice, o che veniva rapito, Giuseppe volava. E questa immagine mi è sembrata da subito un esempio perfetto di uomo con la testa fra le nuvole. L’uomo che non sa stare sulla terra, perché non fa parte della terra, e che sa votarsi all’arte più inutile e più meravigliosa possibile: quella di far stare col naso in su, di guardare le cose da un’altra prospettiva. Ho scoperto così che esistono almeno duecento casi di persone volanti o levitanti; un fenomeno abbastanza comune, un tempo, che si è interrotto in un momento preciso: con la scoperta della legge di gravità. Ovvero, gli uomini volavano finché ci credevano, finché qualcuno non ha dimostrato loro che era impossibile. Io ci ho voluto credere.

Qual è la differenza fra i voli mitologici di Dedalo o Icaro e quelli di cui tu scrivi?

La prima differenza è la più evidente, ma forse anche quella che conta di meno: io scrivo di persone volanti. Volanti per davvero, senza l’aiuto di marchingegni. Sono persone che volano spontaneamente, e che anzi a volte si vergognano di questa loro capacità. “Perdonatemi, – diceva Giuseppe – sono difetti di natura”. Ma il volo è così: è un’impellenza, non si può trattenere. La seconda differenza è più sottile. Dedalo e Icaro volavano con uno scopo, dovevano fuggire. Il volo di cui parlo io ha la caratteristica dell’inutilità. A cosa serve finire sui rami di un albero o volare sul Campidoglio come faceva Simon Mago? A niente. A stupire. A fare star gli altri con il naso in su. E in questo il volo è parente del gioco, della poesia, della letteratura. È un incanto senza altro fine che se stesso. Forse per questo i volatori sono sempre odiati da chi è troppo terrestre: producono scandalo.

Qual era la prima condizione necessaria per essere un uomo o una donna volante ?

Qualcuno ha parlato di “sprezzatura”. Cioè il divino infischiarsene, il saper dar poco peso alle zavorre del mondo. In Peter Pan nei giardini di Kensington c’è una scena meravigliosa. Il piccolo Peter vola per la prima volta perché vede un uccellino che lo fa e, non sapendo che i bambini non possono volare, decolla anche lui e finisce su un isolotto in mezzo a un lago. Quando gli uccelli gli rivelano che per lui volare è impossibile, ecco che perde la possibilità di farlo e rimane bloccato. Ma passa di là qualcuno che ha molto a che fare col volo (o coi bambini): un poeta, Shelley. E il poeta ha la sprezzatura: si ritrova in tasca una banconota, e che mai ci può fare? Una barchetta di carta, che lascia navigare sul lago e che arriva fino a Peter. Ecco, confondersi con un uccello, fare coi soldi una barchetta. Migliore ricetta per il volo non c’è.

“Levitas” e “Gravitas”, due poli tra i quali svolgi riflessioni su chi vola, tempo e società che videro gli uomini volare.
Questo nuovo millennio sotto quale di quei due segni nasce
?

A domande del genere viene sempre voglia di dare risposte pessimistiche. Ma la realtà è che non è mai esistito un secolo che non abbia avuto la sua “gravitas” o le sue false, superficiali (e quindi in realtà pesantissime) leggerezze. Così come, d’altronde, non è mai esistito un secolo che abbia abolito ogni traccia d’incanto. Si vive sempre temendo di essere in un’epoca più dura, più “grave”. Ma non era più lieve la Spagna in cui la giovane Teresa d’Avila, futura grande volatrice, doveva leggere di nascosto i suoi romanzi cavallereschi che le parlavano di Astolfo sulla luna, e addirittura scriverne uno, purtroppo oggi perduto. Non era più lieve l’America in cui gli schiavi neri Igbo si trasformavano in uccelli per tornarsene in Africa. Volare significa sempre imbastire una lotta tra le convenzioni eterne e l’aspirazione al cielo. Che, per fortuna, non finisce mai.

…………………………………………….

Errico Buonanno
Vite straordinarie di uomini volanti
Pagine 192, Euro 13.00
Sellerio


Piccola storia delle eresie

Partiamo dal vocabolario.
«Eresia = sostantivo femminile; termine storico e teologico che indica una dottrina considerata deviante da un movimento religioso appartenente alla stessa tradizione».
Avvicinandoci al cristianesimo, il teologo tedesco Karl Rahner (1904 - 1984) in "Che cos'è l'eresia?" precisa: «Sotto il profilo giuridico-ecclesiastico, eretico è definito colui che, dopo il battesimo, e conservando il nome di Cristiano, ostinatamente si rifiuta o pone in dubbio una delle verità che nella fede divina e cattolica si devono credere».
Per Umberto Eco “Tutte le eresie sono bandiera di una realtà dell'esclusione. Gratta l'eresia, troverai l'emarginato. Ogni battaglia contro l'eresia vuole solamente questo: che l'emarginato rimanga tale”.

La casa editrice Quodlibet ha nel suo catalogo un libro scritto in modo vivace e sapiente che, con brevi capitoli senza mai per questo essere sciatto, descrive storia e contenuti di ben 45 dottrine considerate eresie dalla Chiesa.
Titolo Piccola storia delle eresie. L’autore è Mauro Orletti.
In bandella è detto: “Ha collaborato con la rivista «L’accalappiacani» (DeriveApprodi), settemestrale di letteratura comparata al nulla che si faceva a Reggio Emilia. Vive e lavora a Bologna in un’azienda dove si occupa di relazioni sindacali”.
E qui, forse, si può capire come e perché Orletti sia ben attrezzato a studiare una pluralità di teorie intorno allo stesso tema, visto l’enorme numero delle sigle sindacali in Italia ognuna delle quali a suo modo discetta sul lavoro allontanandosi dalla Trinità confederale.
Sapevate che sono esistiti Elchasaiti? E degli Ieraciti cosa mi dite? Conoscete tutto dei Carpocraziani? Sapeste parlarmi dei Teopaschiti? Che cosa sostenevano gli Etnofroni?
Ecco se solo una di queste domande vi vede impreparati, via di corsa in libreria per acquistare il libro di Orletti il quale parte da una constatazione interessante. È diffuso il credere che “il cristianesimo sia sempre stato quello che è oggi (…) È vero il contrario. All’inizio c’era diversità, il pensiero unico (ortodosso) è venuto dopo. Già nel secondo secolo esistevano cristiani che adoravano il dio creatore del mondo, altri che lo disprezzavano giudicandolo, da cristiani, un essere malvagio”.
Che fine facevano gli eretici un tempo? Se la passavano male. Malissimo.
Dalla Chiesa ortodossa ne furono fatti secchi 4, dai calvinisti e zwingliani altrettanti 4. Vabbè, direte, cifre modeste. Già, ma queste due chiese furono le più clementi perché con gli anglicani saliamo a 60, inaugurando la serie con l’umanista Tommaso Moro decapitato a Londra il 6 luglio 1535 che, però, come accadeva in Russia anni fa, sarà riabilitato tempo dopo l’esecuzione e venerato come santo, tanto ormai lui aveva avuto il fatto suo.
Ma dove arriviamo a imbattibili cifre da record olimpico è con la Chiesa cattolica che ne manda al Creatore in vari, fantasiosi, modi ben 703! L’ultimo giustiziato fu un maestro di scuola, un deista, si chiamava Cayetano Ripoli, impiccato a Valencia il 31 luglio 1826 e poi, giusto per andare sul sicuro, il corpo fu dato alle fiamme.
Lui fu l’ultimo… sì, l’ultimo che si sappia. Perché – è imbarazzante scriverlo – ai nostri giorni c’è chi condanna come eretico addirittura Papa Francesco; in una lettera di 25 pagine, 62 sacerdoti e studiosi laici cattolici accusano il Papa di sette eresie e s’intuisce che se il Sommo Pontefice argentino finisse nelle mani di quei 62, quelli lì lo ridurrebbero a un’impanada.
Mi avvio alla conclusione di questo pezzo.
Sapendovi pruriginosi so che avete curiosità di sapere come la pensavano sul sesso gli eresiarchi di un tempo. Ancora una volta Orletti c’illumina ed io ne ricavo quanto segue. Pussa via Marcioniti, Montanisti, Encratiti, Fibioniti, Pauliciani, i quali predicano l’astinenza totale; più concessivi Patriziani e Paterniani che lo permettevano ma solo se non avesse finalità di procreazione, cioè in forma sodomita. Più concessivi, d’accordo, ma anche da quelli prudenza consiglia di tenersi lontani.

Mauro Orletti
Piccola storia delle eresie
Pagine 168, Euro 14.00
Quodlibet


Corpi impuri


• Non accostatevi alle vostre spose durante i mestrui e non avvicinatele prima che si siano purificate. Quando poi si saranno purificate, avvicinatele nel modo che Allah vi ha comandato.

Corano, VII sec. a.e.c.

• Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera.

Bibbia, Levitico, Antico Testamento, VI-V sec a.e.c.

• La donna con le mestruazioni è detta Niddah per motivi di impurità. Le donne in questo stato non possono essere accolte all'interno del Beit haMiqdash.

Abraham ibn ‛Ezra, teologo della religione ebraica

Ecco esempi che ben illustrano perché è cosa sana tenersi lontani dai credenti specie di religioni monoteiste ma anche da tutti gli altri credenti, giusto per andare sul sicuro.
Quel processo fisiologico femminile, come avviene spesso per le discipline scientifiche, non è spiegato o è mal spiegato nelle aule scolastiche e nelle famiglie, resta un fenomeno considerato imbarazzante perciò censurato e si trova assai spesso in credenze grevi e barzellette casermesche.
Un libro, pubblicato da Odoya, nato da uno spettacolo teatrale per il Festival Filosofia di Modena, affronta quel tema in modo colto e frizzante, illuminando ragioni scientifiche e divertenti questioni linguistiche.
Titolo: Corpi impuri Il tabù delle mestruazioni.
L’autrice è Marinella Manicardi.
Ha debuttato in teatro a Bologna, diretta da Luigi Gozzi, con cui ha condiviso la direzione artistica del Teatro delle Moline, raccontata in “Trent’anni dopo: il Teatro delle Moline” (Edisai 2006). Interprete di sceneggiati e racconti radiofonici, ha scritto “Luana prontomoda” (2005) e per le edizioni Pendragon, con Federica Iacobelli, nel 2013 “La Maria dei dadi da brodo”.

Nel giro di presentazioni del volume, nel quadro dell'iniziativa "Nel silenzio delle donne", promossa dal Teatro delle Ariette e dalla Libreria CartaBianca, ho notato il nome di una presentatrice recentemente ospite di questo sito in occasione dell’uscita di un suo recente libro edito da Meltemi: Il piacere non è nel programma di Scienze!. Si tratta dell’antropologa Nicoletta Landi. A lei ho chiesto un flash su Corpi impuri.
Così ha risposto.
«Perché il sangue mestruale negli spot pubblicitari continua a essere blu? Se una donna va in bagno in un luogo pubblico a cambiarsi l'assorbente, per quale motivo fa di tutto per non farlo a vedere? Come mai giovani e adulti fanno spesso confusione tra cos’è il ciclo mestruale e cosa sono, invece, le mestruazioni? Perché ci fa innervosire quando ci chiedono "se abbiamo le nostre cose"? Per quale assurdo motivo, infine, le chiamiamo con nomi strampalati come "le comuniste, le mostruose, le maledette rosse"?
I “non detti”, le credenze, le norme sociali che circondano il ciclo mestruale e, più in generale, il corpo delle donne sono numerose e contraddittorie.
Marinella Manicardi, nel suo libro "Corpi impuri. Il tabù delle mestruazioni", ne fa un excursus storico-antropologico che, con ironia e cura, ci restituisce tutta la complessità che caratterizza l’immaginario sociale riguardante ciò che tutte le donne, per circa quarant’anni della propria vita, esperiscono sul loro corpo “in comode rate mensili”».

Marinella Manicardi
Corpi impuri
Prefazione di Giancarla Codrignani
Pagine 240, Euro 15.00
Odoya


Il sugo della storia (1)


La casa editrice Laterza ha pubblicato un gran bel libro che può deliziare non solo gli appassionati di enogastronomia, ma anche tutti quelli interessati alla storia di quanto si svolgeva un tempo intorno al cibo e da dove vengono dizioni, usanze, tic e mode di oggi.
Titolo: Il sugo della storia.
La firma dell’autore è una garanzia: il medievista Massimo Montanari.
Insegna Storia medievale e Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, dove è anche direttore del Master “Storia e cultura dell’alimentazione”.
Per Laterza ha pubblicato, tra l’altro: “Alimentazione e cultura nel Medioevo”; “Convivio (3 volumi)”; “La fame e l’abbondanza”; “Il pentolino magico”; “Storia dell’alimentazione (a cura di, con Jean-Louis Flandrin); “La cucina italiana” (con Alberto Capatti); “Storia medieval”; “Il cibo come cultura”; “Il formaggio con le pere. La storia in un proverbio”; “Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo”; “L’identità italiana in cucina”; “Gusti del Medioevo”; “I racconti della tavola”; “Spaghetti e pomodori” (con Roberto Piumini).

In questo video un suo interessante intervento in cui parla del cibo e di quanta storia è intessuto.

Dalla presentazione editoriale.
«Alla fine dei "Promessi sposi", Alessandro Manzoni tira le somme del racconto appena concluso e presenta 'il sugo della storia'. Che non è il suo svolgimento, né il 'come va a finire', e neppure la morale. Il sugo è il meccanismo generatore, il motore che muove l'azione dall'interno. È un'ennesima metafora gastronomica, giacché agli uomini viene spontaneo da sempre rappresentare il mondo come una cucina, una pentola, un cibo. Nel caso del sugo, la metafora funziona perché anche in cucina - come nelle storie - è il sugo a dare senso e personalità ai piatti. Salse, sughi, condimenti si aggiungono e si combinano all'ingrediente principale ma non sono accessori secondari: hanno un'importanza decisiva nel definire lo specifico carattere della vivanda, e con esso gusti, abitudini, identità gastronomiche e culturali. In queste storie, che hanno al centro il cibo, Massimo Montanari racconta gesti, atteggiamenti, mode, pratiche, riflessioni, vicende che spaziano nei secoli e tra i continenti, e da cui spremere il sugo per il piacere di tutti noi».

Segue ora un incontro con l’autore.


Il sugo della storia (2)

A Massimo Montanari (in foto) ho rivolto alcune domande.
Qual è il carattere distintivo della convivialità?

Scriveva Plutarco: “Noi non ci troviamo per mangiare, ma per mangiare insieme”.
La socialità è un tratto specifico (anche se non esclusivo) della specie umana. Aristotele definì l’uomo “animale sociale”. Voleva dire che tendiamo a fare le cose insieme perché è più utile, più efficace e dà più soddisfazione. Materiale e mentale. Convivialità vuol dire condividere il cibo, che non è solo la cosa che stiamo mangiando ma tutto il percorso che ha portato a quel punto: riconoscerlo, produrlo, trasformarlo, distribuirlo… alla fine, mangiarlo. Compiere insieme questi gesti, alcuni o tutti, è un modo per riconoscersi membri di una comunità, di segnalare un’appartenenza e un’identità. Vuol dire che il cibo non è solo un oggetto nutrizionale, né solo un oggetto di piacere, o di salute, ma anche uno strumento di comunicazione, attraverso il quale ci scambiamo messaggi, idee, valori.


Esiste la cucina italiana o esistono le cucine italiane?

Credo che – nonostante quello che molti pensano – una cucina che si possa definire “italiana” esista. Non come realtà omogenea e univoca, ma come insieme di esperienze, gusti, culture diverse, costruite dalla geografia e dalla storia. La cucina “italiana” esiste come spazio (materiale e mentale) di confronto e di scambio fra tutte queste esperienze, che, conoscendosi, si arricchiscono reciprocamente di contenuti altrui. Fin dal Medioevo la cultura gastronomica italiana si è costruita in questo modo: come rete di realtà differenziate localmente, ma che circolavano – non già all’interno di uno spazio comune, bensì costruendo quello spazio, attraverso lo scambio. Prendiamo il caso dei prodotti (o delle ricette) locali, caratterizzate da una denominazione territoriale. Che cosa significa una denominazione territoriale? Che un prodotto, o una ricetta, si sviluppa in un certo luogo. Questo è ovvio. Meno ovvio è che l’esistenza di queste denominazioni significa che quel prodotto, o quella ricetta, esce dal luogo e circola altrove: se così non fosse, non ci sarebbe bisogno di chiamarla in quel modo. Allora, la grande quantità di denominazioni di “origine” che caratterizza la cucina italiana fin dal Medioevo è la prova decisiva che quella cucina si forma nel segno dell’interscambio e della circolazione. Un interscambio e una circolazione che per secoli furono riservati a pochi eletti, poi, col passare del tempo, sono diventati patrimonio più ampiamente condiviso sul piano sociale.

Riprendo un interrogativo dal suo libro.
“Ricette italiane nel mondo. Vere o false. Autentiche o inventate”
?

Partiamo con un paradosso: dal punto di vista di uno storico, il falso non esiste. Tutto ciò che esiste è vero, anche il falso: se una cosa è falsa, è vero che qualcuno l’ha falsificata. La costruzione del falso è un fatto vero che lo storico è interessato a ricostruire (e de-costruire). E per quanto riguarda i concetti di autentico e inventato: cosa significano in realtà? Autentico rispetto a che cosa? Rispetto, forse, a una realtà che nel frattempo è cambiata perché qualcosa di nuovo è stato inventato? Ma allora non si tratta di opporre autentico a inventato, ma “più antico” a “più nuovo”. Perché tutto, se è vivo, muta nel tempo. Solo le cose inanimate non sono soggette a cambiamenti. Una ricetta italiana che viene modificata non è falsa, è una cosa nuova e diversa da quella precedente. Una ricetta italiana inventata non è per questo meno autentica, è solo nuova e diversa da quelle precedenti. E chi, se non il gusto, deciderà quali di queste ricette sono degne di restare (almeno per un po’, fino a nuovi cambiamenti) nelle nostre cucine e nelle nostre tavole? Bisogna diffidare di chi pretende di fissare le ricette, di definire quale è vera, giusta, corretta. Chissà quante varianti esistevano prima che quella ricetta si affermasse; chissà quante ne esistono in parallelo. La libertà di variare è la base indispensabile di ogni attività di cucina, e della sua vitalità: lo insegnava anche il padre della cucina italiana moderna, Pellegrino Artusi.

La diffusione di notizie sull’enogastronomia ha contribuito ad elevare conoscenza ed interesse presso il pubblico. Eppure siamo un popolo che beve spumante secco su panettoni e dolci. Alcuni, poi, sembrano giocatori in grado di qualche, raro, riuscito dribbling ma che falliscono più di un elementare stop perché mancano loro i cosiddetti fondamentali. Il suo pensiero?

Sono d’accordo sulla necessità di fornire i “fondamentali” senza perdersi in dettagli e orpelli, magari utili ma non essenziali. I fondamentali cioè le “regole del gioco”.
A questo punto, però, confesso che sono tentato di fermarmi, perché chi definisce le regole del gioco? Chi decide – per riprendere l’esempio citato – che sul panettone è meglio uno spumante dolce piuttosto che uno secco? Io sono del tutto d’accordo sul piano del gusto personale, ma se a qualcuno piace diversamente che diritto ho di dirgli che sta sbagliando? Il fatto è che, sicuramente influenzato dalla mia formazione medievistica, mi sono convinto che sia necessario restituire al consumatore – al mangiante e al bevitore – la responsabilità di scegliere ciò che ritiene migliore. Capisco che mille condizionamenti esterni vanno a influenzare le nostre scelte, come quelle dei nostri avi. Ma i nostri avi erano convinti (e sono tentato di dargli ragione) che il gusto ci guida nel senso giusto. Ci indica la via da seguire perché nasce da una domanda del corpo (se sappiamo ascoltarlo). Di un corpo sempre diverso: nessuno è uguale a un altro. Dunque sulla tavola medievale nessuno si permetteva di “impiattare” le vivande, presentandole bell’e pronte al convitato. Ciò che si preparava erano i piatti di servizio comuni, da cui ciascuno prendeva (o si faceva servire) ciò che lo attirava di più. Era lui a decidere ciò che avrebbe mangiato, e quanto. Allo stesso modo, nessuno avrebbe affidato a un esperto estraneo la responsabilità di decidere quale vino abbinare a che cosa. La scelta spettava al bevitore. Forse questo è un appello all’anarchia, ma credo che di un po’ di anarchia abbiamo bisogno (o forse solo di democrazia) in un mondo che sempre più rigidamente espropria l’individuo della libertà di mangiare e bere ciò che gli pare, nel modo che gli pare. Prendiamoci le nostre responsabilità, e rispettiamo chi la pensa diversamente. Fidiamoci del gusto. I medici medievali ripetevano: “Ciò che piace fa bene”. L’importante è imparare ad ascoltare il proprio corpo, senza cedere alle lusinghe della moda, della pubblicità, delle convenzioni sociali.

……………………………

Massimo Montanari
Il sugo della storia
Pagine 196, Euro 10.00
Laterza


Il sogno di Nietzsche

Amato molto, odiato altrettanto, Friedrich Nietzsche (1844 – 1900) è uno dei più grandi pensatori del secolo scorso che ha influenzato e ancora influenza dottrine filosofiche della nostra epoca.
Esiste un un filmato che lo ritrae ormai vicino alla fine. Paralitico, alternava mutismo a deliri fino a quando negli ultimi mesi si rinchiuse in un assoluto silenzio.
La sua opera non è solo letteraria perché fu anche compositore; Bruno Dal Bon scrive: “La musica occupa interamente i centri vitali della filosofia di Nietzsche, del suo pensiero, del suo agire”. Per la conoscenza della sua opera musicale, molto dobbiamo a Guido Zaccagnini che curò nel 1979, al Teatro Argentina di Roma, la prima esecuzione mondiale integrale delle composizioni di Nietzsche, pubblicate dall'editrice Bären-Reiter; poi, come pianista, con l'Ensemble Spettro Sonoro, registrò per l'etichetta Edipan le musiche liederistiche del filosofo.
Ricordo ai più distratti che il poema sinfonico Così parlò Zarathustra di Richard Strauss, usato da Kubrick come colonna sonora di 2001, è uno dei temi musicali più popolari.
David Bowie si è ispirato al filosofo tedesco per la canzone The Superman, dall'album del 1970 The Man Who Sold The World.
La band Dandy Warhols ha scritto la canzone Nietzsche.
Una curiosità: ogni capitolo della trilogia dei videogiochi jrpg Xenosaga ha un richiamo all'opera del filosofo. Ad esempio nell’Episodio 3: Also sprach Zarathustra.

L’esaltazione della volontà di potenza e del superuomo è stata tendenziosamente presa a giustificazione del nazismo, nonostante che lui ritenesse inattuali e menzogneri i miti della nazione e della razza. Ma è destino di ogni pensiero complesso avere una pluralità d’interpretazioni. Per esempio i maggiori esponenti dell’esistenzialismo riconoscevano in Nietzsche una fonte originaria del loro pensiero.
Tra le sue opere “Ecce homo. Come si diventa ciò che si è”, tardo scritto autobiografico, offre una testimonianza della consapevolezza nietzscheana di svolgere una missione, infatti, scriveva «Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme (…) della più profonda collisione della coscienza contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato».
Nota Reinhard Margreiter: “Il linguaggio di ‘Ecce homo’ è nel suo complesso euforico e apodittico, tuttavia l’opera contiene una serie di limpide analisi e di formulazioni pregnanti”.

In questo 2018, “Ecce homo” compie 130 anni dalla sua redazione (sarà pubblicato postumo da Leipzig nel 1908) e ha fornito a Maricla Boggio lo spunto per scrivere il testo teatrale Il sogno di Nietzsche.
Ennio Coltorti – nel ruolo del filosofo – porta in scena quel travaglio umano che Friedrich visse nell’enigmatico e torbido triangolo con Lou Salomé – interpretata da Adriana Ortolani – e il giovane scrittore Paul Rée, reso alla ribalta da Jesus Emiliano Coltorti.
Il tutto al Teatro Stanze Segrete che nell'occasione si trasforma in un soggiorno di metà Ottocento dove Nietzsche è alle prese con filosofia, amore e amicizia.
In preda a visioni allucinatorie il filosofo tedesco rivive momenti che hanno segnato la sua gioventù: l’affascinante Lou Salomè e il triangolo con l’amico Paul Rée finalizzato allo studio ma percorso da inconfessati desideri sessuali.
In un delirio crescente di creatività e follia finisce, alla conclusione della sua vita, per immedesimarsi nell’umanità tutta dichiarando di sentirsi infiniti personaggi: re, imperatori, perfino il principe Umberto fino a quell’”Anticristo” in cui, in contraddizione con se stesso, ammira il Cristo sulla croce.

Ufficio Stampa HF 4
Marta Volterra: marta.volterra@hf4.it; 340.96.900.12

Il Sogno di Nietzsche
Teatro Stanze Segrete
Via della Penitenza 3 - Roma
Info e prenotazioni:
06.6872690 * info@stanzesegrete.it
Dal 7 al 18 marzo 2018


Short Lab


Non ricordo chi scrisse a un suo corrispondente l’aurea sentenza “Ti scrivo una lettera perché non ho tempo per una cartolina”.
Scrivere e parlare sul breve è arte difficile.
Praticarla sul serio, perché, come si sa, temibilissimi sono quelli che iniziano col dire “sarò breve”, è un modo di rassicurare lettori o uditorio allo stesso modo del dentista quando rassicura il paziente prima di straziarlo.
La brevitas fu celebrata dai latini, è poco onorata ai giorni nostri, dove in molti, specie i politici, dicono tanto per dire nulla. Bisognerebbe ricordare nei dibattiti radiotv, negli articoli, in tanta letteratura, in molte sceneggiature, quella grande frase che in “La provincia dell’uomo” scrive Elias Canetti: "Una frase sola è netta e bella. Già la successiva le toglie qualcosa".
Chi, evidentemente, si è posta la questione della necessità della brevitas ai giorni nostri e del suo potenziale espressivo è Massimiliano Bruno che con Gianni Corsi, Daniele Coscarella, Susan El Sawi, quest’anno può vantare la terza edizione di Short Lab rassegna di monologhi e corti teatrali in corso di svolgimento a Roma al Teatro Cometa off.
Di Bruno QUI notizie biografiche e CLIC per visitare il suo sito web.

Da un comunicato si apprende la meccanica della rassegna Short Lab: «Ogni sera si esibiranno 4 Monologhi e 3 Corti. Ogni settimana andranno in scena 21 spettacoli diversi, con doppia replica ciascuno. I voti del pubblico e della giuria, composta dal Direttore Artistico Massimiliano Bruno, dall'organizzazione e da un comitato di addetti ai lavori, decreteranno la selezione dei 18 Monologhi e 10 Corti semifinalisti. Nell'ultimo week end della rassegna, il 24 e il 25 marzo andranno in scena i 6 Monologhi e i 4 Corti teatrali finalisti che si contenderanno il titolo di vincitore.
Artisti e compagnie di talentuosi, provenienti da tutta Italia, avranno così l’occasione di esibirsi per due volte sul palcoscenico del Cometa Off, da sempre un vero e proprio tempio del teatro Off romano, con l’entusiasmo e la giusta dose di competizione che darà ai finalisti la possibilità di sfidarsi nelle ultime due serate per l’ambito Premo finale: la produzione dello spettacolo per la stagione successiva. Insomma una vetrina prestigiosa per un centinaio di professionisti o aspiranti tali. Short Lab diviene lo spazio fisico e temporale di confronto culturale e di arricchimento reciproco tra le diverse realtà teatrali del giovane panorama italiano
».

Per il calendario della rassegna CLIC.

Ufficio Stampa Giulia Contadini – giuliacontadini@gmail.com – 333.3483517

Short Lab
Teatro Cometa off, Roma
Via Luca Della Robbia 47
Info +39 06 57284637
Fino al 25 marzo ‘18


B. come Basta


Da pochi giorni è in distribuzione un libro della PaperFirst necessario quanto utile.
Necessario perché la maggioranza della stampa quotidiana, periodica e libraria è nelle mani di chi censura l’opposizione.
Utile perché proprio alla vigilia delle elezioni è importante ricordare chi è alla guida del centrodestra e perché siamo in molti a giudicare quella formazione sotterraneamente partner di Renzi e dei suoi amici.
Titolo B. come Basta Fatti e misfatti, disastri e bugie, leggi vergogna e delitti (senza castighi) dell’ometto di Stato che vuole ricomprarsi l’Italia per la quarta volta, autore Marco Travaglio.

Dalla presentazione editoriale.
Tutto ciò che ha fatto, anzi ci ha fatto Silvio Berlusconi nei suoi primi 81 anni è raccolto in questo libro (…) l’inventario di tutto ciò che lorsignori vogliono farci dimenticare. Le figuracce davanti al mondo. Le intercettazioni indecenti e imbarazzanti. Gli impresentabili nelle sue liste. E soprattutto i danni devastanti che ha prodotto, nei 9 anni dei suoi governi e nei 3 delle larghe intese, in tutti i settori della nostra vita….

Marco Travaglio
B. come Basta
Pagine 390, Euro 14.00
Edizioni PaperFirst


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