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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Pro-memoria a Liarosa


Finora di Elio Pagliarani era nota la sua opera poetica e l’intensa attività di critico teatrale particolarmente attento alle nuove espressioni sceniche, adesso dobbiamo registrare il suo debutto come narratore-
Nato nel 1927 a Viserba (Rimini), con Pro-memoria a Liarosa – Edizioni Marsilio – dedicato alla figlia Lia nata nel 1977, esordisce, infatti, nella narrativa.
Qualche cenno biobibliografico.
Debutta con Cronache ed altre poesie (1954), è presente nell'antologia I Novissimi (1961). Nel 1960 esce il poemetto La ragazza Carla, il suo testo più celebre, cui seguiranno Lezione di fisica (1964), Esercizi platonici (1985), La Ballata di Rudi (Marsilio 1995, Premio Viareggio) e seguirà nel 1999 il prestigioso Campiello alla carriera. Nel 2006 escono Tutte le poesie, 1946-2005 (Garzanti). Per Tutte le poesie viene premiato nel 2007 con alcuni fra i più importanti riconoscimenti italiani fra cui il Premio Napoli, il Premio Palmi, il Premio Betocchi, l'Orient Express, il Premio Penisola Sorrentina e il San Valentino. Critico teatrale di Paese Sera dalla fine degli anni Sessanta fino al 1985, direttore di Periodo Ipotetico (1970-78).

Prima, ho scritto “esordisce nella narrativa”, dizione giusta, ma forse è più giusto ancora dire: esordisce con un testo in prosa. Perché “Pro-memoria a Liarosa”, non a caso, accanto al titolo ha inscritte fra parentesi due date: 1979 – 2009.
Si tratta, insomma, di un’autobiografia che scorrendo parallela agli anni in cui Liarosa cresce, traccia il percorso di vita, d’intervento letterario, d’impegno politico, d’incontri, che Pagliarani va vivendo.
Di questo materiale biografico, immerso nella storia di quegli anni italiani indicati fra parentesi, l’autore ha avuto la sapienza di scrittura e (mi va proprio di sottolinearlo) il buon gusto di non farne un romanzo, ma un’esplorazione di se stesso.
Scrive Walter Pedullà nella prefazione: “Se un’autobiografia è la biografia dell’io, questa di Pagliarani è l’autobiografia del Noi, di tutti quelli che come noi avevamo attraversato gli anni Trenta e quaranta, con quanto essi comportano: il fascismo, la povertà, lo sfruttamento, guerre coloniali, guerra civile spagnola, la Resistenza […] Un’autobiografia collettiva che egli ha trovato il suo bel modo di rendere singolare in virtù di uno stile piano, nitido, scorrevole come non è mai stata la sua scrittura di poeta, che notoriamente scarta dal percorso, interrompe il discorso, scende nel parlato e spicca il volo verso il concetto arduo da mettere in musica moderna”.
E Sara Ventroni nella postfazione: “Pagliarani si è mosso sempre con incrollabile lenteur : un’attitudine alla dilazione che investe soprattutto il rapporto tra composizione, varianti e tempistica della pubblicazione […] Non è forse un caso, allora, se proprio con un’autocampionatura in forma di tarsìa si conclude (ma sarà vera conclusione?) questo libro: nei titoli di coda del ‘Commiato un po’ brusco’ ricompaiono i personaggi principali della vicenda: babbo Giovanni, mamma Pasquina, la sorella Rosanna, la figlia Lia e la moglie Cetta, alla quale Elio affida non solo la rima interna di un acrostico del ’76 (qui rimontato a nuovo) ma, saremmo tentati di dire, anche l’unica morale della favola di quest’autobiografia: come all’amore, così alla poesia: l’importante è non finire”.

Elio Pagliarani
Pro-memoria a Liarosa
Prefazione di Walter Pedullà
Postfazione di Sara Ventroni
Pagine 320, euro 18.50
Marsilio


Arte Transgenica al Pav

“Da quando i generali non muoiono più a cavallo, non vedo perché i pittori dovrebbero morire davanti al cavalletto”.
Così Marcel Duchamp quasi un secolo fa.
Inascoltato, purtroppo proprio da molti pittori (e critici, e pubblico) che continuano a insozzarsi, e insozzare, di colori.
Se non si trattasse di una tragedia culturale, sembrerebbe una divertente gag.
In un’epoca in cui si esplora lo Spazio, si viaggia dentro il nostro corpo secondo la segnaletica del Dna, si compie con la Rete la più grande rivoluzione nella comunicazione fra gli umani, c’è ancora gente che vive il presente con la stessa vitalità di un corpo in sala Morgue.
Questo sito (e chi sta scrivendo che lo conduce), è interessato, invece, a quanto sta avvenendo nel superamento del biologico, nel contrasto futuro Natura-Cultura, e nelle forme in cui si annuncia, e, in parte, già s’invera il post-umano.
Ecco perché è interessato a Eduardo Kac – Rio de Janeiro 1962; vive a Chicago; in foto – che presenta piante con Dna umano, batteri modificabili dagli spettatori, un vegetale che interagisce con un canarino, e altri lavori di arte transgenica.

Ora Eduardo Kac è a Torino al Parco d'Arte Vivente per la sua prima mostra in Italia: Living works, a cura di Claudio Cravero; di questo critico, un rapido ritratto e un’intervista che illumina sul suo pensiero QUI.
Grande interresse suscita nei visitatori “Edunia” una pianta nata dalla fusione transgenica tra il Dna dell’artista e una petunia.

Per visitare il sito web di Eduardo Kac: CLIC!

Eduardo Kac
“Living works”
a cura di Claudio Cravero
Parco Arte Vivente
Via Giordano Bruno 31, Torino
Info: 011 – 31 822 35
mail: info@parcoartevivente.
Fino al 25 settembre 2011


Street Art a Modena


L’arte di strada ha varie declinazioni che vanno dall’improvvisazione teatrale, a quella musicale, dai numeri circensi di jongleurs e acrobati, fino alle arti visive.
La dizione “Street Art”, per convenzione, è, però, prevalentemente riferita a quella tendenza pittorica che si realizza, prevalentemente con vernici a spruzzo, su pareti di edifici, cabine telefoniche, convogli pubblici.
Nata negli Stati Uniti negli anni ’70 nelle comunità afroamericane esprimeva ansietà e rabbie delle aree sociali più disagiate. Poi si diffuse anche in Europa, dove si legò ai movimenti della controcultura divenendo un mezzo per messaggi di natura politica, di protesta e irrisione verso governi, multinazionali, grandi marchi pubblicitari.
Parallelamente allo spontaneismo di queste creazioni, alle tecniche graffitiste prese a interessarsi negli US il mondo dell’arte istituzionalizzata con i primi successi di Jean-Michel Basquiat (1962 – 1988) e di Keith Haring (1958 – 1990). Tale appropriazione da parte dell’arte ufficiale determinò crisi e mutamenti in quella produzione anche se l’ideologia di base rimase, e rimane, la stessa di anni fa.
Altri nomi di quell’arte oggi sono venuti alla ribalta. Ad esempio, il celebrato Banksy. Fa provocatorie installazioni urbane, combatte la sua guerra contro ipocrisie e orrori della società contemporanea. E se sceglie i musei al posto della strada, lo fa da clandestino, introducendo di nascosto le sue irriverenti tele in mezzo ai capolavori della storia dell'arte.
La più recente delle tecniche di Street Art si affida non più alle bombolette ma a improvvise e gigantesche proiezioni laser che sui grattacieli delle grandi imprese o enti governativi, inscrivono immagini e scritte.
In Italia, ha fatto discutere di recente anche un movimento per il restauro di quest’arte stradale che ha visto risorgere l'Arcangelo firmato Ozmo, pseudonimo dell'ottimo Gionata Gesi che è stato tempo fa anche ospite di questo sito nella Sez. Nadir.

Spesso tornano discussioni accese su chi vorrebbe questi artisti castigati dalle autorità cittadine, considerati, non di rado, vandali. Vandalo è chi deturpa monumenti o angoli di paesaggio urbano, ma non sono quelli della Street Art a farlo, bensì i partiti politici con i loro manifesti e la pubblicità. Il writwer sta al vandalo, come l’hacker sta al cracker.
A questi vandali, però, ci ha pensato un certo Silvio.
Il Governo Berlusconi nella legge di conversione del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207, ribattezzato decreto “Milleproroghe” (approvato l’11 febbraio scorso al Senato e poi alla Camera con voto di fiducia, quindi, senza alcuna possibilità per l’opposizione di presentare emendamenti e discussioni in Aula), dopo l’art. 42 ha introdotto l’art.42-bis che prevede una sanatoria generalizzata per tutte “le violazioni ripetute e continuate delle norme in materia di affissioni e pubblicità commesse nel periodo compreso dal primo gennaio 2005 fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (N.d.R.: 20 marzo 2011), mediante affissioni di manifesti politici ovvero di striscioni e mezzi similari”.
Nei comuni più grandi come Roma e Milano, si parla di oneri per quasi 10 milioni di euro all’anno necessari per ripulire muri, strade, monumenti, lampioni dalle affissioni abusive.
Che dire?... “meno male che Silvio c’è!”

Alla Street Art la Gallerdia Civica di Modena - diretta da Marco Pierini – dedica da domani una mostra intitolata Kindergarten a cura di Giorgio de Mitri.

Presentate tele e opere scultoree di sei artisti internazionali: Tom Sachs - Os Gêmeos - Futura - Mode2 - Boris Tellengen (aka Delta) - Kostas Semeretis.
Ciascuno degli artisti occuperà una stanza della Palazzina con opere e sculture fra le più significative del proprio lavoro, accompagnate da interventi “site specific”.

Nella foto: Mode 2, "Death Disco?", Berlino, Ottobre 2010.

L’esposizione è organizzata dalla Galleria e dalla Fondazione de Mitri di Modena, con la partecipazione di Sartoria e Slam Jam, coprodotta con la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena.
Comincia così una nuova stagione espositiva della Palazzina Vigarani, aperta durante tutta l'estate, con quest’allestimento intitolato "Kindergarten", che fa spazio all'arte intesa come gioco e libertà da ogni vincolo, e di nuovo rimanda – come la mostra di Anna Malagrida (Cosmotaxi ne ha parlato QUI) aveva fatto con il tema del ballo e della danza – ai giochi e alle delizie di cui fu teatro l'edificio seicentesco ai tempi della corte estense. Dopo oltre quattro secoli il Casino delle Feste ospita nuovi "giochi", fra i cortocircuiti e le parodie del consumismo di un birichino “giardino d’infanzia”. Diventa un luogo di scambio e d’incontro fra sensibilità diverse, azione collettiva e laboratorio d'insieme, un giardino per bambini di ogni età.
Per leggere una scheda sulla mostra, le note biografiche degli artisti e un profilo della Fondazione De Mitri: CLIC!

Ufficio Stampa Galleria Civica di Modena: Cristiana Minelli.
tel. +39 059 – 20 32 883; galcivmo@comune.modena.it

Kindergarten
a cura di Giorgio de Mitri
Galleria Civica
Corso Canalgrande 103, Modena
Info: 059 – 20 32 911 e 20 32 940
Fino al 18 settembre 2011
Ingresso gratuito


Lucio-Ah

E’ possibile fare un ottimo libro con un titolo brutto che rischia di far fuggire i lettori? Sì.
C’è riuscito il giornalista Massimo Del Papa, per la sua biobibliografia: QUI.
Ha pubblicato per Meridiano Zero un poderoso saggio su Lucio Battisti intitolato Lucio-Ah Le stagioni italiane nella musica di Lucio Battisti.

Il volume è, forse, il migliore che sia stato scritto – non me ne vogliano troppo altri autori che si sono misurati sullo stesso tema – sul cantante nato a Poggio Bustone (Rieti) il 5 marzo 1943, morto a 55 anni a Milano il 9 settembre 1998.
Del Papa non evita nessun tema scomodo intorno alla figura del cantautore, a partire da quello che lo vuole schierato a Destra ricordando che fu amato, però, anche dalla Sinistra. Così come fu amato da personaggi assai diversi fra loro quali David Bowie e Luciano Pavarotti, Vasco Rossi e Indro Montanelli che ebbero parole di vivace ammirazione per lui.
Anche sul piano della critica strettamente musicale, l’autore si dimostra tanto estimatore delle sue creazioni quanto lontano da ogni pervicace agiografia indicando quali, a suo avviso, sono le prove meno riuscite.
Laddove, però, il libro fa uno scatto che lo porta ad essere imperdibile è quando (e lo fa in continuità, e lo fa con oculatezza) contestualizza il percorso artistico di Battisti con la storia italiana: dalla politica allo sport, dalla moda all’industria, dall’estremismo armato ai costumi sociali.
Ne viene fuori una figura che è al tempo stesso protagonista e derivato di anni convulsi, interprete e sofferente di atmosfere del suo tempo; senza mai indulgere al gridato, al cartellonistico, a nostalgie della cipria di tempi andati né alla cosmesi dei gusti correnti.
Insomma Del Papa riesce a raccontare Battisti attraverso un pezzo di storia d’Italia e a ricordare un pezzo di storia d’Italia attraverso Battisti. Scusate se è poco.
Ma quel titolo… quel titolo… ah!... o meglio: sigh!

Per una scheda sul libro: CLIC!

Massimo Del Papa
Lucio-Ah
Pagine 160, Euro 10.00
Meridiano Zero


I colori dei nostri ricordi

Arthur Rimbaud, associando lettere dell’alfabeto a colori, realizza immagini nel sonetto “Vocali” del 1874 e Corrado Costa, un secolo dopo, nel 1979, rivisiterà quel catalogo delle vocali concludendo che “la voce ha cinque punte / colorate di rosso”.
Lo scrittore americano Terry Brooks ha scritto: “I ricordi sono nastri colorati da appendere al vento”. Ammesso che sia così (ma io qualche dubbio ce l’ho), quali colori avranno quei nastri corrispondenti ai nostri ricordi?
E quanti e quali colori avranno avuto per Perec le sue reminiscenze in Mi ricordo libro strepitoso uscito nel 1978?
Di sicuro pare proprio che ogni rimembranza – insieme con la potenza evocativa che hanno suoni e odori – abbia soprattutto dei colori, diversi per ciascuno di noi.
Potenza e persistenza che nel 1848 Gérard de Nerval, in una lettera a Paul Chenavard, rilevava dicendo “… prima che svaniscano nell’eternità del silenzio persino i colori dei nostri ricordi”.
Per saperne di più sull’argomento, è obbligatorio rivolgersi a Michel Pastoureau, il maggiore esperto al mondo sul tema.
E’ nato a Parigi nel 1947. Noto a livello internazionale come il massimo studioso di storia dei colori, dirige l’École pratique des hautes études, dove è titolare della cattedra di Storia del simbolismo in Occidente.
Ora, Ponte alle Grazie manda in libreria I colori dei nostri ricordi Diario cromatico lungo più di mezzo secolo, libro dotto e spiritoso ben tradotto da Laura De Tomasi, che riassume le esperienze che hanno coinvolto l’autore con “neurologi e architetti, sociologi e fisici, linguisti e artisti, chimici e storici, antropologi e urbanisti, stilisti e musicisti”.
Sempre per l’Editrice Ponte alle Grazie, Pastoureau ha pubblicato: “Blu. Storia di un colore” (2002 e 2008); “Il piccolo libro dei colori” (2006), “Nero. Storia di un colore” (2008) e “I colori del nostro tempo” (2010).

I colori dei nostri ricordi – vincitore del Prix Médicis Essai 2010 – attraversa con scrittura piacevolissima da leggere vari territori d’indagine: dalle neuroscienze al linguaggio.
Do un assaggio dell’Indice che credo ben comunichi lettera e spirito del volume diviso in 7 parti (7, non credo sia un caso trattando il libro di colori).
“L’abito”. Si va da ‘Pantaloni sovversivi’ a ‘Nella metropolitana di Londra’.
“La vita quotidiana”. Da ‘La farmacia di mia madre’ a ‘Distributori di caramelle’.
“Le arti e le lettere”. Da ‘Maiali rosa a maiali neri’ a ‘Quando Dalì dava i voti’.
“Sul terreno di gioco”. Da 'Il goal e l’arbitro’ a ‘Bartali e la bandiera italiana’.
“Miti e simboli”. Da ‘Cappuccetto rosso’ a ‘Wittgenstein e i colori del blasone’.
“Gusti e colori”. Da ‘L’abbronzatura del tempo’ a ‘I capricci della memoria’.
“Le parole”. Da ‘Ortografia e grammatica’ a ‘La scomparsa della sfumatura’.

Insomma, libro di grande fascino che coinvolge sensi e poesia.
A proposito, ho aperto questa nota citando il sonetto “Vocali” di Rimbaud. Ebbene, Pastoureau in un momento del libro fa sapere che non lo sopporta proprio – mentre ama Perec riconoscendogli la genesi del suo saggio - trovando il poeta Arthur artificioso e assertivo (condivido, Monsieur Michel).
Temo non lo conosca, ma forse amerebbe, come io lo amo, il nostro Nicola di Bari che (proprio nel 1968!) cantava “Il mondo è grigio, il mondo è blu”.

Michel Pastoureau
I colori dei nostri ricordi
Traduzione di Laura De Tomasi
Pagine 272, Euro 15.00
Ponte alle Grazie


Nanni Cagnone


Una studiosa di fama internazionale qual è Daniela Marcheschi, ha scritto nel gennaio di quest’anno su Il Sole24ore: “Nanni Cagnone – nato a Carcare, Savona, nel 1939 – è una delle maggiori personalità della nostra letteratura contemporanea. Autore di notevole originalità è anche abile traduttore, saggista, giornalista, editore. Ha inoltre scritto di pittura ed è stato anche direttore creativo di agenzie di pubblicità, docente di estetica. Ora Cagnone si ripresenta in veste di traduttore – e che traduttore – dell'Agamennone di Eschilo, in una raffinata edizione accompagnata da un suggestivo ‘Racconto per figure’ di Mimmo Paladino. La sensibilità per il linguaggio, la capacità inventiva dell'autore ligure risaltano nell'incontro con la potenza espressiva dell'Eschilo dell'Orestea, la trilogia di cui Agamennone è la tragedia d'apertura”.

Per una biobibliografia di Cagnone (in foto): QUI.

Conoscerlo (a me questa fortuna è capitata anni fa) significa vivere un incontro speciale con un uomo coltissimo e mai culturale, dalla comunicazione saturnina ed elettrica che evoca vite abissali e voci di vette.
Una volta (marzo 2001) accettò di salire sulla taverna spaziale che gestisco sull’Enterprise e se v’incuriosisce che cosa mi disse: CLIC!

A Nanni Cagnone ho rivolto alcune domande.
Che cosa ti ha spinto a interessarti all’Agamennone?

Savona, liceo classico Gabriello Chiabrera, 1957 d.C.: nel programma di greco del terzo anno, c’era “I sette contro Tebe”. Dimenticata energia della parola, intensità del pensiero, splendore della superficie. Trovandomi allora in una città di mare, direi: colpito e affondato. In verità, non mi sono più ripreso. M’invaghii della sua lingua e misi da parte Sofocle ed Euripide. Avendo imparato parecchio da Eschilo, ho sempre pensato di avere un debito con lui, e infine – con comprensibile ritardo – l’ho pagato. Perché proprio “Agamennone”? Perché, secondo me, è il più inquieto ed esigente dei testi che ci sono pervenuti.

Un esercizio di tipo oulipiano. Hai 15 parole, tante quante sono le lettere che compongono il tuo nome (per esteso) e cognome, per definire il carattere dell’Agamemnone di Eschilo…

Genealogia dei dolori. Sentimenti inferiori. Lingua austera, che non accarezza. Difficile far amicizia con l’inevitabile.

Qual è l’inattualità che più t’interessa in Eschilo?

La sua serietà. Non riesco a immaginare cosa più inattuale della serietà. Però, come ogni grande autore (anche se l’aggettivo precedente ormai non lo si nega a nessuno), Eschilo si sottrae ai pettegolezzi del tempo. In realtà, l’inattuale sono io. Essendo un vecchio modello, nel presente non trovo alcuna somiglianza. D’altronde, non posso far altro che soddisfare il mio carattere e la mia mentalità. Ricordo volentieri le ultime parole di Cassandra, che mi sembrano adatte a chiunque: “Ah, gli affari dei mortali! Cosa che riesce, | un’ombra la storna. Se fallisce, | colpi d’umida spugna perdono il disegno. | E di questo ho pietà, ben più che di quello”.

Nell’accingersi a tradurre un testo letterario, qual è la prima cosa da ricordare e quale la prima da dimenticare?

La prima cosa da ricordare: non comporre, traducendo, un commento interno, a conforto dell’interpretazione; dunque, tradurre quel che il testo dice, non quel che “vuol dire”.
La prima cosa da dimenticare: parafrasare, la peggior ingiuria, secondo me, per un poeta
.

CLIC per visitare il sito web di Nanni Cagnone.


Chi mangia chi?

Frate Francesco parlava agli animali, altri, secondo le leggende e la letteratura fantastica, l’hanno fatto dopo di lui; di sicuro la più recente creatura a farlo si chiama Ginny ed è stata creata dal coreano Sanha Kim insieme con suo fratello, l’illustratore Hanmin.
Creatura di cellulosa, proposta da Editoriale Scienza, che nel riuscitissimo Stop! Chi mangia chi? Il comportamento degli animali a fumetti spiega uno dei fenomeni centrali della vita: la catena alimentare.
Quando il mio gatto Fifì cerca di artigliare una farfalla o anche qualche meno attraente animaletto, più volte salvo la sopravvivenza di quelle bestiole beccandomi lo sguardo stupito e irritato al tempo stesso di Fifì.
In realtà, commetto un’azione giudicata dal mio gatto inspiegabilmente crudele e punitiva .
Ha ragione il gatto.
Il libro dei fratelli Kim spiega, infatti, come la predazione tra animali non coinvolge solo la preda e il suo predatore, ma ha un effetto ben più ampio poiché le varie specie sono legate fra loro da una serie di relazioni diverse e complesse.
Tutto questo, in “Stop! Chi mangia chi?”, è raccontato attraverso un divertente talk show in più episodi durante i quali Ginny chiama prede e predatori a spiegare le proprie ragioni.
Sia chiaro, questo non giustifica la caccia soprattutto per i modi che noi umani oggi la pratichiamo; usassimo frecce o giavellotti forse ancora nulla ci sarebbe da ridire, la lotta tra il cacciatore e il cacciato sarebbe più vicino alla parità delle reciproche risorse, ma oggi – e, in Italia, una legislazione demente ha peggiorato la situazione – si va armati di atomiche per uccidere passerotti!

Il libro di Sanha e Hanmin Kim ha il merito di spiegare in modo facile quel complesso fenomeno della piramide alimentare che indica il rapporto tra chi mangia e chi viene mangiato. Ad esempio le piante sono più abbondanti (… ancora, su domani non giuro) degli erbivori che, a loro volta, sono più abbondanti dei carnivori e così via.
Ecco un buon regalino per i più piccoli che al mare o in montagna potranno giovarsi di questa lettura per capire quanto vedono talvolta accadere intorno a loro.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Sanha Kim
Stop! Chi mangia chi?
con illustrazioni di Hanmin Kim
Traduzione di Vincenza D’Urso
Pagine 64, Euro 14.90
Editoriale Scienza


Pot-pourri

“Un pot-pourri” – secondo dizionari cartacei e anche web – “è un’espressione francese che indica una composizione realizzata con petali di fiori secchi ed oli essenziali, normalmente utilizzata per profumare o abbellire gli ambienti. Di solito viene collocata in ciotole di legno, o in sacchetti di stoffa”.
E’ anche dizione, oggi meno usata, applicata a “una selezione antologica di motivi tratti da opere e operette uniti fra loro da passaggi modulanti; fu assai in voga nell’800 (anche sotto il nome, peraltro improprio, di ‘fantasia’) soprattutto nell’àmbito della musica pianistica”.
Del termine pot-pourri, infine, ne esiste anche una versione gastronomica per indicare “un gustosissimo stufato di carne con legumi e verdure”.
Com’è evidente da queste definizioni, tutte sono lontane dall’uso che talvolta in italiano si fa di pot-pourri per significare “miscuglio”, o peggio, “accozzaglia”, “confusione”.
Ed è proprio nelle sue forme odorose, musicali e saporose di pot-pourri rientrano le notizie che seguono.
Ognuna meriterebbe una nota a sé stante, ma Cosmotaxi fra pochi giorni va in vacanza, non c’è spazio per tale dettagliata trattazione; preferisco, quindi, darne qui una sintetica presentazione per non trascurare quanti (autori, gallerie, case editrici, musei, webmagazines, gruppi rock, produzioni teatrali e cinematografiche) mi hanno inviato segnalazioni dei propri lavori, in corso o prossimi.

*Un’artista della quale ho grande stima è Giovanna Torresin; apprendo che è tra le partecipanti ad Alfabeto morso e a “CentocinquantaX150moX150mm” un work in progress itinerante itinerante ideato da FabrikArte.

*Laundry: ecco un webmagazine estremamente ben fatto che vi consiglio di visitare. Laundry vuol dire lavanderia. E questo nome è stato dato perché “…il bucato è bianco, il lavaggio ogni volta ripulisce la superficie che diventa un naturale supporto a grado zero prestato all’immaginazione per essere riscritto di volta in volta”.
Laundry nasce dall’incontro tra Eventlab, think tank dedicato alla comunicazione e Digital Bathroom, award winning creative design factory nata a Londra. Da non perdere.


*Gaudiosamente prolifica è la produzione di Antonio Castronuovo che ha curato per Stampa Alternativa Alfabeto Camus un Lessico della rivolta dello scrittore francese e, con le Edizioni Via del Vento, Il raggio verde racconto finora inedito in Italia di Blaise Cendrars. Inediti anche due testi in prosa di Michel De Ghelderode


*Scrittore, mail-artista, autore radiofonico, leader della rock-band virtuale Mind Invaders, colonna portante del Luther Blissett Project, protagonista della cultura punk italiana, Piermario Ciani sarà ricordato in una serie di serate fino al 3 luglio intitolate Chi l'ha visto?
Tutti noi che abbiamo visto Piermario e tutti quelli che hanno visto i suoi lavori non lo dimenticheranno.


*Me ne sono già occupato nelle settimane scorse, ma torno volentieri a ricordare che a Venezia va avanti fino al 30 agosto, ospitando nuove esposizioni, dibattiti e performances, Padiglione Tibet ideato e realizzato da Ruggero Maggi.


*La Cineteca di Bologna prosegue anche d’estate la sua programmazione di mostre, spettacoli, rassegne; per consultare il calendario: CLIC!


*Un’occasione da non perdere: Jocelyn Alloucherie e Hans Hartung dal 2 luglio al 25 settembre a Villa Giulia nel Comune di Verbania.
Ufficio Stampa affidato a Giuseppe Galimi, Tai - Turin Art International: 011 562 0451


*“Quando non si sa scrivere, allora un romanzo riesce più facile di un aforisma”.
Così diceva Karl Kraus.
Quella che si definisce “la più povera casa editrice al mondo”, FUOCOfuochino, ideata da Afro Somenzari, ha pubblicato di Miklos N. Varga, storico dell’Arte, Aforismi a tempo perduto.
Una perla fra tante: “La ragione illumina ciò che la religione nasconde”.


*Affacciatevi QUI e troverete due nuovi titoli: “Random”, di Valentina Tanni, e “In My Computer”, di Miltos Manetas. Come il volume che ha aperto le pubblicazioni di LINK Editions (In Your Computer, di Domenico Quaranta), i due libri sono pubblicati con Print on Demand Lulu.com, e sono disponibili in formato pdf per il download gratuito e in formato cartaceo per l'acquisto.


*Mentre i pesci fanno sapere che ritengono ignominioso il destino di finire tutti sulla faccia di Sgarbi, è nel Padiglione spagnolo ai Giardini della Biennale che trova asilo provvisoriamente il Museodell'arte contemporanea italiana in esilio che ha la finalità di “individuare personalità singole o collettive che svolgono attività creative sorprendenti, eterodosse, fuori dai circuiti della comunicazione mediatica”.
Il progetto curatoriale è dell’artista Cesare Pietroiusti.


*Fondata nel 2007 da Maria Cristina Maiocchi, la perugina Galleria MioMao, tra le poche gallerie d'arte contemporanea europee unicamente dedicate al disegno e al fumetto, partecipa a Comma che si svolge nel capoluogo umbro fino al 30 luglio.
Il gatto MioMao, inoltre, fin d’ora annuncia (inaugurazione sabato 17 settembre) “Storie” di Aleksandar Zograf - Gordana Basta.


*Un motivo in più per trascorrere una vacanza nella splendida Aosta è offerta dal Museo Archeologico Regionale (Piazza Roncas 12, infotel: +39 016531572) che ospita – da oggi fino all’11 settembre – la mostra Eiapopeia: l’infanzia nell’opera di Paul Klee. In esposizione circa 90 opere tra disegni, acquerelli, tecniche miste e dipinti, oltre alle marionette realizzate da Paul per il figlio Felix. I lavori vanno dal 1883, quando Klee bambino realizzava i suoi primi schizzi, sino al 1940, anno della sua morte.
Il catalogo è pubblicato da Mazzotta.


*Marco Minghetti, ideatore della Living Mutants Society, ha pubblicato un libro scritto a 16 mani: La Mente InVisibile. Oltre Minghetti, tra gli autori (Patrizia Debicke, Antonio Fazio, Gianluca Garrapa, Mario Pireddu, Matteo Recine, Piero Trupia) c’è Antonio Tursi di cui Cosmotaxi ha di recente presentato Politica 2.0.


*Pagine gialle. Ho già scritto altre volte su queste pagine web che in Italia il numero degli scrittori di gialli e noir supera ormai quello degli evasori fiscali. Di loro, avrebbe detto Pazzaglia “Il livello è basso”. Mi pare, infatti, che si tenga lontano da quelli (e fa benissimo) la Casa editrice Giano che preferisce giallisti stranieri. Ora, ad esempio, raccomanda alla lettura Vendetta.
L’autore: R.J. Ellory. Infanzia in un orfanotrofio, poi conosce il carcere, all’uscita dal gabbio forma una rock band, fa il fotografo… come bio da giallista, via, promette bene.


*Da domani fino al 24 ottobre 2011, a Roma, si svolge una nuova edizione di ArteScienza che quest’anno ha per titolo: Darsi identità: divenire artistico / avvenire sociale.
Dal comunicato stampa: “ArteScienza intende suscitare interesse, attraverso l’emozione, verso forme espressive innovative, stimolando il riconoscimento dei valori comuni attraverso modi di relazione con l’opera d’arte e la musica (interattività, ambienti immersivi e virtuali)”.
Per il programma dettagliato visitare i siti ArteScienza e Centro ricerche Musicali.


*Natura e Volatili. Il Paese dei Nidi è un progetto “migrante”, ideato da Patrizia Rossello, che ha lo scopo di promuovere la tutela dell’ambiente e del paesaggio attraverso la costruzione e diffusione di casette nido per uccelli, unica concessione edilizia da dare senza limitazioni, trasformate in opere d’arte.
Dal 24 giugno si nidifica in Sicilia al Farm Cultural Park di Favara (Agrigento).


*Massimo De Nardo è fra i 30 vincitori (su 2500 partecipanti!) del concorso “Io scrittore” promosso da GeMS – acronimo che sta per Gruppo editoriale Mauri Spagnol.
I premiati hanno visto il loro testo pubblicato in ebook.
Il romanzo di De Nardo è intitolato Ogni tanto fatela suonare; per leggere le prime 29 pagine: CLIC!


*Andrea Satta del gruppo Têtes de Bois è attore e sceneggiatore – insieme con Ulderico Pesce, Sergio Colabona e Massimo Russo – del film Passanante (scheda e trailer QUI) dedicato all’anarchico lucano Giovanni Passanante.
Se il venerdì state a casa, vi ricordo che il gruppo è ospite fisso del programma “Fratelli e sorelle d’Italia”, in onda in prima serata su LA7 fino al 15 luglio.
Contatti per Têtes de Bois: Anna Maria Piccoli 335-1691046; Fabio Lauteri 335-1691045.


*Non lasciatevi sfuggire sul web l’occasione di visitare il webmagazine Fucine Mute perché è ricco di cronaca e di critica su cinema, fumetti, letteratura e molti altri temi di arte e comunicazione tutti trattati con vivace intelligenza e in forma rapida come il linguaggio della Rete reclama.

*La Pasta Garofalo non è solo buonissima da mangiare, ma è anche da vedere. Produce, infatti, dei “corti” cinematografici.
Valeria Golino, ad esempio, ritira oggi un Nastro d’Argento per la regìa del suo “Armandino e il Madre”. E, sempre per il progetto Garofalo Firma il Cinema, è recente l’impegno di Terry Gilliam che ha girato "The Wholly Family"; cliccare QUI per vedere questo lavoro.

*A Chianciano Terme, al Museo Civico Archeologico (Infotel : 0578 – 30471) la vita degli antichi in miniatura. Riproduzioni in scala ridotta delle dimore o modelli per la progettazione architettonica di edifici pubblici e privati delle maggiori popolazioni dell’antichità: ad esse è dedicata la mostra Le case delle anime promossa da Museo delle Culture della Città di Lugano, Museo Civico Archeologico delle Acque di Chianciano Terme e Fondazione Musei Senesi, grazie al sostegno della Fondazione Monte dei Paschi di Siena e alla collaborazione di Vernice Progetti Culturali srlu - che apre al pubblico oggi e sarà aperta fino al 16 ottobre.
Ufficio Stampa: Agenzia Freelance per Vernice Progetti Culturali; Tel. 0577- 272123
Sonia Corsi: 335 – 19 79 765; Natascia Maesi: 335 – 19 79 414


L'età dell'empatia


D’accordo, la scuola dell’obbligo, almeno quella, l’abbiamo fatta tutti (in futuro, però, Gelmini regnante, esisterà ancora?), ma, forse, è bene ricordare la spiegazione della parola empatia che nella sua accezione in psicologia ne dà il dizionario. Dallo Zingarelli: “Capacità di immedesimarsi nelle condizioni di un altro e condividerne pensieri ed emozioni”.
Noi umani siamo empatici? Possiamo esserlo? Di sicuro, ci converrebbe esserlo. Così sostiene Frans de Waal nel suo coinvolgente L’età dell’empatia Lezioni dalla natura per una società più solidale che Garzanti ha mandato in libreria.
L’olandese Frans de Waal è stato indicato nel 2007 dalla rivista “Time” tra le cento persone più influenti al mondo.
Zoologo ed etologo, è specializzato nello studio dei primati. Insegna psicologia alla Emory University ed è direttore del Living Links Center allo Yerkes National Primate Research Center di Atlanta. E’ stato eletto fra i membri della US National Academy of Sciences e della Reale Accademia delle Scienze olandese.
E’ largamente tradotto da Garzanti che di lui ha già in catalogo: Naturalmente buoni; La scimmia e l'arte del sushi; La scimmia che siamo; Primati e filosofi.

“L’età dell’empatia” propone un problema di non poco momento. S’interroga, infatti, sulla questione che da sempre coinvolge biologi, filosofi, politici: l’essenza della natura umana è tendenzialmente feroce ed egoista oppure no? Certo, a scorrere la Storia - ma anche tanta minuta, piccola cronaca - il numero dei fetenti appare cifra da imbarazzare anche un computer quantico. Di solito, a quest’osservazione in tantissimi rispondono evocando (e con questo tentando goffamente di giustificare comportamenti riprovevoli) la nostra “natura animalesca”. Niente affatto, risponde de Waal, perché nel mondo animale, tra specie lontane da noi e soprattutto fra i primati geneticamente a noi vicinissimi, abbondano gli esempi di empatia. Nel libro ne sono citati molti. Alcuni gustosissimi altri perfino commoventi. Tante le collaborazioni nel bene e le imitazioni del meglio.
Sia chiaro, de Waal non nega l’esistenza della cattiveria nel mondo umano, in un’intervista del 2006 già diceva “Abbiamo in comune con i bonobo l’altruismo, la generosità, la gentilezza e molte altre qualità. Con gli scimpanzé condividiamo la violenza, la crudeltà, la struttura gerarchica della società. Quale di queste tendenze emerge dipende dalle circostanze”.
In altre parole, esiste, biologicamente, anche una parte di noi, in tutti noi, che è portato a un atteggiamento cooperativo, non bellico.
Giorgio Bocca, settimane fa sull’Espressso scriveva “Non c’è più un impero che governa le genti ma un concentrato di potere che si muove come un titano cieco menando fendenti a dritta e a manca, anche a se stesso” - concludeva il suo articolo chiedendosi quale vantaggio potesse venire da quell’inferno. Nel libro di de Waal c’è un costante riferimento alla politica con l’invito a non rassegnarsi alla nostra, pur naturale, competitività (senza la quale, afferma, il mondo cadrebbe in rovina), ma di non sottovalutare l’altra parte, pur esistente, della personalità potenzialmente solidale degli uomini.
Non è, quindi, un caso che l’ultimo capitolo rechi in epigrafe una frase tratta da un discorso tenuto da Franklin D. Roosevelt nel 1937: “Abbiamo sempre saputo che l’interesse personale, se sconsiderato, era sbagliato moralmente; ora sappiamo che è sbagliato economicamente”.
Non resta che sperare di saperlo meglio, visto che da quel 1937 è trascorso quasi un secolo.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Frans de Waal
L’età dell’empatia
Traduzione di Marco Pappalardo
Pagine 368, Euro 24.00
Garzanti


Taccuino di Talamanca

“L’unico pensatore del nostro tempo che, respingendo ogni formula o categoria e anzi ogni sorta di professionismo intellettuale, abbia espresso nei suoi scritti la condizione stessa dell’uomo interamente disingannato, ondeggiante fra la saggezza, la tragedia e la farsa, è Cioran. E’ dunque naturale che la sua opera, grande précis de décomposition, summa dell’Impossibile e dell’Insanabile trovi ispirazione […] in tutti i transfughi dell’ordine, della norma e dell’impostura esistenziale e sociale, dagli eretici ai suicidi, dai mistici ai clochards”.
Così scriveva Mario Andrea Rigoni nel 1982 in una postfazione a “Storia e Utopia” del grande scrittore rumeno nato nel 1911 e morto nel 1995.
Lampi di disinganno, saggezza e tragedia illuminano di luce livida anche le pagine di Taccuino di Talamanca – traduzione di Cristina Fantechi – mandato in libreria da Adelphi che conta, a tutt’oggi, nel suo catalogo, 15 titoli di Cioran.
Scrive in prefazione Verena vonn der Heyden-Rynsch curatrice di questo prezioso librino: Cioran aveva tre patrie: quella dell’infanzia, la Romania; quella della lingua, la Francia; e quella dell’anima, la Spagna […] “Taccuino di Talamanca, compilato nell’estate 1966 in quel villaggio dell’isola di Ibiza è un testo che è la testimonianza di una crisi così profonda che sarà evocata nei successivi Quaderni con le parole “Notte di Talamanca”.

Un giorno, a una signora che gli rimproverava d’essere contro tutto ciò che s’era fatto dopo la seconda guerra mondiale, lo scrittore replicò: ”Lei sbaglia data, cara signora. Io sono contro tutto ciò che si è fatto dopo Adamo".

Per una scheda sul libro: CLIC!

E. M. Cioran
Taccuino di Talamanca
A cura di Verena vonn der Heyden-Rynsch
Traduzione di Cristina Fantechi
Pagine 44, Euro 6.00
Adelphi


Le Alpi nel mare

Il 14 dicembre del 2001 lo scrittore bavarese W. G. Sebald (il nome per esteso è: Winfried Georg Maximilian) morì colto da un infarto al volante dell’auto che stava guidando, sua figlia Anna sedeva accanto a lui, ma riuscì a sopravvivere allo spaventoso incidente.
Sebald aveva allora 57 anni e molti critici lo consideravano fra i più grandi prosatori moderni e in aria di Nobel per la letteratura.
Eppure, nonostante circondato da tanta stima, in Europa (e perfino nei paesi di lingua tedesca) non è noto quanto merita; il suo successo si registra, infatti, soprattutto negli Stati Uniti.
Tra le opere principali: Austerlitz, Gli anelli di Saturno, Gli emigrati, e Vertigini.
In Italia, Adelphi lo ha largamente pubblicato, nel catalogo del’Editrice si contano, infatti, di lui 9 titoli.
Il più recente, Le Alpi nel mare – tradotto da Ada Vigliani – raccoglie quattro racconti di passeggiate solitarie in Corsica, dove lo sguardo su luoghi dell’isola diventa un’occasione per disegnare tracciati di memoria personale che si fondono con riflessioni antropologiche.
Le sue pagine s'avvalgono spesso (càpita anche una volta in “Le Alpi nel mare”) d’immagini fotografiche in bianco e nero, riproduzioni di biglietti ferroviari o d'ingresso a musei che fungono da contrappunto al piano verbale.

“Tutti i testi di Sebald” – scrisse Massimo Bonifazio (su “Alias”, nel 2001) – “sono di una prosa ipnotica, da cui è facilissimo lasciarsi trascinare, sedurre. Sono scritti sotto il segno di Saturno, e dunque di una malinconia che fa da filtro ad ogni percezione della realtà”.
Una volta – come ricorda Nanni Delbecchi – qualcuno gli chiese: che cosa scrive Mr. Sebald, saggi oppure romanzi? “Scrivo prosa” fu la risposta di Sebald.

Per una scheda sul libro: QUI.


W. G. Sebald
Le Alpi nel mare
Traduzione di Ada Vigliani
Pagine 73, Euro 6.00
Adelphi


Identità virtuali (1)

Il CCCS (Centro di Cultura Contemporanea Strozzina) - attivo a Palazzo Strozzi dal 2007 - è diventato un palcoscenico su cui sfilano fra i più interessanti avvenimenti delle arti visive in Italia.
Per compiutamente rendervene conto date un’occhiata all’Archivio delle mostre fin qui prodotte dalla felicissima direzione artistica di Franziska Nori.
Anche nell’esposizione ora in corso, è stato centrato, come già altre volte è accaduto, un tema di grande attualità: l’analisi del termine ‘identità’ alla luce del crescente ruolo di tecnologie digitali e nuove forme di comunicazione con lo scontro tra privacy e condivisione, diritto alla libertà individuale e bisogno di sicurezza collettiva.
Titolo della mostra: Identità virtuali.

L’esposizione, aperta dal 20 maggio, ha ricevuto proprio in questi giorni una clamorosa conferma della sua attualità allorché si è appreso che carichi le immagini di una festa tra amici e Facebook ti dice subito quali sono le persone presenti. Ne riconosce i volti, confrontandoli con le foto dei suoi 600 milioni di profili. E così rivela anche chi è quella ragazza che non conoscevamo alla festa e che appare sullo sfondo della foto. E' il riconoscimento automatico dei volti; in particolare, suggerisce il tag giusto con il nome delle persone presenti in foto. Può essere bello, ma può essere anche sgradito o peggio.

Mi disse Giovanni Ziccardi durante una conversazione riportata su questo sito: “L’era telematica porta contemporaneamente a un maggior attaccamento alla realtà e alla possibilità di 'uscire' dalla realtà in un attimo. Tutte e due queste possibilità vanno utilizzate al meglio affinché non si rivelino nocive. Maggior attaccamento alla realtà nel senso che oggi abbiamo una realtà, a portata di mano (o di telefono) che è enorme. Siamo la generazione che mai ha avuto, nella storia dell’umanità, una possibilità così ampia e semplice di conoscere tutto lo scibile. Oggi su qualsiasi tema è possibile trovare all’istante informazioni che soddisfino ogni curiosità. Ciò porta, com’è noto, due rischi: la superficialità e la sovrabbondanza di informazioni che può causare confusione nel discernere chiaramente ciò che interessa. Al contempo, oggi è estremamente facile crearsi realtà (e anche identità) parallele. Ciò consente un’espansione del pensiero e della mente dell’uomo che è affascinante, ma ha come lato negativo l’alienazione o la perdita, appunto, del contatto con la realtà (e, quindi con la vita). Un uso equilibrato di queste due possibilità può portare benefici enormi al patrimonio culturale di ciascuno di noi”.

Il web 2.0 ha ormai conquistato, infatti, la vita di tutti i giorni. Specialmente tra le giovani generazioni, condividere pensieri, esperienze e informazioni della propria vita tramite blog e social network è diventata una pratica giornaliera comune e sempre più diffusa. Ancor prima che Facebook ufficializzasse la totale obsolescenza della nozione di vita privata nel mondo di oggi, possiamo però registrare una crescente inconsapevolezza degli utenti d’internet nell’utilizzare loro dati personali online.
Nelle sale del CCCS, su questi temi, opere e installazioni di artisti internazionali che riflettono sulle conseguenze politiche, sociali e culturali – ma anche sull’impatto nella vita di tutti i giorni – del nuovo rapporto tra uomo e tecnologia nel segno di “identità virtuali” con cui sempre più spesso affrontiamo la realtà, anche senza accorgercene.
La mostra presenta Evan Baden - Christopher Baker - Natalie Bookchin - Robbie Cooper - etoy.Corporation - Nicholas Felton - Les Liens Invisibles - Chris Oakley - Sociable Media Group - Michael Wolf.
Per particolari sui loro lavori CLIC!

Segue ora un incontro con Franziska Nori.


Identità virtuali (2)

A Firenze, alla fine, dovranno decidersi a far fare una statua a Franziska Noriqui in una foto scattata da Cesare Cicardini – perché proprio a Firenze ha creato una ribalta per le arti visive contemporanee che per importanza supera anche i confini nazionali e, infatti, ciò che avviene al CCCS di Palazzo Strozzi è seguito con interesse anche all’estero. Una statua, dicevo, ma… ma qui ho una richiesta personale da fare a chi deciderà sul monumento… eviti d’affidarne la realizzazione a una scultrice che nel capoluogo toscano espone attualmente en plein air, potrebbe venirne fuori qualcosa d’imbarazzante… una discutibile epifania nella città di Dante (e pure di Beatrice)… ecco, l’ho detta.

Segue adesso un incontro con Franziska Nori alla quale ho posto alcune domande.
La prima: quale la principale motivazione che ti ha suggerito il tema di questa mostra?

L’idea per il tema di questa mostra risale al 2003, che, in termini di cultura digitale, sembrano secoli fa. Ricordiamo: erano gli anni in cui esplose il fenomeno del peer-to-peer (dello scambio diretto tra utenti di contenuti multimediali) facendo vacillare intere industrie come quella della musica, dell’entertainment e dell’editoria; gli anni di “Second Life” in cui centinaia di migliaia di utenti si costruivano un alter ego virtuale, un avatar, al fine di muoversi e interagire in un fantasioso mondo alternativo; gli anni in cui trovava ampia diffusione la tecnologia RFID (radio frequency identification) con microchip che, applicati a ogni genere di oggetto di consumo, sembrava dovessero rendere tracciabile ogni nostro singolo passo. E questi erano solo alcuni dei fenomeni di quegli anni.
La scena culturale digitale e attivista discuteva animatamente sul crescente sviluppo del lato commerciale dei servizi online e sulla perdita di privacy da parte dell’utente. Lo scenario che si prospettava era quello intorno a un individuo sempre più autonomo per quanto riguardava la possibilità di comunicare e di distribuire propri contenuti, ma al tempo stesso anche sempre più trasparente ed esposto in tutte le sue azioni sia private sia pubbliche in quanto monitorato da enti, governi e grandi imprese grazie a tecnologie di sorveglianza sempre più sofisticate nella raccolta di informazioni e nella ricerca incrociata di database e tabulati.
Se da un lato la domanda era “chi sono e chi voglio essere quando agisco liberamente nella sfera digitale” dall’altro era “quali tracce digitali lascio di me e a chi potrebbero interessare e perché”.
Ma con la convergenza delle tecnologie su un unico mezzo, lo smartphone che oggi quasi tutti possediamo e che ci accompagna ovunque, e parallelamente con il dilagare dell’utilizzo di social media e di svariati servizi online come Facebook, Twitter, Google (con tutti i suoi svariati servizi di mail, di album di foto, del videoportale Youtube, le mappe, il calendario eccetera) - tutti servizi in mano a grandi imprese private - la questione su chi siamo e chi vogliamo essere quando ci relazioniamo in rete in maniera più o meno consapevole, ci è sembrato più che mai urgente
.

Le nuove tecnologie (con i vantaggi proposti nel favorire reperibilità e con i rischi imposti dalla tracciabilità), vanno modellando un nuovo corpo di noi umani: sociale, mentale, sessuale, politico. Di questo neocorpo qual è la cosa che più ti piace? E quale quella che più temi?

Si, le tecnologie digitali stanno modificando profondamente sia la struttura emotiva sia cognitiva del singolo individuo, nonché cambiando profondamente le dinamiche sociali e collettive. Difficile darne risposta in poche righe. Continuo a credere profondamente all’enorme potenziale che le tecnologie digitali hanno come strumento di democratizzazione. L’accesso all’informazione, la possibilità per ognuno di comunicare trovando un foro di ascolto transnazionale, la possibilità di denuncia diretta e di partecipazione a movimenti collettivi sono risorse impagabili sia per individui sia per intere società. Nei paesi occidentali le tecnologie della comunicazione permettono di mantenere dinamici i processi di partecipazione politica da parte dei cittadini là dove la classe politica, le lobby economiche e i media tendono a cercare l’esclusione del collettivo. Nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente stiamo assistendo in questi mesi a movimenti rivoluzionari diffusi in primo luogo dalle generazioni digitalizzate.
D’altro canto però le recenti ricerche scientifiche sono allarmanti e confermano un preoccupante impoverimento della sfera emotiva ed intellettuale nonché sociale da parte di quelle fasce di utenza che ne fanno un uso massiccio fin dalla prima infanzia. Recenti studi neuroscientifici (per esempio Gary Small, “iBrain: Surviving the Technological Alteration of the Modern Mind”, 2008) hanno dimostrato che il costante utilizzo delle tecnologie di comunicazione modifica il cervello umano non solo sotto l’aspetto psicologico, ma anche a livello della stessa struttura neuronale. Da diverse ricerche sembra emergere che nei bambini un regolare utilizzo di internet distorce il senso della realtà, arrivando a diminuire il proprio senso di responsabilità per le azioni che compiono nel mondo reale.
Oggi più che mai, in un modo sempre più complesso ed accelerato, è fondamentale essere aperti e attenti alle innovazioni: chi si ferma o esce dal flusso continuo dell’informazione è tagliato fuori. D’altro canto però é più che mai importante approfondire ed analizzare criticamente per capire il mondo in cui viviamo e per mantenere la propria autonomia il più possibile
.

Nel rapporto odierno con tecnologie sempre più sofisticate, qual è l’importanza che dai alla cultura Hacker?

La cultura Hacker e il termine “hacker” in sé hanno subito grandi mutamenti durante gli ultimi anni. Se la figura dell’Hacker all’origine era legata a una cultura “underground” spesso derivata dal contesto accademico e connotata da una valenza utopica e politicamente motivata (vedi etica hacker), come una sorta di virtuoso del codice che spronava le sue doti alla difesa della libertà nella rete e contro l’egemonia di stato e delle multinazionali, negli anni abbiamo poi dovuto costatare che il virtuosismo del codice sapeva anche agire per dei valori meno idealistici e assai più commerciali.
Se volessimo mantenere però l’originaria definizione che descrive l’Hacker come persona che, al contrario della maggior parte dei fruitori, esplora e analizza le possibilità intrinseche di programmi, sistemi e processi informatici con lo scopo di agire contro chiusure e monopoli a salvaguardia della democrazia di accesso, questo credo sia più che mai fondamentale
.

Quale criterio hai seguito nello scegliere gli artisti presenti in mostra?

La scelta degli artisti e delle opere specifiche in mostra è il risultato di un lungo processo di selezione e di discussione svolto tra i membri del comitato scientifico composto da Roberto Simanowski (docente di teoria dei media presso l’Università di Basilea), Christiane Feser (curatrice e artista), Antonio Glessi (membro dello storico gruppo artistico multimediale ‘Giovanotti Mondani Meccanici’ nonché docente di media design all’ISIA di Firenze) e me. I criteri fondamentali che hanno portato alla selezione finale presentata in mostra a Firenze sono stati definiti dalla valenza e dalla rilevanza concettuale delle singole opere in relazione al tema proposto.
Inoltre, la curatela di una mostra, tanto più nel caso di una mostra tematica collettiva, implica il dover lavorare su un concetto di fruizione in un determinato spazio, sul saper creare un’esperienza sia intellettuale sia fisica ed emotiva per i visitatori che scoprono le opere muovendosi in spazi reali, nel caso del Centro di Cultura Contemporanea Strozzina: 900 mq suddivisi in 12 sale di diverse grandezze. Questo significa che si lavora su una sorta di percorso, una meta-narrazione che si snoda in uno spazio reale, in cui il visitatore può immergersi nella singola posizione artistica per poi, proseguendo nel percorso della mostra, scoprire un nesso con la tematica grazie alle diverse posizioni e alle diverse angolazioni proposte da ognuno degli artisti. Come per tutte le mostre del CCCS anche per “Identità Virtuali” abbiamo lavorato con artisti di differenti nazionalità cercando di trovare un equilibrio anche tra linguaggi artistici diversi
.

Il catalogo della mostra è pubblicato da Silvana Editoriale.

CCCS
“Identità virtuali”
Palazzo Strozzi, Firenze
Fino al 17 luglio 2011


Cinico Tv (1)


Nella storia della Tv italiana (e, forse, non solo italiana) non esiste una produzione che per potenza espressiva, originalità del contenuto, intensità di forma, possa essere paragonata a Cinico Tv. E’ un’esperienza unica e, oggi specialmente, nulla incoraggia a pensare che ne potremo godere un’altra simile.
Gli autori: Daniele Ciprì e Franco Maresco, entrambi palermitani, il primo nato nel 1962 e il secondo nel 1958.

A fine marzo, a cura della Cineteca di Bologna, è stato pubblicato il cofanetto, DVD e booklet, dal titolo Cinico TV 1989-1992, contenente tutti gli episodi, anche inediti, prodotti in quel triennio.
Questo primo volume sarà seguito, alla fine di quest’anno, da un secondo contenente la serie delle produzioni successive, a completamento dell'antologia integrale.
Una presentazione del cofanetto+Dvd, 5 trailer e una rassegna stampa: QUI.

Ecco alcuni giudizi su quella serie tv.

“La mia opinione è che la cultura moderna e novecentesca sia stata sempre una cultura con una forte pulsione anarchica. Che si tratti di Marinetti o Majakovskij, di Buñuel o Ejsenstejn, di Brecht o Breton […] Ciprì e Maresco ai miei occhi sono eredi di questa grande tradizione e, in un certo senso, li considero come la conclusione ideale di questa sorta di processo”.
(Edoardo Sanguineti)

“Tra i contemporanei, salvo Ciprì e Maresco: degradazione della materia, immagini che non sono immagini, il sonoro che non è sonoro”.
(Carmelo Bene)

“Tra i pochi registi che hanno inventato un mondo”.
(Goffredo Fofi)

“Di Ciprì e Maresco mi piace il coraggio di raccontare un’Italia barbarica”.
(Mario Monicelli)

“Senza muoversi da Palermo, riescono a filmare il mondo”.
(Alberto Farassino).

La cura editoriale del volume primo di Cinico Tv è di Maurizio Bassi e Paola Cristalli.
Il DVD-Booklet, oltre a brani editi e inediti del famoso programma, contiene un’antologia critica, biografie degli autori e degli interpreti, una videobibliografia.
Il prezzo è di Euro 19.90

Segue ora un incontro con Franco Maresco.


Cinico Tv (2)

Guardate e ascoltate i filmati che lo riguardano: Franco Maresco ha un eloquio lento e teso allo stesso tempo, un tono tra rassegnazione e ribellione, un modo di raccontare ingenuo e sornione, e tutto questo fa pensare a quel molto che ha dato al particolare modo in cui si esprimevano i personaggi di “Cinico Tv”: un alternarsi di attese e scatti, immobilità e rincorse, monologhi e silenzi.
Per una sua biofilmografia: QUI.

A Franco Maresco (in foto) ho rivolto alcune domande.
Quali i principii che hai seguito nel selezionare prima e montare poi i materiali di questo cofanetto?

Il criterio di selezione che ho seguito è stato quello cronologico, alternando gli episodi più noti di Cinico Tv a episodi rari o, in alcuni casi, inediti.
Per il montaggio ho cercato di mettere in risalto i personaggi della “compagnia storica” di Cinico Tv: Francesco Tirone, Marcello Miranda, Pietro Giordano, Giovanni Lo Giudice, Carlo Giordano, Giuseppe Paviglianiti
.

Che cosa rappresenta per te, nella tua vita professionale e privata, "Cinico Tv"?

Senza dubbio, almeno per quello che riguarda me, Cinico Tv è stata l'esperienza artistica e di vita assolutamente unica, irripetibile. In fondo, come ho già detto in qualche altra occasione, Cinico Tv rappresenta il vero film di Ciprì e Maresco; un film lungo decine e decine di ore che contiene la nostra visione del mondo e tutto quello che abbiamo fatto in seguito.

Qualora fosse possibile (ipotesi del tutto irreale visto chi guida la Rai oggi), rifaresti oggi "Cinico Tv"? Anche da solo considerando la separazione artistica avvenuta con Ciprì?
Se sì oppure no, perché?

Cinico Tv appartiene a un periodo di questo paese ormai lontano anni luce. No, non rifarei Cinico Tv perché non avrebbe nessun senso: la televisione, gli italiani, il mondo, ogni cosa è cambiata (in peggio). Quello che c'era da dire è già stato detto.
In ogni caso, se per assurdo avessimo voluto riprendere Cinico Tv, non credo proprio che Raitre (la rete che per quattro anni ci ospitò) oggi farebbe i salti mortali per averci. Al direttore Paolo Ruffini evidentemente Ciprì e Maresco non piacciono proprio, visto che non ha mai risposto, in tutti questi anni, alle nostre ripetute richieste di un incontro. Anzi per la verità una volta l'ha fatto, peccato che da quel momento sia sparito. Dobbiamo avergli fatto una brutta impressione
.


Cosmotaxi ringrazia Patrizia Minghetti, alla guida dell’Ufficio Stampa della Cineteca di Bologna; grazie alla sua efficienza e cordialità è stato possibile realizzare questo servizio.


Wave Watching

Aveva ben ragione il The Daily Mail nel salutare l’anno scorso come “Un libro unico” il volume che ora Guanda ha mandato in libreria: Wave Watching Una guida illustrata per l’osservatore di onde.
L’autore è Gavin Pretor-Pinney, nato nel 1969 vive a Londra. È cofondatore e direttore creativo della rivista “The Idler”. Nel catalogo Guanda troviamo un altro suo libro Cloudspotting dedicato ai contemplatori di nuvole, un mondo che ha già un sito tra i più popolari di tutta la Rete
Non conosco quel libro, ma mi auguro che nelle sue citazioni non abbia trascurato il visionario “Nuvolario. Principî di Nubignosia” di Fosco Maraini.

Nuvole, onde… si potrebbe pensare che Pretor-Pinney appartenga a quegli indagatori di sostanze viste come metafore dell’Essere. Questo è solo parzialmente vero. Perché lascia queste suggestioni al lettore e alle sue fantasie, mai assumendone la guida perché, scrittore icastico, trascorre fra fisicità e scientificità. Non è un caso che in “Wave watching” si trovino una grande quantità di disegni e foto che illustrano le plurali manifestazioni dell’onda.
Il fascino ipnotico derivatogli dall’osservazione di quei movimenti acquatici lo porta a compiere, onda su onda, un viaggio sopra i flutti e sotto le increspature, gli suggerisce non soltanto un tragitto attraverso mari ora calmi ora agitati, ma a solcare altri spazi. Dalla circolazione sanguigna alla digestione, dalle onde d’urto delle bombe a quelle devastanti dei terremoti e tzunami, fino a nascita ed effetti delle onde sonore, elettromagnetiche, luminose.
Né poteva mancare il surf e molte pagine corrono sulle tavole inerpicandosi in straordinarie impennate e vertiginose discese.
Libro scientifico e filosofico a un tempo, laddove per filosofia s’intenda una concreta riflessione e non un pensiero astratto per quanto valoroso possa essere.
In un altro libro Guanda (“Piccola filosofia del mare”), l’autrice, Cécile Guérard, riflette sul fatto che il mare e la filosofia condividono lo stesso movimento ondoso: incarnano la vita, le indicano una rotta. Mi viene da dire che il catalogo Guanda è ben acquatico, infatti, ricordo le onde sollevate dalle bracciate della scrittrice Colette che in età matura impartiva lezioni natatorie, e non solo natatorie, al giovanissimo Bertrand de Jouvenel in un libro delizioso di Valentina Fortichiari: “Lezione di nuoto”.
Le righe appena scritte sono una divagazione? No. Perché nel libro di Pretor-Piney su di un cursore trasversale scorrono citazioni artistiche e letterarie che si specchiano nella natura ondosa diventandone, per come sono disposte, prima riflesso e poi incanto poetico senza che quell’incanto perda valore.
Ha scritto Gaston Bachelard: “È vicino all'acqua che ho meglio compreso che il fantasticare è un universo in espansione. Se voglio studiare la vita delle immagini dell'acqua, mi occorre quindi riconoscere il loro ruolo dominante nel fiume e nelle fonti del mio paese”.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Gavin Pretor-Pinney
Wave Watching
Traduzione di Stefania De Franco
Pagine 336, Euro 20.00
Guanda


L'Ateo


Di questo bimestrale dell’Uaar Cosmotaxi se ne occupa non solo per adesione ai suoi contenuti, ma anche perché si tiene ben lontano dal praticare la cultura come noia pur trattando un tema complesso come l’ateismo che incrocia storia, antropologia, filosofia, sociologia, politica e, quindi, il diritto a essere un po’ barbosetto ce l’avrebbe.
Tutto questo assai si deve alla direzione della rivista affidata a Maria Turchetto (in foto) che ama dispensare non solo birichini consigli ma pure – come recita il titolo di un suo libro – carognate e cazzate orchestrando un coro di collaborazioni tanto spigliate quanto profonde.

Da qualche tempo la rivista dedica la metà circa delle sue pagine ad un tema e così abbiamo attraversato l’ateismo vissuto da donne di ieri e di oggi, l’animalismo, le radici laiche dell’Italia unita, la morte così com’è vista nell’universo ateo.
In questo più recente numero il tema è “Contro natura?” laddove il punto interrogativo graficamente arricciolandosi la dice lunga su come l'argomento è avvicinato e studiato da una serie di articoli mai contrassegnati da sussiego accademico.
Articoli che sono veri e propri microsaggi; non cito alcun autore così non si offendono coloro non citati, ma forse riesco, invece, ad ottenere l’effetto che si offendano tutti.
Rivista “colta e non culturale”, per rubare un’espressione ad Angelo Guglielmi che così amava definire la sua Tv3 di lontana memoria.
Rivista nella quale è possibile trovare recensioni di libri scarsamente (più spesso, per nulla) citati nelle pagine culturali di quotidiani e periodici, proprio perché sono pagine “culturali” e raramente “colte”.
Largo spazio “L’Ateo” lo dedica anche all’umorismo punteggiando il fascicolo con vignette di firme note e meno note.
Acquistate questa rivista (la trovate nelle librerie qui elencate); al prezzo di euro 2.80 ne saprete di più sul mondo. Via, diciamolo: è un buon prezzo.


Notte beat

Beat: quanti bar, teatri, ristoranti si sono fregiati, o ancora si fregiano, di quel termine?
E quanti gruppi musicali, compagnie di danza, case editrici?
Per non dire poi dei tanti “Hair Beat”, “Bimbo Beat”, “Beach Beat”, “GymnoBeat” e perfino “Gnocco Beat”, orrore da me visto a Rimini anni fa sull’insegna di una piadineria… non oso pensare a beat nella versione femminile di ‘gnocco’ in qualche annuncio erotico, ma chissà che pure lì qualche birichina non ci abbia pensato ignorando che fra le tecniche beat c’è anche il cut up cosa che potrebbe comprensibilmente dissuadere qualche cliente bene informato a recarsi presso di lei.
Un catalogo di quella dizione, applicata tanto spesso in modo temerario, a molte attività fornirebbe l’occasione per verificare a quali equivoci e involontarie comicità può portare una parola divenuta famosa grazie a quel movimento artistico e letterario sviluppatosi alla fine anni cinquanta negli Stati Uniti.

Vittore Baroni – laureato in Lingua e Letteratura Nordamericana con una tesi sulla scrittura sperimentale di William Burroughs – sulla parola “beat” la sa lunga e, inoltre, dagli anni Settanta si occupa di critica musicale, arti e culture di rete sia come autore sia come organizzatore (e meglio: agitatore). Se lui usa quella parola, c’è da giurarci che ne fa un uso corretto oppure volutamente la deforma o estremizza in modo discolo. Ed eccolo proporre – insieme con l’Associazione MAC - Maffei Arte Contemporanea – un avvenimento (… d’accordo, è un ‘evento’, ma la parola è abusata e cerco di evitarla) multimediale per riconsiderare il fenomeno, non solo letterario della Beat Generation, da un’ottica insolita, distante dalle agiografie dei mass media come dai preconcetti della critica accademica.
Perché insolita? Perché com’è scritto in un comunicato tra le molte accezioni possibili del termine “beat” (beato, battito, ecc.) è stato scelto di sottolineare quella di “battuto”, sconfitto, andando ad indagare i lati più “notturni” e in ombra della variegata compagine di autori che negli U.S.A. degli anni Cinquanta ha operato un taglio radicale - nelle espressioni artistiche come nei costumi sessuali e nello stile di vita - nei confronti del conformismo imperante e del Sogno Americano.

Da qui cinque serate dedicate a leggende beat ma anche a figure minori non meno interessanti e significative (tra cui diverse voci femminili, minoranze etniche, parodie “beatnik”). La rassegna propone letture dal vivo e performance di vari ospiti, con proiezioni di rari documenti video e l’esposizione d’altrettanti rari e preziosi volumi, di riviste d’epoca, d’esempi di “junk art” e un modello della Dreamachine creata da Brion Gysin, una macchina luminosa rotante che genera effetti psichedelici.

Programma

mercoledì 22 giugno (inaugurazione): Notte Beats & Beatniks
giovedì 23 giugno: Notte Kerouac
venerdì 24 giugno: Notte Ginsberg
sabato 25 giugno: Notte Burroughs & Gysin
domenica 26 giugno: Notte Bukowski


Sempre dalle 21:00 alle 24:00


Informazioni: vittorebaroni@alice.it oppure maffeiarte@alice.it
Tel: +39 0584 48966 e +39 334 1461670


Dreamtime Project


“Un’antica leggenda parla di razze umane per le quali l’esperienza reale era invece quella del sogno, e lo stato di veglia una fase assai meno creativa e produttiva. Alcuni pensano che gli aborigeni australiani siano tra gli ultimi rappresentanti di queste antiche civiltà, portatori di un sapere le cui origini e modalità ci sfuggono nella loro profondità e complessità, ma che tuttavia entrano in risonanza con le nostre radici più profonde”.

E’ questo un estratto dal testo di presentazione del più recente lavoro del musicista ed etno-musicologo Roberto Laneri.

E’ passato molto tempo da quando è stato ospite della mia taverna spaziale; quell'intervista, infatti, è del febbraio 2001, ma, pur superati alcuni dati biografici, credo rifletta ancora in larga parte il suo pensiero musicale, musicale in ogni senso.
Per notizie aggiornate, c’è in Rete il suo sito web.


Circa Dreamtime Project, CLIC per ascoltarne brani e leggere estesamente quanto scrive Laneri nella presentazione.


Una nuova collana editoriale


E’ stata varata da Mondadori, si chiama Libri per la comunicazione.
A dirigerla: Mario Morcellini e Michele Rak.


Ad Alvise La Rocca – Direttore editoriale Area Varia di Mondadori Education – ho chiesto una sintetica presentazione della nuova collana.

La collana si propone di indagare i vari aspetti e fenomeni della comunicazione: sintesi dei modelli, dei mezzi e degli strumenti che caratterizzano il suo uso, le sue tendenze e le sue trasformazioni nel dibattito italiano e internazionale. I testi presentano temi generali e riflessioni sulle teorie, ricerche empiriche, studi, analisi dei singoli media, con particolare riferimento al sistema italiano degli ultimi vent’anni e al ruolo dei linguaggi di comunicazione e d’arte nel mutamento sociale e culturale.
È una proposta di “cassetta degli attrezzi”, indispensabile per chiunque guardi alle professioni comunicative nell’ottica della formazione, dell’aggiornamento e della valorizzazione delle competenze
.

Volumi finora pubblicati:
Mario Morcellini, Neogiornalismo. Tra crisi e Rete, come cambia il sistema dell'informazione. Prefazione di Sergio Zavoli.

Michele Rak, Comunicare con il libro. Autori, editori, librai, lettori, generi, e-book (Italia 1989-2011).

Davide Borrelli, Raffaella Messinetti, Delitti e castighi della comunicazione.

Giovanni Ciofalo, Infiniti anni Ottanta Tv, cultura e società alle origini del nostro presente.

Di un altro libro della collana – intitolato “Format” – me ne occupo nella nota che segue.


Format (1)


Sulla televisione, agli strali scoccati da Karl Popper preferisco quanto dice il critico Clive Barnes: “La tv è la prima cultura disponibile a tutti, voluta per tutta la gente; la cosa più terrificante è ciò che la gente vuole dalla tv”.
Alla tv si attribuiscono tante colpe, la più frequente, ad esempio, è quella che allontani dalla lettura; questa cosa faceva dannare Beniamino Placido il quale amava ripetere ”Voi pensate che se non esistesse la tv, la sera tutti a leggere la Critica della ragion pura?”.
Poi c’è la violenza… i bambini! Già. Ma quando si parla di violenza ci si riferisce alla fiction, un genere che, specie i bambini, sanno distinguere dalla realtà. E ci si dimentica (ma alcuni lo fanno apposta) che la vera violenza sta in quanto mostrano i tg con cruente scene di guerra, parlamentari che s’insultano e si picchiano alla Camera o al Senato come ubriachi al bar notturno, l’aggressione verbale da ossesse e ossessi con occhi iniettati di sangue in tanti dibattiti, le tribù guerriere dei tifosi ripresi dalle telecamere negli stadi.
Certo la tv un paradiso non è. E che sia degradata rispetto ad anni fa (il caso italiano è eloquente) è innegabile. Ma non dimentichiamo chi guarda la tv. Sostengo da tempo che i telespettatori siano autori, andrebbero riconosciute loro quote Siae.

Nella nuova collana “Libri per la comunicazione” di Mondadori Education è uscito un volume che affronta e studia la modalità ideativa e produttiva che più ha influenzato i palinsesti tv da circa due decenni.
Michele Rak e Walter Ingrassia sono gli autori di Format che reca il sottotitolo Che cos’è il format televisivo, come si progetta, come si scrive e come si vende.
Che cos’è il Format? Ecco come Walter Ingrassia chiaramente spiega nel volume: “E’ un progetto produttivo dotato di tutte le indicazioni necessarie alla sua realizzazione e contraddistinto da una serie di elementi fissi e ripetibili. E’ confezionato per la vendita in mercati stranieri anche geo-culturalmente lontani da quello di produzione e prevede margini d’intervento per l’adattamento locale”.
La programmazione televisiva in Italia è in gran parte composta di format. Molti quiz, reality show e fiction seguiti ogni giorno e con costante interesse sono format: Grande Fratello, La Fattoria, Chi vuol esser milionario?, Raccontami, L'eredità, Affari tuoi, La ruota della fortuna, I Cesaroni, L'isola dei Famosi.
Il Format è, quindi, un modello chiave per seguire le trasformazioni della produzione di contenuti per la televisione negli ultimi venti anni e quelle attualmente in corso.
Questo libro, imperdibile per gli addetti ai lavori, è anche utile a quanti vogliano capire che cos’è la tv oggi, quali le dinamiche di comunicazione e di mercato che la muovono.

Qualche cenno sugli autori.
Michele Rak è storico e teorico del patrimonio culturale italiano. Ho conversato con lui nella mia taverna spaziale sull’Enterprise; altri suoi interventi su questo sito sia quando uscì da Cenerentola a Cappuccetto rosso e sia in occasione di altri suoi due recenti titoli:”La letteratura di Mediopolis” e “La Venere perduta”.

Walter Ingrassia, nel maggio 2005 si è laureato in Scienze della Comunicazione con votazione di 110 e Lode presso l’Università di Roma “La Sapienza” con una tesi di laurea intitolata “Oltre lo schermo. Le strategie dell’autoreferenzialità nell’intrattenimento televisivo”.
Ph. D. in Scienze del testo dell’Università di Siena (Sezione: letteratura, cultura visuale e comunicazione), è producer di Rai Fiction. Tra i programmi curati, le docu-fiction “Doppio gioco” e “Le mani su Palermo” (Rai Tre, 2008) e la miniserie “Notte prima degli esami ‘82” (Rai Uno, 2011).

Segue ora un’intervista con Michele Rak.


Format (2)


Nella nota precedente, ho dato rapidi cenni sulla figura scientifica di Michele Rak (in foto), ora prima di approfondire il discorso sul rapporto fra tv e format, ricordo anche che QUI trovate il suo sito web.

A Michele Rak ho rivolto alcune domande.
Nella parte che apre il libro “Format. Che cos’è il format televisivo, come si progetta, come si scrive e come si vende”, ti occupi della “televisione come fattore del mutamento”.
La tv li produce i mutamenti oppure raccoglie e amplifica quelli che si profilano nella società?

La risposta è semplice e si applica a tutti i media che entrano nel sistema della comunicazione. Come è avvenuto per il libro così è avvenuto per il cinema, per la televisione e per i cellulari. I media producono variazioni nelle enciclopedie delle comunità, nelle procedure d’accesso alle conoscenze e nei modi d’uso della varia strumentazione che ogni media sposta sul mercato. Queste variazioni sono accelerate dalla sempre più rapida innovazione delle macchine che la tecnologia mette a disposizione producendo anche modi di immaginare, punti di orientamento dell’immaginario, fabrilità, icone-pilota continuamente rinnovate. Questa innovazione continua avviene in maniera irregolare nelle culture del pianeta ma viene sostanzialmente e rapidamente livellata dall’indice di penetrazione delle tecnologie. Il cammelliere nel deserto che usa il telefonino è nel linguaggio pubblicitario una emblematica indicazione di questa tendenza.
In quanto alla televisione, medium come gli altri, è un medium che drena i comportamenti sempre più marginali – povertà, inquinamento, mostruosità, prove fisiche estreme, prove etiche e comportamentali devianti - e le accampa, rendendole lecite e in qualche misura normative – nell’immaginario collettivo che viene alimentato da questo medium più che da altri, dal momento che è come una finestra sulla vita quotidiana, il cui emblema è il televisore acceso in perpetuo nelle case, come un tempo la radio
.

Con l’avvento del Format, che cosa è cambiato da un punto di vista ideativo in Tv?

”Format. Che cos’è il format televisivo, come si progetta, come si scrive e come si vende” si deve soprattutto agli studi di Walter Ingrassia e alla metodologia della Scuola di dottorato in Scienze del Testo dell’Università di Siena e dell’Osservatorio permanente europeo della lettura.
È cambiata la percezione del mercato internazionale di alcuni modelli narrativi, da adattare da area ad area, questo ha stimolato la ricerca dei creativi e la ricerca di profili riconoscibili nell’immaginario del pianeta con una doppia tendenza alla produzione di icone temporanee e figure sociali persistenti
.

E in quello produttivo?

Va incrementando la presenza accanto ai creativi dei tecnici degli scenari e delle tendenze oltre che degli inesorabili maggiordomi del marketing che forniscono i dati dei pubblici delle reti di comunicazione. Il testo televisivo appare sempre di più come internazionale e transculturale e il suo plot – il nucleo narrativo, la forma della rappresentazione – come un clone in grado di traversare senza rifiuti pressoché tutte le culture del pianeta in grado di collegarsi alle reti multimediali, ossia gradualmente ma rapidamente tutte.

Michele Rak
Walter Ingrassia
Format
Pagine 182, Euro 16.00
Mondadori Education


Effetto Referendum


Un video diffuso poco fa in Rete.


4 SI' 4 = Festa!


Vercors a Portaparole (1)

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Fino alle ore 23.00 di oggi venerdì 10 - 6, tutte le notizie inserite in Cosmotaxi sono accompagnate dalla seguente scritta:

Domenica 12 e Lunedì 13 giugno
per battere le radiazioni berlusconiane
vai a votare e VOTA SI' a tutti i referendum


http://www.votoil12giugno.it è l'indirizzo web del Comitato per i Referendum.
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Ricorre oggi l’anniversario della scomparsa dello scrittore Jean Bruller meglio noto con lo pseudonimo di Vercors; nacque il 26 febbraio 1902 a Parigi dove morì il 10 giugno 1991.
La sua opera più famosa è Il silenzio del mare (1942), ma valori di scrittura appaiono diffusi anche in altri successivi titoli, tanto – ad esempio – da far scrivere a Carlo Bo che “Vercors, esperto in storie di animali che tradiscono la loro natura, raccontando in “Sylva” (1961) la metamorfosi di una volpe in donna, ci ha dato probabilmente il suo capolavoro”.
Ora, Portaparole – raffinata casa editrice bilingue italofrancese, ideata da Emilia Aru – ha pubblicato, nella collana I venticinque diretta da Elisabetta Sibilio, due titoli meno noti di Vercors.
Il primo, pubblicato nel 1926 a spese dell’autore, è intitolato 21 ricette pratiche di morte violenta ad uso delle persone scoraggiate o disgustate dalla vita per motivi che, tutto sommato, non ci riguardano.
Il suicidio, evocato da tanti calamai, si è presentato in letteratura assai spesso doverosamente con la tinta dell’inchiostro nero, ma tra silenziosi veleni, fragorosi revolver, e competenti defenestrazioni, talvolta lampeggiano sul gesto fatale luci allegramente livide.
Si pensi al “Club dei suicidi” di Stevenson, ma anche a questo delizioso librino di Vercors che consiglio alla vostra lettura.
Una guida ideale per essere istruiti su tecniche, modalità, sorgive motivazioni che determinano l’appartenenza a varie categorie di aspiranti a farla finita con se stessi e col mondo; ma pure prima col mondo e poi con se stessi.
Dal canto mio, penso che quelle donne e quegli uomini, nel decidere il proprio ultimo momento, siano sarcasticamente istruiti da Vercors per beffare l’inesorabile Parca Atropo affermando che la vita e la morte appartengono solo e soltanto a noi e a nessun dio.

Sempre di Vercors, la stessa casa editrice propone Il comandante del Prometeo (racconto breve, cioè una delle cose più difficili da scrivere) che narra di un uomo cui un destino beffardo ha voluto riservargli il ruolo di capitano di lungo corso e che, invece, corto ma non pacifico vedrà svolgersi il suo corso verso una sorte crudele.
Due esercizi di scrittura, tra algide crudeltà e calorose disgrazie, che ottengono effetti comici i quali hanno il pregio di non fermarsi al riso ma che da esso traggono in trasparenza riflessioni sapienti sullo slapstick e sulla slow motion impostici spesso dalla vita.
I tempi dello stile di Vercors sono ben osservati da Giacomo Debenedetti che scrisse. “… lo stile di Vercors, per quanto netto e articolato, lascia nel ricordo, nell’impressione d’insieme, il senso come di muoversi in un tempo rallentato e circospetto, da nuotatore subacqueo”.

Segue ora un incontro con Flavia Conti, ottima traduttrice di entrambi i titoli.


Vercors a Portaparole (2)

La traduttrice, e curatrice, dei due dibri di Vercors, come già detto nella precedente parte di questa nota, è Flavia Conti.
Si è addottorata in Francesistica con una tesi sulla narrativa breve di Vercors ed è stata, in seguito, titolare di un assegno di ricerca in Linguistica francese. Ha lavorato alla cura e traduzione di testi di Vercors ancora inediti in Italia per la casa editrice Portaparole.

A lei ho chiesto: qual è l’importanza di Vercors nella letteratura francese?... quale elemento maggiormente connota il suo stile?

Malgrado la risonanza conosciuta dalla sua opera più celebre, “Il Silenzio del mare”, racconto simbolo della Resistenza intellettuale francese nel corso della seconda guerra mondiale, la produzione letteraria di Vercors è stata trascurata da critici e studiosi al punto che la sua figura ha potuto essere trattata come quella di un esistenzialista “minore”, all’ombra di Sartre o Camus (rispetto ai quali l’autore si è peraltro curato di rivendicare la propria originalità), oppure ricondotta esclusivamente all’attività clandestina di scrittore della Resistenza. Se è vero che, nel corso della sua carriera di scrittore, Vercors non cessa d’interrogarsi sul senso dell’esistenza e sulla qualità della natura umana, è vero anche che questa riflessione si incarna in una nutrita bibliografia segnata da un’estrema fluttuazione di genere – romanzi, novelle, saggi, biografie, autobiografie, diari di viaggio – cui si accompagna una variazione stilistica non trascurabile - dall’asciuttezza del racconto d’esordio al fraseggio denso degli ultimi romanzi, dove proliferano digressioni e narrazioni di secondo grado. Da qui il tentativo – ambizioso, certo impari – di rendere giustizia all’autore ripubblicando i suoi scritti a partire dai meno noti.

Nelle “21 ricette pratiche di morte violenta” – al di là delle illustrazioni dello stesso Vercors che le accompagnano – sul piano verbale, credi sia possibile rintracciare in quella rapida, scattante scrittura, un’influenza delle sue origini di disegnatore umoristico, oppure no?

Mi preme innanzitutto chiarire che, contrariamente a quel che può sembrare, è la scrittura ad accompagnare le immagini e non viceversa: “21 Ricette pratiche di morte violenta” costituisce, infatti, l’album d’esordio del disegnatore umoristico che Jean Bruller fu prima di diventare scrittore con lo pseudonimo di Vercors. Gli album di Jean Bruller sono quasi sempre corredati da testi brevi, di andamento narrativo o descrittivo, grazie ai quali il disegnatore si esercita alla scrittura prima di farsi scrittore a tutti gli effetti. La leggerezza e la rapidità che si ritrovano anche nel “Comandante del Prometeo” sono certo appannaggio della matita di Jean Bruller (il quale si dimostrava, del resto, già pratico della penna!); l’inventiva e l’umorismo di cui Vercors si rivela maestro in romanzi come “Sylva” o “Les Animaux dénaturés” hanno avuto negli album il loro banco di prova.

Da "Il silenzio del mare” fino all’ultima opera “Il comandante del Prometeo”, il mare è un elemento che ricorre nelle pagine del francese. Che cos’è per lui ‘l’immaginario acquatico’ (per citare un’espressione da te usata)? Un destino? Una paura? Una compagnia? Un enigma? Oppure nulla di tutto questo, ma altro?

Nell’immaginario sotteso ai racconti di Vercors, l’acqua ricorre in tutte le sue forme, benché sia soprattutto la distesa marina a imporsi, caricandosi più o meno apertamente di significati connessi con la riflessione dell’autore sull’esistenza umana: il mare o l’oceano adombrano allora la vita come flusso di eventi ingovernabili in cui immergersi e lottare senza risposte possibili ai propri perché. Ma il mare è anche, per virtù di metafora, il regno ovattato di silenzi in cui covano sentimenti inconfessabili (è il traslato su cui si basa il titolo del racconto d’esordio) e conserva, anche quando è foriero di sciagura, un volto femmineo e materno (in francese “mer” e “mère” suonano nello stesso modo) nell’abbraccio mortale con il quale cinge il malcapitato naufrago. La morte per acqua non poteva, del resto, non affascinare il marinaio Jean Bruller, capitano dello Chandernagor, a bordo del quale navigava al largo delle coste di Bretagna.

Vercors

“21 ricette pratiche di morte violenta”
Pagine 132, Euro 18.50

“Il comandante del Prometeo
Pagine 96, Euro14.50

Edizioni Portaparole


Padiglione Tibet

Perché alla Biennale non esiste un padiglione dedicato al Tibet?
La ragione consiste nell’impossibilità di accoglierlo all’interno della manifestazione veneziana perché non è riconosciuto come Paese sovrano.
C’è chi ha deciso di superare norme e statuti e, a Venezia, ha allestito un Padiglione Tibet. Si tratta di un progetto ideato e realizzato da Ruggero Maggi che, oltre ad essere un artista apprezzato da anni per la sua originale presenza nelle arti visive e performative, è anche un vivacissimo agitatore culturale.
E’ stato ospite di questo sito e potete vedere alcune sue opere e leggere una sua sintetica dichiarazione sul proprio lavoro cliccando QUI.

Per conoscere le motivazioni che lo hanno portato a progettare "Padiglione Tibet", passo a lui la parola.
Il Tibet è un Paese oppresso, la cui stessa cultura, la propria lingua rischiano di essere perdute per sempre. Mi piace definire questo Padiglione come un evento parallelo alla Biennale stessa in quanto entrambe le iniziative (scusate per questo abbinamento alla Davide e Golia!) viaggiano appunto su binari paralleli, senza mai potersi incontrare, naturalmente finché il Tibet non sia riconosciuto ufficialmente come nazione.
Saranno presentate installazioni multimediali site-specific dedicate al Tibet e una grande rassegna di opere realizzate direttamente sulla “Khata”, la tipica sciarpa che in Tibet i monaci usano come forma di saluto. Padiglione Tibet vuole essere un connubio tra Arte Sacra Tibetana e Arte Contemporanea Occidentale. Un sito reale e virtuale (perché visitabile pure sul web) che vedrà durante i tre mesi della rassegna anche performances di teatro e di danza contemporanea alternate a interventi di monaci tibetani.
Non m’illudo: so benissimo che questo mio progetto sarà solo una piccola goccia che però spero possa contribuire a far traboccare il vaso colmo d’indifferenza che, per ragioni inesplicabili, si è creato intorno alla tragedia di questo meraviglioso paese ricco di splendide vette geografiche e spirituali
.

Padiglione Tibet
A cura di Ruggero Maggi
Spazio Art&fortE LAB c/o Palazzo Cà Zanardi
Cannaregio 4132 – Venezia
Info: camera312@fastwebnet.it
Orari : 10.00 – 18.00, chiuso il lunedì
Fino al 30 agosto 2011


Trame e mafie


Ogni anno sono decine le opere pubblicate con riferimento diretto o indiretto ai fenomeni mafiosi. Da qui è nata l’idea a Lamezia Terme di offrire una visione d’insieme di tutte le più importanti pubblicazioni su quel tema e creare l’occasione di un confronto tra gli autori e un pubblico sia di esperti e sia di cittadini (speriamo tanti) interessati a quei volumi e a ciò che li ha ispirati.
Ed ecco la prima edizione di Trame. Festival dei libri sulle mafie.
Ideazione di Tano Grasso, direzione artistica di Lirio Abbate.
La manifestazione, in più giornate, è organizzata dal Comune di Lamezia Terme e dal suo Assessorato alla Cultura, retto da Grasso, in collaborazione con l’Associazione Lamezia Antiracket .
La realizzazione avviene con il patrocinio di AIE, Associazione Italiana Editori, sotto gli auspici del Centro per il Libro e la Lettura.

Camilleri ha fatto notare in un’intervista che analizzare la mafia è compito degli storici, dei sociologi; non è compito di narratori o romanzieri, perché inevitabilmente finiscono con alterare la realtà, ricondurla a parametri narrativi e fantastici loro personali; perfino in Leonardo Sciascia il personaggio di Don Mariano è un sottile ragionatore, ha contadina saggezza.
Del resto, aggiungo io, quelli che corrono più rischi scrivendo di mafia, non a caso, sono giornalisti e saggisti. Non mi pare che la criminalità organizzata insegua romanzieri.
Prevedo già che qualcuno qui possa ricordare il nome di Saviano. Appunto. Checché ne dicano quelli della Nie (acronimo che sta per l’infelice New Italian Epic) Saviano non è un romanziere, è un giornalista e fra i migliori impegnati su quel sanguinoso tema.
Insomma, credo sia il caso d'incoraggiare la scrittura d'inchiesta e scoraggiare il più possibile quella di fiction.
A questo s’aggiunga (e si arriva al disastro) che cinema e tv, spesso traendo spunti proprio dalla letteratura, per produrre film e sceneggiati, propongano in modo ancora più allarmante quanto accennavo prima rendendo perfino attraenti alcune caratteristiche dei malavitosi.
Spero questi temi trovino spazio a Lamezia Terme e i tanti autorevoli nomi (uno per tutti quello di don Luigi Ciotti che sarà protagonista nella giornata inaugurale del dibattito su “Informazione e Calabria”) si esprimano su questa spinosa vicenda.

Ufficio stampa:
Giovanna Mazzarella: 348 - 38 05 201; giomazzarella@gmail.com
Alessandra Filograno: 335 – 80 004 86

Trame. Festival dei libri sulle mafie
Lamezia Terme
dal 22 al 26 giugno 2011


Senso e sensi della Serpieri

Dopo un felice debutto romano approda al Teatro Filodrammatici di Milano Senso di Gianni Guardigli liberamente ispirato alla famosa novella di Camillo Boito dalla quale Luchino Visconti trasse un film da molti considerato un capolavoro e da me del tutto insopportabile. Sarà che amo troppo “Blade Runner” e “Matrix” per andarmi a genio quel pur grande regista italiano; sarà che amo il teatro di parola quanto una colica renale; sarà che dopo gli “Esercizi di stile” di Queneau penso che dovrebbe, per decreto legge, essere vietato scrivere romanzi.

Nel ruolo protagonista della contessa Serpieri: Isabella Giannone.

La regìa è di Francesco Branchetti.
Ecco un estratto dalle sue note sullo spettacolo: In ”Senso” di Gianni Guardigli la vicenda narrata nella novella di Boito è trasportata a Roma nella Seconda Guerra Mondiale e poi una quindicina di anni dopo all’inizio del “boom economico”.
E’ il periodo della Dolce Vita, gli anni ’60, quando la capitale si ammanta di “desiderio di futuro” […] La mia messinscena intende indagare le potentissime tortuosità dell’anima, la forza talvolta distruttrice della passione estrema, l’annientamento fisico, morale, psicologico, la solitudine che scaturisce dall’ “atto” compiuto, dal “fatto” incancellabile ed incontrollabile, nelle sue “conseguenze” […] La regia intende restituire al testo la straordinaria capacità d'indagare l'animo femminile e le tortuose relazioni che abbiamo con noi stessi e poi con gli altri; ansie, paure, malesseri, malinconie, dolori, solitudini si confondono in un balletto straziante che ci trascina nell'inferno privato di una donna. Le scene di Cristiano Paliotto, le musiche di Pino Cangialosi, le luci disegnate da Giorgio Rossi concorrono a tracciare questo viaggio nel mondo femminile, nell'inconscio, nella psiche
.

Ufficio stampa: Valeria Buffoni, 06 – 60 65 48 76; 347 – 48 71 566; valebuf@yahoo.it

Gianni Guardigli
“Senso”
Regìa di Francesco Branchetti
Teatro Filodrammatci, Milano
13 e 14 giugno
Poi prosegue la tournèe


Politica 2.0


“Questo libro è una continua messa a fuoco di problemi ineludibili, e così ci consegna anche una agenda culturale e politica né contingente né burocratica, che svela quale sia la dimensione della politica nella quale siamo immersi e con la quale dobbiamo misurarci”.
Queste sono parole di Stefano Rodotà estratte dalla prefazione da lui firmata a un nuovo libro di Antonio Tursi intitolato Politica 2.0 Blog, facebook, wikileaks. Ripensare la sfera pubblica.
Lo ha pubblicato la casa editrice Mimesis nella collana ‘Eterotopie’ diretta da Ottavio Marzocca e Salvo Vaccaro.

Antonio Tursi (Cosenza, 1978) è dottore di ricerca in Teoria della comunicazione e senior fellow del McLuhan Program in Culture and Technology. Oltre che di politica, si è occupato del rapporto tra mezzi di comunicazione e arte. Tra le sue pubblicazioni: “Estetica dei nuovi media. Forme espressive e network society”, Milano, 2007; “Dopo la democrazia? Il potere e la sfera pubblica nell’epoca delle reti”, Milano, 2006 (curatore con Derrick de Kerckhove); “Filosofie di Avatar”, Mimesis, Milano, 2010 (curatore con Antonio Caronia). Collabora con L’Espresso.
E’ stato già una volta ospite di questo sito illustrando immaginari, soggettività, politiche contenute nel famoso film di Cameron “Avatar”.


Ad Antonio Tursi ho chiesto: qual è la principale motivazione che ti ha spinto a scrivere “Politica 2.0”?

Oggi tutti dicono che la politica è in crisi. Giusto. Alcuni si spingono a dire che è finita. Ma forse ne abbiamo ancora bisogno. Forse ne hanno ancora e soprattutto bisogno i tanti giovani precari o gli esclusi dai processi di modernizzazione. Allora non serve diagnosticarne la crisi senza pensarne le possibilità di rilancio. Rivedere alla luce del nuovo scenario mediale un concetto chiave della politica moderna, quale quello di sfera pubblica, il campo nel quale si svolgono i confronti e gli scontri tra i diversi interessi sociali, mi è parso un modo per portare un contributo alla pars costruens che il pensiero della politica dovrebbe urgentemente proporre.

Per rivedere il concetto di sfera pubblica esplori nel tuo volume diversi temi, dalle soggettività cibernetiche alle istituzioni neomedievali. In particolare, ti soffermi sugli spazi in cui attualmente si svolge l’azione politica. Come sono cambiati i modi di percepire la realtà nell’era telematica?

Noi oggi viviamo in una realtà diversa rispetto a quella di qualche decennio fa. È cambiato proprio il nostro modo di percepire la realtà. Già con la televisione siamo andati oltre il senso del luogo. Ora con la Rete ci proiettiamo in uno spazio globale delle informazioni e delle emozioni. Questa nuova realtà è dispiegata capillarmente nei nostri tradizionali spazi quotidiani: oggi noi viviamo in una mixed reality, una realtà che fonde e confonde tradizionali spazi abitativi e ciberspazio. Ciò ci induce a vivere sempre a contatto con tecnologie, informazioni, emozioni, a costruire di continuo nuovi legami sociali. I giovani tunisini e egiziani hanno potuto invadere le tradizionali vie e piazze delle loro città utilizzando le più recenti tecnologie di comunicazione.

A chi principalmente consigli la lettura di questo libro?

Cito la richiesta che mi è giunta qualche giorno fa da una persona competente e appassionata: “A partire da una piattaforma come questa, credo che sia imprescindibile una tua presa in carico della politica molto più di quanto non faccia ora. Dovresti far leggere il tuo libro a tutti i politici della sinistra, che invece mi sembrano non capire quello che succede anche quando vincono. Occorre rimpinguare e rinnovare la cassetta degli attrezzi, e questo tuo libro offre suggerimenti preziosi sul come”.

Segue ora una domanda che prevede perfidia telegrafica nella risposta: a chi lo sconsigli?

A chi ha posizioni consolidate da mantenere e per il quale ogni novità sociale deve essere disinnescata nel suo potenziale di rinnovamento e ricondotta alle vecchie categorie che fanno comodo per mantenere lo status quo.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Antonio Tursi
Politica 2.0
Prefazione di Stefano Rodotà
Pagine 204, Euro 16.00
Mimesis

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Questo sito ricorda le due vicine e importanti date:
Domenica 12 e Lunedì 13 giugno
per battere le radiazioni berlusconiane
vai a votare e VOTA SI' a tutti i referendum

http://www.votoil12giugno.it/ è l'indirizzo web del Comitato per i Referendum.
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La tempestosa vita di capitan Salgari (1)


Alla maniera del Codice Civile e di quello Penale che prevedono pene per i cittadini (o per una parte di loro, perché, se pur colpevole ma deputato te la fai franca, se sei ministro si scusano prima di processarti, e se sei premier sono i giudici a doverti temere), mi piacerebbe esistesse un Codice (questo sì valido per tutti), che punisca i reati commessi in Letteratura.
Fra i più gravi, dovrebbe figurare quello di scrivere una biografia romanzata; andrebbero comminate severe pene.
Dialoghi inventati, personaggi addirittura inesistenti che fanno capolino in quelle pagine, episodi tinteggiati in pomidorocolor, e altre mascalzonate nere come l’inchiostro.
Quando ne scorgo una di quelle biografie, cerco un pusher per trovare conforto nella sua merce rischiando in tal modo io – o somma ingiustizia! – la galera.
Sono un lettore che ama, invece, le biografie, quelle vere. Uno dei testi più difficili da scrivere, perché lì ogni virgola fuori posto viene castigata. In quel genere letterario, infatti, il lettore vuole (e ha diritto) d’apprendere sul personaggio illustrato dal biografo esattezze di date, citazioni di documenti, particolari riferiti da testimoni (e conoscerne attraverso l’autore la valutazione della loro attendibilità), eccetera.
Specialmente se il ritratto appartiene a una persona vissuta in epoca non lontanissima dov’è possibile rinvenire tracce documentali.
Ecco perché scrivere una biografia è faticoso: fare viaggi per conoscere bene i luoghi dove si svolsero i fatti, intervistare persone, recarsi in biblioteche, tribunali, consultare emeroteche, referti medici presso ospedali… mica starsene lì, occhi al cielo e penna in mano, a inventare fandonie.
La biografia romanzata è un ibrido da perdonare, forse, giusto a Senofonte per la sua ‘Ciropedia’, e pure in quel caso ho i miei dubbi.

Dopo una vita disgraziatissima – leggete QUI e poi datemi una voce –, a Emilio Salgàri (… sì, accento sulla seconda “a” perché è cognome fitonimico, derivante cioè dal nome di una pianta: il salgàro, in veneto è così chiamato il salice), quest’anno ricorrendo il centenario della sua tragica morte, è capitata anche la sciagura d’essere ricordato talvolta in modo spericolato.
Lessi anni fa una biografia salgariana di Arpino, smarrita in uno dei miei tanti traslochi, ma mi è capitata adesso di leggerne un’altra, da poco in libreria, che per accuratezza, documentazione, qualità di scrittura, non esito a definire straordinaria e consigliarvela. Del resto la cosa non deve sorprendere, l’ha scritta Silvino Gonzato il massimo biografo dello scrittore veronese.
L’ha pubblicata Neri Pozza, è intitolata La tempestosa vita di capitan Salgari.
In quest’imperdibile volume non solo abbiamo una meticolosa ricostruzione della vita del padre di Sandokan, ma descrivendo luoghi, episodi, incontri e scontri di Salgari (dall’infanzia al suicidio avvenuto il 25 aprile 1911), Gonzato crea un cursore parallelo su cui scorrono tratti storici dell’epoca e caratteri stilistici dell’autore, riuscendo così a darci una complessa opera che pur essendo rigorosamente biografica riserva plurali angoli saggistici.
Un esempio per tutti. Nella prima pagina del libro, descrivendo la città dove nel 1862 nascerà Salgari, si legge: “Agli inizi dell’Ottocento a Verona c’erano 162 osterie e, a metà del secolo, prima che l’immagine dell’ultimo soldatino austriaco diretto a nord venisse colata in piombo per nostalgiche collezioni, se ne contavano ancora una ogni 380 abitanti”.
Ecco uno splendido incipit per fare capire storia, ambienti e società dove sta per apparire chi sarà protagonista delle pagine seguenti.
Robe così, nel libro, ne troviamo tantissime. E ci aiutano a capire la tempestosa vita di questo viaggiatore dell’immaginazione sul quale si accanisce un’inquietante nemési… chee?... si dice nèmesi?... mah, io ho sentito in Parlamento una signora bresciana pronunciare due volte nemèsi, e siccome quella signora è Ministro della P.I. è lecito aspettarsi che ben conosca l’italiano o no?… sia come sia, diciamo nèmesi così vi faccio contenti… a proposito il libro di Gonzato è scritto in un italiano raro a trovarsi in questi tempi.
Ancora una cosa: e se di Salgari ve ne fregasse poco o nulla (via, non è un reato), ma siete lettori interessati alle tecniche di scrittura e – hai visto mai? – meditate d’iscrivervi a una delle tante, forse troppe, scuole di “scrittura creativa”?... a quando un ugual fiorire di scuole di lettura?… ebbene, comprate lo stesso questo libro perché è una vera e propria lezione su come si conduce la composizione letteraria di una biografia.

Segue ora un incontro con Silvino Gonzato.


La tempestosa vita di capitan Salgari (2)


Silvino Gonzato (in foto) è giornalista e scrittore, editorialista del giornale “L’Arena” di Verona. Ha pubblicato tre romanzi tra i quali, con Neri Pozza, “Il chiostro e l’harem” (1997); raccolte di reportage e libri di satira del costume.
Massimo biografo di Emilio Salgari, è autore di numerosi saggi sul romanziere, tradotti anche all’estero. Nel 1994 ha curato un’antologia di scritti giornalistici di Salgari e nel 1995, sempre per Neri Pozza, ha scritto “Emilio Salgari. Demoni, amori e tragedie di un capitano che navigò solo con la fantasia”.

A Silvino Gonzato ho rivolto alcune domande.
Qual è a tuo avviso la più importante cifra letteraria di Salgari?

Ci sarà un motivo per cui Emilio Salgari ha conquistato tante generazioni. Ci sarà un motivo per cui, nonostante la letteratura ufficiale e il mondo accademico lo ignorassero e, anzi, con la loro spocchiosa noncuranza lo spingessero verso un isolamento sempre più estremo, veniva letto da milioni di ragazzi, sia in Italia che all’estero. Il motivo è che i libri di Salgari non sono romanzi d’avventura, sono l’avventura allo stato puro, sono la stessa fonte sorgiva dell’avventura. Il motivo è che quel linguaggio, criticato perché ritenuto troppo disinvolto dal punto di vista grammaticale e sintattico, cosa del resto assolutamente discutibile, possiede una tale forza evocatrice di immagini e di sensazioni da renderlo unico nel pur vasto panorama di questo genere letterario. Un linguaggio che gli veniva spontaneo, senza intoppi e riletture (riletture impossibili vista la fretta con cui era costretto a produrre), perché gli era connaturato. Tanto il modo con cui era costruita la frase quanto la scelta dei vocaboli, in Salgari avevano la funzione di trasportare il lettore nel mondo dell’avventura superlativa estraniandolo dalla realtà, dalla quale già era fuggito il romanziere il quale aspettava quindi il suo giovane lettore nel suo mondo. E per far questo ci voleva la magia della scrittura per immagini che si nutriva di termini esotici di straripante fascino, della forza dell’onomatopea, di una scenografia ancora più efficace di quella del cinema e della televisione perché affidata alla sensibilità traduttrice di ogni singolo appassionato lettore.

Come fu vista dal fascismo l’opera di Salgari?

Il Fascismo, nel 1928, quando Salgari era morto da 17 anni, tentò una, sia pur maldestra, rivalutazione del romanziere. La fabbrica dei supereroi che il “capitano” aveva messo in piedi, accendendo gli animi e avviandoli verso sentimenti forti, poteva servire all’ideologia . Ma con questa operazione il Fascismo, una volta caduto e rimosso, non fece altro che rischiare di consegnare il romanziere all’oblio. Una commissione di indagine istituita dal “Raduno”, il settimanale fascista di battaglia del sindacato autori, scrittori, artisti e musicisti aveva sollevato il caso dello sfruttamento a cui sarebbe stato sottoposto Salgari da parte degli editori. Questo almeno l’intento ufficiale ma in realtà “Il Raduno” voleva arrivare all’esproprio delle opere di Salgari per farne l’edizione nazionale con fi¬nalità corporative ma anche politiche, colpendo l’ebreo Bemporad che era stato l’editore di Nitti, Turati, Treves e Rigola.

Accenni nel libro al fatto che gli educatori cattolici “sparavano con tutte le loro spingarde” contro lo scrittore. Di che cosa lo accusavano?

Gli educatori cattolici per parecchio tempo misero all’indice Salgari che pure aveva cominciato il suo lavoro di romanziere, diciamo così professionista, pubblicando con gli editori cattolici Speirani di Torino che si rivolgevano soprattutto ai fanciulli e alle fanciulle puri di cuore che per nulla al mondo avrebbero dovuto essere turbati da letture che non fossero più che caste. In quel periodo in effetti, dovendo pensare soprattutto alla pagnotta, Salgari scrisse in modo castigato, anche se non ci sarebbe stato nulla da castigare. Con i successivi editori, però, tornò ad essere il padre di Sandokan e le sue trame tornarono a reggersi sui sentimenti di vendetta, sulle passioni amorose, sull’odio mortale verso il nemico, ciò che avrebbe disgustato gli educatori cattolici dei tempi successivi alla sua morte, i quali gli rimproverano anche di aver messo in scena matrimoni misti tra uomini e donne di diverse razze e di diverse religioni. Gli venivano solo riconosciute buone doti di divulgatore, specie per quanto concerneva la Storia e la Geografia. Non si può dire quanto abbia influito sulla diffusione dei libri di Salgari la condanna degli ambienti cattolici, ma si può comunque dire che l’etichetta di scrittore “maledetto” non gli alienò affatto le simpatie dei suoi lettori, anzi sortì l’effetto contrario.

Il volume si avvale di un’attenta bibliografia salgariana a cura di Vittorio Sarti e, inoltre, l’edizione presenta una sezione riservata a fotografie e illustrazioni.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Silvino Gonzato
La tempestosa vita di capitan Salgari
Pagine 256, Euro 16.00
Neri Pozza


letturalenta


Rilancio una notizia che ricavo dall’ottimo letturalenta guidato da Luca Tassinari.
“Il sito del centro studi Giorgio Manganelli da oggi è disponibile per telefoni cellulari, tablet e PC con schermo piccolo a questo indirizzo .
Con Android va che è un piacere, e veder scorrere le copertine dei mangagnifici libri sullo schermino dello smartphone è una bella esperienza”.

Del libro di Manganelli Ti ucciderò, mia capitale e di Viola di morte di Tommaso Landolfi – entrambi pubblicati da Adelphi – parleranno prossimamente Andrea Cortellessa, Giovanni Maccari, Raffaele Manica, Salvatore S. Nigro, Emanuele Trevi .
Avverrà alla Casa delle Letterature a Roma, Piazza dell’Orologio 3. Mercoledì 8 giugno alle 18:30.
Per informazioni: 02 – 725 731

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Fino alle ore 23.00 di venerdì 10 - 6, tutte le notizie inserite in Cosmotaxi saranno sempre accompagnate dalla seguente scritta.

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L'invenzione della gioia

Bevo vino tutti i giorni da circa mezzo secolo (con piena disapprovazione di più medici) e questa cosa non fa di me un intenditore, ma certamente un bevitore. Coltivo anche la passione di avere sui miei scaffali libri che del vino parlano in senso storico e gustativo, alcuni ben fatti altri fatti male, ma il migliore libro che oggi fa parte della mia collezione – insieme con alcuni testi di Veronelli – è L’invenzione della gioia Educarsi al vino – sogno, civiltà, linguaggio.
Ne è autore Sandro Sangiorgi, prossimo ai cinquant’anni, già sommelier professionista a 19, tra i fondatori di Arcigola, tra i primi collaboratori del Gambero Rosso.
Nel 2000 fonda Porthos – editrice del libro che sto presentando – ma pure centro di attività didattica.
Ha scritto anche Il matrimonio tra cibo e vino.

L’invenzione della gioia si avvale di una triplice prefazione, gli autori sono Franco Marcoaldi – Beppe Rinaldi – Rocco Ronchi.
Il libro è impreziosito da una massiccia sezione letteraria con composizioni di ieri e di oggi firmate da grandi nomi; non tutti i testi lì raccolti hanno per tema il vino e questa, francamente, l'ho capita un po' meno.

A Sandro Sangiorgi ho rivolto alcune domande.
Come ho detto in apertura di questa nota il tuo è un libro eccellente. E' vero, però, che il numero (non lo spessore di qualità) di libri sul vino e intorno al vino, è altissimo. Chiedo: qual è la principale motivazione che in quest’affollato scenario ti ha spinto a scrivere questo volume? Su quale profilo hai deciso di lavorare per conferirgli originalità?

La modalità con cui la nostra cultura tratta il vino, spesso, mi sta stretta: è ripetitiva e replicante, bloccata da tempo, ormai esausta, incapace di trasmettere emotività. Il risultato è un mostro vanesio che si compiace ma è sostanzialmente vuoto. L’esperienza della degustazione è sinestetica, profonda, per antonomasia non artificiosa e necessita di persone sensibili e desiderose di ricercare e mettersi in gioco. Pubblicare poesie e opere di arte visiva è una scelta dovuta alla consapevolezza che il vino non è solo “vino” e possiamo trasformarlo in un mezzo utile a imparare e “impararci”: se lo reputiamo nutrimento spirituale e non fisiologico, la conoscenza e la bellezza diverranno due importanti obiettivi della nostra vita. Vorrei che i lettori scoprano il privilegio di vivere il vino facendone strumento di crescita e non oggetto per sciorinare un potere proprio perché il liquido odoroso non è il fine ma il mezzo.

Due domande in una. Lo ammetto: sono ingordo. Qual è la prima caratteristica che deve avere un vino per piacerti? E quale la cosa che, invece, te lo fa sommamente disprezzare?

Il vino deve essere testimone di una natura territoriale, di un vigneto custodito con rispetto, di un luogo inteso come clima, suolo e storia, generato senza costruzioni artificiose ma solo aiutato a crescere. Queste caratteristiche fanno sì che il liquido odoroso possieda una ricchezza dall’impatto magari non immediato, ma ampio e graduale, decisamente più magnetico e avvincente.
Il vino, inoltre, vive nel matrimonio con il cibo, lo anima e lo amministra e a questo argomento si accosta il tema della salute e della digeribilità: un prodotto chiarificato, stabilizzato per il commercio, e svuotato dalle sostanze protagoniste della sua nascita, è meno digeribile proprio per la rottura di un equilibrio.
Non trovo piacere nei vini immobili, pietrificati, che non siano partecipi o che si dimostrano prevedibili, magari anche nel loro profumo accattivante e statico. Inoltre condivido la posizione netta di Mario Soldati, che sosteneva l’incompatibilità della parola “vino” con la parola “industria”
.

L’OMS inscrive l’alcol tra le droghe pesanti. Assistiamo, pure in Italia, da una parte a campagne contro l’uso delle sostanze alcoliche e dall’altra a pubblicità radiotelevisive, sui quotidiani, periodici (e perfino in cartellonistica lungo le autostrade) che invitano al consumo. Questa contraddizione dove nasce e come la giudichi?

Il vino non è un superalcolico e non va confuso con le bevande distillate o ottenute da infusi, spesso alla base dell’alcolismo. È una premessa necessaria. Ci sono molteplici contraddizioni, deplorevoli, che sembrano essere un principio basilare sul consumo del vino: ad esempio gli esperti che sostengono la finalità salutistica del bicchiere a pasto e non si sbilanciano mai su “quale” sarebbe il vino capace del miracolo oppure la credulità popolare che, nella grande quantità, individua la soluzione di problemi psichici e fisici.
La vera essenza del vino consiste nella possibilità di concedere la gioia. Il vino, nell’approccio al bere, necessita di cura e di condivisione, per Barthes ad esempio il vino richiede una comunità, ‘vaccino’ contro la deviante solitudine del consumo individuale, ed è il solo atteggiamento che garantisce il piacere culinario ed enologico. Inoltre il desiderio di fermarsi e soffermarsi e il rapporto con la tavola mettono a nudo l’eventuale dipendenza. È necessario osservare le persone e far sì che possano osservarsi nel vivere la bottiglia
.

A conclusione di questa nota, e in tema con l’argomento della risposta appena data da Sangiorgi, voglio ricordare un aforisma di Albert Willemetz: “Non pensate di annegare i vostri dispiaceri nell'alcol. Sanno nuotare”.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Sandro Sangiorgi
L’invenzione della gioia
Pagine 540, Euro 35
Porthos Edizioni

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Far Game


Nel maggio del 2009, nacque nella Cineteca di Bologna il primo Archivio Videoludico in Italia.
All’avvenimento Cosmotaxi dedicò allora un servizio dal quale emersero motivazioni, prospettive e programmi.
Ora, a due anni di distanza dalla fondazione dell’Archivio possiamo dire che le intenzioni di allora sono state rigorosamente rispettate per tempi e tappe organizzative e, soprattutto, si è realizzato il principale obiettivo del progetto: costituire sì un’importante teca (unica oggi in Italia e fra le prime in Europa; conta oltre 2100 titoli), ma evitare l’algida museificazione dei materiali. Agendo attraverso sessioni di studio su questo particolare aspetto dell’intrattenimento e dello spettacolo dei nostri giorni.
Questo è avvenuto principalmente attraverso il Convegno-Festival Far Game che proprio nei giorni scorsi ha concluso la sua seconda edizione.

Agli ideatori e curatori dell’Archivio Videoludico, e promotori di “Far Game”, Andrea Dresseno e Matteo Lollini ho chiesto di tracciare un sintetico ritratto di quanto videoludicamente è accaduto.

La seconda edizione di Far Game ha mantenuto la formula dell’anno passato: due giorni di riflessione e gioco dedicati al medium videoludico, con eventi speciali (che hanno avuto per protagonisti quest’anno la storica saga Nintendo di The Legend of Zelda e L. A. Noire di Rockstar, uno dei titoli più attesi degli ultimi tempi), la serata gastronomica Eat&Play, la mostra Images from Outer Space, con opere inedite create da illustratori professionisti e ispirate al minimalismo retrò videoludico e all’immaginario fantascientifico.
Abbiamo ricevuto riscontri molto positivi sui contenuti del convegno. Anche per questa edizione ci si è voluti concentrare su almeno tre diverse declinazioni di frontiera.
La prima è stata puntata sul superamento dei confini mediali e le contaminazioni: si è parlato di videogiochi in relazione all’arte visiva, alla scrittura, al fumetto, al doppiaggio cinematografico.
Il gioco che supera l’àmbito istituzionalmente ludico del videogame è la seconda declinazione approfondita con un incontro sulla Gamification e uno sul mobile gaming.
Infine, abbiamo voluto esplorare ancora più da vicino le terre che circondano i giochi commerciali, con due incontri dedicati ai serious game: da un lato, il panel con protagonista The Invisible Hand, il videogame sul commercio equosolidale, dall’altro con la presentazione dell’audace lavoro del collettivo milanese Molleindustria.
Durante Far Game uno spazio è stato riservato anche al Premio Wired, il bando rivolto alle migliori tesi italiane di argomento videoludico
.

CLIC per conoscere i nomi dei partecipanti a Far Game e, in dettaglio, le sezioni in cui si è articolato il programma.

All'Archivio Videoludico gli utenti possono accedere alle postazioni, dal lunedì al venerdì, secondo quattro fasce orarie:
10.00 - 12.00 // 12.00 - 14.00 // 14.00 - 16.00 // 16.00 - 18.00

Per prenotare le postazioni telefonare al numero 051 - 219 53 28
Per ulteriori informazioni rivolgersi a: archiviovideoludico@comune.bologna.it

Per i redattori della carta stampata, radio-tv, web, l’Ufficio Stampa della Cineteca di Bologna è guidato ottimamente da Patrizia Minghetti.


ArteSera a Torino


Esiste, a Torino, una rivista d’arte che mi piace perché – come amava dire Guglielmi della sua Tv3 – è “colta ma non culturale”.
Si chiama ArteSera ed è il primo free press d’arte contemporanea.
Ha per Direttore Editoriale Annalisa Russo e Direttore Responsabile Olga Gambari; si avvale di un riuscito progetto grafico a cura di Dario Bovero .
La sua attività si proietta, altro merito, oltre le pagine e, infatti, ora presenta due interessanti occasioni che in questa direzione vanno.

La prima (intitolata La città si ri/conosce) potremmo definirla l’esplorazione di territori che sono il contrario di quelli chiamati, con abusata dizione, “non luoghi”.
E’ così spiegata: “Forse il modo migliore per conoscere una città è partire da quegli spazi indefiniti, che non appaiono sulla mappa, dove fiorisce una natura anarchica ma consapevole. Sono anche gli spazi in cui la città si ri\conosce, si riappropria di sé, del suo territorio, delle sue porzioni di carne lasciate abbandonate, libere. Ritagli sospesi, in cui sorgono orti urbani, interventi artistici, azioni di guerriglia botanica. È qualcosa che ha a che fare con le radici, con il toccare la terra e il radicarvisi, farla germogliare, colorare il grigio di verde.
Queste le dimensioni in cui si muove il prossimo numero di ArteSera, che verrà presentato presso i nuovi spazi di Fitzlab un viaggio che parte dal racconto di Luca Rastello, letto da Davide Ferraris, che condurrà i presenti nelle atmosfere oniriche dei margini urbani, per poi passeggiare idealmente per Torino con Maurizio Zucca, chiamato durante questo incontro a tracciare uno spaccato, che è anche visione, della città odierna e futura.
E poi ancora: il bosco d’arte di Bossolasco disseminato di opere che vivono e cambiano con l’andamento dell’ambiente, le serre di Maria Bruni, le cartoline e i ritratti di Elmuz in cui si sovrappongono identità umana e vegetale: per arrivare ai molti artisti internazionali che ne hanno fatto un modus operandi, come racconterà Claudio Cravero dal suo osservatorio speciale nel PAV, il Parco di Arte Vivente di Torino”.

Insomma un modo di passare da ArteSera ad ArteSerra.

La seconda occasione è intitolata 7007. Sembra il titolo di un film di fantascienza, ma, invece, è la nuova opera di Pierluigi Pusole ideata per i lettori di ArteSera
Lascio la parola alla redazione della rivista.
“Per mesi Pusole ha lavorato a un unico grande lavoro formato da 7007 parti, acquerelli su carta di cellule organiche e vegetali, che si sdoppiano infinite, in un organismo che prende forma, si sviluppa, vive. Ogni copia del numero di giugno avrà una parte del lavoro originale: ogni lettore riceverà quindi un frammento di questo lavoro complessivo, diventando proprietario di una cellula che fa parte di un più ampio organismo vivente.
Durante la presentazione del 7-6 sarà possibile ritirare in anteprima la propria copia con la cartolina in omaggio e assistere al video “7007” (realizzato da Max Chicco e Sara Conforti), che documenta il lavoro svolto da Pusole in questi mesi, dalla definizione del progetto alla sua realizzazione e conclusione.
L’appuntamento del 7 giugno rappresenta la prima parte di un’operazione che prevederà in seguito la partecipazione dei proprietari di un frammento di “7007”: a novembre, in occasione del 1° compleanno di ArteSera, le cartoline saranno temporaneamente restituite per ricomporre l’opera “7007” nella sua integrità: se venissero riconsegnate tutte, darebbero vita a un’installazione di 3.000.000 di cmq. Ma questo dipenderà unicamente dai possessori delle cartoline, e dalla loro volontà di essere parte integrante di un progetto unico e visionario”.

Info: tel: 338 – 784 75 26; mail: redazione@artesera.it

Ufficio Stampa: Emanuela Bernascone
info@emanuelabernascone.com ; 011 – 197 14 998 – 335 – 25 68 29

ArteSera a FitzLab
Via Aosta 8, Torino
Martedi 7 giugno alle ore 18:30

…………………………………………………………………………………………………………

Da oggi fino alle ore 23.00 di venerdì 10 – 6, tutte le notizie inserite in Cosmotaxi saranno accompagnate dalla seguente scritta.

Domenica 12 e Lunedì 13 giugno
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Il bianco, il nero, il grigio

Si entra più fiduciosi sapendo che c’è anche una porta sul retro.

Si deve aver vissuto la tragedia di essere donna per concedersi il piacere di essere femmina.

Le anime gemelle faranno di tutto per ritornare figlie uniche.

Queste sono alcune delle perle che troverete in Il bianco, il nero, il grigio, il più recente libro d’aforismi di Silvana Baroni pubblicato dalle Edizioni Joker.
L’autrice, nel ruolo di donna-ostrica, non si trova nel Pacifico, dove vive la gemella acquatica perlifera, ma a Roma dove svolge la professione di medico psicoanalista.
In natura, il colore più comune nelle perle è il bianco, ma se ne possono trovare anche rosa, crema, viola, grigie e nere; la Baroni, nelle sue composizioni verbali, non smentisce tali colorazioni e, infatti, i suoi aforismi trascorrono attraverso vari colori dell’animo.
Un’altra sua caratteristica è di produrre aforismi verbovisivi avvalendosi dell’incontro (ma pure, talvolta, dello scontro) fra parola e segno grafico.
E’ stata già ospite di questo sito e cliccando QUI troverete foto, immagini di suoi lavori e una breve intervista.

Firma la prefazione a "Il bianco, il nero, il grigio" il maggiore studioso italiano di aforistica: Gino Ruozzi.
Da quelle sue pagine: Nel libro gli aforismi si succedono l’uno dopo l’altro senza punti fermi e lettere maiuscole, come se si trattasse di un discorso continuo solo brevemente sospeso dagli intervalli degli spazi bianchi. Disposizione che dà l’impressione di una successione appunto per linee, in cui l’occhio dopo una breve pausa scende a scoprire il passaggio seguente, il nuovo tratto della composizione. Il procedimento diminutivo, minimalistico, delle lettere minuscole e dell’assenza di punteggiatura forte era già stato in parte sperimentato da Silvana Baroni nel suo primo libro di aforismi, “Tra l’Io e il Sé c’è di mezzo il me” (Il Ventaglio, Roma 1991). Rispetto a quella raccolta, in cui l’aforisma era spesso presentato in forma poetica e ogni pagina conteneva un disegno, la silloge odierna si caratterizza per una maggiore ed esemplare concentrazione verbale, di certo frutto anche dell’accurato lavoro svolto nel precedente volume di aforismi, “Laccati di cristallina neppure i fossili sono più quelli di una volta” (Quasar, Roma 2007). [...] Nel percorso cromatico ed esistenziale del libro indicato dal titolo tripartito si giunge al “grigio” dopo avere attraversato, superato e me-scolato “bianco” e “nero”. [...] il titolo, forse più che una sequenza progressiva con un unico rigido epilogo, mi sembra suggerire un percorso in cui bianco nero e grigio sono compresenti e si alternano e avanzano senza soluzione di continuità, senza barriere e punti fermi, come del resto nella vita, che questo libro-indagine per aforismi racconta e riflette.

Silvana Baroni
Il bianco, il nero, il grigio
Prefazione di Gino Ruozzi
Pagine 68, Euro 11
Edizioni Joker


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