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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Imax

Il prossimo anno vi consiglio di mettere nella vostra agenda turistica una puntata al Parco Oltremare di Riccione dove tra varie attrazioni (uno straordinario spettacolo con i delfini, la caccia dei rapaci – rassicuro gli animalisti dei quali faccio parte: le prede sono artificiali –, un acquario tutto dedicato al mare Adriatico, uno spettacolare percorso dal Big Bang all’estinzione dei dinosauri, e tanto altro ancora) c’è la possibilità di godere un’esperienza unica che incrocia tecnologia, estetica, divertimento.
Si tratta dell’IMAX 3D una delle più avvincenti esperienze ottiche al mondo che Oltremare offre fin dal 2004 e che negli anni è andata sempre più evolvendo le proprie capacità di coinvolgimento sensoriale.
Lo spettatore, infatti, entra in una dimensione completamente nuova: non guarda solo un film, ma ha la sensazione d’essere dentro il film proiettato.
Questo avviene perché IMAX si avvale di uno schermo di dimensioni d'oltre 600 mq, la sua altezza è pari a un palazzo di 7 piani ed è largo dai 24 ai 26 metri.
Occupa così quasi tutto il campo visivo dello spettatore consentendo all’occhio di muoversi liberamente, scegliendo il punto di attenzione, poiché qualsiasi zona del fotogramma offre un dettaglio perfetto.
La pellicola è 10 volte più grande di quella normalmente usata e offre un’alta definizione delle immagini; si pensi che la pellicola di un filmato di 45 minuti è lunga 5 km.
IMAX è un brevetto canadese che risale al 1967; il primo teatro che ne ospitò le proiezioni fu aperto a Osaka, in Giappone, nel 1970.
Oggi si contano 235 teatri IMAX in 34 paesi nel mondo (il 60% in Nord America).
Circa il 50% dei teatri è situato all’interno di parchi tematici, musei, centri scientifici, mentre il restante è localizzato in complessi commerciali.
Questo sistema della visione, pur strettamente associato al divertimento, evoca riflessioni che superano il divertimento stesso perché fanno riandare alle teorie della Gestalt e alla sua riproposizione del modo in cui viene percepita la realtà, teorie che hanno tracciato innovativi studi sulle basi del comportamento e sulla psicologia della forma.

Richard Gelfond, Ceo di IMAX, e membro dell'Accademia della Motion Picture Arts & Science, in un’intervista riportata da Repubblica del 19 settembre scorso cosi si è espresso: I primi risultati che abbiamo ottenuto sono estremamente incoraggianti e quindi ci interessa molto espandere la nostra presenza. Trasformare una sala in Imax non è più costoso com’era prima, ci sono molti gestori di sale anche in Italia interessati a spingersi verso una scelta di grande tecnologia ma anche di grande qualità. Imax non è solo un sistema di proiezione perché prendiamo un film e usando alcuni algoritmi lo trasformiamo in un film Imax. Abbiamo rapporti diretti con i registi: James Cameron, J.J. Abrams, Michael Bay, Chris Nolan, lavorano con noi, girando i loro film con le nostre macchine. Negli ultimi dieci anni, con l’avvento del digitale, siamo riusciti a portare le nostre tecnologie in molti posti dove prima non eravamo. Noi paghiamo l’equipaggiamento Imax della sala e dividiamo i ricavi con i gestori. Tutto questo ci ha aperto molte strade nuove e ci incoraggia per l’espansione in Italia. I film girati in Imax non sono molti, però la tecnologia ora permette di prendere i film originali e convertirli attraverso un processo di rimasterizzazione. Naturalmente non tutti i film hanno un senso in 3D, perché la qualità di un film tridimensionale deve essere superiore alla media e fare questo significa fare degli investimenti notevoli nella produzione e non è facile. Ma il pubblico crescerà ancora, perché la gente vuole andare al cinema per vivere un’esperienza differente da quella che ha in casa, con il pc o la televisione.

Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web, l’Ufficio Stampa è affidato a Matilde Pozzi di Binario Comunicazione:
mpozzi@binariocomunicazione.it; (39) 0521 - 19 10 211


Registro

Dietro questo titolo severo che rimanda fatalmente a quel librone che conteneva un tempo i voti scolastici oppure ad altri strumenti cartacei, di solito, non troppo amichevoli, si nasconde in modo volutamente birichino un Registro dei progetti editoriali edito da Luca Sossella che guida la Casa omonima (in foto il logo).

“Registro” è un originale prodotto editoriale in quanto incrocia la rivista letteraria con il catalogo dell’Editrice – nata undici anni fa – presentando una parte dei testi che rappresentano una linea editoriale, scientifica e letteraria, che offre una panoramica su tanti temi d’attualità: dall’urbanistica alle neuroscienze, dalla politica alla filosofia, dalla scuola alle arti visive, dal teatro ai nuovi media,dalla critica letteraria a testi creativi in prosa e in versi.
Si avvale anche (ed è stata fra le prime a lanciarla con continuità) di una collana di audiolibri e di un’altra di Cd corredati da immagini e testimonianze di protagonisti della scena espressiva italiana.
Tutto questo troverete, come v’invito a fare, dando uno sguardo al suo catalogo ricco di autori assai noti, e anche di nomi che la Casa ha fatto debuttare in libreria.

“Registro”, come dicevo in apertura, è anche una rivista non limitandosi a intervenire su temi di orientamento culturale, ma affronta anche la scena italiana attuale del mercato dell’editoria trattandone temi e, soprattutto, problemi, operando proposte attraverso pagine scandite da un’elegante grafica dovuta all’art director Alessandra Maiarelli; una delle pochissime ad aver capito che i segni di copertine e pagine devono interpretare un testo e non limitarsi a darne una (spesso approssimativa) illustrazione; devono attirare il lettore non in un tranello ottico, ma accompagnarlo in una seducente decifrazione semantica.

Dalla presentazione firmata da Luca Sossella (per chi non lo sapesse è stato nel 2002 mio compagno in un viaggio spaziale, se non ci credete cliccate QUI) traggo il brano conclusivo di uno scritto che dopo aver ipotizzato (e indicato strumenti per farlo) la nuova funzione del libro, dell’editore, del libraio e del lettore, così conclude: L’editore è i suoi progetti e questo Registro è un racconto di progetti: condivide un laboratorio e dona una mappa. Convoca una comunità possibile, persone e idee per provare a pensare insieme l’avvenire, ovvero le domande del presente.
Nulla è già deciso, dobbiamo continuare a provare: il mondo in cui vivremo, e quindi leggeremo, sarà quello che avremo costruito
.

"Registro" è distribuito gratuitamente nelle librerie, in teatri, gallerie d’arte, centri culturali.


Vendo ergo sum


Si chiama Annissima e si svolge a Torino una fiera d'arte contemporanea unica nel suo genere, con una sola artista - Anna Scalfi Eghenter - e un solo gallerista: Cesare Pietroiusti (QUI in un incontro che ebbi con lui quando partecipò alla mostra – tanto per restare in tema – “Arte, Prezzo e Valore” al CCCS di Firenze).

Vendo ergo sum. “L’artista esiste fuori dal mercato”?

Affermazione o negazione? Risposta che precede la domanda? Koan zen?
Sta di fatto che “Annissima” è proposta per appassionati e collezionisti come un'opportunità unica d’investimento, che osserva dall’interno le dinamiche del mercato dell'arte.
Si svolge in contemporanea alle giornate della fiera d'arte di Torino “Artissima”, è un momento di un'avventura cominciata nel 2010, quando l'artista Anna Scalfi Eghenter ha proposto ad un altro artista, Cesare Pietroiusti, di rappresentarla come gallerista. I due hanno stabilito alcune semplici regole del loro accordo, tra cui l'"esclusività invertita" (il gallerista può rappresentare un'unica artista), e la "percentuale relativa" (il guadagno del gallerista è inversamente proporzionale al suo gradimento dell'opera eventualmente venduta).
In continuità con le loro ricerche individuali, con sguardo critico, al contempo interno ed esterno al sistema dell’arte, il tandem offre inediti percorsi e nuovi modi di giocare con le regole del mercato dell’arte e dell'economia.
In quest’occasione torinese, Scalfi Eghenter rielabora in termini commerciali immagini, riferimenti e storie dell'utopia politica e artistica maturata nel secolo scorso tra gli anni ‘60 e ‘70 in Italia.

Ancora una cosa. E non da poco. Caso unico sul mercato fieristico internazionale, “Annissima” propone un pre-acquisto di tutte le opere presenti in fiera con il conseguente annullamento dell'evento espositivo in toto.
L'offerta è valida fino a 24 ore prima dell'inaugurazione e prevede una trattativa d’acquisto strettamente riservata (scrivere a: cesare@annissima.it)

Sito web? Basta un CLIC!

Vernissage: giovedì 3 Novembre 2011, h 16.00
Finissage: domenica 6 novembre
Palazzo Sinigaglia, Via Giuseppe Giusti 4, Torino
Orario: h 12 – 21, sabato h 12 – 24, o su appuntamento
info@annissima.it
T: (39) 342 640 3787


Comunicazione liberata

E' in libreria il libro scritto a più mani Comunicazione liberata altri modi di comunicare e partecipare curato da Luca Cian e pubblicato da Francesco Brioschi.

Dal comunicato stampa che ho ricevuto.
Lo scopo del libro è mostrare alcune tecniche di “contro-comunicazione” da parte di minoranze critiche che vogliono coinvolgere - con mezzi interattivi e a basso costo - altre minoranze per cambiare lo stato (o almeno la visione) delle cose. L’idea di fondo è che i mezzi di comunicazione, in quanto strumenti, possono essere utilizzati per veicolare messaggi molto diversi da quelli che siamo abituati a ricevere. Possono essere reinventati, al fine di intendere la comunicazione non più solo come “passiva” e “di massa” ma anche come “attiva” e “soggettiva”. In questo libro viene esplorato come Internet, giornalismo, televisione, teatro, musica, arte, pubblicità e marketing possano essere mezzi potenti nelle nostre mani.

Gli autori del volume - i cui proventi saranno devoluti in favore di ente benefico - sono: Arturo Di Corinto (informazione digitale); Margherita Brondino, Sara Nanni e Giovanna Brondino (teatro); Vittore Baroni (musica); Gennaro Carotetnuto (giornalismo partecipativo); Giampaolo Colletti (microweb tv); Sara Cervai, Luca Cian (psicologia sociale) Alberto Crescentini (metodologia della ricerca); Pablo Echaurren, Heath Bunting (arte contemporanea); Benedetta Gargiulo (comunicazione sociale); Gianluca Diegoli, Roberto Venturini, Bernard Cova (marketing); Pietro Pierangeli, Billboard Liberation Front, Be Yourself Movement (subvertising); Fabrizio Petri (diplomazia).


A cura di Luca Cian
Comunicazione liberata
Pagine 256, Euro 16.00
Francesco Brioschi Editore


Ju tarramutu

La notte del 6 aprile 2009 un violento terremoto devastò Aquila e il suo territorio, dotato di uno straordinario patrimonio artistico e naturale.
Dopo quella notte, Silvio Berlusconi, decise di spostare il summit del G8 da La Maddalena (dove era previsto) trasferendo, per un cinico calcolo di sfruttamento propagandistico personale e politico, l’avvenimento nel capoluogo abruzzese.
Lo abbiamo visto sconcionare con capi di Stato camminando tra le macerie mentre già i suoi uomini (le intercettazioni della Magistratura lo dimostrano) se la ridevano al telefono pensando ai buoni affari che avrebbe fruttato loro quella tragedia.
Poi smontato il set, le persone “terremotate” sono rimaste spaesate e totalmente escluse dalle scelte che decidevano il loro futuro.

Su tutto questo è stato fatto un documentario, si chiama Ju tarramutu, i sottotitoli qui non servono.
Girato in quindici mesi di riprese, racconta la città più mediatizzata e mistificata d’Italia, passata dalla rassegnazione alla rivolta attraverso mille trasformazioni. Intreccia storie di persone, luoghi, cantieri, la protesta delle carriole, quando ormai il terremoto non faceva più “notizia”.
“Riprendiamoci la città” hanno gridato gli abitanti dell’Aquila e si sono organizzati per spalare le macerie, dimostrando di non rassegnarsi, anche se costretti a vivere in una città fantasma.
Il regista del documentario è Paolo Pisanelli.
Laureato in Architettura e diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia.
Ha realizzato film documentari prodotti da Fandango, Indigo Film e Big Sur per Arte-ZDF, Telepiù; Planète France, Sky, Radiotelevisione della Svizzera Italiana.
Docente del corso di Comunicazione Multimediale presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università di Teramo, conduce dal 2004 il “LaboratorioCinema” del Centro Diurno di via Montesanto a Roma. È ideatore e direttore artistico di Cinema del Reale.

Uno sguardo alla sua filmografia che precede “Ju tarramotu”: “Nella prospettiva della chiusura lampo” (1997); “Io calcolo infiniti” (1998); “Il magnifico sette” (1998); “Roma A.D 999” (2000); “Roma A.D 000” (2001); “Don Vitaliano” (2002); “Enrico Berlinguer - conversazioni in Campania” (2004); “Il sibilo lungo della taranta” (2006); “Il teatro e il professore” (2007); “Un inverno di guerra” (2009).

A proposito di “Ju terramotu”, così dice.
Ho filmato a lungo il territorio aquilano: il mio interesse è rivolto alle radicali trasformazioni che sta subendo, alla “sparizione” dei centri storici, tra abbandoni e demolizioni, all’idea di casa che ha dentro di sé ogni persona che ho incontrato. In ogni paese dove sono stato ho incontrato persone che mi hanno raccontato storie, esperienze, emozioni: per me filmare è un modo di conoscere ma è anche il modo per curare i luoghi e le persone, non solo come esercizio della memoria, ma come contatto con l’altro, condivisione di esperienze, “qui” e “ora“.
Alla violenza naturale del terremoto si è sovrapposta la voracità degli interessi, la velocità delle urbanizzazioni, l’impatto violento del Progetto C.A.S.E. che ha sconvolto senza pianificazione un territorio bellissimo, ancora di impianto medioevale.
Nel tempo lo smarrimento degli abitanti è diventato rabbia, ribellione contro gli sprechi, le carenze organizzative, le speculazioni politiche ed economiche…
A volte fare un film è uno scoppio di passione, di rabbia e d’amore
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Per il trailer, il cast, le date di programmazione: CLIC!

Ju tarramutu
Genere: documentario
Digital Betacam, Colore
Durata: 89’00”
Italia, 2011


Un Olimpo di luce


Disse Marilyn Monroe: “Ho sognato la bellezza per lo più a occhi aperti. Ho sognato di diventare tanto bella da far voltare le persone che mi vedevano passare”.
Ci riuscì. Nella celluloide e fuori della celluloide.
E in “King Kong”, mostro dal cuore fatto di seta dello schermo, si ascolta una voce fuori campo che dice: "E la bestia guardò in faccia la bellezza. E tolse le sue mani dall'uccidere".
Ecco uno, invece, cui è andata male, meglio sarebbe stato per KK mai vedere Fay Wray.
Ma che cos’è la Bellezza?
Poniamo mano al Dizionario. “Qualità di chi (o di ciò) che è bello”.
Ammettiamolo: lo sapevamo già, non ci è stato di grande aiuto.
Anche perché la Bellezza è un argomento che ha accompagnato secoli di dibattito filosofico e, con tecniche recenti, anche le neuroscienze hanno tentato risposte.

Roberto Campari ha affrontato il concetto di Bellezza, e la sua importanza nella narrazione filmica, indagando come quel concetto sia stato eletto tema primario – se non, talvolta, addirittura esclusivo – da cineasti di diversi periodi e culture.
Lo ha fatto in un libro pubblicato da Marsilio intitolato Un Olimpo di luce La bellezza del corpo nel cinema.
L’autore è professore ordinario di storia e critica del cinema all’Università di Parma.
Tra i suoi libri: “Il fantasma del bello. Iconologia del cinema italiano”, Marsilio 1972; “Il fascino discreto dell’Europa. Il vecchio continente nel cinema americano”, Marsilio 2001; “Cinema. Generi, tecniche, autori”, Mondadori 2002; “Film della memoria. Mondi perduti, ricordati e sognati, Marsilio 2005”.
E’ stato tempo fa già ospite di questo sito quando, nel 2008, pubblicò Sogni in celluloide.

In questo suo nuovo lavoro si legge una poderosa introduzione in cui espone il tema della Bellezza secondo la filosofia da Platone fino ai giorni nostri, per soffermarsi, poi, sulla Bellezza nel cinema partendo dagli studi di Béla Balátzs passando per Edgar Morin, Richard Dyer, Francesco Pitassio, fino ai recenti Gigi Livio e Cristina Jandelli.
Seguono biografie, ben documentate e scattanti su dive e divi.

A Roberto Campari ho rivolto alcune domande.
Quale la principale motivazione che ti ha spinto a questo tuo più recente lavoro?

Il problema della bellezza, soprattutto della bellezza del corpo umano, mi ha sempre interessato per il suo mistero, per le sue valenze culturali e filosofiche. Da anni, da quando ho letto il saggio di Bela Balazs in titolato “L’eroe, la bellezza, il divo e il caso di Greta Garbo” desideravo intervenire su questo argomento dimostrando come dal 1924, anno in cui il saggio è stato scritto, le idee del teorico ungherese hanno trovato una conferma, specialmente, per quanto riguarda il cinema, in tempi in cui questo si poneva come medium primario della cultura di massa, come si diceva allora. Alle origini non si erano resi conto di quanto la bellezza delle attrici e degli attori potesse essere importante per il nuovo mezzo d’espressione e i nomi degli attori non apparivano neppure sui primi manifesti ; ma poi questo aspetto divenne fondamentale e dette origine al fenomeno del divismo, che, sia pure trasformato, esiste tuttora.

Qual è stata fino agli anni ’60 la principale caratteristica del divismo?

Fino agli anni Sessanta, coi quali si chiude il periodo d’oro del cinema, il divismo prospetta dei modelli umani che hanno a che fare con la mitologia piuttosto che con la riproduzione della realtà: come gli dei dell’antica Grecia e di Roma uomini e donne incarnano soprattutto delle idee di valore e di virtù, e la bellezza vi è quasi sempre compresa. Non in tutti i casi, certamente, e infatti nel libro c’è una selezione di personaggi, con l’assenza di figure divistiche anche molto importanti e famose ma per le quali la bellezza non era caratteristica primaria. E una discriminante per orientarmi nella scelta, per non cadere nel soggettivismo, in una selezione dovuta a criteri di gusto piuttosto che a criteri oggettivi, è stata l’attenzione alle caratteristiche dei personaggi interpretati sullo schermo dai vari divi: sia drammaturgicamente, per la loro funzione nel racconto e per i rapporti con gli altri personaggi, sia formalmente, per la valorizzazione del fattore bellezza operato da registi, direttori della fotografia, costumisti, truccatori, eccetera.

Concludendo il libro scrivi che con “American Gigolo film del 1980 qui si interrompe il nostro discorso”. Perché proprio allora?

Ho interrotto il mio discorso agli anni Ottanta del Novecento perché, come dovrebbe capirsi dal libro, cambiano ormai profondamente i modelli divistici del mondo globalizzato: quelli musicali e quelli sportivi diventano anche più importanti di quelli cinematografici (si pensi soltanto a due figure come Madonna e Beckam) e, se pure la bellezza fisica resta a volte caratteristica molto importante (penso soprattutto ai casi di George Clooney, di Brad Pitt o di Angelina Jolie), questo non si riflette tanto nei loro ruoli, spesso anche molto diversi.

Roberto Campari
Un Olimpo di luce
Pagine 176, Euro 12.00
Marsilio


Le origini del telefono in Italia


Parlare di telefono oggi in Italia non suscita come primi pensieri quelli sulla scientificità del mezzo né sulle sue implicazioni sociologiche, ma fa riflettere sull’acceso dibattito in corso sulle intercettazioni che alcuni vorrebbero limitarle (giusto per non dire impedirle) onde nascondere le malefatte che da molte conversazioni sono venute fuori. Dimenticando (o meglio, fregandosene del tutto) che proprio grazie alle intercettazioni magistratura e polizie sono riuscite ad arrestare sia esponenti della criminalità organizzata (… e hai visto mai che questo a qualche vip della politica non faccia troppo piacere?) sia a venire a capo di tanti reati commessi da malfattori occasionali o abituali.
Tormentata storia è quella del telefono fin dalla sua nascita e ora gli è dedicato un volume pubblicato da Bruno Mondadori: Le origini del telefono in Italia Politica, economia, tecnologia, società.
Ne è autore Gabriele Balbi ricercatore in Storia e teoria della comunicazione presso l’Istituto di media e giornalismo dell’Università della Svizzera italiana di Lugano, è attualmente Visiting Scholar presso la Columbia University di New York e la University of Westminster di Londra.
Ha pubblicato "La radio prima della radio. L’Araldo Telefonico e l’invenzione del broadcasting in Italia" di cui trovate diffuse notizie, e un’intervista con Balbi, proprio su questo sito cliccando QUI.

Dopo avere ricordato che il Congresso degli Stati Uniti nel 2002 ha riconosciuto l’italiano Antonio Meucci come l’inventore del tefefono, Giuseppe Richeri in prefazione scrive: “Il libro di Gabriele Balbi non si dilunga sulle origini del telefono e le vicende complesse, e non sempre lineari, che hanno accompagnato i suoi primi passi negli Stati Uniti, dal momento che su questi aspetti è disponibile ormai un’ampia letteratura. Ma si concentra sulle vicende italiane del telefono dalle prime iniziative private, ai primi dibattiti parlamentari per definire le linee dell’intervento pubblico fino alle soglie della Grande Guerra. Il modo in cui l’autore affronta queste vicende mette in luce il comportamento e il peso giocato dai principali attori politici, economici, tecnici e sociali riuscendo a cogliere con chiarezza il contributo che ciascuno di loro ha dato alla costruzione del servizio telefonico italiano nella sua prima fase di sviluppo”.

Un libro – ricco di documenti politici, tabelle statistiche, aneddoti, cronache giornalistiche – su quest’argomento, visto dall’angolazione illustrata nelle righe precedenti da Richeri, finora non esisteva da noi e fornisce un decisivo contributo per capire la via italiana alle comunicazioni. Ci dà la misura del nostro modo di confrontarci ieri col nuovo ed è inevitabile che ci spinga pure a riflessioni sull’oggi, su come (soprattutto ai ritardi) affrontiamo i nuovi mezzi tecnici di comunicazione.
Balbi non si risparmia puntate umoristiche riportando ad esempio le goffe istruzioni date agli utenti sul corretto utilizzo della cornetta e sulla condotta da tenere nelle conversazioni. Né manca l’allora famoso umorista Oronzo Marginati del quale è riportato un suo infuriato brano, dedicato alle centraliniste, inveendo contro la “Comunicazione delle signorine che non te la danno”.

Il volume risponde a più domande: come fu accolto, in Italia, il telefono? Quali gruppi sociali compresero le sue potenzialità? Quali, invece, lo trascurarono o addirittura ne ostacolarono la diffusione? Chi furono i primi abbonati al telefono?
E qui voglio aggiungere io una cosa a quelle pur ricche pagine.
Uno dei primi abbonati al telefono si chiamava Gaetano Rapagnetta (ma è più noto col nome di Gabriele D’Annunzio), uomo moderno più del suo tempo - s’occupò di cinema, di pubblicità, amava le novità della tecnica -, non a caso fu tra i primi a possedere un apparecchio telefonico (il suo numero era 104), e stava, e sta, nella villa di Gardone in una cabina grossa quanto quella che vediamo oggi nelle strade e presto non vedremo più perché il cellulare ne ha superato l’utilità.
A proposito: ma, secondo voi, mostrati a Meucci certi nuovi portatili che, richiusi, sembrano piccole uova pasquali colorate, riconoscerebbe in quegli oggetti la sua invenzione? Non mi sorprenderebbe se lo sentissi, incuriosito, chiedere: “E quello cos’è?”

Gabriele Balbi
Le origini del telefono in Italia
Prefazione di Giuseppe Richeri
Pagine 240, Euro 20.00
Bruno Mondadori


Italians Do it Better!!

Costretto per sopravvivere a farsi innestare nel corpo complessi dispositivi biomeccanici, Adam inizia una nuova vita da cyborg.
È la trama di un videogioco di recente uscita da Deus Ex, dove al centro c'è l'idea di immortalità. Gioco troppo lontano dalla realtà? Forse. Ma non troppo dalle idee professate dai filosofi del Transumanesimo.
Si pensi alla vicenda del canadese Rob Spence, che al posto dell’occhio ha fatto inserire una protesi munita di telecamera con cui gira documentari.
I videogames rappresentano una delle punte più avanzate dell’immaginario d’oggi, delle arti contemporanee, e, a mio avviso, sono i romanzi del prossimo futuro.
Ora se uscite comprensibilmente depressi dallo sgarbato Padiglione Italia della Biennale di quest’anno (ma non perdetevi The Clock… tranquilli!... non fa parte del Padiglione Italia), avete ancora un mese per la possibilità di godere di Italians Do it Better!!.

(In foto un’immagine tratta da Santa Ragione)

Che cos’è?
E’ una retrospettiva irriverente e spavalda – a cura di Matteo Bittanti e Domenico Quaranta – che celebra le sperimentazioni di artisti che si confrontano con i videogiochi come cultura e come mezzo, soggetto e oggetto, punto di partenza e arrivo. Sin dagli anni Novanta, gli artisti italiani hanno dimostrato un precoce e inedito interesse nei confronti dei videogiochi: anticipando fenomeni come il cinema videoludico dei machinima, le produzioni indipendenti, e l’ascesa del divertimento elettronico come forma d’intrattenimento di massa.
Il titolo, Italians Do it Better!!, vuole, da un lato, ricordare che se l’Italia del game design arranca, quella dell’arte videoludica affascina il mondo da almeno vent’anni; ma vuole anche, dall'altro, mettere in discussione l’idea stessa di “italianità”, considerando che molti degli artisti coinvolti hanno da tempo lasciato il paese per trasferirsi all’estero.

Afferma Domenico Quaranta: L’arte italiana ha dato un contributo decisivo al riconoscimento del videogioco come una delle forme fondamentali attraverso cui si manifesta la cultura contemporanea e, più in generale, alla riflessione sul videogioco come artefatto culturale. L’importanza di questo contributo si può misurare sia dalla tempestività di alcuni risultati, sia dalla loro qualità. Era giunto il momento di raccogliere tutto questo in un evento in cui quanto appariva, finora, una emergenza isolata fosse ricollocato in un contesto e facesse, con il resto, massa critica.

Che cos’è un videogioco per Matteo Bittanti?
La sua risposta: Il videogame è una macchina della felicità: è appositamente sviluppato per soddisfare il giocatore per mezzo di una gratificazione istantanea.
L'ideale ludico è fortemente meritocratico: se sei bravo, fai strada. Non contano conoscenze, amicizie e raccomandazioni. I videogiochi producono endorfine e riducono i livelli di stress, ansia ed irritabilità. Non dimentichiamo che la prassi videoludica è performativa: richiede abilità, dedizione, pratica. Il videogame si colloca a metà strada tra lo sport e la danza, tra la narrazione e l'esplorazione. Quello che mi affascina di questo medium è che contiene tutti i linguaggi e i codici degli altri, ma non è per questo una forma espressiva inferiore o “minore”. L'errore da evitare è di applicare al videogame i criteri qualitativi dei media tradizionali, analogici e lineari
.

Artisti presenti in mostra: Matteo Bittanti + IOCOSE, Marco Cadioli, Mauro Ceolin, Damiano Colacito, Les Liens Invisibles, Miltos Manetas, Eva & Franco Mattes aka 0100101110101101.ORG, Molleindustria, Antonio Riello, Santa Ragione, Federico Solmi, Stefano Spera, Tonylight, Vjvisualoop, Carlo Zanni.

Italians Do it Better!!
A cura di: Matteo Bittanti e Domenico Quaranta
Sala Dei Laneri, Santa Croce 131, Venezia
Fino al 27 novembre 2011


Sur

Si chiama SUR ed è un nuovo marchio editoriale di minimum fax, la casa editrice fondata da Marco Cassini e Daniele di Gennaro nel 1994.
Sur proporrà autori di oggi e classici contemporanei da riscoprire. Nasce in un'epoca in cui il libro, il suo aspetto fisico e la sua diffusione vivono, per motivi tecnologici e contingenze di mercato, un importante momento di passaggio. Per questo dedica particolare attenzione - oltre che ai contenuti e alla forma - al modo di diffonderli: il suo particolare modello distributivo si basa su un rapporto di stretta collaborazione con i librai.
I primi titoli sono disponibili sia QUI sia in queste librerie, e in versione eBook .
Fino al 31 dicembre sarà disponibile un'offerta speciale sugli eBook SUR su Book Repubblic.

SUR ha un sito web dedicato alla sua innovativa proposta editoriale e un blog di approfondimenti sulla letteratura dall'America Latina, coordinato da Raul Schenardi curatore e traduttore di testi di narrativa e saggistica dallo spagnolo

Minimum Fax, inoltre, s’è resa protagonista anche di una lodevole iniziativa donando oltre 3000 volumi al Polo SBN Biblioteche di Roma.

Per informazioni, richieste e contatti:
L’Ufficio stampa è guidato da Alessandro Grazioli:
alessandro@minimumfax.com; ph. (+39) 06.333.6545; fax (+39) 06.333.6385


Danteska

Le Edizioni pagina uno (le minuscole sono un’elegante scelta grafica della Casa e non una mia irriverenza), si propongono attraverso un articolato disegno editoriale che conta una rivista omonima, un’editrice libraria, un corso di giornalismo d’inchiesta (condotto da Giovanna Cracco) , un altro di sceneggiatura (diretto da Davide Pinardi, già ospite di questo sito quando pubblicò Narrare) e (si sa, nessuno è perfetto) una scuola di scrittura creativa. Da tempo su questo sito mi auguro che nascano piuttosto scuole di lettura, ma, evidentemente, questa cosa non merita troppo ascolto.
Al “creativo” nella scrittura ci pensa già Maria Stella Gelmini con i suoi comunicati più impenetrabili del “Finnegans Wake”, ricchi anche d’innovazioni sintattiche allorché descrive la corsa dei maratoneti neutrini nella tappa Zurigo – Gran Sasso, ponendo nei concorsi per presidi quesiti fantasiosi (da alcuni ritenuti addirittura errati... che cattivi!), avanzando perfino una nuova fonetica italiana dicendo “Nemèsi” invece dell’ormai superata dizione “Nèmesi”.
Va detto, però, che fra le scuole di “scrittura creativa” quella di paginauno, ben affidata allo scrittore Walter G. Pozzi merita ragionata fiducia.

Mi rendo conto che aprire una scuola di lettura (per chi è già alfabetizzato, s’intende) non è facilissimo: da dove cominciare?
A paginauno la cosa dovrebbe essere meno ardua perché un testo ce l’ha già in casa, un testo che del leggere contiene la dote prima: il piacere dello scorrere le pagine. Divertendosi, trovando agganci fra cronaca e storia, costringendo a interrogarsi sul mondo che ci circonda, riflettendo sui generi letterari.
Questo libro si chiama DanteSka e già il titolo ha forma birichina perché quel “k” fonicamente porta a pronunciarlo con la “c” e abbiamo all’orecchio “dantesca”; all’occhio, invece, quel “k” rimanda allo Ska "forma musicale che precorre altri importanti generi come il rocksteady e il reggae, caratterizzato da un ritmo con accenti sul levare della battuta musicale".
Danteska è scritto in quartine di endecasillabi che rivolgono un’aspra satira verso i tanti personaggi politici che ammorbano i nostri giorni.
Questo sito, come sanno i generosi che leggono le mie note, non si occupa di poesia né di romanzi, ma il libro che presento oggi non s’allontana da quei miei proponimenti (giusti o ingiusti che siano) perché si tratta di un'originale “indignatio” tra l’invettiva politica e la musicalità verbale: niente malinconici tramonti (se non dell’etica), niente rimpianti per cose smarrite (se non il codice penale), niente amori perduti (se non per il civismo).
Ne è autore Giuseppe Ciarallo nato nel 1958 a Milano. Ha pubblicato due raccolte di short stories: “Racconti per sax tenore” (Milano, 1994) e “Amori a serramanico” (Milano, 1999) e, in collaborazione con altri autori, la collettanea di racconti “Sorci verdi. Storie di ordinario leghismo” (Edizioni Alegre, 2011).
Il volume s’avvale delle riuscitissime illustrazioni di Manlio Truscia nato a Enna nel 1950. Dopo gli studi universitari a Firenze, giunge a Milano negli anni Settanta. Qui insegna e svolge la sua attività di fumettista, pittore e ‘artigiano dell’immagine’. Attualmente è illustratore e visualizer per agenzie di pubblicità e case editrici.

Ciarallo immagina di trovarsi in un losco bar e, scelto Dostoevskij come suo Virgilio, imbocca l’ingresso negli inferi (attraversando la latrina del malfamato locale) per attraversare con crescente orrore i gironi della politica del XXI secolo.
Di girone in girone, guadagnar la via “a riveder le stelle” non è facile: Fiumane di borghezi e buttiglioni / ci spingono e s’aggrappan forte a noi, / cicchitti, giovanardi e anche maroni / voraci come fosser avvoltoi; / gasparri, pecorelli e anche ghidini / vaganti per quel luogo disadorno, / storaci, calderoli e taormini / ci ostacolano il passo del ritorno.

Insomma incontra tanti e tanti. Ad esempio, a un tratto, si trova davanti un fregno buffo: L’omin (parlar di uomo è esagerato) / da subito ci parve un lestofante, / un vile, un senzadio, un cane arrabbiato, / un tomo dall’aspetto assai sprezzante. / Stampato un ghigno falso e sibillino / avea sul muso, e cranio senza pelo. Ad occhi e croce egli era, sì piccino, / non più di un metro e mezzo, santo cielo! .
E costui parla: Si sa, d’altronde il re son del profitto, si faccia i cazzi suoi, lei, mi consenta!.
Chi sarà mai costui?.... Voglio rileggere per capire.
Ma se voi il libro non avete già, recatevi in libreria sta proprio là, leggendo molto vi divertirete e alfin, sicuro, mi ringrazierete.

Giuseppe Ciarallo
DanteSka
Illustrazioni di Manlio Truscia
pagine 96, euro 15
Edizioni paginauno


Marco, Giobbe, Paolo e S. Gennaro

Da tempo Marco Abbamondi (qui in foto) conduce un’attività che partendo dalle arti visive proietta la propria espressività anche in plurali campi, ad esempio, dalla scenografia alla costumistica; più estese notizie sul suo sito web.
Ed eccolo, infatti, oggi impegnato in una singolare performance.
Avrà luogo a Napoli alle 17.30 interessando il percorso tra il Museo del Tesoro di San Gennaro e Palazzo Donnaregina, sede del Museo Madre.

Protagonista della performance nei panni di San Gennaro sarà Giobbe Covatta invitato dall'artista sanbenedettese Paolo Consorti (QUI un suo video con Elio delle Storie Tese) a vestire i panni del santo patrono di Napoli sia perché Giobbe è napoletano e sia per il suo essere ironico, istrionico e civilmente impegnato.
Il ciclo Rebellio Patroni, un'opera multiforme e in progress di Consorti, nasce come caustica celebrazione del 150° dell'Unità d'Italia: i santi patroni si ribellano nelle città di cui sono protettori indignati dalla decadenza dei nostri tempi. Consorti sta creando un percorso attraverso l'Italia della bellezza e delle contraddizioni. Le azioni paradossali dei santi sono un modo per prendere parte attraverso l'arte a un discorso sul presente in maniera insolita e trasversale, con occhi ben aperti sulle emergenze morali e concrete del nostro Paese.
Il San Gennaro di Consorti trainerà un carretto sul quale è posto un sontuoso presepe napoletano realizzato da Marco Abbamondi, di cui s’è detto in apertura di questa nota, reinterpretato con l'inserimento di una teca devozionale dove è ritratto Giobbe nei panni del santo protettore di Napoli.
Partendo dal Duomo San Gennaro/Giobbe si addentrerà in un percorso per le vie della città raccogliendo la spazzatura abbandonata per strada. Si dirigerà infine col suo carico all'interno del Museo Madre dove avverrà un certo miracolo.


William Xerra

Disse un tempo Marcel Duchamp: “Da quando i generali non muoiono più a cavallo non vedo perché i pittori dovrebbero morire davanti al cavalletto”.
William Xerra (Firenze, 1937), evidentemente condivide quell’opinione di circa un secolo fa e lo dimostra con il suo frequentare plurali aspetti delle arti visive perché non è pittore soltanto, ma poeta visivo, performer, scultore, fotografo, ha creato poemi usando il flipper, a lapidi dismesse ha sostituito le foto dei defunti con uno specchio, molti anni fa ha riversato la sua poetica in originali produzioni radiofoniche per Radiorai (… quella di molti anni lontani)..
Tanto tempo fa… ottobre 2000!.... venne a trovarmi nella taverna che gestisco sull’Enterprise di Star Trek e insieme compimmo uno spericolato viaggio spaziale.
A lungo ha praticato una serie che chiamò “Vive” in cui dopo avere cancellato celebrate immagini e famosi luoghi vi sovrascriveva quella parola (“Vive”) che, in un tempo pre-elettronico, era un segno riabilitativo per correggere errori fatti da un distratto correttore di bozze.
Più recente la serie “Io Mento”, un’articolata, divertente ma non per questo meno pensosa, indagine sui significati della Menzogna e del Mentire nei vari ambiti della realtà d’oggi: dal naturale-innaturale al potenziale-virtuale.
Nella vita e nell’arte è uomo che ama pochissimo il punto esclamativo e tantissimo quello interrogativo.
Lo dimostra anche il titolo della mostra in corso adesso alla Galleria Biffi Arte intitolata Dipingere?

In foto: “Attraverso”, opera in esposizione


In catalogo interventi di Marcel Alocco e Angela Madesani
Marcel Alocco: “Se il lavoro di Xerra mi riguarda, è perché gli artisti, pure loro, sono partiti alla conquista dello spazio - il cielo intero, dell’azzurro, azzurro, azzurro, senza ammazzare gli uccelli, poiché la vita, il movimento, E=MC2, tutto si racchiude simbolicamente in un piccolo frammento, nel pennello in azione, in questa polvere colorata ed incollata che chiamano pittura, tutto si muove e si blocca e ruota attorno alla minuscola particella di materia solida di un chiodo da tappezziere”.

Angela Madesani: “Se c’è un’operazione peregrina e al tempo stesso nociva è quella di volere costringere entro la gabbia delle definizioni il lavoro di un artista. Con William Xerra diviene addirittura impossibile: pittore? Artista concettuale? Virtuoso della tecnica? Collezionista di immagini? Nulla di tutto questo e tutto questo insieme".


William Xerra
”Dipingere?”
Galleria Biffi Arte
Via Chiapponi 39 - Piacenza
Info: 0523 – 32 72 59
moderna.contemporanea@biffiarte.it
Fino al 12 novembre ‘11


Mai ali che volano alto


Di solito una recensione si apre accennando al tema della pubblicazione o all’autore se già si è prodotto in precedenti prove, più raro l’inizio con una nota sull’editore.
E’ quello che faccio qui perché l’Editrice :due punti (CLIC per conoscerne gli ideatori e redattori) merita un elogio per il modo in cui è condotta specie in un momento in cui l’editoria italiana è infestata da romanzi, saggistica che ti fa ronfare già a pagina 3, versi chiamati tali perché scritti andando daccapo spesso. Visitate il catalogo e troverete materie vivaci e scritti frizzanti.
Così come dimostra questo Mai ali che volano alto che fin dal titolo sprizza birichina intelligenza.
Ne sono autori Sandro Volpe e Alberto Voltolini.

Sandro Volpe (1958) insegna Teoria della letteratura all’Università di Palermo. Tra le sue pubblicazioni i saggi "Il tornio di Binet" (1991), "La forma intermedia" (1996), Adattamento: sette film per sette romanzi (2007), "All’incrocio delle righe" (2004).
Alberto Voltolini (1960) insegna Filosofia del linguaggio e della mente all’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni: "Riferimento e intenzionalità" (1992), "How Ficta Follow Fiction" (2006), "I problemi dell’intenzionalità" (con C. Calabi, 2009), "Finzioni" (2010).

Mai ali che volano alto è un libro di gioco di parole, e come quando è in ballo il gioco, si tratta sempre di roba seria.
In particolare le pagine girano prevalentemente intorno al calembour che Angelo Marchese nel suo “Dizionario di retorica e stilistica” così definisce: E’ un gioco di parole fondato sull’equivoco fonico o semantico oppure sul doppio senso di un termine.
E Bruno Migliorini: Si tratta di un tipo di comunicazione bidirezionale, perché, nel creare frasi equivoche ed allusioni, si vuole attirare l'attenzione del lettore o dell'ascoltatore attraverso una sua partecipazione interpretativa.
Scrivono gli autori in una breve ma non per questo meno densa presentazione: Il gioco di parole è una di quelle cose che prima di essere messe in evidenza sono del tutto sconosciute, ma, una volta palesate, diventano ovvie […] pensate un po' a quello che avviene con le cosiddette figure gestaltiche, immagini ambigue in cui, secondo l’orientamento dello sguardo, si coglie ora un vaso bianco su uno sfondo nero, ora due facce di profilo nere su sfondo bianco.

Le pagine di Volpe e Voltolini sono spesso fescennine, ma non deve sorprenderci perché i contenuti del motto di spirito più riuscito – come sostiene anche Freud – è spessissimo di natura sessuale.
Il tutto, in questo librino, si traduce di frequente in un lampo che smaschera parole dall’aspetto innocente, un irrisorio capovolgimento dell’ovvio che mostra mostruosità nascoste, un corto circuito verbale che fulmina sostantivi, aggettivi, nomi propri, sigle.
Dal libro:
“Molti preferiscono il digitale terrestre: non c’è obbligo di frequenza”.
“Nuova campagna ecclesiastica: adocchia un bambino a distanza”.
“Zidane: ‘Chiedo scusa per la testata’. La chiede anche Feltri?”.
“Il gatto di Berlusconi: Micio Gelli”.
“Provenzano era nascosto in un casolare della libertà”.
“ ‘Scusi, Palazzo Grazioli?’ ‘Più avanti, al 41 bis’.
"Per uscire dalla Chiesa, chiede il nulla ostia“.
“I Talebani hanno fatto decapitare un nuovo video”.
“I familiari di Mubarak in fuga: Una è già approdata in Italia”.
“Lo ius primae noctis al passo coi tempi: scopyright”.

Sandro Volpe – Alberto Voltolini
Mai ali che volano alto
Pagine 112, Euro 12:00
: duepunti edizioni


Matematicaterapia

Galilei diceva: “La Natura è un libro scritto in caratteri matematici”.
E Darwin: “La matematica dota una persona di un nuovo senso”.
Eppure la matematica è vista da tanti come un mondo arcigno e inospitale dal quale ricevere torture mentali.
Tutto il nostro mondo concettuale e sensoriale è governato dalla matematica, ma la gran parte di noi - non solo i giovani studenti - arretra di fronte ad essa, la temiamo, ci sgomenta.
Persino un’iniziativa cui arrise successo, il festival della matematica di Roma, è sopravvissuto solo tre anni, dal 2007 al 2009. Spiega l'ex direttore scientifico Piergiorgio Odifreddi: “E’ stata un'occasione mancata. L'ennesima, in un Paese di letterati e filosofi e che ha in casa il Vaticano. La situazione è difficile da cambiare: la riforma Gelmini ha proposto per l'ennesima volta il latino allo scientifico, sacrificando le ore di matematica”.
Una recente inchiesta riportata da Repubblica (19 settembre di quest’anno) ha rilevato che ben il 54,5% degli studenti di liceo scientifico… si badi: scientifico… ha fornito una prova insufficiente nel compito di matematica alla maturità.
Colpa degli studenti? Mica tanto. Ancora Odifreddi in un suo articolo: “Nel loro disamore per la matematica gli studenti sono spesso più vittime che colpevoli. Vittime di programmi antiquati e orrendi, in cui sequenze interminabili di tecnicismi vengono loro propinati senza nessuno sforzo per attirarne l’interesse e stimolarne la curiosità”.

Ecco perché è da salutare con gioia la recente pubblicazione Salani intitolata Matematicaterapia Come la matematica può semplificarci la vita.
Un lavoro che dissolve ampie parti delle ombre terrorizzanti che per molti sono i numeri.
Non a caso l’autore è Ennio Peres, “Giocologo” e “Matemagico” (sono sue autodefinizioni quanto mai azzeccate) che nel catalogo della stessa editrice già figura con un altro appassionante titolo: L'elmo della mente .
E’ stato già ospite di questo sito, figura, infatti, tra gli avventori della mia taverna spaziale che gestisco da oltre dieci anni sull’Enterprise di Star Trek.
Una sua telegrafica biografia: nato a Milano nel 1945, è considerato tra i più autorevoli divulgatori scientifici in Italia. Ex professore di Informatica e di Matematica, è autore di libri di argomento ludico, ideatore di giochi in scatola e di altri radiofonici e televisivi. Ha collaborato e continua a collaborare con vari giornali e riviste, e su Linus cura dal 1995 la rubrica "Scherzi da Peres".
In Matematicaterapia , è tutto un fuoco d’artificio in proposte di viaggio nei numeri attraverso la magia matematica e la matematica paradossale, giochi logici, tecniche enigmistiche, metodi mnemonici, occasioni umoristiche.
A ogni capitolo è associata una breve bibliografia per chi volesse approfondire gli argomenti esposti in forma volutamente sintetica.

Concludo con un aneddoto riportato da Robert Osserman nel suo libro “Poesia dell’Universo”, aneddoto che dà molta ragione alle linee di lavoro svolte da Peres.
Un giorno il grande matematico David Hilbert notò che un certo studente aveva smesso di frequentare le sue lezioni. Quando gli venne riferito che aveva deciso di abbandonare la matematica per diventare poeta, Hilbert rispose: “Ha fatto bene. Non aveva abbastanza immaginazione per fare il matematico”.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Ennio Peres
Matematicaterapia
Pagine 128, euro 11.00
Salani Editore


Scrivere pericolosamente


Nel 2011 ricorre il settantesimo anniversario della morte di James Joyce, ma per i lettori e gli scrittori di tutto il mondo l’autore dell’Ulisse e di Gente di Dublino come letterato è più vivo che mai, come dimostra il successo del Bloomsday, la celebrazione che, da più di mezzo secolo a questa parte, vede realizzati eventi in suo onore il 16 giugno, giorno che nel romanzo “Ulisse” è immaginata svolgersi l’avventura di Leopold Bloom a Dublino nel 1904.
Minimum fax rende omaggio a Joyce con una raccolta di citazioni che, spaziando dalla narrativa ai saggi alle lettere, offrono per la prima volta una panoramica del suo pensiero sull’arte di scrivere: riflessioni sul processo creativo, sulle tecniche di narrazione, sul mercato editoriale, sul ruolo dello scrittore, e preziose osservazioni critiche sulla propria opera e quella altrui. Molto più agile da consultare rispetto a un manuale accademico, ma altrettanto e più ricco nei contenuti.
Il libro è intitolato Scrivere pericolosamente ed è a cura di Federico Sabatini che fa un’eccellente e ragionata selezione fra gli scritti dello scrittore irlandese pubblicando, con una poderosa prefazione, un libro adatto sia al pubblico degli studenti e degli studiosi sia a quello degli appassionati di letteratura e scrittura.
Sabatini (1973) è ricercatore di letteratura inglese presso l’Università di Torino. Ha pubblicato articoli e saggi su Joyce e altri autori moderni in diverse riviste accademiche e raccolte, sia in Italia sia all’estero.
Per una sua più estesa biobibliografia: QUI.

A lui ho rivolto alcune domande.

Perché – come afferma Richard Ellman – “dobbiamo ancora imparare ad essere contemporanei di Joyce”?

Come ho cercato di sottolineare sia nell’introduzione del volume sia attraverso la selezione dei brani, Joyce è ormai da considerarsi come un “classico” della letteratura mondiale. Nonostante la problematica ancora attuale di un “canone di classicità”, l’opera di Joyce è ancora in grado di comunicare profondamente alle nostre coscienze e alle nostre vite con una scrittura che ancora oggi risulta “sperimentale”. Nel tentativo di “penetrare nel cuore di ogni cosa”, tale scrittura supera i confini storici del primo novecento e quelli geografico-culturali dell’Irlanda, e arriva alla “ricreazione” di temi universali quali i meccanismi coscienziali, i sentimenti più profondi e ineffabili, il funzionamento e le reazioni del corpo, le percezioni spazio-temporali, e la misteriosa configurazione del nostro inconscio. Un tema, quest’ultimo, che ancora necessita di spiegazioni e ricerche e che, a livello estetico, non trova facilmente un corrispettivo che ne riveli almeno le componenti essenziali. Con la rivoluzione linguistica operata in “Finnegans Wake”, Joyce è riuscito a ricreare le dimensioni più astratte e recondite della mente umana, costruendo “tunnel” linguistici (come afferma egli stesso) anche in quelle zone del cervello che non sono attraversate dal linguaggio ordinario. Una riflessione talmente profonda che non solo anticipa e influenza le moderne teorie psicanalitiche ma che invita continuamente il lettore ad una sfida nei confronti di se stesso e della sua vita interiore.

Tra i personaggi joyciani, quello che più di tutti esprime giudizi sull’arte è Stephen Dedalus. La maggioranza dei critici, fino agli anni ’60 circa, ha ritenuto Stephen un alter ego del tutto coincidente con Joyce stesso. Poi le cose sono cambiate, puoi spiegarci in quale direzione?

Stephen Dedalus è il personaggio dell’artista in via di formazione che troviamo in tre romanzi di Joyce (“Stephen Hero”, “A Portrait of the Artist as a Young Man” e “Ulysses”) ed è quello che più di tutti si abbandona a speculazioni in merito all’arte e alle sue funzioni. Specialmente nei primi due romanzi, le esperienze del personaggio ricalcano quasi esattamente la vicenda biografica di Joyce, e fu Joyce stesso ad utilizzare il nome ‘Stephen Dedalus’ come pseudonimo per la pubblicazione dei primi racconti. Tuttavia, il personaggio è un eroe ancora troppo decadente e attaccato ad un’idea di romanticismo che non appartiene al Joyce maturo. Come recita il titolo, si tratta di “un” ritratto di una fase ancora immatura dell’artista, il quale dovrà affrontare un lungo e tortuoso percorso prima di giungere alla realizzazione delle sue teorie astratte. La critica joyciana ha sottolineato il trattamento ironico e distaccato dell’autore verso il personaggio, il fatto che l’unico componimento poetico di quest’ultimo sia di scarso valore, e che la struttura altalenante tra il pathos con cui termina ogni capitolo e il bathos con cui inizia il successivo sia plausibilmente applicabile anche alla fine del romanzo, quando Stephen lascia l’Irlanda per assecondare le sue aspirazioni artistiche. In “Ulysses”, infatti, il personaggio è molto meno idealista e più cinico e amareggiato. Infine, in “Finnegans Wake”, Joyce conia l’ironica espressione “a poor trait of the artless”, la quale, ricalcando il titolo del romanzo giovanile, ridimensiona ulteriormente le ambizioni di “quel” personaggio, descrivendolo come “un tratto misero di colui che è senza arte”. Il rapporto è senza dubbio complesso e sfaccettato ma anche la teoria letteraria sull’autobiografia, nei suoi sviluppi a partire dagli anni 60/70 (Philippe Lejeune, J.H. Buckley, Bruce Mazlish) ci informa del carattere arbitrario di qualsiasi ricostruzione autobiografica: occorre infatti considerare non tanto la veridicità degli eventi vissuti, quanto la veridicità degli eventi narrati, ricostruiti cioè attraverso il mezzo espressivo che risulta più congeniale per supplire alle deficienze del pensiero, e soprattutto a quelle del ricordo. Nel processo mnemonico che serve da input per l’ispirazione poetica (su cui Joyce si interroga a fondo, rifacendosi anche a Vico) e per la sua successiva trascrizione letteraria, l’esperienza è sempre e soggetta a ripetuti cambiamenti e alimentata dal processo immaginativo che subentra tra la realtà del presente e quella del passato in questione.

Vedremo mai un’edizione in lingua italiana del “Finnegans Wake”?

Come per tutti gli scrittori del Modernismo, i quali, con le ovvie differenze, miravano a ricreare non solo un contenuto ma una forma “significante”, la traduzione di Joyce risulta indubbiamente molto problematica, anche nel caso delle sue opere iniziali come “Dubliners”. Nonostante una struttura più tradizionale, sono già presenti elementi fortemente sperimentali nella forma, nel fonosimbolismo, nel ritmo della sintassi. Il caso di “Finnegans Wake” è certamente più complesso a causa del multilinguismo, delle “parole valigia” ottenute attraverso la fusione di più termini, dei continui giochi semantici che contengono innumerevoli riferimenti letterari, storici e culturali. In Italia, Luigi Schenoni ha tradotto parte del libro raggiungendo il pregevolissimo risultato di una ricreazione del ritmo e degli aspetti più ironici del testo. Diversi sono i critici eminenti che potrebbero ora accettare la sfida e continuare la sua opera, nella paradossale consapevolezza (una consapevolezza infatti “critica” e non solo linguistica) della impossibilità di una vera traduzione.

Perché Joyce, grandissimo narratore, è un autore teatrale modesto? Un’avventura che ha segnato, mi pare, anche la scrittura di Svevo…

L’unico dramma di Joyce, “Exiles”, è certamente sottovalutato e, al tempo stesso, non è paragonabile ai risultati che l’autore ha raggiunto nella narrativa. Il genere romanzo era senza dubbio più congeniale per l’esplorazione del flusso di coscienza e del monologo interiore, oltre che per la riconfigurazione (a)temporale dell’esperienza vissuta. Non è infatti un caso che la stesura del dramma sia avvenuta durante una pausa che l’autore si concesse durante l’estenuante scrittura di “Ulysses”. Ciononostante, il dramma (di chiara derivazione ibseniana) presenta una ragguardevole penetrazione psicologica e, nei suoi temi di amore, tradimento e libertà intellettuale, si collega fortemente a tutte le altre opere. Il tema del’esilio (va ricordato che Joyce suggerì la traduzione italiana “esuli” e non “esiliati”) riceve da questo dramma una luce ulteriore e aiuta a comprendere la complessità dei concetti di nostalgia e di ricordo, e della scelta di Joyce di “scrivere a distanza”.
Anche Svevo, condividendo in parte la necessità di una ricreazione dei meccanismi mentali e coscienziali, è celebrato più per i romanzi che per il teatro. Anche nel suo caso, tuttavia, le commedie (in special modo “La rigenerazione”, con la sua complessa ironia e la comicità iniziale che sfiora molteplici corde emotive) rivelano elementi imprescindibili per capire la poetica dell’autore e la sua personale visione del mondo
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Per un assaggio di lettura: CLIC!

James Joyce
Scrivere pericolosamente
A cura di Federico Sabatini
Pagine 166, Euro 10.00
minimum fax


L'arte di ricordare tutto


Se sfogliamo un dizionario scientifico, la parola Memoria è così spiegata: “Funzione generale del cervello consistente nel far rinascere l’esperienza passata attraverso quattro fasi: memorizzazione, ritenzione, richiamo, riconoscimento”. Le cose poi si complicano perché esiste una memoria genetica e ancora articolazioni di memorie di breve, media e lunga durata a loro volta distinte in memoria iconica, ecoica, sensoriale ed emozionale.
La memoria, insomma, è lo scrigno che contiene tutto di noi, tutto quanto sappiamo che ci ha preceduto e ci circonda.
Ci sono anche scienziati che studiano la maniera di cancellare i cattivi ricordi (… faccio per loro un tifo accesissimo), tanto per dire quanto la Memoria sia oggetto di attenzioni scientifiche con implicazioni filosofiche e sociologiche.
Possibile ricordare tutto? Le nuove tecnologie indubbiamente aiutano la registrazione dei dati (ma indeboliscono la nostra capacità personale di ricordare) e fa dire a Federico Rampini: “Un terzo degli inglesi sotto i 30 anni non ricorda qual è il proprio telefono di casa senza consultare l'agendina del cellulare. Ormai solo un’infima minoranza di americani sa più di cinque numeri telefonici a memoria. Che bisogno c’è? Oggi per questa funzione esistono i computer, i motori di ricerca, le agendine digitali dei telefonini, gli iPad. Perché sforzarsi di ricordare l’itinerario descritto su una mappa stradale se c’è il Gps che ti esonera dalla ginnastica mentale? Perfino la tabellina del sette diventa superflua, col calcolatore elettronico a portata di polpastrelli su qualsiasi cellulare. Ma non sappiamo quali conseguenze può avere questa perdita collettiva della memoria”.
E Umberto Eco: “La carta si conserva per 500 anni, la memoria elettronica non sappiamo oggi veramente quanto […] La memoria è strettamente legata all’oblio e ha un senso solo quando è selezione; soffre di tre malattie: eccesso di ricordi, eccesso di filtraggio e la confusione delle fonti”.
Sia come sia, pare che ogni anno sprechiamo circa 40 giorni (!) della nostra vita alla ricerca di chiavi, informazioni, telefonini, documenti smarriti.
Pochi fra gli umani non incappano in questa calamità, anzi riescono a ricordare in maniera strepitosa un sacco di cose, tanto che esistono Campionati della Memoria dove, ad esempio, il signor Ben Pridmore è riuscito a imporsi sui concorrenti imparando 1528 numeri a caso in un’ora e ricordarseli tutti fino a ripeterli a voce esattamente come li aveva appresi.

Un tipo che sembrava come tanti di noi era il giornalista Joshua Foer (fratello di Jonathan, autore diventato famoso per “Ogni cosa è illuminata”), ma è diventato un Campione di Memoria e ha narrato la sua esperienza in un appassionante libro pubblicato da Longanesi intitolato L’arte di ricordare tutto.
Il volume si raccomanda alla lettura non solo perché traccia il percorso di anni spesi a riuscire in una cosa che appariva all’inizio impossibile – illustrando i vertiginosi esercizi cui Foer si sottopone –, ma perché è una storia della mnemotecnica che parte da Simonide di Ceo (si veda QUI di che cosa fu capace dopo un crollo) passa per il filosofo Giulio Camillo e il suo straordinario Teatro della Memoria fino agli studi d’oggi condotti da neurologi quali Ramachandran, Baron-Cohen, Darold Treffert.
Insomma un volume che ben merita quanto ha scritto il “The Washington Post”: “Un libro che dimostra che sebbene i meccanismi della memoria siano ancora in parte sconosciuti, il cervello umano è capace d’imprese epiche”.
E il “The New York Times”: “Come Oliver Sachs, Foer sonda i misteri del nostro cervello calandoli in un più vasto orizzonte filosofico e culturale”.

Ricordare tutto, ma proprio tuttotutto è un bene?
Secoli fa Francesco Guicciardini ha scritto: “Più tengono a memoria gli uomini le ingiurie che i benefici”. E poiché ho citato Eco in apertura, lo faccio anche in chiusura. In una Bustina di Minerva di tempo fa scrisse che molte guerre si combattono ancora ricordando offese lontanissime nel tempo e sarebbe stato tanto meglio che su quei ricordi fosse sceso l’oblio a cancellarli.
A quando risale quella Bustina?... Scusate, non lo ricordo.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Joshua Foer
Traduzione di Elisabetta Valdré
Pagine 348, Euro 19.90
L’arte di ricordare tutto
Longanesi


Dentro la letteratura


Diceva Anatole France: “Il buon critico è quello che racconta le avventure della sua anima in mezzo ai capolavori”.
Mi sembra una definizione che può essere un buon ritratto di Enzo Golino di cui, però, riusciamo a intravedere anima e pensieri anche quando non si trova in mezzo a capolavori perché sempre nelle sue pagine è capace di una rara cosa: essere protagonista senza fare il primo attore.
Stile già noto ai lettori dei suoi suoi articoli su L'Espresso, il Corriere della Sera, ll Venerdì, la Repubblica (della quale è uno dei fondatori) e che ritroviamo in due volumi che raccolgono parte dei suoi scritti: Madame Storia & Lady Scrittura e in questo più recente lavoro mandato in libreria da Bompiani: Dentro la letteratura.
La sua indagine fra versi e prose ne fa uno storico della letteratura che ha sempre tenuto presente l’alveo politico in cui scorrono le opere (ricordo, ad esempio, “Letteratura e classi sociali”,1976) e che non a caso lo ha visto quest’anno vincitore del Premio "Francesco De Sanctis" per la critica militante.

Dentro la letteratura raccoglie interviste fatte per il quotidiano Il Giorno fra il 1972 e il 1974; “primi anni” – come scrive in prefazione – “di un decennio che si è rivelato cruciale nella nostra storia”.
Il libro si articola in cinque temi per ognuno dei quali troviamo scrittori che su quell’argomento hanno incardinato larga parte o tutta la loro produzione.
La scuola: Giorgio Bassani, Lalla Romano, Lucio Mastronardi, Domenico Rea.
La natura: Alberto Moravia, Luigi Malerba, Raffaele La Capria, Attilio Bertolucci.
Il lavoro operaio: Carlo Bernari, Romano Bilenchi, Vasco Pratolini, Ottiero Ottieri, Paolo Volponi, Nanni Balestrini.
Lingua e dialetto: Pier Paolo Pasolini, Tullio De Mauro, Carlo Cassola, Ignazio Buttitta, Umberto Eco.
La storia: Franco Fortini, Arrigo Benedetti, Alberto Moravia.

In una nota al testo, con grande rigore professionale, Golino… a proposito, lo sapevate che ha esperienze da cosmonauta sull’Enterprise di Star Trek? Se non ci credete cliccate QUI... riporta le date in cui furono realizzate le interviste e quelle di pubblicazione, inoltre spiega i motivi per cui in alcuni colloqui si riferisce all’interlocutore con il “tu” e ad altri con “lei”.
Un volume che è d’interessante lettura anche per rintracciare nel nostro recente passato tanti guasti di oggi, utilissimo poi a chi lavorando nella scuola, nelle redazioni della carta stampata, delle radiotv, del web, trova in meno di 200 pagine raccolto un materiale prezioso su temi di grandissima attualità.

A Enzo Golino ho rivolto due domande.
Un vecchio tema che mai tramonta: giornalismo e letteratura.
Che cosa li unisce? che cosa li divide?

Il vecchio tema che mai tramonta si potrebbe definire un tormentone, e mi piace scriverlo con la & commerciale - Giornalismo & Letteratura – anche per sottolineare lo scambio materialmente economico che appartiene fin dagli inizi al fenomeno, in tempi più recenti legato alla crescita esponenziale dell'industria editoriale e del mondo della comunicazione. Il giornalismo viene ritenuto un veicolo importante: i libri dei letterati che collaborano regolarmente ai giornali sono maggiormente graditi agli editori che sperano così di incrementare le vendite; e anche i giornalisti che producono romanzi e racconti godono per gli stessi motivi di maggiori attenzioni da parte degli editori. Naturalmente, il discrimine fondamentale sta nella qualità del prodotto sia giornalistico sia letterario. E soprattutto nella necessità che presiede all'esecuzione delle rispettive scritture e che riesce a suscitare nel lettore quel senso di aspettative che ne determina un reale interesse. È una necessità che si traduce in un imperativo morale, esempio altissimo che mi fu trasmesso da Elias Canetti nel luglio 1979 quando ero al Corriere della Sera. L'avevo invitato a scrivere un articolo per ricordare Italo Svevo a cinquant'anni dalla morte. Rispose con molta gentilezza, spiegando il suo rifiuto: “Egregio Signor Golino [...] mi spiace molto di non poter soddisfare il suo desiderio. In effetti, ho la massima ammirazione per Italo Svevo, ma il più vecchio principio della mia vita è quello di scrivere soltanto se ne sento una spontanea, intima costrizione. Ciò significa che io non scrivo mai per determinate occasioni e soprattutto non scrivo articoli, neppure per giornali che io stimo molto e leggo, come il vostro. Sarebbe per me molto difficile ora, a 73 anni, introdurre un altro ritmo nella mia vita. D'altra parte, attualmente sono sprofondato fino al collo in un altro lavoro, che in nessun caso vorrei interrompere. La prego di non volermene per il rifiuto e la saluto molto cordialmente. Suo Elias Canetti”.

Per fare una buona intervista qual è la prima cosa da fare e quale la prima da evitare?

Prima cosa da fare: non essere invasivo.
Prima cosa da evitare: essere invasivo
.

Enzo Golino
Dentro la letteratura
Pagine 192, Euro 9.90
Bompiani


Comizi d'amore

Per sostenere la trasmissione Tv “Comizi d’amore”, ideata e condotta da Michele Santoro, bastano 10 euro.

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Valerio Miroglio


E’ stato pittore e scultore, ci ha lasciato vent’anni fa.
Fra gli altri hanno detto di lui:

Achille Bonito Oliva: L’azione estetica promossa da Miroglio tende concretamente a realizzare per l’uomo uno spazio di accrescimento permanente.

Rossana Bossaglia: Grande la sua capacità di trasferire considerazioni e procedimenti di tipo scientifico in linguaggio artistico.

Ettore Sottsass: “… uomini e terra, dei e cielo: una idea o un’intuizione che Miroglio ha costruito nei suoi quadri restando fermo nella città di Asti, come gli indiani antichi fermi sulle loro pianure magre.

Ecco, ho appena fatto una delle cose che a Valerio Miroglio non sarebbe piaciuta. Lo so. L’ho conosciuto bene. Perché non gli sarebbe piaciuta? Perché amava pochissimo promuoversi, e perché pochissimo credeva nella critica fino a costruire il “Criticometro”, un asse di legno tenuto in verticale sul quale sono inanellati cartigli rotanti con su scritte estratte da articoli di critici d’arti visive, letteratura, musica, che, comunque disposte, lette di séguito formano un perfetto, coerente, discorso adattabile a chiunque. Naturalmente quelle stesse frasi – come affermava Miroglio – potevano essere usate per recensire una fidanzata, un gatto, un piatto di polenta.
Un tipo così in un’Italia degli anni ’50 dentro la Sinistra dove lui sempre è stato presente e fin da allora contestando il realismo socialista (alle sue idee, dopo, sono addivenuti con ritardo a quanto lui sosteneva oltre un quarto di secolo prima) come poteva essere visto? Lo sapete già.
E dopo? Dopo sarebbe stato necessario una massiccia azione presso critici e gallerie rivendicando tutto il lavoro e le polemiche trascorse. Miroglio non lo fece. E l’ha pagata.

E’ stato anche giornalista, e in tale veste, in modo acutamente critico, ha canzonato la lunga fase di transizione italiana dal boom economico alla crisi di ideologie e di economie.
Ora l'associazione dei suoi amici organizza in Asti tre incontri di riflessione e di discussione sul valore dell'esperienza creativa di Valerio; gli incontri sono aperti al pubblico e ad ingresso gratuito.
Il primo appuntamento è per giovedì 13 ottobre ore 18 in via Bonzanigo 16 alla “Cascina del racconto” dove parleranno di lui: Elio Archimede che ricorderà gli anni 50-60 del settimanale “La voce dell'Astigiano”, Paolo Monticone racconterà gli anni dedicati alla crescita della “Nuova Provincia”, Sergio Miravalle ricorderà l'opinionista di “Parola d'artista” su “La stampa”.
Il titolo dell'incontro è: Concepire.
Domenica 16 ottobre alle ore 21 al Circolo “Diavolo rosso” (piazza San Martino 4) saranno gli amici Antonio Catalano, Luciano Nattino, Franco Rabino Luciano Rosso (ma è possibile che se ne aggiungeranno altri) a ricordare la creatività artistica di Miroglio, pittore e scultore, ma anche inventore di forme originali teatrali e radiofoniche.
Questa tornata è stata intitolata: Disegnare.
Infine la Biblioteca Astense (via Goltieri 2) ospiterà domenica 23 ottobre alle ore 18 una riflessione dedicata all'ultima fase della vita di Miroglio, durante la quale alla creatività artistica e alla scrittura giornalistica si è affiancato un ruolo prezioso di proposta politica in particolare sulle politiche culturali.
Questa sessione ha per nome Smascherare.

Ancora una cosa. Poche settimane fa è stata pubblicata su Wikipedia una dettagliata pagina che traccia un suo ritratto.
E’ fatta con grande cura e ve ne consiglio la visione.


L'istinto musicale


Quali sono i meccanismi che ci consentono di dare un senso alla musica e di emozionarci?
A questa domanda risponde un affascinante libro di Philip Ball intitolato L’istinto musicale Come e perché abbiamo la musica dentro pubblicato dalle Edizioni Dedalo.

Philip Ball, chimico e fisico inglese, è noto a livello internazionale come autore di saggi di divulgazione scientifica. È stato a lungo redattore della prestigiosa rivista 'Nature', della quale è tuttora consulente editoriale. Tra le sue numerose opere, in Italia sono state pubblicate “H2O. Una biografia dell’acqua” (2003); “Colore, una biografia” (2004); “Elementi” (2008).
Nelle Edizioni Dedalo: La città del Sole e della Luna.

In questo volume Ball conduce il lettore in un viaggio avvincente attraversando vari territori scientifici e musicali, da Pitagora fino ai più arditi esperimenti dei compositori contemporanei.
A firmare la prefazione è un protagonista della scena musicale italiana, e non solo italiana, il musicista e musicologo: Franco Fabbri di cui ho caro sugli scaffali il suo L'ascolto tabù e, nel lontano dicembre 2004, nella mia taverna spaziale sull’Enterprise mi fu compagno in un viaggio in cui espose parti del suo pensiero musicale.

A lui ho chiesto: in che cosa consiste l’originalità di questo lavoro di Philip Ball?

”L’istinto musicale” è un libro veramente interdisciplinare. Le nostre conoscenze sulla musica sono frammentate in una grande quantità di settori disciplinari, che si occupano della materialità del suono (l’acustica), dell’organizzazione del materiale sonoro nelle varie culture musicali (teoria musicale, etnomusicologia), della percezione (psicologia, scienze cognitive, neuroscienze), del senso e del significato musicale (semiotica), del valore della musica per l’umanità in generale (filosofia), e per le varie culture (etnomusicologia, antropologia), e in particolare per la civiltà occidentale (musicologia storica) e nella modernità (jazz studies, popular music studies, studi su musica e immagine in movimento, studi sui media, sociologia). Di solito i libri sulla musica, anche quelli divulgativi, restano nell’ambito di una disciplina, o di un gruppo ristretto, a partire da generi e repertori: la musica colta, il jazz, la popular music, le musiche “etniche”. Philip Ball ha alle spalle una lunga esperienza (e di successo) come divulgatore scientifico, e al tempo stesso è appassionato di musica, anche come praticante: il libro è dedicato “a tutti quelli con cui ho suonato”. Questa combinazione di attitudini gli permette di guardare al rapporto dell’umanità con la musica in modo globale, non settoriale, pur tenendo presenti (come si fa nel discorso scientifico) i contributi di tutti i rami del sapere. E con il pregio di esporre i risultati più recenti della ricerca, ponendoli il più possibile in relazione tra loro.

Philip Ball
L’istinto musicale
Introduzione di Franco Fabbri
Traduzione di David Santoro
Illustrato in b/n, Pagine 512, Euro 22.00
Edizioni Dedalo


Nelle pieghe del tempo e dello spazio


Al MAGA il calendario del museo presenta fino a novembre 2011 una mostra e un festival strettamente connessi, perché occasione di confronto e incontro con l’internazionalità della cultura artistica contemporanea.
E’ in quest’ottica che trovano origini e ragioni “Performazioni” e la mostra “When the Impossible Happens” a cura di Vittoria Broggini.
A cura del Dipartimento Educativo, per tutta la durata della mostra sarà attivo Focus Point dedicato alla documentazione dell lavoro degli artisti e delle performances svolte durante il festival.
All’interno di questo spazio noto la presenza di Ruggero Maggi, che molto stimo e, non a caso, ne trovate opere con dichiarazioni di poetiche e di tecniche su questo sito cliccando QUI.
A Venezia quest’anno è stato protagonista di una singolare operazione che ha avuto replica poco dopo al Maga (titolo: Nelle pieghe del tempo e dello spazio con una Natura non troppo amica dell’installazione stessa: in foto prima che avversioni meteorologiche le si accanissero contro.
Ruggero, dalla tempesta abbattutasi sull'opera, ne ha colto l’occasione sia per la realizzazione di un clip di videoart – esposto al Focus Point – sia per una riflessione filosofica che trovate in questa videointervista.
Buona visione e buon ascolto.

MAGA
Museo Arte Gallarate
Via De Magri 1
Tel. 0331706011 / Fax 0331706048
info@museomaga.it
Per info e prenotazioni: 02542757
Fino al 13 novembre '11


José e Pilar

Lo scrittore portoghese José de Sousa Saramago (Azinhaga, 16 novembre 1922 – Tías, 18 giugno 2010), premio Nobel per la letteratura nel 1998, è una delle personalità più vivaci dello scenario letterario contemporaneo.
Le sue opere, spesso connotate dall’allegoria, hanno uno stile narrativo ricco di originalità, come, ad esempio, periodi lunghi più di una pagina, un particolare uso della punteggiatura.
Forte il suo impegno anche extraletterario, avversato dal Vaticano per le sue convinzioni atee, ebbe contrasti pure con il governo israeliano.
E’ stato protagonista di polemiche su fatti italiani. Saramago aveva aperto un blog dove scriveva costantemente, mantenendo così il contatto diretto con i suoi lettori. Dalle quelle pagine web contestò Berlusconi. In seguito a tale articolo, la casa editrice Einaudi (Gruppo Mondadori) annunciò che non avrebbe pubblicato la raccolta dei suoi scritti trattil da quel blog denominato ”Il quaderno”. Il libro fu comunque edito in Italia da Bollati Boringhieri.
L'opera di Saramago è pubblicata in Italia da Feltrinelli; per i titoli in catalogo cliccare QUI.

Proprio Feltrinelli nella collana Real Cinema ha ora mandato nelle librerie in dvd un documentario acclamato come il migliore mai realizzato in Portogallo: José e Pilar José Saramago e Pilar del Rio: I giorni del loro amore.
La regìa è di Miguel Gonçalves Mendes.
Prodotto dalla JumpCut e coprodotto dai fratelli Almodóvar e dal regista brasiliano Fernando Mereilles, il documentario mostra la dimensione etica e la vita personale di Saramago nella vita di tutti i giorni, accanto alla moglie, la giornalista e traduttrice Pilar del Río Gonçalves.
Seguendo la coppia durante il processo di scrittura del romanzo “Il viaggio dell’elefante”, dalla prima bozza scritta nella casa di Lanzarote nel 2006 al lancio ufficiale del libro in Brasile nel 2008, il documentario rivela un uomo ancora desideroso di scrivere e cambiare il mondo, pronto al contraddittorio polemico, capace di grandi slanci di affetto, a dimostrazione che genio e semplicità possono andare d’accordo e che, come scriveva lui stesso, “tutto può essere raccontato in altro modo”.
Il risultato sono 240 ore di girato — ridotte a 125 minuti — che mostrano il lato meno noto di uno dei più grandi scrittori del nostro tempo e una commovente storia d’amore. Nel documentario vediamo Saramago durante i momenti della vita domestica con la moglie, come quando assistono alla proiezione del film d'animazione Wall-e. Oppure durante momenti più accesi, come quando discutono di politica. O ancora, durante momenti di intima confessione, come il racconto del primo incontro fra i due: lui, scrittore, lei giornalista, 28 anni più giovane.
La colonna sonora include le opere d’importanti musicisti, come lo spagnolo Alberto Iglesias e la brasiliana Adriana Calcanhotto.
Il cofanetto speciale "José e Pilar - José Saramago e Pilar del Rio: I giorni del loro amore" contiene oltre al documentario un volume di approfondimento con alcuni estratti da “L’ultimo Quaderno”, la raccolta di scritti che il Premio Nobel ha pubblicato sul suo blog l’anno precedente la sua scomparsa, e di diversi articoli a lui dedicati firmati da Giancarlo Depretis, Paolo Flores d'Arcais, Maurizio Maggiani, Roberto Saviano.

José e Pilar
Dvd, Euro 14.90
Feltrinelli Real Cinema


The last capitalist


E’ questo il titolo del nuovo film di Enrico Bernard che sarà presentato oggi a Toronto e il 4 novembre ad Avignone prima di entrare nel circuito internazionale.
Bernard è nato a Roma nel 1955, dal 1990 vive in Svizzera.
Molti suoi testi sono stati rappresentati e tradotti: "Un mostro di nome Lila", "Il giuoco dei sensi", "4everblues", "Benedetta trasgressione", "La voragine", "Cenerentola assassina".
Ha tratto alcuni film dalle sue commedie. Come "Un mostro di nome Lila" (1997) con Arnoldo Foà, "Benedetta trasgressione" nella serie di Tinto Brass "Corti circuiti erotici", "Foreverblues" con Franco Nero e Paola Saluzzi.
Ha diretto "Transfert" un lungometraggio in lingua inglese con Joseph Murray (… ricordate? era il protagonista di "Cats"), Giorgia Massetti e Sonia De Domeneghi.
E' l'ideatore e curatore di una enciclopedia del teatro italiano contemporaneo.
Negli Stati Uniti è uscita una raccolta dei suoi testi teatrali.

Il film – tratto dalla commedia dello stesso Bernard: "Holy money" – si avvale di un cast di Broadway (Martin Kushner, Ava Mihaljevic, Andre Vanmarteen).
Ambientato in Toscana racconta la storia di un magnate americano, smemorato quanto privo di scrupoli, costretto a confrontarsi con una giovane attivista no-global che prima lo irretisce, poi lo rapisce, quindi risolve la situazione con un finale a sorpresa.
"Lo stile di Bernard, tra commedia all'italiana e commedia americana" - hanno scritto di lui - "resta sempre fedele alla sua matrice teatrale. In questo film affronta il problema della crisi del capitalismo con tono leggero e ironico miscelando intrattenimento e autentici momenti di scontro ideologico".

CLIC per altre informazioni.


Semiotica del testo


Di fronte alla parola semiotica più di uno può comprensibilmente intimidirsi perché quel termine è di solito trattato in sussiegosi volumoni accademici che fanno di tutto, riuscendoci, per far ronfare il lettore già a pagina 3.
Questo non accade per Introduzione alla semiotica del testo perché a scriverlo è stato Gianfranco Marrone un saggista capace di coinvolgere chi legge attraverso una comunicativa scattante, facendo capire come filosofia, linguaggio, semiologia, ci vedono coinvolti nella vita di tutti i giorni: mentre guardiamo la tv, mentre siamo allo stadio, passeggiamo, facciamo un acquisto al supermercato, e così via.
Il volume è edito da Laterza.

Un testo non è da vedere come un polveroso e minaccioso tomo, perché, come scrive l’autore, lo è anche “un’immagine, una canzone, un film, un oggetto, un comportamento, una conversazione quotidiana, una cena fra amici, una manovra di seduzione, una campagna pubblicitaria, una città, un progetto di vita”.
Questo suo lavoro è amichevole fin dalla copertina laddove è raffigurato un fantasioso intervento grafico anonimo su un segnale stradale.

Gianfranco Marrone insegna Semiotica nel Corso di laurea in Scienze della comunicazione dell'Università di Palermo. Ha pubblicato fra l'altro: "Stupidità e scrittura" (1990), "Il sistema di Barthes" (1994), "Estetica del telegiornale" (1998), "C'era una volta il telefonino" (1999). È coeditore del reader in due tomi "Semiotica in nuce" (2000-2001). Per la Casa editrice Einaudi ha curato e introdotto i volumi di Roland Barthes, "Scritti"; "Società, testo, comunicazione" (1998); "Sade Fourier Loyola" (2001); "Saggi critic"i (2002).
Ancora per Einaudi ha firmato nel 2001 ”Corpi sociali” e nel 2005 “La cura Ludovico”. Quest’anno ha pubblicato anche Addio alla Natura.
Conduce in rete un suo sito web:CLIC!

A Gianfranco Marrone ho chiesto la principale motivazione che l’ha spinto a questo suo nuovo lavoro.

Ho scritto questa Introduzione alla semiotica del testo perché credo che non ci siano in circolazione, oggi in Italia, libri del genere, che facciano il punto, in meno di 200 pagine, su un enorme lavoro che la semiotica ha fatto negli ultimi 20 anni sulla testualità. Il testo infatti non è più un oggetto della linguistica o della critica letteraria, ma un modello per analizzare qualsiasi fenomeno sociale e culturale. La realtà ci viene restituita piena di senso, e questo perché ha la forma di un testo. Questo non vuol dire che il mondo è un libro, come pensavano i romantici, ma soltanto che possediamo dei metodi validi e condivisibili per interpretare il mondo e, magari, criticarlo e trasformarlo.

Per una scheda sul libro e uno sguardo all’Indice: QUI.

Gianfranco Marrone
Introduzione alla semiotica del testo
Pagine 208, euro 12.00
Laterza


Archivio Maurizio Spatola


Tempo fa in queste pagine web scrissi della lodevole iniziativa di Maurizio Spatola, fratello di Adriano, che da Sestri Levante ha messo in Rete una mole di documenti che testimoniano la storia non solo di Adriano, ma anche di chi in quel movimento espressivo da lui avviato gli fu vicino partecipandovi.

Negli ultimi mesi l’Archivio Maurizio Spatola si è arricchito di novità.
C’è, ad esempio, un raro e prezioso testo sonoro di Adriano che avrebbe raggiunto nel 2010 settant’anni d’età.
Altri documenti riguardano Franco Beltrametti, Gianni Bertini, Arrigo Lora Totino, Vladimir Majakovskij, William Xerra.

Per raggiungere in Rete l’archivio: CLIC!

Archivio Maurizio Spatola
Via Usodimare 11/8,
16039 Sestri Levante (Genova), Italy
Tel. (39) 0185.43583; Mobile 333.3920501


Imbecilli

Diceva Jean Cocteau: “Il dramma della nostra epoca è che la stupidità si è messa a pensare”.
Sarà, ma anche nei secoli passati non scherzavano.
Lo storico Carlo Maria Cipolla affrontò il tema della stupidità umana in un suo libro del 1976, tradotto in italiano nel 1988 con il titolo “Allegro ma non troppo”. Formulò in quelle pagine un’articolata teoria che definiva la stupidità attraverso cinque leggi tra le quali la più terribile e illuminante è la terza: “Una persona è stupida se causa un danno a un'altra persona o ad un gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo un danno”. Né è da trascurare la quinta di quelle leggi: “La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista”.
Di tutto questo, con spirito dotto e birichino, ne dà testimonianza.Alfredo Accatino in un volume esilarante e documentato: Imbecilli Un irresistibile compendio delle frasi più sbagliate e fuori luogo della Storia pubblicato da Salani con la ghiottoneria delle 100 frasi più stupide di tutti i tempi votate dal Web.
L’autore è tra i più noti e premiati creativi italiani, ha firmato alcuni degli show più importanti degli ultimi anni (come le Cerimonie Olimpiche e Paralimpiche di Torino). Scrittore e polemista ha all’attivo numerose pubblicazioni di letteratura umoristica e saggistica. È direttore creativo (nel 2008 è stato eletto miglior direttivo italiano con il Best Event Award) di K-events Filmmaster Group, una società specializzata nell’ideazione e produzione di eventi.
Dice Accatino: "Questo libro raccoglie le frasi che nessuno avrebbe dovuto dire, o anche solo pensare, subito smentite dall’evolversi dei fatti. Le frasi più irrazionali che un essere umano possa pronunciare. Le frasi delle quali ognuno si vergogna quando la sera, al buio, ripensa alla giornata appena conclusa. Declamate, spesso a voce alta – e questa è la cosa più drammatica – da alcuni tipi particolari di imbecilli.... Un coacervo di predizioni errate, stroncature, pregiudizi, bestialità, sfondoni, banalità e luoghi comuni. Una classifica mai tentata prima, ricca di sorprese, che vogliamo oggi condividere con voi. Per scoprire il peggio del peggio del peggio. E ridere, amaro".

Il volume è diviso in quattro parti.
1) Quelli che non avevano capito niente.
Esempio: “Il cavallo resterà, l’auto è passeggera”.
Horace Rackam, avvocato di Henry Ford, 1903

2) Quelli che non erano in grado di capire.
Esempio: Non si riescono a vendere storie di animali negli Stati Uniti”.
Lettera di rifiuto a “La fattoria degli animali” di George Orwell

3) Quelli che avrebbero potuto tacere ma non sono riusciti a farlo.
Esempio: “Ammonite quelle donne di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, picchiatele“.
Il Corano, Sura IV, 34

4) Quelli che non capivano cosa stessero dicendo.
Esempio: “Per la mia carriera devo ringraziare i miei genitori, specialmente mio padre e mia madre”.
Alessandro ‘Spillo’ Altobelli, calciatore

Talvolta la stupidità è tanto alta da suscitare perfino invidia, ma… don’t panic please!... lasciamoci confortare da Ennio Flaiano che diceva: “Ammiro spesso la stupidità degli altri, ma preferisco la mia”.

Il libro si avvale di un suo sito web: CLIC!

Alfredo Accatino
Imbecilli
Pagine 138, Euro 10.00
Salani Editore


La mamma di Psycho

Mentre quasi tutti i film della Mostra cinematografica di Venezia sono nelle sale italiane, un’insidia allunga la sua ombra minacciosa su quelle pellicole rischiando di farle diventare “pizze” in ogni senso: è rappresentato da un gruppo chiamato Spoilerin.com.
Il gruppo è composto di sei personaggi scomposti: Giulia Blasi - Vanessa Carmicino - Emiliano Colasanti - Francesco Farabegoli - Giorgio Palumbo - Matteo Zuffolini.
Firmano un sito web e nel 2008 Rizzoli mandò in libreria un libro che ancora oggi conserva freschezza e godibilità.
Titolo e sottotitolo chiariscono le perverse intenzioni degli autori: La mamma di Psycho è lui con la parrucca come farsi odiare rivelando i finali dei film.

In realtà il volume (raccoglie circa 500 titoli corredandoli con l’anno di produzione) non si limita a rivelare le conclusioni di film gialli, passionali, di avventura, d’impegno politico, ma traccia un sintetico giudizio sull’opera apponendovi anche un voto numerico, voto al finale non al film.
Come tutti i giochi, anche questo gioco contiene cose serissime.
Perché da un lato raggela le febbri che tanti registi e interpreti hanno tentato di trasmettere, e dall’altro è una critica alla critica cinematografica dimostrando come con poche, semplici parole si possano esprimere ragionati giudizi in forma divertente.

Ecco alcuni esempi.

“Braveheart – Cuore impavido” (Mel Gibson, 1995). Mel Gibson perde la testa. Anche nel film.

“Black Dahlia” (Brian de Palma, 2006). L’assassino è la moglie di Emmett Sprague. Anche nel romanzo. Nel romanzo c’è anche il movente

“Donnie Darko” (Richard Kelly, 2001). Non si capisce un cazzo, comunque lui crepa seccato da una turbina di aereo. Milioni di nerd congetturano.

“Splatters – Gli schizzacervelli” (Renny Harlin, 1996). Lui entra dentro sua madre trapassandola da parte a parte. Più edipico di così si muore.

“Le conseguenze dell’amore” (Paolo Sorrentino, 2004). Servillo diventa parte integrante dell’A2.

“L’università dell’odio” (John Singleton, 1995). Michael Nazi Rapaport vuole uccidere Omar Epps, ma si confonde e fa fuori Tyra Banks. Sorge il dubbio se sia un film sull’odio razziale o sulla miopia.

“Neverland” (Marc Foster, 2004). Lei muore, lui scrive Peter Pan.

Concludendo, un libro che attraverso il sorriso (più spesso lo sberleffo) fa riflettere su tanti re nudi e su tanti altri vestiti malissimo.

Spoilerin.com
La mamma di Psycho è lui con la parrucca
Pagine 208, Euro 10.90
Rizzoli


C'era (quasi) una volta

Così si chiama la raccolta di fiabe (o quasi-fiabe) pubblicata dall’Editrice Senzapatria; in foto, il logo.
Il volume – con illustrazioni di Marco D’Aponte – nasce da un’idea di Marino Magliani, cui le fiabe, come dice nell’introduzione, sono mancate da bambino.
Dalla quarta di copertina: I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto”. Così il giovane Leopardi sintetizzava nelle pagine dello Zibaldone la sua nostalgia per l’infanzia, età aurea vivificata da un’immaginazione senza freni. Gli autori di questa raccolta di fiabe hanno voluto, almeno in questa occasione, tornare a guardare il mondo con gli occhi incantati del fanciullo che un tempo sono stati.

Tutti i profitti derivanti dalla vendita saranno devoluti a NutriAid, un’organizzazione umanitaria indipendente, nata nel 1996, con sede nazionale a Torino e sedi locali in varie regioni d’Italia. NutriAid opera in Rwanda, Senegal, Madagascar e Repubblica Democratica del Congo dove “costruisce, ripristina e coordina centri intensivi di lotta contro la malnutrizione infantile severa e cronica, per il trattamento del disequilibrio ponderale nei bambini. Realizza interventi sanitari attraverso la propria unità medico-scientifica inviando equipe mediche specializzate. Attua programmi di sicurezza alimentare operando in partnership con importanti istituzioni internazionali, sostiene le famiglie in progetti di sviluppo agricolo e allevamento per prevenire le ricadute ed emergere dalla fame e dalla povertà”.

Tra gli autori di C’era (quasi) una volta, noto con piacere il nome di Luca Tassinari. “Giovanni, il mago Mortadella e il perfido Molocco”, questo il titolo della sua fiaba. Conduce in Rete Letturalenta un blog (già splendido il suo motto Non scrivere più nulla che non porti alla disperazione ogni genere di gente frettolosa) che da anni seguo con grande interesse.


Alice 2.0

Fondatore dello Humanistic Management, Marco Minghetti è autore di numerosi saggi ed articoli su questo tema, conduce il blog Le Aziende InVisibili, per conto di Nòva24, il settimanale dedicato all’Innovazione e alla Creatività de Il Sole 24.
E’ autore, inoltre, di: L'impresa shakespeariana (con illustrazioni di Milo Manara), ETAS, 2002; Nulla due volte (con Wislawa Szymborska), Libri Scheiwiller 2006; Le Aziende InVisibili (con le illustrazioni di Luigi Serafini), Libri Scheiwiller, 2008.
La sua più recente pubblicazione: La Mente InVisibile.
Ora è impegnato in una nuova esperienza espressiva in corso di realizzazione.
Ha avviato, infatti, un progetto di scrittura collettiva incentrato su Alice in Wonderland come archetipo della postmodernità.
Gli ho chiesto di parlarne.

Il progetto nasce da un’idea che mi accompagna da molto tempo: proporre una lettura “annotata” di Alice nel Paese delle Meraviglie, utilizzando le straordinarie intuizioni di Lewis Carroll per leggere la realtà contemporanea. L'attualità di Alice emerge ad ogni riga che Carroll le ha dedicato e basta pensare alle caratteristiche che la connotano per coglierne immediatamente l’attualità: giovane, donna, mutante, curiosa, avventurosa, coraggiosa, riflessiva, è il vero emblema della trasformazione che ognuno di noi deve affrontare per affrontare le sfide che pone la crisi ormai conclamata del modello economico, sociale, politico, e ancor prima cognitivo e culturale, dominante in Occidente negli ultimi due secoli.
L’obiettivo è sviluppare il tema della "postmodernità" di Alice attivando l'intelligenza collettiva di tutti gli interessati: specialisti di letteratura, sociologi, filosofi, semplici appassionati.
Saranno utilizzate le possibilità del web 2.0 per sottoporre stimoli di riflessione ai membri della Community. Ho già raccolto molto materiale in una prima stesura che implementerò ulteriormente. Grazie ai contributi della Community conto di procedere ad una seconda stesura molto più ricca di quella iniziale, nella convinzione che l'intelligenza collettiva è infinitamente più potente e creativa di quelle delle singole intelligenze che le danno vita. Tengo a sottolineare che questo metodo è già stato usato dallo stesso Carroll. Fra il 1880 e il 1885 pubblicò periodicamente una serie di “nodi” matematici. Carroll invitava il suo pubblico di lettrici a scrivergli per dare le loro risposte ai nodi, e al termine della puntata successiva pubblicava una sintesi delle loro risposte con i suoi commenti (con la risposta esatta). Alla fine pubblicò in volume tutti questi materiali
.

I primi risultati di questa operazione si possono leggere QUI.
Contemporaneamente le stesse note sono pubblicate e raccolte in maniera strutturata anche su una Pagina Facebook dedicata e qua vengono approfondite e discusse dalla Community.
Infine la Pagina è collegata ad un Gruppo Facebook in cui la Community può dibattere il tema più liberamente, anche aggiungendo nuovi filoni di discussione.


FuocoFuochino


In un momento in cui nel mondo della comunicazione è tutta una gara per dimostrare di avere la voce più grossa degli altri, è una squisita eleganza trovare chi definisce la propria casa editrice “la più povera del mondo” come fa Afro Somenzari fondatore a Viadana di FuocoFuochino.
Questo, però, non sorprende chi conosce Afro, artista stimato da nomi quali Enrico Baj e Guido Ceronetti che ne hanno più volte promosso sue mostre e suoi libri; uomo che si sottrae e mai si addiziona, detesta moltiplicarsi e spesso si divide da se stesso.
E “FuocoFuochino” è un’operazione nella quale è riconoscibile il suo segno patafisico perché sembra un’articolazione di scienza editoriale dalle soluzioni immaginarie per la sua caratteristica di pubblicare testi brevissimi in copie pochissime.
Una prima raccolta di questi testi sono stati editi da Corraini, vedi QUI.

Ora due nuovi titoli – accanto a quelli di Roberto Barbolini, Hill Bihto, Gianni Celati, Ugo Nespolo, e altri ancora – sono entrati nel catalogo: “Per sentito dire“ di Lorenza Amadasi e “Non basta camminare” di Paolo Colagrande.
L’Amadasi vanta una pubblicazione in collaborazione con Oliver Sacks per Pulcinoelefante e Paolo Colagrande con il suo libro “Fìdeg” ha vinto nel 2007 il Premio Campiello nella sezione Opera prima.


Il Plart di Napoli (1)


Se a Napoli o dintorni abitate oppure se quella città visitate per turismo, non mancate di fare una visita al Plart; si trova a due passi dalla centrale Piazza Amedeo raggiungibile anche con metropolitana o funicolare.
E’ un Museo dedicato alla plastica vista sotto plurali aspetti: arte, ricerca, tecnologia.
Lo si deve alla trentennale sapienza collezionistica di Maria Pia Incutti (sarà intervista nella parte conclusiva di questo servizio) alla quale sono state dedicate, dagli anni ’90, importanti occasioni espositive nazionali e internazionali.

In foto, forme plastiche in esposizione al Museo

Prima di una presentazione del Plart, dei suoi locali, della sua attività, è opportuna qualche nota sulla parola “plastica” che nel vocabolario corrente soffre ingiustamente di cattiva fama.
E’ usata spesso, infatti, come (improprio) sinonimo di falsità, adulterazione, insensibilità.
Ad esempio, volendo connotare negativamente un partito politico, abbiamo letto che si tratta di “un partito di plastica”. No signori, d’accordo, quel partito è fatto di materiali poco parlamentari, ma certamente non di materie plastiche che hanno una nobile tradizione scientifica, che sono il brillante risultato dell’ingegno umano costituendo un importante capitolo nella storia delle scienze. Dalle prime scoperte di Frederick Schoenbein, di Alexander Parkes, dei fratelli John e Isaiah Hyatt, fino a Giulio Natta insignito del premio Nobel per la chimica nel 1963, in particolare per la realizzazione del polipropilene isotattico; alcuni di quei polimeri furono commercializzati con il nome di Moplen (articoli di plastica) e Meraklon (fibra tessile).
Né la plastica ha esaurito oggi le opportunità offerte al progresso tecnologico, si pensi, ad esempio, allo studio di nuove forme di polimeri per costruire case nello spazio.

Concorre alla cattiva fama della plastica anche un ambientalismo che, partendo da condivisibili riflessioni che rendono necessarie opportune misure di smaltimento e riciclaggio, troppo spesso – anche per colpa di un malaccorto uso dei media – approda a rigori di stampo talebano non suffragati da attendibili tesi scientifiche.

Ha scritto l’architetto e designer italiano Giovanni Klauss Koenig: Se, con una bacchetta magica, si facessero sparire in un istante tutti gli oggetti di plastica che ci circondano e ai quali facciamo attenzione, ci troveremmo ignudi e solitari.
Gli fa eco l’antropologa Paola De Sanctis Ricciardone (nel suo Ultracorpi dedica un massiccio capitolo alle materie plastiche riassumendo sul tema anche le posizioni di semiologi e storici dell’arte: dall’apocalittico Barthes all’entusiasta Argan passando per le meditazioni di Dorfles): La plastica, concepita inizialmente come succedaneo seriale e più efficiente di alcuni elementi naturali quali il ferro, il legno, l’avorio o la seta, ha poi assunto un proprio spessore, assumendo una specifica autonomia estetico-funzionale. Oggi la maggior parte degli oggetti a forte contenuto tecnologico non è pensabile né progettabile senza materie plastiche; ma è soprattutto la vita quotidiana, dagli utensili ai giocattoli, al mobilio, al packaging, che ha subito una rivoluzione epocale modificando in forma quasi “naturalistica” e socialmente trasversale le nostre aspettative estetiche, tecniche, di consumo nei confronti del mondo delle cose e delle merci.

Nel brano riportato sopra si parla pure di “estetica”, infatti, i primi ad accorgersi della portata di quella rivoluzione tecnologica furono gli artisti, si pensi a Depero e Naum Gabo i quali già negli anni ’10 del secolo scorso realizzarono opere interamente in plastica: iniziatori di creazioni ancora oggi praticate .

Per saperne di più sulle materie plastiche e le principali tappe della loro storia si può cliccare QUI e anche QUI.

Entriamo ora nei locali del Plart.


Il Plart di Napoli (2)


Il Plart di Napoli è riconosciuto dalla regione Campania come museo d’interesse pubblico per l’alto valore della sua collezione.
Tra l’altro, in Italia, rappresenta, con il Cannon-Sandretto di Pont Canavese, uno dei due soli luoghi in cui è possibile visitare una collezione di oggetti esclusivamente in plastica.
Il Plant, non è, però, soltanto una museificazione delle materie plastiche nella storia del costume e dell’arte perché – aldilà, come dirò più avanti, di una ricca sezione multimediale interattiva – pratica dinamiche verso l’esterno attraverso laboratori di ricerca, attività didattiche, partecipazioni a Fiere, Premi, Saloni espositivi.
E’ anche attrezzato per ospitare performance di artisti, convegni scientifici, restauri.

La fondatrice Maria Pia Incutti, in circa mille metri quadrati, ha raccolto oltre 1500 pezzi sia di design anonimo e d’uso quotidiano sia opere di noti designer e artisti contemporanei.
Si viene accolti da guide che (senza sovrapprezzo sul costo del biglietto – 8 euro) dopo avervi fatto assistere ad un documentario che sintetizza la storia della plastica dalle origini ai giorni nostri, vi scorteranno illustrando i contenuti delle varie sale sollecitando domande, chiedendo opinioni, sicché le loro esposizioni si sottraggono a quello stanco monologare che, purtroppo, affligge spesso i frequentatori dei musei nelle visite guidate.
Nel Plart è attivo un laboratorio per la caratterizzazione dei materiali polimerici, diretto dal Professore Maurizio Avella del Cnr, dotato di strumentazioni ad alta tecnologia rendendosi così aperto alla collaborazione con le università e i principali centri di ricerca italiani e stranieri.
Circa la didattica, la sua offerta al mondo della scuola si articola in maniera duplice: da un lato organizzando incontri e momenti ludico-ricreativi nei propri spazi, dall’altro portando nelle scuole – con un progetto specifico, chiamato “Il Plart adotta una scuola” – audiovisivi che raccontano la storia della plastica e diffondono i principi da seguire per rendere l’esistenza della plastica stessa rispettosa dell’ambiente.

Imperdibile nella visita è la sezione multimediale.
Qui l’interattività rende il tracciato divertente e adatto a tutte le età.
Dal “Corridoio del Tempo” con bacchette che al vostro passaggio attivano video, alla possibilità offerta ai visitatori che con semplici manovre possono comporre musiche, poesie, fino alla soluzione del quiz proposto dal contenitore “Mister-Bi” (Bi sta per Bioplastica) dove si scoprono i diversi materiali presenti in mostra.
Vi avvierete verso l’uscita camminando in uno speciale prato dove i girasoli si moltiplicano e vi seguono. Un cammino iniziato nel mondo del passato e delle materie proto-plastiche, si conclude salutati con il simbolo di una nuova plastica completamente ecologica.

Per organizzare eventi promozionali e culturali: Antonella Russo, info@plart.it

Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web, c’è L’Ufficio Stampa e Comunicazione ottimamente guidato da Marco Petroni: petronimarco@gmail.com

Segue ora un incontro con la fondatrice del Museo.


Il Plart di Napoli (3)


Maria Pia Incutti, presidente della Fondazione Plart è nata a Salerno.
Imprenditrice, collezionista d’arte moderna e contemporanea. Nel corso di molti anni ha raccolto circa duemila oggetti in plastica di colori, forme, destinazione d’uso più diversi. Un’intuizione che nel tempo ha generato l’attenzione di importanti istituzioni museali internazionali. La collezione, infatti, è stata ospitata a San Paolo del Brasile e in Francia sia Parigi sia a St. Etienne.
Da questi segnali d’interesse nasce la Fondazione Plart cui ha donato tutta la sua collezione. Il Plart è Museo riconosciuto d’interesse regionale in Campania.

A Maria Pia Incutti ho rivolto alcune domande
Quando nasce il Plart, e con quali propositi scientifici ed espressivi?

Il Plart nasce ufficialmente nel gennaio del 2008 ma è frutto di una mia passione "antica" che accompagna tutta la mia vita . Da sempre sono stata attratta dalla plastica, materiale della modernità e non solo. La fondazione Plart nasce con l'intento di promuovere una cultura scientifica legata alle infinite declinazioni dei materiali plastici. Conservazione, restauro e ricerca sostenibile sono le polarità, ovvero i nuclei centrali delle nostre ricerche, che esprimono queste premesse culturali.

Quali, ad oggi, gli obiettivi raggiunti fra quelli che ti sei posta all’apertura del Museo?

La fondazione Plart ha conseguito importanti obiettivi nei suoi primi tre anni di attività ma uno in particolare rappresenta sicuramente quello su cui costruire il futuro, ovvero aver costruito un network di eccellenze internazionali che si occupano di design e ricerca legati ai materiali plastici.

Quali quelli che ti proponi di raggiungere per il prossimo futuro?

Ogni giorno e' il nostro futuro. Sono estremamente soddisfatta del lavoro che quotidianamente sviluppiamo. Operiamo a Napoli ma fortunatamente il nostro lavoro è nel mondo. Abbiamo attivato una rete di scambi con importanti realtà internazionali.

Qual è l’importanza della plastica nelle arti visive contemporanee?

La plastica rappresenta il materiale della modernità, a questo materiale sono legate tante sperimentazioni artistiche della nostra contemporaneità. Perché la plastica è il materiale del presente ma nella sua declinazione ecosostenibile sarà il materiale del nostro futuro.

Plart
Via Martucci 48, Napoli
Info. O81 – 195 65 703


Festival degli Alberi

Con il Recital “Per la Vite” ha preso il via a Frascati domenica 2 ottobre il Festival degli Alberi ramificAzioni nel territorio italiano, un progetto per far parlare gli alberi più rappresentativi del paesaggio, della storia culturale e dell’economia del nostro Paese.
L’avvenimento arboreo-vocale si deve a Marco Solari e Alessandra Vanzi direttori artistici dell’Associazione Temperamenti; due nomi storici (precisazione d’obbligo: l’intervista in link, nonostante larghe parti ancora attuali, è stata realizzata nel novembre 2000) del teatro di ricerca in Italia.
Il tandem, su versi e prose di ieri e di oggi, attraverserà fino al 29 ottobre paesaggi resi sonori anche dalle creazioni musicali di Paolo Modugno.

Cliccare QUI per saperne di più sul progetto e il suo calendario.


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