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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Il caso Lavorini

Il 30 ottobre 2018 il giornalismo italiano ha perso un suo protagonista: Sandro Provvisionato, in foto.
Nato a Milano il 15 gennaio 1951, è stato direttore di Radio Città Futura, capo dei servizi parlamentari e della redazione politica dell’Ansa, inviato speciale e vicecapo della redazione romana del settimanale «L’Europeo», capo della cronaca al Tg5. Per questa testata ha diretto anche la redazione inchieste, è stato conduttore del telegiornale della notte e inviato di guerra (in Kosovo, Libano, Iraq); dal 2000 al 2012, coautore, curatore e conduttore del programma televisivo "Terra!".
Ha fondato e diretto il sito Misteri d'Italia, un archivio storico-giornalistico sulle vicende più oscure dell’Italia repubblicana.
È autore di libri importanti sul caso Moro, la strategia della tensione, i tanti casi italiani irrisolti, tra i quali ricordiamo, con Chiarelettere: «Doveva morire» (2008), «Attentato al papa» (2011), scritti con il giudice Ferdinando Imposimato, e «Complici» con Stefania Limiti (2015).
Cliccare QUI per altri suoi volumi.
L’ultimo suo lavoro è stato consegnato a Chiarelettere poco prima di morire.
Titolo del libro: Il caso Lavorini Il tragico rapimento che sconvolse l’Italia.

Un caso che appassionò morbosamente gli italiani nel 1969.
L’avvenimento dell’anno fu indubbiamente lo sbarco dei primi umani sulla Luna.
E in Italia? Ci fu la scissione dell’ala destra del Psi che si chiamerà Psdi, della frattura nel Pci con il gruppo che fonderà “il Manifesto” dapprima in forma mensile, diventano gruppi importanti Potere Operaio e Lotta Continua, due morti e centinaia di feriti a Battipaglia in scontri con la polizia, è approvato lo Statuto dei Lavoratori, e, infine, a dicembre, la strage di piazza Fontana.
Poi la morte dell’anarchico Pinelli avvenuta in tenebrose circostanze.
Intorno a questi fatti che cosa accade? Debutto di due opere centrali nella storia del teatro italiano contemporaneo: “Mistero buffo” di Dario Fo e l”Orlando furioso” di Luca Ronconi, sugli schermi “La caduta degli dei” di Visconti, Gillo Dorfles pubblica “Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto” che influenzerà nuovi modi di guardare arte e società, la Fiorentina vince lo scudetto, dalle radio provengono le note del primo successo di Lucio Battisti “Acqua azzurra, acqua chiara” e l’affermazione di Nada con “Ma che freddo fa”.

Il 31 gennaio di quel 1969, cinquant’anni fa, il dodicenne Ermanno Lavorini esce di casa, di lui non si saprà più nulla. Scomparso. La sua storia fa il giro del mondo. Ventisette trasmissioni televisive, trecento passaggi radiofonici, ventidue inviati speciali dei principali quotidiani che accorrono a Viareggio, dove si svolgono i fatti.
All’inizio di marzo il corpo di Ermanno è ritrovato privo di vita.
Presidente del Consiglio allora era Mariano Rumor, agli Interni Franco Restivo, Comandante dei Carabinieri Luigi Forlenza, capo della polizia Angelo Vicari.
Il rapimento seguito dalla morte del piccolo Lavorini apre il sipario di una storia fra le più nere della nostra repubblica. Confessioni false, infinite ritrattazioni, veri e propri linciaggi, una storia incredibile che ha messo a nudo i peggiori istinti dell’opinione pubblica trasformandosi in breve in una spietata caccia al mostro.
Il delitto, anche per il luogo dov’è avvenuto – una pineta, luogo noto in città per essere ritrovo di omosessuali – è connotato subito dai media, come “omicidio nato in torbidi ambienti frequentati da pedofili e altri traviati”.
In questa tesi, che si rivelerà un inganno, ci cascano in tanti, anche L’Espresso.
Ancora oggi, i meno giovani che ricordano quel caso, associano quell’omicidio a un delitto a sfondo sessuale.
Scrive Pasolini: «Nel lanciare le loro accuse, gli imputati del caso Lavorini sanno di far piacere all’opinione pubblica, sanno di obbedire a una necessità di odio dell’opinione pubblica». Ben altra era, ed è, la verità. Il rapimento del bambino era stato ideato da un gruppo del Fronte Monarchico viareggino che con i soldi del riscatto intendevano acquistare armi ed esplosivi per fare degli attentati.
Ancora Pasolini: «I giornali sono restati visibilmente delusi quando si è affacciata l’ipotesi che ad ammazzare il bambino di Viareggio non sia stato, come speravano, un bruto; infatti l’opinione pubblica sperava di poter essere soddisfatta in questo suo odio razzistico, che andava dunque drammatizzato».
Provvisionato, con una scrittura scattante, ricostruisce con il ritmo del giallo, ma attraverso una documentazione rigorosa, senza mai abbandonarsi a romanzerie, dove e perché fu concepito quel piano e illustra ai lettori un caso politico che ha rappresentato l’alba della strategia della tensione in Italia.
Con un racconto incalzante descrive i depistaggi, le bugie, le connivenze che nello svolgersi dei fatti provocarono un altro morto, innocente, suicidatosi in carcere travolto dall’infamia delle accuse rivoltegli.
La ricostruzione dei fatti in “Il caso Lavorini” è minuziosa, affidata spesso a verbali d’interrogatori, a dichiarazioni rese alla stampa dai protagonisti, a trascrizioni d'udienze dei vari processi che si tennero.
Ecco un libro prezioso per capire un’Italia lontana che, purtroppo, lontana è solo sul calendario perché quelle pagine dimostrano come i modi per coprire e deviare la verità cui assistiamo oggi non sono cambiati rispetto alle maniere usate ieri.

Dalla presentazione editoriale

«Un dramma che sconvolge l’Italia intera, eppure è solo l’inizio di una ricerca della verità che si trasforma in una caccia al mostro violentissima, travolgendo le vite di tanti innocenti imputati per un presunto delitto sessuale che non è mai esistito. Giudici e forze dell’ordine restano per anni in balia di un manipolo di minorenni e non solo, che sciorinano le versioni più assurde, fanno nomi e cognomi che non c’entrano nulla e vengono tirati dentro un tritacarne giudiziario e mediatico senza precedenti.
Solo dopo anni, la cornice politica del rapimento inizia a emergere: «Il fatto fu preparato durante le riunioni nella sede del Fronte monarchico. Con i soldi del riscatto si dovevano comperare degli esplosivi che sarebbero poi serviti per compiere una serie di attentati». È l’anno di piazza Fontana, la fine dell’innocenza. Forse un filo nero attraversa i fatti, un filo nero che in molti hanno preferito non vedere».
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Sandro Provvisionato
Il caso Lavorini
Pagine 144, Euro 15.00
Chiarelettere


16 marzo 1978

Gli editori Laterza hanno varato mesi fa una collana che esplora 10 date le quali hanno segnato finora la storia italiana.
Il più recente libro pubblicato è intitolato 16 marzo 1978 dedicato al rapimento di Aldo Moro, tragico momento della sempre fragile nostra democrazia da quella data diventata ancora più fragile.
Ne è autore Giovanni Bianconi, giornalista che già da anni si occupa di quel terribile avvenimento.
Inviato speciale del “Corriere della Sera”, per il quale segue le più importanti vicende di cronaca giudiziaria, criminalità, terrorismo e politica della giustizia.
Ha collaborato a soggetti e sceneggiature di fiction e documentari tra cui “Gomorra. La serie” (Sky) e “I mille giorni di mafia capitale” (Raitre).
Per uno sguardo ai libri pubblicati: CLIC.
A “L’assedio. Troppi nemici per Giovanni Falcone” (Einaudi 2017) è stato dato il Premio Estense-Aquila d’oro.

Dalla presentazione editoriale di 16 marzo 1978
«Questo libro è il racconto di ventiquattro ore che hanno cambiato l’Italia. Poche volte nella storia capita che un intero Paese si accorga immediatamente di essere di fronte a uno spartiacque, a un momento da cui si uscirà profondamente diversi. È quello che accade il 16 marzo del 1978, il giorno del rapimento di Aldo Moro ma anche il giorno della fiducia al primo governo che vede il voto favorevole del Partito comunista».

A Giovanni Bianconi ho rivolto alcune domande.
Nello scrivere il suo libro qual è stata la cosa che ha deciso di fare assolutamente per prima e quale la prima assolutamente da evitare?

La prima cosa che ho deciso di fare, per questo come per tutti gli altri libri che mi è capitato di scrivere, è stata una scaletta più precisa possibile dei capitoli. Questo per avere una scansione esatta della struttura narrativa, tanto più necessaria in un libro articolato sulla ricostruzione della giornata. Da lì è nata l’idea di scandire il racconto con il susseguirsi delle ore, individuando in ciascun evento lo spunto per approfondire uno o più aspetti del sequestro Moro.
La cosa da evitare – non solo la prima, ma in ogni momento della scrittura – sono stati i luoghi comuni e gli stereotipi, che nel racconto di una vicenda che occupa le cronache dei giornali, libri e narrazioni di ogni tipo da oltre quarant’anni, sono sempre in agguato.

È possibile che le donne e gli uomini delle Br possano aver fatto da soli quella complessa operazione militare?

Io credo possibile che i militanti delle Br possano aver organizzato quell’operazione militare (non così perfetta, se si pensa alle armi inceppate, i caricatori lasciati a terra e i colpi arrivati fin negli appartamenti affacciati su via Fani). A parte la relativa preparazione dei brigatisti, penso che il loro principale complice sia stato l’effetto sorpresa. Tra le cose da evitare c’è anche l’alimentare ipotesi e sospetti su super-killer professionisti dei quali si è tanto parlato, dal primo momento e ancora oggi, senza che ne sia mai stata dimostrata la presenza.

La cosiddetta linea della fermezza, perché nasce, e, soprattutto, quando nasce?

La linea della fermezza nasce subito, la mattina del 16 marzo, come immediata risposta delle istituzioni e dei due principali partiti che sostenevano il governo appena nato, Dc e Pci. Una parte delle ragioni risiedono ancora nell’impreparazione dello Stato a fronteggiare un attacco terroristico di così alto livello e inaspettato: di fronte a una simile sfida, e all’incapacità di prevederla, la risposta più semplice e rassicurante è arroccarsi e annunciare che con il nemico non si tratta, proprio perché non lo si conosce e non si sa dove può arrivare dopo un attentato che tutti definiscono “incredibile” e “inaudito”. Per la Dc c’è la necessità di dimostrarsi all’altezza della situazione; per il Pci che dopo trent’anni di opposizione si affacciava a responsabilità di governo c’è anche l’esigenza di alzare un muro alla propria sinistra, per non retrocedere dalla legittimazione democratica così faticosamente conquistata.

Alla luce della sua ampia esperienza testimoniata dai suoi plurali scritti sul caso Moro, viste le circostanze, era impossibile salvare la vita dell’onorevole Dc?

Non so dire se era impossibile salvare Moro. Di certo era molto difficile, anche perché con la strage di via Fani e i cadaveri dei cinque uomini della scorta lasciati a terra dalle Br non era affatto semplice instaurate una trattativa con degli assassini che non si erano fatti scrupolo di uccidere cinque agenti dell’ordine per raggiungere il loro obiettivo. Si poteva fare di più sul piano delle indagini, perché come si è visto in seguito i brigatisti non erano dei marziani sbarcati da un altro pianeta né dei fantasmi inafferrabili, bensì militanti provenienti da un’area politica ben precisa non sconosciuta agli investigatori. L’incapacità di agganciarli e trovarli (al contrario di ciò che hanno saputo fare altri, come gli esponenti di Autonomia operaia a cui si rivolse il Psi verso la fine del sequestro) fa parte della generale impreparazione dello Stato a fronteggiare un fenomeno come quello del terrorismo che esisteva già da parecchi anni.

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Giovanni Bianconi
16 marzo 1978
Pagine 240, Euro 18.00
Laterza


Enigmi e dintorni

Tra le sciagure che colpiscono il nostro tempo c’è l’alluvione di romanzi che affoga le librerie. Mentre leggete queste righe, chissà quanti sono alacremente al lavoro su personaggi, trame, dialoghi. Sordi all’ammonimento di Giorgio Manganelli: «Basta che un libro sia un "romanzo" per assumere un connotato losco».
Ma, don’t panic please! per fortuna esistono anche altre pratiche letterarie che risparmiano fatiche alla marchesa che ancora tanti si ostinano a farla uscire alle 5. Esce, ma non sa dove andare, l’età non le permette amanti, le amiche sono morte da tempo… un disastro!
Perché sulla creazione letteraria (dopo i Rabelais, Cervantes, Sterne, Celine e altri, ma non moltissimi) ha invitato a plurali riflessioni il gruppo Oulipo proponendo una ricerca che va oltre l’ispirazione. Delle macchine contemporanee, non è un caso che mi piace il karaoke. Noi crediamo di parlare, ma veniamo parlati.
Ben ha scritto in due righe Brunella Eruli (che guaio averla persa!) richiamandosi a Queneau. Afferna “... il tragico greco che scrive i suoi versi obbedendo a regole che conosce perfettamente è più libero del poeta che scrive quello che gli passa per la testa e che è schiavo di regole che ignora”.

La casa editrice inriga ha pubblicato una maiuscola testimonianza di quelle esplorazioni che della linguistica attraversano con uguale sapienza vette montane e bassifondi metropolitani, titolo Enigmi e dintorni
Ne è autore Raffaele Aragona al quale molto si deve del progresso degli studi e del prosperare in Italia della ludolinguistica, egli stesso non solo studioso e saggista sull’argomento, ma anche compositore e scompositore di parole in versi e in prosa.
Ingegnere, ha insegnato Tecnica delle Costruzioni all’Università di Napoli “Federico II”. Giornalista pubblicista, ideatore e promotore dei convegni di Caprienigma. Autore di “Una voce poco fa. Repertorio di vocaboli omonimi della lingua italiana” (Zanichelli, 1994), ha curato per le Edizioni Scientifiche Italiane, i volumi: “Enigmatica. Per una poietica ludica” (1996), “Le vertigini del labirinto” (2000), “La regola è questa” (2002), “Sillabe di Sibilla” (2004), “Il doppio” (2006), “Illusione e seduzione” (2010), “L’invenzione e la regola” (2012).
Sono anche a sua cura: Antichi indovinelli napoletani (1991), Capri à contrainte (La Conchiglia, 2000), Napoli potenziale (Dante & Descartes, 2007) e il volume “Italo Calvino. Percorsi potenziali” (Manni, 2008).
Il suo “Oplepiana. Dizionario di letteratura potenziale” è pubblicato da Zanichelli (2002).
È tra i fondatori dell’Oplepo Centro e Laboratorio di Ludolinguistica e primo sito in Italia ad occuparsi di questa specialità letteraria in Rete.

Dalla presentazione editoriale.
«Il volume riunisce brevi testi pubblicati settimanalmente su “Il Mattino” di Napoli per una rubrica di enigmistica che contiene una scelta così ampia da esaurire quasi tutte le possibilità di generi e stili. Ogni testo è accompagnato da commenti di carattere storico e illustrativo che testimoniano la crescita negli ultimi decenni dell’interesse per i giochi di parole in generale e per quella che è definita “ludolinguistica”. Tale interesse si deve soprattutto all’opera di divulgatori come Giampaolo Dossena, Stefano Bartezzaghi ed Ennio Peres e di studiosi come Sal Kierkia e Giuseppe Aldo Rossi, nonché di Umberto Eco, che si è spesse volte e con maestrìa affacciato su questo mondo affascinante della parola giocata.
Non è parso da trascurare l’apporto della “letteratura potenziale” dell’Oulipo e dell’Oplepo che – almeno parzialmente – hanno ampliato il campo della ludolinguistica, anche se con modalità e intenti decisamente diversi (più letterari che ludici), e che – francese il primo e italiano il secondo – seguono da decenni quanto instaurato e promosso da Raymond Queneau, Georges Perec e Italo Calvino».

Raffaele Aragona
Enigmi e dintorni
Pagine 326, Euro 24.,00
Edizioni Inriga


Franco Fontana. Sintesi


Il filosofo francese Baudrillard definisce “estasi da Polaroid” quella voglia tutta contemporanea di possedere l’esperienza e la sua oggettivazione. Questo desiderio che assilla (o che delizia) l’uomo d’oggi è, forse, all’origine del nuovo consumo delle immagini che arriva fino alla diffusissima moda del selfie.
Gigliola Foschi, laureata in Filosofia Estetica, critico d'arte e della fotografia, in un’intervista rilasciata a questo sito, al proposito, mi disse: “In verità credo che il grande successo di tutta la fotografia, dalle sue origini ad oggi, sia dovuto al bisogno dell’uomo di trovare uno strumento che gli permetta di “possedere l’esperienza e la sua oggettivazione”. Quando Disdéri, nel lontano 1854, brevettò le sue “photo-carte de visite” ebbe subito plotoni di clienti pronti a mettersi in posa e a travestirsi davanti al suo obiettivo. Se prendiamo la celebre opera di Franco Vaccari, “Esposizione in tempo reale. Lascia una traccia fotografica del tuo passaggio” (Biennale di Venezia, 1972), e la guardiamo da un altro punto di vista, potremmo scoprire che tale progetto ebbe un grande successo – alla fine il muro era pieno delle immagini che i visitatori si erano scattate con il photomatic – perché anticipava i famosi selfie e quel desiderio di far circolare le immagini di sé che oggi viene offerto da Facebook, da Instragram e altri programmi. Il bisogno di condividere le proprie esperienze, di vedersi e di farsi vedere nelle pose più vere, giocose o teatrali, ha infatti radici molto profonde. Si tratta di un’istanza archetipica (connessa con l’inconscio individuale e collettivo) che le nuove tecnologie digitali sollecitano e appagano maggiormente, lasciando ognuno libero di “giocarsela” come meglio crede. In questo caso infatti il digitale ci ha liberato dall’“ingombro” di un fotografo che vede al posto nostro; e non è nemmeno più necessario l’intervento di un artista che ci stimoli e ci inviti”.
La fotografia, al pari di altre arti, ha conosciuto nel suo percorso più recente una fondamentale innovazione tecnologica con l’ingresso delle fotocamere capaci sul piano artistico sia di acquisire immagini in forma digitale consentendo di rielaborarle al computer mediante gli strumenti della computer graphics, sia sul piano della documentazione veloce con cui le nuove tecnologie permettono di tramettere le immagini.
Quando nascono cose nuove c’è sempre uno schieramento che rimpiange il tempo andato e anche nella fotografia è capitato.
Ci sono, però, maestri della fotografia che non disdegnano di praticare con il loro talento le nuove tecniche pur provenendo da precedenti modalità di fotografare il mondo.
Ad esempio, un grande fotografo qual è Franco Fontana fa parte di questi.
Alla Fondazione Modena Arti Visive è in corso una mostra a lui dedicata intitolata Sintesi.
L’esposizione ripercorre oltre sessant’anni di carriera dell’artista nato a Modena nel 1933 e traccia i suoi rapporti con alcuni dei più autorevoli autori della fotografia del Novecento.
Tanti i reportage di quest’artista dell’obiettivo, tante le campagne pubblicitarie condotte, e mi piace ricordare che una delle sue fotografie è quella scelta dal Ministero della Cultura in Francia per rappresentare lo spirito della cultura francese attraverso i tempi.

Nel 1961 in un’intervista diceva: Ho iniziato cinquant'anni fa come fotoamatore e ho continuato per amore della fotografia con il cuore, il pensiero e la passione. Il mio primissimo approccio fu con una macchina presa a noleggio, una Kodak Retina che affittavo nei fine settimana così, per curiosità.
Un mese dopo comprai una Pentax dallo stesso rivenditore, a 5.000 lire al mese
.

Grande fotografo del paesaggio, nel suo libro “Fotografia creativa” scrive: Io faccio così quando fotografo. A volte mi succede di trovare un paesaggio così irresistibile che dimentico tutto il resto. Lascio andare desideri, rancori, aspettative, la fretta. Lascio andare l’idea del passato e quella del futuro e rimango solo io, con la mia macchina e il mio paesaggio. Me ne lascio permeare: io divento il paesaggio e il paesaggio diventa me. Lo vivo. Permetto al paesaggio di riempire il mio vuoto, ne gioisco, e solo allora scatto. Mi piace dire che il paesaggio attraverso di me si fa l’autoritratto.

E sulla fotografia digitale in un’intervista a Franco Pinna: Non amo molto parlare degli apparecchi che uso; non lo ritengo importante; comunque oggi uso la digitale perché offre un'economia e una rapidità di lavoro che mi permette di risparmiare tempo .

L’esposizione è suddivisa in due sezioni.
La prima, curata da Diana Baldon, è allestita nella Sala Grande di Palazzo Santa Margherita e nella Palazzina dei Giardini, la seconda sezione, curata dallo stesso Franco Fontana, è ospitata al MATA – Ex Manifattura Tabacchi.
Per un’estesa illustrazione dell’esposizione: CLIC!

Una sua dichiarazione di tecnica e di poetica in questo video

Ufficio Stampa > Irene Guzman: i.guzman@fmav.org ; +39 . 349 – 12 50 956

Fondazione Modena Arti Visive
Franco Fontana. Sintesi
Infotel: 059 – 20 32 911; 2032940
Fax: 059 – 20 32 932
Fino al 25 agosto ‘19


Aurelia M Gurgur

Pare che tra i motti - non pochi a dire la verità, Andrea Balestri ne documenta 24 - scelti da Gabriele D’Annunzio (sono certo che neppure lui li ricordasse tutti) ci fosse anche Cum lenitate asperitas (= Tratta le difficoltà con dolcezza).
Massima adatta quant’altre mai nell’affrontare la lettura di uno scrittore raffinato e coltissimo qual è V.S.Gaudio che in Rete guida l’altrettanta dotta rivista Uh Magazine.
Il suo più recente testo, intitolato, Aurelia M Gurgur necessita da parte del lettore molta dolcezza perché si troverà di fronte a molte difficoltà.
Gaudio, infatti, scrive usando sia segnacoli sulla pagina che a tratti sembrano richiamarsi alla poesia visiva sia inserendo nel testo parole (ad esempio, albanesi) dispettosamente lontane dai più frequentati vocabolari.
Difficile, quindi, classificare, o, peggio, ridurre a generi, la scrittura di Gaudio che esplora la carne di Aurelia Gurgur ponendosi tra il fotografo porno e il clinico tanatologo, rinserrando la pagina dietro la grata di inusuali tecniche linguistiche.
Tento una definizione non classificatoria chiamando quelle pagine Corpografie… bum! L’ho detta.

A V.S. Gaudio ho rivolto la domanda che segue.
Chi è Aurelia M Gurgur e perché su di lei il poeta scrive?

Mi rendo conto che è sempre più difficile che l’identità che ha prefigurato, con la sua apparizione attorno al “Dok” shqiptaro, che è quindi la “darsena” a Durazzo, e al “Dok” arbëresh, che invece è qui nella Sibaritide, ed è un supermercato, la figura di Aurélia M Gurgur non scoprirà mai, né tantomeno potrà forse mai presupporlo, di essere proprio lei, col nome di Vasile, quella apparizione, con il suo passo e il camminare, prima di quel ferragosto, la patagonica Aurélia Steiner, che è sempre quello, l’attante, il personaggio di Marguerite Duras, che rifaccio e riscrivo, a seconda del porto e della lingua dove mi appare e dove vive o sopravvive, in quell’orbita urbana ed extraurbana, anche, come in questo caso, col doppio meridiano dell’emigrazione e dell’occupazione di un altro territorio.
Semplice: Aurélia M Gurgur, basta dirlo, l’ho svelato anche su “Uh Magazine”, c’è addirittura il cosmogramma della sua apparizione tutta, assoluta, per il poeta, che, nel suo dialetto, è Gaz (pronuncia: “Gàs”; antico shqip: “Gaudio”) e lei, è questo che è Aurélia M Gurgur, l’Aurélia Steiner di Durrës, di Durazzo, e qui è l’Aurélia Steiner di Shen Vasili, e addirittura, come nome originario, è nel paradigma, si fa presto a commutare tutto nell’orbis ( come mondo, nel suo dettaglio, e cerchio, sfera, globo, culo, regione, territorio) di e del Vasilë. Che, lo sappiamo: la |ë| è semimuta, e “Vasilë”, o anche “Basilë”, così va chiamata come è pronunciata qui nel delta del Saraceno, nella Sibaritide.
In più, è l’Aurélia Steiner del “punto e virgola”, l’andatura a punto e virgola, secondo le regole del compendio di Jole Tognelli sulla punteggiatura. Particolare curioso: la cara, compianta Jole Tognelli, che diresse “Galleria” con Mario Petrucciani e Leonardo Sciascia, fu in servizio all’ufficio stampa dell’Accademia di Santa Cecilia e la figura, che con la sua apparizione per Gaudio/Gaz si trasformò in Aurélia M Gurgur, era anche lei in qualche modo connessa alla musica, difatti all’Adriatik di Durazzo il poeta pare che veda apparire la violinista Viktoria Mullova, e il suo naso, senza che, poi, si soffermi, essendo omonimo di Freud, a riportare nel testo le connessioni psicofisiologiche di Fliess tra naso e…vrimë i Vasili! E di questa connessione ne sarebbe stata felice anche la Duras, non fosse altro per quanto, sulla “cavità”(=vrimë), ne scrisse in “La vita materiale” [nel paragrafo “Gli uomini”: “È in quella cavità della vagina che risuona a vuoto nel nostro corpo che siamo toccate dal desiderio(…)].
Però qui aggiungo un particolare morfologico di Aurélia M Gurgur: in uno dei foglietti di appunti [vedi Armando che procedo come Arno Schmidt, che, lui, come affermava, era sì e no per sei-sette lettori, essendo più vasto il bacino di utenza tedesco, e io, che posso farci?, sarei per due-tre lettori, tra Italia, Albania, Montenegro, Kossovo e Macedonia…] sull’apparizione di Vasile annotai che era una “brevi-normolinea mesomorfa” con un c. incredibile. Che equivarrebbe a un tipo morfologico alto tra 160 e 163 centimetri e un peso tra 54 e 59 chilogrammi, qui starebbe la ragione somatica di quel patagonico pondus e della sua allure.
A ‘sto punto, forse potrà accadere che mi farà avere una sua foto, vuoi vedere che mi fa, su Shutterstock o Depositphotos,addirittura un video, omologo al suo passaggio (doppio) attorno al “Dok” di cui si dice nell’UH-BOOK che la riguarda, di 32”?

V.S. Gaudio
Aurélia M Gurgur.
UH-BOOK | I Libri di Uh Magazine | Collezione Aurélia Steiner
Edizione speciale limitata numerata e firmata dall’autore
80 pagine / 15x15
Sip


Non annegare


Ogni libro di Nicla Vassallo è una festa dell’intelligenza, come questo pubblicato dalla casa editrice Mimesis dal titolo Non annegare Meditazioni sulla conoscenza e sull’ignoranza.un piccolo libro che contiene un grande pensiero. Esce nella collana ‘Minima Volti’ diretta da Pierre Dalla Vigna.
Nicla Vassallo, specializzatasi al King’s College di Londra, è Professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università di Genova. Filosofa di successo, è da qualche anno associata all’Isem del Cnr. I suoi interessi di ricerca riguardano il naturalismo filosofico in logica e la teoria della conoscenza ottocenteschi, e le questioni di genere.
Le si riconosce unanimemente il suo impegno sociale e filosofico, specie contro la violenza sulle donne e contro l’omofobia, senza che esso si sia mai trasformato in militanza politica.

Dalla presentazione editoriale
«Il duello sconfinato tra chi aspira a conoscere e chi è ignorante. La massa predilige sempre di più l’ignoranza e se ne vanta beata, pur annegando; gli esseri conoscenti, rari, proseguono in un progresso costante e faticoso, escono dalla caverna platonica e vedono il sole. Con estrema ponderata levità, di questo tratta il volume: di un male che sta dominando e di un bene che si sta prosciugando, sia nel campo quotidiano, nonché umanistico, sia in quello scientifico. Un saggio che si legge d’un fiato, lasciando solo intravedere le tante complessità delle tematiche che vi soggiacciono, nella sfera pubblica e in quella privata, e in quale senso pubblico e privato riescano a intrecciarsi inesorabilmente nel conscio e nell’inconscio».

In questo video il volume è presentato da Massimo Cacciari.

A Nicla Vassallo (qui in una foto di Gianni Ansaldi) ho rivolto alcune domande.

Come si apprende in apertura, “codesto lavoro ha richiesto anni di pensieri, scritture, molteplici riscritture”. Quale la motivazione principale che ti ha spinto a pubblicare adesso quelle pagine? I tempi che viviamo hanno avuto un ruolo in quella decisione?

Certi libri risultano scomodi, e, ormai, la maggior parte degli editori italiani cerca libri accomodanti, che piacciano a un pubblico, ove anche il cosiddetto ‘grande lettore’ si è ormai disperso in una selva oscura. Libri scritti in modo semplice e al contempo accattivante. Lo avverto bene nei romanzi: ormai, se non sono dei classici, ne riesco a leggere pochi. Tra gli scrittori o le scrittrici italiane, che non mancano sul mio comodino, annovero Elisabetta Rasy e Melania Mazzucco: due eccelse scrittrici che non amano il protagonismo e che, al pari di Virginia Woolf, conducono un percorso di costante rinnovamento. Rimanendo sempre in Italia, quanto alla saggistica, la si trova in uno stato disastroso, se non disgustoso. Il pubblico acquista libri o per il nome noto di chi li firma, o per una cattiva retorica contenuta nel libro, o si adegua al libro letto dai più, o, peggio ancora, perché il saggista lo si vede spesso in televisione, e si autopromuove con ogni mezzo che la rete mette da disposizione: da Facebook, a Twitter, a Instagram e via dicendo. Non utilizzo alcuno di questi mezzi. Ho una web page personale che aggiorno raramente e mi si rintraccia su Academia.edu, pure questa raramente aggiornata. Quanto al mio nome sul portale di Treccani, si trova lì per una scelta dell’enciclopedia stessa, che mi associa a nomi quali David Hilbert, Ludwig Wittgenstein, Amartya Sen. Riguardo invece alle mie voci su Wikipedia, in italiano e in inglese, non me curo affatto, dato che non le considero autorevoli. In questa sede, e proprio perché sto chiacchierando con te, mi preme piuttosto sottolineare che editori e lettori hanno dettato la quasi totale scomparsa dell’intellettuale serio, elegante, impegnato, che raggiunge alte vette nella propria professione, prima di potersi concedere all’alta divulgazione. Personalmente, da filosofa, ho scritto parecchi volumi e articoli specialistici. I miei libri di divulgazione non hanno mai fatto ‘l’occhiolino’ al lettore. Sono di professione un’epistemologa, un professore ordinario di Filosofia Teoretica, diventato tale, solo per merito, a poco più di quaranta anni, giovanissima per un ambiente accademico italiano incancrenito, ove tra l’altro regna il machismo. Ciò non mi ha mutata, né trasformata – lungi da me – in un barone, né a cessare di praticare l’etica della convinzione per cedere, imbelle, a quella della convenienza. Anche per ciò, sono stata calpestata. Mi avvio a compiere i cinquanta sei anni. Mi guardo attorno e trovo un enorme vuoto. Non mi sono arresa. Difatti, già da parecchi anni, nonostante sappia, in senso proprio, nuotare bene, mi sento intellettualmente ed emotivamente annegare. Da qui il titolo del volume “Non annegare”, mentre il sottotitolo recita “Meditazioni sulla conoscenza e sull’ignoranza”. Meditazioni, in quanto, adoro Cartesio e la sua capacità di mettersi in discussione. Le sue ‘Meditazioni metafisiche’ constano in poche pagine. Se acquistate il volume completo di ‘Obiezioni e risposte’, si comprende bene chi è un filosofo serio: deve sempre dubitare e mettersi in discussione. Cartesio si rifà a dialoghi socratici: è nel dialogo che l’intellettuale serio trova terreno fertile, non nelle urla o nel dogmatismo o nell’arroganza o nel protagonismo. Da alcuni anni questo terreno è scomparso. Così ho scelto di dare alle stampe, con un editore che si distanzia da altri editori, il mio “Non annegare”, che è in fondo nato dalla mia disperazione, e la disperazione va vissuta, richiede tempo e riscritture per giungere a una buona elaborazione”.

Il disprezzo per la conoscenza è cosa dei nostri tempi oppure è possibile rintracciarne segni anche in altre epoche?

Conoscere risulta faticoso, un processo senza fine, ove il traguardo viene sempre costituito dall’orizzonte. Nei nostri tempi la fatica non viene apprezzata e si ambisce a traguardi alla portata di mano, che conducano al denaro, ben più che alla conoscenza di sé, dell’altro-da-sé e alla conoscenza, che in termini tecnici chiamiamo proposizionale, ovvero al sapere che una proposizione è vera. La storia, e mi riferisco a quella europea, con il termine “Europa” inteso in senso ampio, in senso di trasmissione e crogiuolo culturale, ci mostra che l’ignoranza ha dominato anche nel passato. Nonostante ciò l’intellettuale si è quasi sempre salvato, con le proprie forze. Pure sotto i regimi totalitari, da cui è spesso fuggito. Oggi, invece, la conoscenza viene del tutto disprezzata, e l’intellettuale viene relegato in un ghetto. E ben più facile leggersi una voce di Wikipedia (spesso incompleta e/o colma di fake news) per attestarsi colto: una vera e propria assurdità che conduce alla brutalità (ricordate i famosi versi di Dante?), un’assurdità sottolineata da Aristotele nel primo libro della Metafisica ove risulta ben chiaro che chi non aspira alla conoscenza non è un essere umano. Ecco, ora come ora, mi sento circondata da pochissimi esseri umani e calpestata da troppi esseri disumani”.

Perché oggi è ritenuto disdicevole mostrare cadaveri delle stragi, corpi torturati, stupri ripresi dalle telecamere di sorveglianza, mentre invece una massa notevolissima di private intimità sono esibite senza esitazione o pudore sui nuovi media in un (malinteso) senso di conoscenza e sincerità?

Non so quanto risulti disdicevole quanto tu consideri tale. Tuttavia, convengo con te: assistiamo alla scomparsa quasi integrale dei confini tra la sfera pubblica e quella privata. E la massa (una buona e sana lettura rimane sempre “Massa e potere” di Elias Canetti) adora l’esibizione del privato altrui. In ciò, né in chi (troppi) esibisce, senza remore, il proprio privato, né in chi (sempre troppi) si ciba da cannibale del privato altrui, non si trova alcuna conoscenza, né alcuna sincerità, e meno che mai alcuna modestia.

E allora una domanda classica “Che fare?

Provare disgusto e indignazione. Non sottovalutare mai gli stupidi, come ci ricorda lo storico, nonché professore emerito di Storia Economica a Berkeley, Carlo Cipolla, (e ogni tanto internet ci aiuta a sintetizzare ). Stupidi che oggi abbondano. Creare e trovare piccole comunità ove regna la conoscenza, tra amici e amiche rari e rare, per me, sparsi e sparse per il mondo. Coltivare la propria solitudine, e non adeguarsi mai, non sprofondare nello stagno. Anzi, agire da trasgressori culturali. Trovare buoni ‘allenatori’. Avevo trovato il mio: si chiamava Maria Grazia Cassarà, un editor Feltrinelli, rigoroso, ribelle, colto e favoloso, laureata in logica con Corrado Mangione. È scomparsa pochi anni orsono: ci siamo sentite, quasi ogni sera, fino a quando non è stata sedata. Ora questi editor si sono estinti. Quando scrivo volumi di divulgazione il mio punto di riferimento rimane Grazia. Quando scrivo di filosofia specialistica, invece, penso ai pochi, che frequento, sia filosofi, sia scienziati. E, tra loro, non mancano rari atleti, atlete soprattutto. Del resto, il ginnasio era spazio ove ci si allenava e al contempo dove ci si riuniva per dialogare e fare filosofia. Non a caso, alcune correnti di pensiero di filosofi che hanno lasciato un profondo segno nell’intera umanità, filosofi quale Platone, hanno assunto il nome dai ginnasi: l’accademia di Platone risulta nota quale accademia, e non altro, in quanto trae il suo nome da un ginnasio dedicato ad Academo”.
…………………………..

Nicla Vassallo
Non annegare
Pagine 100, Euro 10.00
Mimesis


Lamberto Pignotti. Controverso


Il 4 gennaio del 1916 la scena del mondo si arricchì di una nuova Associazione chiamata Filosofia in movimento.
Se cliccate su quel link, ne saprete di più.
Ora, la Galleria Contact, in collaborazione con la Fondazione Filiberto e Bianca Menna, presenta una mostra di Lamberto Pignotti intitolata Controverso Arte per fraintenditori
L’iniziativa è parte del progetto “Arte per fraintenditori” realizzato grazie alla partnership con l’Associazione Filosofia in Movimento alla quale ho accennato in apertura.

Pignotti (in foto una sua opera) è reduce da un’ammirata esposizione parigina al Centre Pompidou.
Artista di spicco delle neoavanguardie italiane e padre della Poesia Visiva, sin dagli anni ’60, ha messo in atto una “guerriglia semiologica” a contestazione dei mezzi di comunicazione di massa, con un inconfondibile timbro caustico e divertito.
“Controverso” – che è in corso dal 28 marzo – raccoglie la produzione più recente di Pignotti esponendo una selezione di progetti su carta.
La mostra si inserisce nel contesto di un “work in progress” con una serie d'eventi. L’obiettivo di questa operazione corale è stimolare una riflessione che riguardi il cambiamento di statuto dell’immagine e della comunicazione nella società contemporanea.
Il fraintendimento della realtà diventa un atto di sovversione radicale, una metodologia operativa di pensiero che l’artista utilizza per interrogare il mondo circostante, scrive la curatrice Gaia Bobò nel catalogo, che contiene anche un contributo di Daniela Vasta, testo pubblicato dalle Edizioni Kappabit.

Galleria Contact
Via Urbana 110, Roma
Info: 06 – 9521 5939
contact@kappabit.com
Martedì - Dom 16:30 - 19:30
(su appuntamento)
Fino al 31 maggio 2019


Muri urlanti


Grazie al successo riscosso negli anni precedenti, a Torino è tornata alla ribalta la Biennale Arti Visive Materiali resistenti.
Titolo di questa VII° Edizione: Muri urlanti La fotografia tra memoria e testimonianza
Organizzata dalle associazioni "Arte Totale" e "Il Terzo Occhio photography", la mostra, con il patrocinio della Regione Piemonte, della Città di Torino e della Sezione Anpi di San Mauro e Castiglione Torinese, comprende le opere di 30 fotografi, che hanno partecipato ad un percorso di ricerca costruendo un variegato panorama interpretativo sui "Muri Urlanti" – fisici o metaforici – tema di questo appuntamento che dal 2005 celebra la lotta per la Liberazione attraverso il linguaggio delle arti visive.
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La presentazione della mostra che ne fanno i curatori – Stefano Greco - Emilio Ingenito - Franco Bussolino – è preceduta da parole tratte da “Il libro dell'inquietudine” del grande scrittore portoghese Fernando Pessoa: Se la vita non ci ha dato altro che una cella di reclusione, facciamo in modo di addobbarla, almeno, con le ombre dei nostri sogni, disegni multicolori che scolpiscono il nostro oblio sull'immobile esteriorità dei muri.

Dai concetti che hanno ispirato la mostra ai tre curatori, eccone un estratto
«Il muro rappresenta nella vita di ogni uomo una presenza quotidiana ossessiva e costante, un elemento che unisce e divide. Nel corso della nostra esistenza non c’è giorno in cui non ci confrontiamo con barriere che dobbiamo superare per uscire o per entrare da un luogo a un altro, da una condizione mentale a un’altra (…) Il muro suggerisce anche aspetti rassicuranti, i muri costituiscono la dimora, la fortezza che ci accoglie e protegge dentro la quale viviamo quotidianamente la nostra intimità, il luogo che esorcizza le paure consce e inconsce, delimita ciò che ci appartiene da tutto il resto, protegge dall’ignoto, da tutto ciò che è diverso, incontrollabile, incomprensibile. Ma i muri separano sempre, sia gli uomini che lo spazio differenziando popoli e nazioni, rafforzando pregiudizi e l’incapacità al dialogo e al confronto (…) L’uomo nei secoli ha edificato confini mentali come le Colonne d’Ercole o il labirinto per separare il mondo conosciuto dall’inesplorato e oscuro, la ragione dall’irrazionale imponendo convenzioni e regole morali, codici etici che obbligano e limitano il libero arbitrio. Il desiderio di conoscenza diventa un grave atto di empietà, una sfida agli dei, al conformismo, alle convenzioni e all’ordine che impone un pensiero unico.
Colossali barriere di pietra, mattoni e cemento sono state innalzate nella storia, dalla Muraglia Cinese al Muro di Berlino, opere frutto dell’arroganza del potere, concepite con l’intento di fermare l’avanzata dei popoli, delle culture e delle idee, edificate anche con il dolore e il sangue (…) Questo nuovo progetto espositivo propone ancora una volta una puntuale indagine visiva su un fenomeno socioculturale che caratterizza la nostra epoca. Attraverso la narrazione fotografica 30 autori analizzano e descrivono attraverso il filtro della loro individuale sensibilità le caratteristiche di quei muri interiori ed esteriori che animano la nostra esistenza. Tutte le espressioni creative si confrontano con i grandi ideali e gli eventi della storia, che diventano fonti di ispirazione per qualunque forma di arte. L’arte quale universale strumento di comunicazione e di relazione, incarna in se il principio stesso di libertà, si propone quindi quale straordinario veicolo di idee capace di costruire percorsi di riflessione e di conoscenza. L’arte e la Resistenza si ritrovano quindi in un naturale terreno comune, fatto di passione, ideali e azione, ieri, oggi e sempre straordinarie esperienze di libertà».

Tra i partecipanti a “Muri urlanti” noto il nome di un vecchio amico di questo sito di cui potrete leggere suoi pensieri e vederne alcune opere al prossimo link, si tratta di Claudio Cravero. Il lavoro che espone è intitolato “Le Mur”.
Le sue fotografie sono composte da 21 immagini, una foto singola e un'altra con 20 immagini assemblate. Il tutto sembra provenire da un film francese in b/n intitolato proprio “Le Mur”. Circola voce, però, che alla chiusura dell’esposizione, e solo allora, verremo a conoscenza di un inquietante retroscena di quelle 21 fotografie.

Per il catalogo della mostra con foto, nomi, presentazioni: CLIC!

Muri urlanti
Palazzo Regione Piemonte
Piazza Castello, Torino
Info: 011 - 43 21 308
urp@regione.piemonte.it
Fino al 30 aprile ‘19
Ingresso libero


Carosello... e poi a nanna


“La pubblicità è il commercio dell’anima” amava ripetere il mio amico Marcello Marchesi con il quale ho diviso anni di lavoro a Radiorai; lui di pubblicità se ne intendeva avendo scritto un’infinità di Caroselli inventando slogan che ancora oggi sono usati e alcuni diventati locuzioni popolari spesso pronunciate anche da chi non sa che hanno un autore. Ad esempio, trovatemi uno che non abbia detto almeno una volta “Basta la parola!”: è battuta inventata da Marcello per un purgante, il confetto Falqui.
Mi è piaciuto aprire questa nota ricordando Marchesi perché presento un libro del regista Vito Molinari (Sestri Levante, 1929) che oltre ad avere firmato centinaia di Caroselli, è stato un fondatore della Tv italiana, basti pensare che il 3 gennaio 1954 ne diresse la trasmissione inaugurale. Diventò poi un protagonista del cosiddetto piccolo schermo per cinquant’anni, firmando la regìa di oltre 2000 trasmissioni. Alcune famosissime, da “Un, due, tre” con Tognazzi e Vianello a “L’amico del giaguaro” con Bramieri, Del Frate, Pisu e Corrado, da “La via del successo” con Walter Chiari e Carlo Campanini a “Quelli della domenica” che lancia Villaggio, il duo Cochi - Renato, Montesano, da “Delia Scala Story” a “TuttoGovi”, da “Macario Story” alla Canzonissima del ‘62, con Dario Fo e Franca Rame, che fu soppressa dalla censura.

L’editrice Gammarò ha pubblicato, con prefazione di Maurizio Porro un volume intitolato Carosello… e poi tutti a nanna 1957 – 1977: i vent’anni che hanno cambiato l’Italia di cui Molinari è l’autore.
Il libro è scandito da capitoli ognuno dei quali reca in testa un box in cui sono ricordati, anno per anno, i fatti maggiori accaduti nello spettacolo e anche avvenimenti politici e sociali di rilievo.
Poi sfilano nelle pagine ritratti di attrici e attori della scena italiana coinvolti nei Caroselli, e sono riportati moltissimi gustosi aneddoti riferiti alla lavorazione di quelle scenette che servivano a presentare cordialmente un prodotto, mentre lentamente intorno a Carosello andava configurandosi sempre più massicciamente quanto previsto dal futurista Depero: “L’arte dell’avvenire sarà potentemente pubblicitaria”.
A dirigere Carosello vennero chiamati registi quali i fratelli Taviani, Ermanno Olmi, Gillo Pontecorvo, Giuliano Montaldo, Mauro Bolognini, Claude Lelouch, Richard Leister.
Quella piccola trasmissione, carissima ai bambini e guardata con falsa sufficienza dagli adulti, divenne un fenomeno unico del quale “Le Figaro” dirà: “Carosello è il contributo più originale dato dall’Italia alla storia della televisione“.
Né va trascurato quanto contribuì allo sviluppo dell’allora piccola industria del cartone animato italiano che vedeva al lavoro Pagot, Gavioli, Bozzetto, e tanti altri.
L’Italia, però andava cambiando, come il mondo tutto occidentale andava cambiando, come andava cambiando negli anni ’70 la pubblicità stessa con le città che la indossano sui propri muri in modo sempre più aggressivo. Nel 1974 esce uno splendido libro oggi pressoché introvabile: “pubbliCITTA’ di Lamberto Pignotti che analizza con testi e immagini la trasformazione della società, le sue tendenze. i suoi tic, i suoi tabù.
Carosello è troppo cordiale, troppo innocente per i tempi nuovi.
Nato da un’idea del dirigente Rai Vittorio Cravetto (che inventerà alla radio “Hit Parade”, “Il gambero”, “La corrida”) in onda dal 3 febbraio ’57, chiude il primo gennaio ’77.
La trasmissione pubblicitaria Carosello, è soffocata dalla pubblicità che si evolve.
Kevin Roberts, amministratore delegato della Saatchi & Saatchi, a Cambridge sostiene che i marchi sono in crisi, il brand muore, quello che conta sono gli stili di vita. Il brand era costruito sul concetto di superiorità: macchina più veloce, telefonino più leggero, lana più morbida, eccetera. Ora è il momento del “lovemark” fatto di tre componenti: mistero, sensualità, intimità. È cambiato l’immaginario.
E oggi è cambiato ancora. E' alimentato dallo schermo della tv, del videogioco, del computer, di internet, del videofonino. Sono perplesso dinanzi a chi mostra entusiasmo per tutto ciò, ma decisamente contrario a chi va predicando che quanto accade sia un male.
Siamo nell’era delle psicotecnologie (copyright Derrick de Kerckhove).
“Il futuro” – ha detto – Stephen Hawkins – “per non essere distruttivo ha necessità di ricordare”. Anche per questo siamo grati a questo libro e saremmo anche grati (se ce ne fosse data possibilità) a un’istituzione pubblica o un ente privato che – proprio nell’area della pubblicità – raccogliesse un’impresa culturale qual è l'Archivio Generale Audiovisivo della Pubblicità Italiana, grande archivio storico d'Italia dedicato all'audiovisivo pubblicitario, comprendente circa 100.000 filmati dagli Anni Trenta ad oggi con relativa documentazione (migliaia di documenti d'epoca e centinaia di migliaia di schede tecniche dettagliate) e oltre 1.200 ore di interviste audioregistrate rilasciate nell'ultimo quindicennio da circa 600 addetti ai lavori, tra autori, realizzatori e interpreti.
È un’impresa che dobbiamo a Emmanuel Grossi storico della pubblicità televisiva e cinematografica italiana. Docente del Centro Sperimentale di Cinematografia, fondatore e curatore di quell’Archivio. Scrive per le riviste specializzate "Nocturno" e "Vinile".
Sembra incredibile, ma questo grande tesoro, apprezzato dalla stampa straniera, ancora non ha una sede e quando un’istituzione pubblica o privata gliene offrirà una, sarà sempre tardi. E pensare che una selezione di Carosello trovò ospitalità in una mostra al Museo d’Arte Moderna di New York.

Vito Molinari
Carosello… e poi tutti a nanna
Con documentazione fotografica b/n
Prefazione di Maurizio Porro
Pagine 378, Euro 21.00
Edizioni Gammarò


Il film noir americano

La casa editrice Lindau ha pubblicato nella collana Il grande cinema un intenso saggio intitolato Il film noir americano che di quel genere studia in modo efficacissimo origini e fulgori.
Ne è autore Leonardo Gandini.
Professore di Storia del cinema ed Estetica del cinema all’Università di Modena e Reggio Emilia, ha scritto saggi e monografie sul cinema hollywoodiano sia classico sia contemporaneo, sulla regia cinematografica, sulla rappresentazione della violenza e la questione dell'identità nel cinema degli anni Duemila.
È già presente nel catalogo Lindau con Howard Hawks.Scarface.

Dalla presentazione editoriale.
«L’espressione “film noir” è stata creata dalla critica francese nel secondo dopoguerra, in riferimento a una serie di pellicole hollywoodiane, realizzate in epoca classica, di argomento poliziesco/criminale. Ad accomunarle, diversi elementi di natura stilistica, tematica e narrativa. Con il passare degli anni l’etichetta di «film noir» è stata applicata a una categoria di film sempre più eterogenea, spesso priva delle caratteristiche che avevano originariamente motivato quella definizione.
Per Gandini si tratta dunque di tornare alle origini, per portare alla luce gli aspetti che fanno di un film un «noir» e la riflessione critica che fonda uno dei generi cinematografici più amati».

A Leonardo Gandini ho rivolto alcune domande.

Quando nasce il film noir? E perché proprio negli Stati Uniti?

Il film noir nasce negli anni quaranta, come luogo di convergenza e ibridazione tra una serie di pratiche - scenografiche, fotografiche e narrative - che erano proprie di altri generi hollywoodiani, dall'horror al poliziesco al melodramma.
Nasce negli Stati Uniti perché è qui, a Hollywood, che si dedica maggiore attenzione ai processi di diversificazione e variazione dei generi e delle formule narrative

Quali le caratteristiche che lo differenziano da generi ritenuti simili quale, ad esempio, il poliziesco?

Una sensazione diffusa di onirismo e una maggiore attenzione al tema della colpa e alle figure dei criminali

Esistono debiti verso la letteratura da parte del film noir americano?

Diversi scrittori - da Dashiell Hammett a Raymond Chandler. da James Cain a Cornell Woolrich - offrono al cinema noir un vasto corpus letterario come punto di partenza, in forma di romanzo o di sceneggiatura. Anche se gli adattamenti prendono spesso strade distanti da quelle della letteratura poliziesca a cui attingono

Per quali ragioni ha deciso, nell’affrontare il periodo definito neo noir, di dedicare spazio a Lynch e ai fratelli Coen e non a Tarantino?

Perché sia David Lynch in generale che i fratelli Coen nel film analizzato riprendono il tema dell'onirismo, centrale nel noir classico. E lontano dalla sensibilità di Tarantino

Esco ora dal territorio del noir americano per chiederle: in Europa, dopo quello francese, esiste anche un noir italiano?

Direi di no. Il cinema italiano di genere è semmai caratterizzato dalla produzione di thriller e di horror, come emerge in modo evidente dai film di Dario Argento, Mario Bava e Lucio Fulci.
……………...……………

Leonardo Gandini
Il film noir americano
Pagine 162, Euro 16.00
Lindau


Lettere alla madre


Ho cercato un ritratto della figura della madre tracciato in poche parole. Ho trovato queste due righe di Erica Jong le più convincenti dal mio punto di vista: "Nessuno stato è così simile alla pazzia da un lato, e al divino dall'altro, quanto l'essere incinta. La madre è raddoppiata, poi divisa a metà e mai più sarà intera”.

La madre, una delle figure più complesse nel teatro del mondo: dal mito alla psicoanalisi, dalla letteratura alle arti visive, dal cinema al teatro, dalla musica alla letteratura, la troviamo in una pluralità di condizioni variamente interpretate.
Spesso prevale il sapore del miele, soprattutto nel sottobosco artistico, quindi, è bene non distogliere il palato dal fiele informandoci sul figlicidio.
Qui si scopre, limitandoci a statistiche riguardanti l’Italia dal 2000 al 2015, che la percentuale di madri le quali uccidono i figli è il 59 per cento del totale del figlicidio e il restante 41 per cento è dato da padri (39%) o patrigni (2%).
Nella maggior parte dei casi l’episodio violento si manifesta nel primo anno di vita del bambino.
E quando quel bambino cresce? Solitamente vuol bene alla mamma, ma c’è una parte di birbe che, spiega l’Eures: “Nel 2018, si è registrato un forte aumento dei matricidi. In termini assoluti sono state 23 le madri uccise, pari al 18,9% dei femminicidi familiari, a fronte del 15,2% rilevato nel 2012 e del 12,7% censito nell’intero periodo 2000-2013 (215 matricidi). Ad uccidere sono nel 91,7% dei casi i figli maschi e nell’8,3% le figlie femmine.
Eppure, nonostante queste cifre agghiaccianti, il rapporto madre > figlie/figli resta una costruzione psichica fra le più intense contrassegnate dall’amore.

Ci avviciniamo a un libro che di quel rapporto testimonia ed essendo un prodotto letterario, piove sulla tastiera il ricordo di due autori del nostro tempo. Penso a uno dei testi più violenti, e più scandalosamente belli di Georges Bataille che in “Mia madre” scrive di quel suo turbinoso legame. Penso a Roland Barthes che in “Là dove lei non è” rifiutando la proposta psicanalitica che prescrive l’elaborazione del lutto, decide di convivere con esso in una discesa speleologica nella propria psiche perché elaborare quel lutto significherebbe per lui seppellire ancora una volta, quella creatura di 84 anni da lui amata.

Il libro dove ci hanno portato queste righe è stato pubblicato dalla casa editrice Morellini ed è intitolato Lettere alla madre.
È a cura di Anna di Cagno con la prefazione di Annalisa Monfreda.
Venti fra scrittrici e scrittori (QUI i loro nomi) richiesti di scrivere una lettera alla loro madre rispondono all’invito e compongono così un libro che contiene sentimenti ma si tiene lontano da ogni sentimentalismo.
Di quei nomi, permettetemi di ricordarne il solo che ho conosciuto di persona: Andrea G. Pinketts, recentemente scomparso, negli incontri nostri mai abbiamo parlato dei libri suoi o miei oppure di letteratura, ma solo di birra, rhum e cinema.
Scrive Anna di Cagno: “Scrivere alla madre (non a caso abbiamo tolto l’aggettivo possessivo ‘mia’ di «Lettera a mia madre» di Georges Simenon, che ha ispirato il progetto) significa scrivere della vita, di quella che ci è stata data, di quella che avremmo voluto dare, di quella che ogni autore dà a un personaggio, un’esperienza o un’idea quando la scrive e la consegna al mondo”.
E Annalisa Monfreda: “Scrivere una lettera è quello di cui tutti abbiamo bisogno, a un certo punto. Per fare pace con la madre. Per riconoscerle il diritto di essere stata donna”.

Di tutte le lettere, la frase che è piaciuta di più, l’ha scritta Massimo Laganà: In fondo è una fortuna che tu sia morta. Così ti fermi per un attimo. E magari mi ascolti. Da viva, questa lettera non l’avresti degnata di uno sguardo.

Dalla presentazione editoriale.
«Lettere alla madre è un’antologia epistolare che raccoglie i contributi di alcune tra le voci più interessanti del panorama editoriale italiano tra scrittori e giornalisti. A ispirare la raccolta è Georges Simenon e la sua “Lettera a mia madre”, piccolo capolavoro del creatore del commissario Maigret. Ogni lettera ripercorre in modo intimo e personale la memoria e i ricordi della propria origine; alcune si confrontano con il dolore della perdita, altre con il passato, la nostalgia dell’infanzia e il tempo. Gli autori sono tutti “over 30”, voci mature, colte in quel momento di passaggio tra essere ancora figli e doversi inventare, ogni giorno, genitori».

AA. VV.
Lettere alla madre
A cura di Anna di Cagno
Prefazione di Annalisa Monfreda
Pagine 160, Euro 13.90
Morellini Editore


La morte del poeta (1)

La casa editrice Cronopio ha pubblicato La morte del poeta Potere e storia d’Italia in Pier Paolo Pasolini.

Ne è autore Bruno Moroncini.
Nato a Napoli nel 1946, ha insegnato Filosofia morale, Antropologia filosofica e Psicologia clinica nelle Università di Messina e Salerno. Per Cronopio ha pubblicato: Mondo e senso. Heidegger e Celan (1998); La comunità e l’invenzione (2001); Sull’amore. Jacques Lacan e il Simposio di Platone (2005, II ed. 2010); con Rosanna Petrillo, L’etica del desiderio. Un commentario del seminario sull’etica di Jacques Lacan (2007); Walter Benjamin e la moralità del moderno (2009); Gli amici non si danno del tu (2011); Lacan politico (2014), Perdono giustizia crudeltà. Figure dell’indecostruibile in Jacques Derrida (2016).


Dalla presentazione editoriale.
«Alla fine degli anni sessanta Pasolini scopre di essere affascinato dal potere: ciò che ha sempre combattuto, e che lo ha combattuto a sua volta con discriminazioni, aggressioni e processi, è incistato dentro di lui, condiziona i suoi comportamenti e contamina il suo desiderio di ribellione. Inizia allora da parte di Pasolini una ricerca, che raggiungerà il suo culmine nella stesura di Petrolio, sui meccanismi con i quali il potere si insinua nella psiche dei soggetti. Facendo ricorso alla psicoanalisi freudiana Pasolini individua nell’infanzia l’origine dei vincoli che legano gli individui al potere e nella scissione dell’io il dispositivo psichico che quel vincolo consolida e perpetua. Di qui la valorizzazione del “fantasma masochista” per erodere le basi su cui si riproduce l’ingiusto legame sociale, ma anche l’interrogazione pressante sulla vocazione alla poesia e sul ruolo della letteratura, sulla loro capacità, una volta rinnovate, di contribuire a sciogliere i “vincoli puerili” con il potere, a combatterne il fascino».

Segue ora un incontro con Bruno Moroncini.


La morte del poeta (2)


A Bruno Moroncini, in foto, ho rivolto alcune domande.

Quale la principale motivazione che ha mosso questo tuo lavoro?

Attraverso Pasolini fare una mappatura delle forme del potere e offrire uno scorcio della storia d’Italia della seconda metà del ventesimo secolo. Per il primo aspetto accanto alla descrizione del potere tollerante e permissivo del neocapitalista consumista molto simile alla biopolitica foucaultiana, l’analisi del potere come ‘vincolo puerile’, identificazione primaria del bambino al padre, al capo dell’orda, a Dio, e infine il potere esercitato attraverso la scissione soggettiva. Per il secondo punto il non governo delle classi politiche democristiane, e comuniste dei processi di trasformazione del capitalismo che hanno portato al disastro attuale.

Nel condurre questo saggio qual è stata la cosa che hai deciso assolutamente da fare per prima e quale la prima assolutamente da evitare?

Ricordare a tutti che quella di Pasolini è prima di ogni altra cosa la morte di un poeta e che la morte di un poeta è la morte del mondo. È vero: questo vale per tutti. Quando qualcuno muore, muore anche il suo mondo, e muore il nostro mondo che si incastrava col suo. Ma quando muore un poeta, a morire è il mondo stesso, il mondo come mondo, perché il poeta è colui, che lavorando la lingua, fa emergere il mondo come tale. E nel mondo l’amicizia.
Evitare di impelagarmi negli aspetti giuridico-processuali del caso Pasolini: chi lo ha ucciso, perché, come? Rifare il processo, sfuggire a questo tic tutto italiano per cui, qualunque sia la sentenza, si ricomincia sempre da capo, non si mette mai la parola fine a niente, si è incapaci di oblio.

Perché – come scrivi – rifarsi a Walter Benjamin per capire Pasolini?

Forse, semplicemente, perché Benjamin come Pasolini è un autore che amo, e le persone che si amano si cerca di farle stare insieme anche contro l’evidenza, come i bambini che vogliono ad ogni costo che i loro genitori non si separino anche quando non si sopportano più. Ma non è il caso di Pasolini e Benjamin; intanto molto probabilmente Pasolini ha letto Benjamin: nell’elenco dei libri della sua biblioteca si trovano L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, la raccolta di saggi Avanguardia e rivoluzione e Il dramma barocco tedesco. Poi perché li accomuna l’attenzione verso il passato: lo sguardo di Pasolini verso il mondo contadino o quello del sottoproletariato urbano è simile a quello dell’Angelo della prima delle tesi sulla storia che, incurante del progresso che spira da Paradiso, è rivolto all’indietro verso l’ammasso di macerie umane che si riversa ai suoi piedi. Infine perché entrambi hanno a cuore le creature, ossia gli umani, ma anche gli animali, colti nella loro vulnerabilità, nel loro essere abbandonati e esposti, nel loro dolore originario e immedicabile.

Che cosa ha perso la società italiana con la morte di quel poeta?

Molto, se non tutto. Ma non è tanto a causa della morte quanto del mancato lavoro del lutto per questa morte che l’Italia continua a degradare, a impoverirsi moralmente e a rimpicciolire come comunità storica. L’incessante chiacchiericcio del processo mai finito ai presunti esecutori e mandanti della morte di Pasolini copre il fatto reale che come poeta egli continui ad essere braccato, inseguito e ucciso. Come diceva Moravia durante l’orazione funebre l’unica immagine possibile dell’Italia è quella di ‘Pasolini che fugge a piedi, inseguito da qualche cosa che non ha volto. E non lo è ancora adesso? Non si bracca Pasolini ogni volta che gli si nega la grandezza poetica o gli si rimprovera la sua sessualità o, soprattutto, si continua a stigmatizzare il suo atteggiarsi a vittima mentre dalle sue disavventure ricavava piaceri e privilegi? L’odio verso di lui che si percepisce ancora adesso da parte di gente che non lo ha nemmeno conosciuto è la prova del degrado dell’Italia.
Il mancato lutto per la morte del poeta distrugge l’amicizia che è ciò che fonda e assicura la tenuta delle comunità storiche. L’amicizia come apertura all’altro e consapevolezza che una comunità storica si mantiene in vita solo se capace di aprirsi al diverso, all’altro da sé, a colui che arriva, sia esso l’ospite atteso o quello indesiderato, l’estraneo o il vicino, sempre comunque il prossimo. L’amicizia la fondano i poeti.

……………………………

Bruno Moroncini
La morte del poeta
Pagine 156, Euro 12.00
Cronopio


Manicomio! Manicomio!

Che anno quel 1921!
In Italia, a Livorno, al congresso socialista nasce per scissione il Partito Comunista d’Italia.
Mussolini trasforma i “fasci di combattimento” in Partito Nazionale Fascista.
In Cina, a Shangai, un gruppo con Mao Tse Tung fonda il partito comunista cinese.
Intanto D’Annunzio pubblica una delle sue opere più famose “Il Notturno”, von Stroheim dirige “Femmine folli” e Chaplin “Il monello”, il canadese Banting scopre l’insulina, viene pubblicato il Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein, considerato uno dei testi filosofici più importanti del Novecento.
Succedono tante altre cose, ma vediamo che cosa succede a Roma il 10 maggio di quell’anno.
Sulla città piove forte, ma la vera tempesta si scatenerà in serata al Teatro Valle dove, per la regìa di Dario Niccodemi, debutta l’opera di Pirandello “Sei personaggi in cerca d’autore”. Debutto dall’esito tempestoso, perché molti spettatori contestarono la rappresentazione al grido di "Manicomio! Manicomio!".
Fu importante, per il successivo successo di questo dramma, la terza edizione, del 1925. In essa, l'autore aggiunse una prefazione nella quale chiariva la genesi, gli intenti e le tematiche fondamentali del dramma.
È considerata la prima opera della trilogia del teatro nel teatro, comprendente “Questa sera si recita a soggetto” e “Ciascuno a suo modo”.
Quel lavoro suscitò un vivacissimo dibattito non solo in Italia e anche qualche tentativo d’imitazione.
Chesterton, ad esempio, confidò ad un amico, mentre stava scrivendo nel 1932 “La sorpresa”, che era intenzionato a «superare Pirandello» facendo riferimento a “Sei personaggi in cerca d'autore”, con la tecnica del teatro nel teatro. La vera sorpresa per Chesterton, però, fu che l’opera mai andò in scena.

Ora ci avviciniamo alla vigilia dei cento anni dalla prima di quel capolavoro pirandelliano e al Teatro Valle (lo stesso che ospitò quel contrastato debutto) si terrà una mostra, realizzata dal Teatro di Roma, intitolata Manicomio! Manicomio! come il coro ostile che accolse quell’opera nel secolo scorso.

Estratto dal comunicato stampa.


«Alla viglia dei cento anni (1921-2021) da quella burrascosa prima del 10 maggio del 1921, il teatro propone ai suoi visitatori una mostra per ripercorrere la storia di uno dei testi più emblematici del Novecento, attraverso sei celebri allestimenti che ne hanno segnato il destino. Attorno alla figura del grande drammaturgo siciliano, ai ricordi della prima e delle successive messinscene, si struttura questa mostra che disegna un percorso a tappe scandito dall’alternarsi dei sei allestimenti in un viaggio che dal 1921 arriva ai giorni nostri, fra locandine d’epoca, testi dei più autorevoli critici del tempo e testimonianze lasciate da Pirandello: una mappatura di memorie e riflessioni restituite al pubblico, in sessioni tematiche, con ricostruzioni nello spazio e proiezioni video, oltre che con materiali testuali e fotografici. Sei personaggi per sei allestimenti che ricostruiscono e documentano sei messinscene storiche, per riportare alla luce la “molteplicità della verità” che questo testo ha disseminato lungo tutto il secolo scorso: inaugura sabato 13 aprile (ore 17) la prima sessione dedicata allo storico debutto del 1921 con la compagnia diretta da Dario Niccodemi, in esposizione fino al 21 aprile. Si prosegue con la prima ripresa moderna e filologica di Giorgio De Lullo con la compagnia de “I giovani” nel 1964 (dal 25 al 28 aprile); Pirandello chi?, spettacolo di suggestioni e visioni che Memè Perlini costruì nel 1973 e che fu uno dei manifesti della neoavanguardia romana (dal 2 al 5 maggio); la lettura di Mario Missiroli che sottolinea la differenza tra i Personaggi e gli Attori, vestendoli in abiti settecenteschi pronti a una recita goldoniana (dal 9 al 12 maggio); la versione rigenerativa e straniante di Carlo Cecchi del 2003 (dal 16 al 19 maggio); la ricerca e la messa in prova di In cerca d’autore. Studio sui Sei personaggi di Luca Ronconi con gli allievi dell’Accademia D’Amico nel 2012 (dal 23 maggio al 2 giugno). L’irrompere in teatro dei sei personaggi – con la loro storia di vergogne familiari borghesi che chiedono a un gruppo di attori di dar vita al loro dramma – è rievocata in modo spettacolare in sala e sul palcoscenico del Valle da una vera e propria ricostruzione dei personaggi e del capocomico nell’atto dell’ingresso sulla scena. La suggestione è ricreata e fatta rivivere con manichini posizionati come indicato da Pirandello e vestiti con i costumi della Sartoria Farani, inseriti nel gioco di proiezioni di Ernani Paterra. Una installazione che accompagnerà l’avvicendarsi degli allestimenti per l’intera durata della mostra, a rievocare la forza del testo e della sua storica rottura con la tradizione (...) Inoltre, tre colazioni domenicali – 12, 19, 26 maggio (sempre ore 11) nel Foyer del Teatro Valle – a cura del giornalista e critico teatrale Graziano Graziani, che condurrà delle “interviste impossibili” al fianco di tre scrittori chiamati a conversare ognuno a proprio modo sulle figure dei personaggi».

Dall’Ufficio Stampa del Teatro di Roma apprendo pure che nel corso delle Tre Letture Sceniche (15 aprile, 3 e 14 maggio) al Teatro Torlonia intitolate Focus Bolaño a cura di Pippo Di Marca - lettore in compagnia con Anna Paola Vellaccio - la sera del 3 maggio (ore 20.00) con "Passeggero Bolaño" (La nave dei sei personaggi) si avrà una eco pirandelliana.
Un vascello fantasma che naviga in un mediterraneo spettrale, senza geografia alcuna. Nel quale il fantasma di Bolaño e quello di Pirandello, che non sono neppure certi della loro identità, sembrano incontrarsi e sovrapporsi, mentre verso di loro e contro di loro avanzano sei personaggi altrettanto fantasmatici, con fattezze e posture e modi che ricordano i Sei personaggi, e ingaggiano con i loro presunti autori una “battaglia” piena di interrogativi intorno alla loro identità, non alla propria, di personaggi: «vogliono sapere se sono realmente Bolaño o Pirandello; e se non lo sono, chi sono? chi vorrebbero essere? per chi vorrebbero spacciarsi?».

Ufficio Stampa: Amelia Realino
tel. 06. 684 000 308 – 345.44 65 117
e_mail: ufficiostampa@teatrodiroma.net


Manicomio! Manicomio!
Teatro Valle
Info: 06 - 688 03 794
dal 13 aprile al 2 giugno
…………………………..

Focus Bolaño
Teatro Torlonia
Info: 06 - 44 04 768
13-4 –--- 3 e 14-5


Tecnologie per il potere (1)

La casa editrice Raffaello Cortina ha pubblicato un poderoso saggio che tratta un argomento attualissimo che non può sfuggire alla lettura di chi è interessato a internet e desidera capire in quale maniera ha ridisegnato i rapporti fra noi, la comunicazione politica, il controllo sociale.

Titolo: Tecnologie per il potere Come usare i social network in politica.
Ne è autore Giovanni Ziccardi professore di Informatica giuridica all’Università di Milano, nato a Castelfranco Emilia nel 1969
Fu già ospite di questo sito in un incontro avvenuto nella sezione Enterprise
QUI uno sguardo ai libri che ha scritto.
Nelle edizioni Raffaello Cortina, prima di “Tecnologie per il potere”, ha pubblicato Internet, controllo e libertà (2015); L'odio on line.

Dalla presentazione editoriale.
«Le nuove tecnologie hanno rivoluzionato, è noto, il modo di far politica, disegnando un quadro sicuramente innovativo e, per molti versi, allarmante.
Tra falsi profili, propaganda selvaggia, disinformazione e problemi di sicurezza, la nuova politica digitale riveste oggi un ruolo centrale in ogni Stato.
In questo libro sono affrontati i temi dell’uso spregiudicato dei big data, del “governo tramite gli algoritmi”, della politica smart attraverso l’utilizzo di app e di grandi piattaforme consultive, della profilazione politica di tutti i cittadini, del “giocare sporco” online (diffondendo fake news e attacchi gratuiti agli avversari) e della sicurezza informatica dei dati e delle attività dei politici».

QUI podcast autore.

Segue ora un incontro con Giovanni Ziccardi.


Tecnologie per il potere (2)


A Giovanni Ziccardi ho rivolto alcune domande

Nello scrivere questo libro qual è la cosa che hai deciso assolutamente da fare per prima e quale per prima assolutamente da evitare?

La prima cosa che ho pensato di fare è stata quella di cercare di analizzare la competizione politica in un’ottica tecnologica, partendo da fenomeni quali la profilazione, il micro-targeting, il caso Cambridge Analytica, l’intelligenza artificiale, la blockchain e tanti altri aspetti digitai che, secondo me, hanno radicalmente cambiato l’idea di politica e il modo in cui si presenta oggi la competizione elettorale. Questo è il motivo per cui sono partito dalla Rete, dall’idea di una tecnologia che possa aiutare l’essere umano, per poi passare all’analisi delle campagne di Obama e di quella di Trump che, per la prima volta al mondo, hanno mostrato l’importanza del digitale anche in questo ambito. Volevo evitare, invece, di banalizzare alcuni grandi temi oggi discussi (il pluralismo, il dibattito elettorale, il modo di fare politica) e ho provato a farlo citando soprattutto grandi studiosi quali Stefano Rodotà, Remo Bodei, Roberto Calasso ma anche, ad esempio, i lavori ancora attualissimi su media, giornalismo e diritti di Kapuściński.

Che cosa ha significato l’ingresso dei social network nella comunicazione politica?

Si è trattata di una vera e propria rivoluzione che, al momento, ancora non è stata sfruttata pienamente. Ha cambiato i tempi, i modi, le possibilità di amplificazione del messaggio e la sua persistenza, la viralità dei discorsi, ma anche il rapporto tra privato e pubblico di un politico. Ha demolito l’idea di intermediazione e ha messo in mano a ogni poltiico uno strumento molto più potente dei mezzi di comunicazione tradizionali e, soprattutto, senza filtri. Ha enfatizzato polarizzazione e frammentazione dei discorsi e delle idee. Ha consentito una grande visibilità a tutti ma, anche, ha reso più evidenti punti deboli e limiti del politico stesso.

Perché sei molto critico verso il tipo di uso che fanno i politici italiani dei social network?

Perché a mio avviso le tecnologie non sono sfruttate, oggi, al massimo del loro potenziale. I politici fanno essenzialmente “broadcasting” o propaganda, un discorso unidirezionale che non permette, ad esempio, un dialogo con gli elettori o i potenziali supporter. La tecnologia potrebbe aiutare a (ri)formare una rete dal basso, ad attivare un dialogo ininterrotto, a “testare” sulla propria audience delle scelte politiche. Mi sembra, al contrario, che in Italia molti politici siano ancora legati a un approccio tradizionale al mezzo di comunicazione, e ciò non rende giustizia ai potenziali che la tecnologia offre

Come spieghi la facilità di penetrazione presso tanti utenti della Rete delle cosiddette fake news?

I motivi sono tanti. Il primo è la profilazione, ossia di individuare già con grande precisione soggetti che sono propensi a credere a determinate informazioni anche se false. Il secondo motivo è la grande visibilità e circolazione di simili notizie sui social network, che utilizzano al meglio la capacità virale dei social per diffondersi rapidamente e su larga scala. Infine c’è un problema di mancanza di pluralismo di informazione, per cui in molti contesti la fake news non è soggetta a un dibattito specifico volto a contestarne la veridicità ma rimane “incontestata”. Questo perché richiede molto più tempo fare un accurato controllo, o fact-checking che dir si voglia, rispetto a una diffusione di notizie false. Ricordiamoci, poi, che molte notizie sono fatte circolare anche per attirare attenzione, consensi e profitti. Vi sono, in altre parole, precise strategie di profitto alle spalle.

Abbiamo qualche speranza di sfuggire nel prossimo futuro a un controllo sociale orwelliano?

La situazione, oggi, è molto particolare. Più che un controllo di tipo orwelliano, dal centro, vedo più preoccupante un controllo di tipo kafkiano, labirintico, dove perdiamo il controllo dei nostri dati, quelli che condividiamo ogni giorno sui social network. Si pensi al caso di Cambridge Analytica, o al trasferimento costante di dati tra società commerciali e organizzazioni politiche e l’impossibilità, per gli utenti, di tenere traccia del percorso dei propri dati. A ciò si aggiunga il fatto che molti utenti sono ben lieti di diffondere ed esibire i propri dati in cambio di servizi apparentemente gratuiti. Ciò comporta un controllo diffuso che è molto più pericoloso del tradizionale Big Brother di Orwell.
……………………………….

Giovanni Ziccardi
Tecnologie per il potere
Pagine 254, Euro 16.00
Raffaello Cortina Editore


La mente liquida (1)

La casa editrice Dedalo ha pubblicato un saggio assai interessante intitolato La mente liquida Come le macchine condizionano, modificano o potenziano il cervello

L’autore è Paolo Gallina.
Nato a Castelfranco Veneto nel 1971, è docente di robotica e interazione uomo-macchina all'Università di Trieste. Ha sospeso per due anni la sua attività per vivere in una piccola missione del Sudan e costruire una scuola professionale per i ragazzi del posto.
Ha pubblicato La formula della felicità (Mondadori, 2011).
Nel catalogo Dedalo: L'anima delle macchine (2016), con il quale ha vinto il premio internazionale Galileo; Un robot per amico (2018).
Ha creato, in collaborazione con Lorenzo Scalera, Busker, un robot-pittore.
Busker partendo da un'immagine digitale, la rielabora attraverso una serie di algoritmi.

Dalla presentazione editoriale.

«Grazie alla neuroplasticità, ogni volta che interagiamo con l’ambiente e con le macchine, i nostri neuroni mutano: si potenziano o si atrofizzano, attivano nuove connessioni o interrompono quelle già esistenti. La struttura del cervello è simile a una materia liquida e viscosa, capace di riplasmarsi. Dato che oggi molti stimoli ambientali provengono dalle tecnologie, che riescono a incastonarsi nelle nostre abitudini quotidiane, il rapporto tra mente e macchine diventa fondamentale.
Quando utilizziamo un sistema digitale o un utensile “intelligente” ne subiamo l’azione. Ciò non è necessariamente un male, ma è indispensabile analizzare il fenomeno con un approccio multidisciplinare, che tenga conto degli aspetti tecnologici, psicologici e sociologici. Ad esempio, le macchine anti-edonistiche – sviluppate con il fine di delegare la forza di volontà alla tecnologia – stanno cambiando radicalmente l’essenza della nostra umanità. Calcolatrici e navigatori satellitari provocano la fossilizzazione cognitiva della mente. La digitalizzazione dei rapporti sociali ci fa innamorare con modalità imprevedibili. Macchine che stimolano in maniera incoerente la vista e il tatto possono potenziare le capacità sensoriali. Le modalità di condizionamento sono molte e variegate e di alcune abbiamo poca consapevolezza malgrado la loro diffusione.
Forte di un’attiva ricerca nel settore della robotica e dell’intelligenza artificiale, Paolo Gallina mescola con equilibrio e ironia risultati scientifici ed esperienze quotidiane, facendoci comprendere i meccanismi consci e inconsci con cui la mente si fa condizionare, aiutare o persino “violentare” dalle macchine».

In che modo le macchine condizionano o potenziano la nostra mente? Come si modificano i nostri neuroni e le loro connessioni quando siamo immersi in un ambiente digitale?
Per rispondere a queste e altre domande, segue ora un incontro con l’autore del libro “La mente liquida”: Paolo Gallina.


La mente liquida (2)


A Paolo Gallina, in foto, ho rivolto alcune domande.

Che cosa si propone il libro “La mente liquida”?

Il saggio pone in luce alcuni aspetti del rapporto tra l'uomo e le macchine che sono poco noti. Spesso si è portati a credere che le tecnologie siano strumenti inerti a servizio dell'uomo. Non è così. Ogni volta che usiamo una macchina la nostra mente si modifica, anche biologicamente. Le macchine hanno perciò la capacità di condizionare la mente, a volte in bene, altre in male.

In un colloquio che avemmo quando uscì l’altro tuo volume “L’anima delle macchine”, ti chiesi a quale corrente della filosofia della mente ti dicevi meno lontano e rispondesti che probabilmente il tuo pensiero poteva accostarsi al riduzionismo.
Anche “La mente liquida” ne è una testimonianza? Se sì, perché
?

Certo, e a maggior ragione. "La mente liquida" traccia in profondità i meccanismi con cui la mente - e il suo corrispettivo cerebrale: il cervello - si modifica a seguito degli stimoli che derivano dalle macchine e dall'ambiente. La mente perciò viene assimilata ad un elemento hardware che implementa ragionamenti, percezioni e sentimenti. Le scienze neuronali hanno inevitabilmente indirizzato gli scienziati - e io con loro - verso la percezione meccanicistica della nostra essenza.

Com’è possibile che noi umani veniamo modificati da macchine che noi stessi umani abbiamo creato?

È la plasticità neuronale a fornire la risposta. Il cervello dell'uomo è dotato di una flessibilità incredibile. Per adattarsi a nuove situazioni, il cervello dell'uomo subisce progressive modificazioni. Si riprogramma - per mutuare un'espressione che deriva dall'ambiente informatico - in maniera tale da diventare sempre più efficiente. Ciò avviene anche con le macchine.

Nell’agire Busker hai notato se sono sorte in te domande che non avevi previsto di rivolgerti?

Busker robot è un robot che dipinge, una macchina che ha l'obiettivo di creare opere figurative caratterizzate da un elevato contenuto estetico. Nel corso della sua realizzazione io e il mio team abbiamo dovuto attingere ad aspetti di percezione psicologica. Abbiamo dovuto porci le classiche domande della filosofia estetica: cos'è il bello? Ha un valore assoluto? Può essere riprodotto. Insomma, Busker è un progetto che combina robotica con neuroestetica.

ll libro si chiude con riflessioni su ciò che è ritenuto naturale o innaturale.
La cosa riporta al noto dibattito Natura<>Cultura.
Quel contrasto in che cosa è cambiato rispetto a secoli fa
?

La disputa su cosa è naturale e cosa no è nata quando l'uomo ha iniziato a modificare pesantemente l'ambiente e sé stesso, soprattutto a causa della tecnologia. Credo che oggi l'uomo abbia una maggior consapevolezza del fatto che sia difficile e inutile tracciare un confine netto e assoluto. Quel confine esiste, è determinato dal sentire comune, ma si sposta negli anni.
………………………….
Paolo Gallina
La mente liquida
Pagine 256, Euro 14.88
Dedalo


Alfabeta compie gli anni

Alfabeta, nata come creatura di cellulosa, oggi è creatura di pixel.
La nascita avvenne nel 1979, perciò ha quarant’anni.
La sua storia si può leggerla QUI.
alfabeta2 presenta sui monitor dove giunge agli abbonati, vivaci interventi che sono profondi ma senza praticare la cultura come noia così come accade a tante pagine culturali di giornali e periodici.
Argomenti di attualità che vanno dalla letteratura al cinema, dalle arti visive al teatro, a tante riflessioni sulla società senza felicità in cui viviamo.

Comitato storico: Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Gino Di Maggio, Pier Aldo Rovatti

Comitato di indirizzo: Franco Berardi Bifo, Paolo Bertetto, Achille Bonito Oliva, Alberto Capatti, Furio Colombo, Lelio Demichelis, Michele Emmer, Paolo Fabbri, Mario Gamba, Manuela Gandini, Angelo Guglielmi, Andrea Inglese, Giorgio Mascitelli, Letizia Paolozzi, Valentina Valentini, G.B. Zorzoli
Progetto grafico della rivista: Fayçal Zaouali
Progetto web: Jan Reister

Merito particolare alla redazione che lavora per offrire prelibate letture: Nanni Balestrini, Maria Teresa Carbone (coordinamento), Andrea Cortellessa.


Intanto è in arrivo nelle librerie il nuovo titolo (cui Cosmotaxi prossimamente dedicherà uno spazio) della collana Alfabeta, Stare al gioco, a cura di Antonella Sbrilli e Marco Dotti, e si preparano altre iniziative per il quarantennale della rivista.
Si può (e si deve, aggiungo io) sostenere il lavoro di questa pubblicazione.
Ci sono due modi:

- iscrivendosi (o rinnovando l'iscrizione annuale) all'associazione Alfabeta2

- effettuando libere donazioni grazie all'apposito bottone visibile in ogni pagina del sito.

alfabeta2
Indirizzo redazione: redazione@alfabeta2.it
Redazione alfabeta2: piazza Regina Margherita 27, 00193 Roma
Editore: Associazione Culturale Alfabeta Via Tadino 26, 20124 Milano.


Daniela Comani 1 e 2


Patrocinato dall’Università di Roma La Sapienza (Dipartimento Storia Antropologia Arte Spettacolo), National Geographic, Festival delle Scienze, Auditorium Parco della Musica Roma, si avranno due momenti delle creazioni di un’artista italiana che dalla fine degli anni ’80 lavora in Germania: Daniela Comani.
Il primo momento è intitolato Planet Earth: 21st Century ed è a cura di Antonella Sbrilli e Maria Grazia Tolomeo, un tandem che è già stato protagonista di una delle mostre più belle viste a Roma nei più recenti anni: Dall'oggi al domani.
Al link qui sopra troverete anche i tratti biografici essenziali delle due curatrici.

L’origine di “Planet Earth: 21st Century” è il materiale visivo proveniente da Apple Maps e in parte da Google Earth Virtual Reality, due applicazioni che – rielaborando fotografia aerea e immagini satellitari con software per rendering 3D – consentono di sorvolare città e muoversi intorno agli edifici in visione tridimensionale.
Utilizzando queste applicazioni, Daniela Comani ha attraversato virtualmente decine di città, catturato immagini di monumenti, edifici e strade, rielaborate e rese in bianco e nero.
Risultato di questi viaggi sono 360 cartoline con vedute urbane, prive di presenza umana e rappresentative di luoghi sparsi sull’intero pianeta.
Grazie a queste tecnologie, le città diventano esplorabili virtualmente senza limiti e le cartoline stampate nel formato tradizionale riportano la memoria degli spazi reali.
Presentate nei classici espositori girevoli da chiosco, le cartoline possono essere prelevate dai visitatori, con l’invito a spedirle via posta ordinaria.
L’installazione è attiva nel Foyer Petrassi dell’Auditorium per tutta la durata del National Geographic Festival delle Scienze (8-14 aprile 2019).
Con Planet Earth. 21s Century, l’artista rimette in scena il mondo nell’epoca definita Antropocene, concentrandosi sull’interazione fra la percezione umana del pianeta, i paesaggi urbani e la tecnologia del XXI secolo.
Il progetto include anche la pubblicazione di un Atlas, un libro d’artista pubblicato con il supporto del Dipartimento per gli Affari culturali di Berlino (upcoming).
Ha scritto Antonella Sbrilli: «Ci voleva un’artista residente a Berlino – e proveniente da un’altra città che inizia con la B, Bologna – per portare nel nuovo millennio l’immagine della città, le immagini delle città. Quelle Städtebilder che un nativo berlinese, Walter Benjamin, aveva descritto seguendo i labirinti delle strade, gli spiazzi fra i blocchi degli edifici, i monumenti, le colonne che si levano sulle piazze “come la data sul blocco di un calendario”.
Ci voleva un’artista che… (segue QUI).

Aperto da lunedì 8 a domenica 14 aprile 2019.
dalle ore 11 alle 20 durante la settimana e dalle ore 10 alle 20 la domenica e i festivi.
Durante il National Geographic Festival delle Scienze

A fare da sonora corrispondenza a quella riflessione sullo spazio, Comani, presenta – a cura di Anna Cestelli Guidi – nel Sound Corner dello stesso Auditorium: Sono stata io Diario 1900 – 1999, storia del XX secolo, raccontata in forma di diario, in cui l’intero periodo storico è condensato in un anno virtuale.
Si tratta di episodi accaduti realmente nel secolo ventesimo. L’io narrante assume alternativamente il ruolo della vittima e quello dell’artefice, identificandosi come autore/autrice – impossibile – di fatti che hanno segnato un secolo intero.
Gli anni relativi ai giorni sono consultabili nella cronologia in appendice.
Oltre a questa installazione sonora, il progetto “Sono stata io. Diario 1900-1999” è stato realizzato nel corso degli anni anche come libro e come stampa digitale di grandi dimensioni a parete.

Auditorium Parco della Musica
Informazioni: 06 – 80 24 12 81
Via Pietro de Coubertin 30
Roma


Cartelli d'Italia

È possibile divertirsi moltissimo leggendo un libro, e, al contempo, fare del bene a chi ne ha bisogno?
Si, è possibile.
Lo dobbiamo a Cristiano Militello e alla casa editrice Baldini + Castoldi che pubblicando Cartelli d’Italia (Presa in) Giro d’italia in 1000 cartelli) sono riusciti in quell’impresa.
Militello (QUI la sua bio), bravissimo cabarettista, noto in tv con “Striscia la notizia”, come sanno chi lo ha visto è uno scopritore di cartelli surreali realmente esistenti, scrutatore d’accostamenti incredibili di cognomi sui citofoni e pescatore di altre perle.
Il libro, di cui ho prima indicato il titolo, è stato realizzato grazie all’apporto delle migliaia di “reporter per caso” che continuano a spedirgli le loro incredibili rilevazioni. Essendo dunque un libro fatto “in cooperativa” – e sperando di fare cosa gradita ai suoi “soci” – Militello ha deciso di devolvere i proventi della vendita del volume alla Fondazione Together To Go che cura gratuitamente cento bambini con patologie neurologiche complesse.

Anche se siete incazzati neri, come non cedere alle risate leggendo titoli di giornali quali “Senza biglietto picchia lo stesso capotreno sia all’andata sia al ritorno”, oppure due titoli sciaguratamente vicini: in maiuscolo “Profughe nigeriane costrette a prostituirsi” seguito in minuscolo da “S. Giuseppe in festa”.
Indicazioni che sembrano improbabili: “Carrozzeria Bozzo” oppure “Autoscuola Panico”.
All’estero è possibile trovare, ad esempio a Madrid, la libreria “La casa de la Troya”, a Rotterdam il ristorante cinese “Min – Kia”, e in Croazia la birra “Pipi”.
Grafia malmenata su scritte murali: “Mi ai deluso”, con un commento:"mai quanto hai deluso la prof d’italiano".
Cognomi sui citofoni in fatali cheek to cheek: “Lo Porto” e sotto “Alletto”; “Ritrovato” e sotto “Buco”, ma ce ne sono altri più violentemente illuminati a luci rosse.
Altre ancora perdono d’efficacia se descritte perché la fotografia sintetizza nel colpo d’attimo dello sguardo significato e significante.
“Cartelli d’Italia”, infatti, si presta a rimandi alla semiologia e ai meccanismi del riso, roba tosta da studiare senza illudersi di trovare definizioni invincibili, tanto da far dire a Enrique Jardiel Poncela: “Definire l’umorismo è come pretendere di trafiggere una farfalla adoperando quale spillo un palo telegrafico”.
Verissimo. Eppure la risata più irrefrenabile prorompe – come accade in questo libro – dall’umorismo involontario, quello dovuto al goffo capitombolo di una scritta o un’immagine che voleva essere serissima.
Umberto Eco ha scritto: “I più grandi pensatori sono scivolati sul comico. Sono riusciti a definire il pensiero, l’essere, Dio, ma non perché un tale che scende le scale e ruzzola ci fa morire dal ridere”.

Dalla presentazione editoriale.
«Certo, in tv “Striscia lo striscione” resta il suo marchio di fabbrica, ma da anni – oltre alla rubrica cult del lunedì sera – Cristiano Militello cura anche la sua gemella naturale: “Striscia il cartellone”. Una travolgente gallery di scritte folgoranti, cartelli assurdi, avvisi strampalati, insegne buffe, cognomi improbabili.
Non solo. Tutti i giorni, dalle 7 alle 9, l’artista dà la sveglia agli italiani ai microfoni di radio R101 con “La banda di R101”. Così, quotidianamente – poco dopo le 8 – fa vivere i “Cartelli d’Italia” anche in radio».

Cristiano Militello
Cartelli d’italia
Con 1000 foto
Pagine: 384, Euro 17.00
Baldini+Castoldi


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