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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

La felicità in bicicletta


Gli aforismi sull’infelicità superano per numero quelli sulla felicità, forse perché è più semplice raggiugere quel buio stato d’animo che non quello luminoso. Forse perché le occasioni aspre della vita sono più numerose di quelle dolci. Forse perché in tanti non sanno riconoscere i momenti felici e, come diceva il giurista James E. Starrs “… viaggiano in una carrozza sulle ruote dell’afflizione mentre basta un giro in bicicletta per fuggire dalla tristezza”.
Proviamo allora a cambiare mezzo di locomozione? Via dalle ruote di quella triste carrozza e scegliamo allora le due ruote, non quelle fracassone della moto ma quelle che muovono la più discreta bici.
Ci incoraggia a farlo la casa editrice il Mulino che ha pubblicato La felicità in bicicletta.
L’autore è Stefano Pivato.
Ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Trieste e di Urbino e collabora con il Dipartimento di storia dell’Università di San Marino. Per il Mulino ha tra l’altro pubblicato: «Il secolo del rumore» (2011), «I comunisti mangiano i bambini» (2013), «Favole e politica» (2015), «I comunisti sulla Luna» (con Marco Pivato, 2017), «Storia sociale della bicicletta» (2019), «Storia dello sport in Italia» (con P. Dietschy, 2019).

Pivato ha scritto un libro che credo sia fra i più esaustivi intorno al tema bicicletta.
Ne ha esplorato tanti aspetti: da quelli psicologici a quelli sociologici dal rapporto con le varie età attraversate: da quella antica con la bici dall’enorme ruota anteriore alle aerodinamiche forme odierne, dalla letteratura allo sport fino a concludere il saggio con un «Post scriptum»: intitolato “La bicicletta è di destra o di sinistra”?
Tra i mezzi di trasporto, la bicicletta ha molte rappresentazioni in plurali aree artistiche. Bici e ciclisti li troviamo nelle arti visive e nella letteratura, nel cinema e nella musica.
A partire dalla “Ruota di bicicletta” di Duchamp, opera all’origine di tanta parte delle avanguardie del ‘900 alle ruote che sfrecciano futuriste da Balla a Sironi da Boccioni a Depero. E nel secondo dopoguerra le indimenticabili bici viste nelle “Compressioni” dello scultore francese César, e poi nelle fluorescenze di Rauschenberg, e ancora immaginate da Pistoletto, Schifano, Rotella.
In letteratura mi viene alla mente Alfred Jarry che amava correre in bici, immaginò, in uno dei suoi racconti ispirati alle due ruote, perfino Gesù in sella mentre s’arrampica lungo la tortuosa salita del Golgota. Amava correre sulla sua cara Clément Luxe 96 da lui presa e mai pagata; il caso volle che quando nessuno più pagò per la tomba dello scrittore, al posto di Jarry venne sepolto un corridore di ciclismo. Né possono essere trascurati i suoi 5 ciclisti dopati che corrono in quintupletta nel "Supermaschio".
Senza avventurarmi in letterature extraeuropee, in Italia sono in tanti gli scrittori a rendere protagonista la bicicletta nelle loro pagine: Oriani, Guerrini, Brera, Buzzati, Campanile, Gatto, Ortese, Pratolini, Pavolini, Testori, e certamente avrò omesso tanti altri nomi.
Quanto al cinema da "Nozze in bicicletta" comica francese inizio secolo, a "Bellezze in bicicletta", "Jour de Fete", “Ladri di biciclette”, “Breaking away”, “Appuntamento a Belleville”, “La bicicletta verde”, “Senza freni”, “Quicksilver” e chissà quanti altri.
Per la musica voglio citare solo cose meno conosciute. Ricordo Elio e le Storie Tese in “Sono Felice” (dove Felice sta per Gimondi, Frankie hi-nrg in “Pedala”, Assalti Frontali con “Il quartiere è cambiato”, i New Trolls in “Signori, io sono Irish”, i Tȇtes de Bois con “Alfonsina e la bici”. Segnalo anche lo sperimentatore americano Johnny Random. Opera nell’area della musica concreta. Una dei suoi più recenti lavori, “Bespoken”, è nato lavorando sui suoni prodotti dai componenti di una bicicletta.

Diceva Albert Einstein “La bicicletta è la più perfetta metafora della vita: per mantenere l’equilibrio devi muoverti.

Dalla presentazione editoriale di “La felicità in bicicletta.
«Chi monta in sella a una bicicletta prova sentimenti di appagamento e pienezza: l’affrancamento dai limiti del corpo, l’ebbrezza della velocità e dell’indipendenza, la fuga dalle tristezze della vita. È così per i primi ciclisti, e poi sempre per ogni nuovo bambino che conquista la sua due ruote. «Sentivo di navigare nell’aria», ricordava un grande intellettuale come Ezio Raimondi. Ed è felicità per la donna, per la quale la bicicletta è strumento di emancipazione, così come per l’operaio di «Ladri di biciclette», che grazie alla bici può trovare lavoro. Oggi è anche la felicità della fuga dalla civiltà moderna, il sogno di un mondo lento a misura d’uomo. Poeti, scrittori, filosofi e gente comune hanno testimoniato la loro gratitudine per la bicicletta fonte di felicità: in questo libro, felice a sua volta, Pivato tesse il racconto di un inscalfibile amore collettivo per le due ruote».

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Stefano Pivato
La felicità in bicicletta
Pagine 145, Euro14.00
e-book Euro 9,99
Formato: ePub , Kindle
il Mulino


Salvatore Veca e il Touring

Tra le novità apportate da Franco Iseppi fin da quando assunse la presidenza del Touring Club Italiano c’è stata la pubblicazione all’inizio d’ogni anno di un librino, con temi legati al paesaggio, al viaggio e all’ambiente presenti nell’imponente archivio di scritti e foto di cui è fornito il Club.
Ad esempio, si sono avuti testi che vanno da Italo Calvino (“Castelli di delizie e castelli del terrore”) a Valentino Bompiani, (“Le cose assenti”); da Dino Buzzati (“Grandezza e miseria dei viaggi”) a Giulio Carlo Argan, (“Roma - le ragioni di una visita”); da Paolo Volponi (“ Attraverso l’Italia”) a Paola Sereno (“A proposito di paesaggio”) ad altri ancora.

Quest’anno il piccolo libro è dedicato al filosofo Salvatore Veca (nel 2018 fu nominato presidente del Consiglio Scientifico del TCI).
Scrive Iseppi: “Intervenne spesso, a riflettere sui contenuti di un pensiero etico sul turismo, sul viaggio come conoscenza e come disponibilità all’inclusione, nella prospettiva di una società più giusta (…) Per questo abbiamo scelto due pezzi di Salvatore Veca scritti per noi: il primo “Le ragioni di una Speranza” dedicato al futuro e il secondo “La memoria e il tempo ritrovato dedicato al ruolo del Touring come comunità.
Il libretto di quest’anno si conclude con un brano ripescato nei nostril archive tratto dal volume “L’Italia delle Regioni” (1997) di Giancarlo Lunati che fu presidente del TCI. Si tratta di una riflessione dal titolo estremamente attuale “I valori della diversità”.

Touring Club Italiano
La memoria e il tempo ritrovato
Pagine 32
s. i. p.



Una data palindroma


Tra le preziose informazioni che apprendo da Ennio Peres, una riguarda la data di oggi: 22 febbraio 2022 (22/02/2022).
Siccome il mese di febbraio contiene al massimo 29 giorni, bisognerà aspettare l'arrivo degli anni Trenta per vedere altre date simili; ovvero: 3 febbraio 2030 (03/02/2030), 13 febbraio 2031 (13/02/2031) e 23 febbraio 2032 (23/02/2032).
Analogamente, triplette di date palindrome si presenteranno, a cadenza di dieci anni, fino alla fine del secolo in corso; infatti, saranno possibili anche: 9 febbraio 2090 (09/02/2090), 19 febbraio 2091 (19/02/2091) e 29 febbraio 2092 (29/02/2092), dato che, per una fortunata (?) coincidenza, il 2092 sarà bisestile.

Ancora sul 22 – 2: fosse vivo Luis Buñuel oggi festeggerebbe i suoi 120 anni
Nacque, infatti, a Calanda (Spagna) il 22 febbraio 1900.


Un burattino nella Rete (1)


E se i protagonisti dei romanzi (sia i grandi eroi, sia i gran fetenti) si sentissero detenuti dai loro autori e avessero solo la voglia di scappare da quelle pagine? Non garbando loro né punto né poco le gabbie in cui li hanno rinchiusi stabilendone vita e destini. Quando tagliano la corda non ne vogliono sapere di costituirsi. Albertine, ad esempio, mica cede a Robert de Saint-Loup, inviato per convincerla a tornare da Marcel, neppure in cambio di uno yacht e una Rolls-Royce.
Perché? Non sopporta le lungaggini del suo pur grande autore. Quel cattivone di Celine, pensate, scrisse di Proust che “cento pagine per dire chi lo mette in culo a chi”, gli sembravano troppe. Anche ad Albertine evidentemente.
Un altro esempio? Ah, ma siete insaziabili! Riguarda Pinocchio. Evade dalla cella 36 (o capitolo XXXVI, l’ultimo) perché non vuole diventare “un ragazzino perbene”. Questa cosa la venne a sapere il mio amico Gigi Malerba che la raccontò in “Pinocchio con gli stivali”. Ne ho fatto pure la regìa molti anni fa a Radiorai. La fuga però andò male, anche se ad Albertine peggio. Quel discolo di legno, da latitante cercò di nascondersi presso altre favole, ma non gli riuscì perché non aveva fatto i conti con le ferree strutture della morfologia della favola, astute trappole ideate da Propp.
Sii narra di un’altra clamorosa impresa di Pinocchio che a me è sembrata una vera e propria fuga. Dal proprio corpo linguistico. Pare che si rifugiò presso la casa editrice Marietti 1820 che ne ha pubblicato adesso la storia con la lingua dei tanti popoli che abitano i territori di Glottolandia attraversati dal fuggiasco Pinocchio.
Il libro è intitolato Un burattino nella rete Tradurre Pinocchio in Internet
L’autrice è: Carola Barbero.
Docente di Filosofia del linguaggio e Filosofia della Letteratura all’Università di Torino.
Tra le sue pubblicazioni recenti: “Filosofia della letteratura” (Carocci 2013), “L’arte di nuotare” (Il Nuovo Melangolo 2016), “Attesa” (Mursia 2016), “Significato. Dalla filosofia analitica alle scienze cognitive” (con Stefano Caputo, Carocci 2018); “La porta della fantasia” (Il Mulino 2019).
Per Marietti 1820 ha scritto la nota di lettura a Francis Scott Fitzgerald per ‘Il grande Gatsby’ (2019) e ha pubblicato nel 2020 (… non perdetevelo!) . Addio. Piccola grammatica dei congedi amorosi.
Insomma, un lucente medagliere, non vi pare?

Di solito, chiudo le mie note sui libri trascrivendo la presentazione editoriale, stavolta penso sia meglio anticipare quella chiusura.
«Prendete le prime venti righe delle “Avventure di Pinocchio” di Collodi. Inseritele sul web e chiedete a un traduttore automatico la versione in inglese o in cinese, in russo o in arabo. Poi fate il percorso al contrario e provate a ritradurre il testo in italiano. L'effetto sarà sorprendente, da molti punti di vista, e spesso straniante. Questo libro tenta l’esperimento con cinquanta diverse lingue straniere. Come si modifica, dopo questo transito, la prima pagina di Pinocchio? Come e quanto il testo originale viene tradito dall’automatismo della macchina? Un semplice gioco offre lo spunto per una riflessione sugli strumenti che utilizziamo abitualmente e sul nostro sforzo per districarci nella babele delle lingue che contraddistingue il nostro paesaggio umano».

Il resto nella prossima nota.


Un burattino nella Rete (2)

Uno scherzo finora? Mica tanto.
Carola Barbero (in foto) è una lussuosa scrittrice per lettori raffinati.
E “Un burattino nella rete” è una raffinatissima operazione letteraria.
Nell’Introduzione, da lei firmata, ci ricorda che già Joachim du Bellay (1522 – 1560) ha scritto che i traduttori sarebbero meritevoli di essere chiamati traditori.
Figuratevi se affidiamo la traduzione di un romanzo o di una poesia ad un computer quanti possono essere i tradimenti .
Perché spiega Barbero presentando il suo lavoro: … non stupisce più di tanto che un programma internettiano di ultima generazione si cimenti nell’impresa di tradurre la prima pagina de “Le avventure di Pinocchio”. Quello che stupisce – diverte, fa riflettere, incuriosisce – semmai è il risultato, soprattutto in alcuni casi in cui diventa particolarmente evidente come, nonostante il programma possa tradurre in maniera soddisfacente, chiaramente non abbia afferrato, in senso proprio, alcun significato. E se per tradurre, poniamo libretti di istruzioni per lavatrici o microonde, non è indispensabile afferrare chissà che cosa, per i testi letterari l’impressione è quella di giocare col fuoco perché non si tratta semplicemente di cogliere ciò che è detto (e che potremmo chiamare il contenuto), ma anche come è detto (lo stile), perché è detto (le motivazioni), a chi è detto (la comunità letteraria di ricezione) e da chi è detto cioè l’autore.

Operazione letteraria colta e divertente. Perché poi le varie traduzioni in Afrikaans, Armeno, Ceco, maltese (per non dire quelle in giapponese, corano o filippino), ritradotte in italiano danno risultati esilaranti

“Un burattino nella rete”, libro imperdibile. Da leggere.

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Carola Barbero
Un burattino nella rete
Pagine 128, Euro 13.00
Marietti 1820


Scenografe


Edito da Dino Audino va ad arricchire l’eccellente catalogo prodotto dall’editore sulle arti dello spettacolo, il nuovo libro di Anna Maria Monteverdi.
Esperta di Digital Performance, è ricercatrice di Storia del Teatro all’Università statale di Milano e docente aggregato di Storia della scenografia. Ha insegnato Drammaturgia dei media, Digital video, Teatro multimediale in Accademie di Belle Arti e Dams.
Ha pubblicato: Memoria, maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage (Meltemi Editore 2018); Nuovi media, nuovo teatro (FrancoAngeli 2011); Rimediando il teatro con le ombre, le macchine, i new media (Edizioni Giacché 2014); con Andrea Balzola, Le arti multimediali digitali (Garzanti 2004 ).
Titolo di questo suo nuovo volume: Scenografe Storia della scenografia femminile dal Novecento a oggi.
Per l’ottimo sito web dell’autrice: CLIC!

Non è una sorpresa se, chi è interessato quale addetto ai lavori o spettatore più avvertito, i lavori di Anna Maria Monteverdi illuminano sempre tratti e percorsi del teatro contemporaneo investigandone origini e approdi. Accade anche stavolta, quindi, che “Scenografe” rappresenti un saggio di grande interesse e plurali meriti.
Esistono, infatti, almeno nella nostra lingua, libri (pochini, in verità) su singole figure e su singoli spettacoli con scene firmate da nomi femminili, ma un testo come questo di cui sto scrivendo non mi pare. Perché investe decenni di storia dal Novecento alle più recenti realizzazioni multimediali.
Inoltre, corre su più cursori perché affronta il problema politico di genere, e ogni periodo o personaggio non è puro registro di nomi e avvenimenti ma è inserito in un quadro storico-critico di volta in volta vissuto dalla scena internazionale.

Dalla presentazione editoriale.

«Chi ha progettato il palco dell’ultimo spettacolare tour degli U2? E la memorabile scena dei Troyens da chi è stata costruita? La firma è di Es Devlin, star del design degli eventi artistici dal vivo, oggi il “nome” da mettere in primo piano sui cartelloni di scena del National Theatre, della Scala o del Covent Garden. E con lei Marta Eguilior, l’enfant terrible dell’opera, e molte altre: a partire da Natal’ja Gončarova e Alexandra Exter.
Per la prima volta Scenografe traccia una storia della scenografia tutta al femminile, dal Novecento a oggi. Perché se un tempo quello dello scenografo era considerato un mestiere prettamente maschile, si sta affermando una nuova generazione di artiste che non solo rivendica ma occupa posizioni di sempre maggiore rilievo in un mestiere (tecnico, direttivo e progettuale) falsamente ritenuto appannaggio di uomini.
Il libro percorre la parabola crescente di queste artiste e, partendo da alcune figure chiave delle avanguardie, del musical, dello show design, dell’opera lirica, riflette sui rapporti tra architettura e scenografia e tra scenografia e installazione, senza dimenticare le espressioni dell’attivismo LGBT, per finire con l’ecoscenografia e i nuovi biomateriali. Una storia che punta a travalicare i confini dei manuali accademici e vuole essere un ringraziamento e un riconoscimento all’attività di molte artiste rimaste, incomprensibilmente, invisibili».

Book trailer a cura di Simone Cannata.

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Anna Maria Monteverdi
Scenografe
Pagine 190, Euro 24.00
Dino Audino Editore


666 recensioni diaboliche


La satira (dal latino “satura lanx” nome di una pietanza mista colorata e piccante) è un genere della letteratura, una forma di teatro, e di altre arti che confina e sconfina con i territori del comico, del carnevalesco, dell'umorismo, dell’ironia, del sarcasmo.
L’origine la si fa risalire a Lucilio (Sessa Aurunca, 170 o 148 a.C. – Napoli, 102 a.C.). Dai contenuti aspri, irridenti è fatalmente invisa ai potenti fin dall’antichità.
Tra i nemici della satira, primeggiano i monoteisti; non solo, quindi, i cattolici, ma – e se ne hanno conferme ai nostri giorni – anche fra musulmani incazzosi e rabbiosi rabbini.
A costoro (e consimili) sconsiglio la lettura di 666 recensioni diaboliche a cardinali, papi, teologi e dei perché potrebbe venire loro un gran mal di fegato.
L’autrice è Maria Turchetto
Epistemologa, già docente all’Università di Venezia; ha diretto per 15 anni il bimestrale “L’Ateo”; curato la raccolta di saggi “Darwin fra Natura e Storia”; le è stato dedicato il volume Sconfinamenti. Scritti in onore di Maria Turchetto pubblicato da Mimesis.
Oggi dirige il periodico L’Atea, per uno sguardo ai primi numeri della rivista CLIC

Torna così su queste pagine web una voce che ragiona sui saperi d’origine di noi atei e li approfondisce alla luce delle nuove conoscenze dei nostri giorni.
Anni fa proprio su di un numero dell’Ateo” a proposito della satira scrisse: … in fondo, non è che una varietà del pensiero critico: una sua versione condensata con arte. Anziché proporre una complessa ed esauriente argomentazione, la satira si concentra in un punto, coglie una contraddizione e la mostra con grande efficacia, riuscendo a suscitare il riso. Dev’essere rapida e fulminante quanto il ragionamento argomentato è invece lungo e paziente. Deve scattare come una trappola per topi come diceva Vonnegut. La satira – ammettiamolo – è cattiva. Non risparmia nessuno, proprio come il pensiero critico: vuole anche colpire, beccare un punto debole e fare male. Ma ha un gran pregio: ha sete di giustizia. Colpisce il potere, il sopruso, la prevaricazione. Aiuta chi li subisce a non avere paura e a ribellarsi nella forma pacifica della risata.

In queste pagine, edite da Informamentis spesso irresistibili per umorismo, apprendiamo cose e cosacce nascoste fra le parole di cardinali, papi, teologi del nostro tempo, pescate da una sapiente esca della diavolessa autrice. La quale nell’Introduzione sin dal primo rigo confessa il suo peccato: “Bugia! Le recensioni non sono 666. Molte meno. Vi ho imbrogliati, cari lettori, perché mi piaceva mettere nel titolo il numero della Bestia. D’altra parte, cominciare con un peccatuccio (Contro l’VIII comandamento) è proprio il minimo per un libretto come questo.
E così conclude la sulfurea Introduzione: Ma una risata, comunque, fa sempre bene. Come diceva Kurt Vonnegut, “la comicità può essere un sollievo, come un’aspirina. Spero tanto di riuscire a farvi ridere… . Sappi, sulfurea Maria, che ci sei riuscita,

Dalla presentazione editoriale.

«Questa raccolta di recensioni pubblicate da Maria Turchetto non è dedicata a testi qualsiasi, bensì agli scritti di papi, cardinali, teologi e addirittura di divinità! Attingendo allo sconfinato universo della letteratura cattolica, l'autrice seleziona saggi e documenti ecclesiastici per colpire senza pietà figure di spicco come quelle dei pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, dei cardinali Martini e Ruini, del teologo Mancuso e, dulcis in fundo, di Gesù Cristo, senza che nessuno si salvi dall'impietoso quanto lucidissimo tiro al bersaglio, mettendo a disposizione del lettore svariate pagine all'insegna del buonumore, ma al tempo stesso puntando la lente su testi e tematiche meno noti ai più».

Maria Turchetto
666 recensioni diaboliche
Prefazione di Giuseppe Verdi
Pagine 90, Euro 9.50
Edizoni Formamentis



Elogio della Cannabis


Che bello
Due amici una chitarra e lo spinello…
.

Sono versi tratti da una hit della fine degli anni ’70, era intitolata Una storia disonesta portata al successo dal grande Stefano Rosso (1948 – 2008) di cui ricordo con gioia mista a malinconia le tante serate trasteverine trascorse insieme.
Il brano, in epoca recente, è citato nella canzone ‘Servi della gleba’ degli Elio e le Storie Tese. Secondo gli storici della musica leggera, “Una storia disonesta” è la prima canzone italiana in cui compare la parola “spinello”.
Ne è trascorso tempo da allora quando per un nonnulla d’erba o di fumo si rischiava qualche anno di galera, oggi siamo alla vigilia di un referendum con le firme già convalidate dalla Cassazione; per conoscere i promotori del referendum CLIC!
In un rinnovato (ma non migliorato) contesto sociale si ascolta, si vede, si legge molto sulla questione della legalizzazione della cannabis. Fra i testi sull’argomento segnalo un libro di qualità pubblicato dalla casa editrice Fefèin una nuova collana: gli Elogi

Elogio della Cannabis perché aspettiamo? ° cosa aspettiamo?, secondo titolo della collana è un libro che fu pescato dal fiuto dell’editore Fefè tra quelli scartati da un concorso letterario
Ne è autore Marcello Vecchio.
Nato in Libia, a Tripoli, nel 1955, laureato in Scienze Agrarie all’Università di Torino e in Scienze Ambientali all’Università del Piemonte Orientale, libero professionista e insegnante in Istituti agrari, è dipendente della Regione Piemonte come tecnico ambientale nell’agricoltura. Convinto che nelle piante si trovino le risposte a molte patologie che colpiscono l’uomo, da anni s’interessa di canapa e la coltiva in modo trasparente. Ma nel 2019 la sua attività e lui sono definiti rispettivamente: “più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso” e “stabilmente inserito in un circuito delinquenziale”. La conseguenza è stata il carcere – 17 giorni e i domiciliari per circa tre mesi – e la perdita del posto di lavoro.

La prefazione è di Leo Osslan romano di origini russe, scrittore, poeta, giornalista-viaggiatore in oltre trenta paesi del mondo, è direttore editoriale di Fefè Editore. Steven Teixeira e Leo Osslan sono gli autori delle “Foto con l’Anima”, unione di foto e testi poetici, che dal 2002 sono esposte in Italia e all’estero in mostre personali, musei, luoghi d’arte. Così scrive del libro “… (l’autore è) convinto di essere ‘dalla parte giusta’ senza aggressività ma con grande fermezza (…) e lo fa anche con molta abilità letteraria: leggendo questo Elogio della Cannabis passerete attraverso pagine gradevolissime anche se a volte raccapriccianti, anzi con intermezzi letteralmente poetici – come la storia di Moreno e Sally – o la descrizione della natura pulsante del suo orto”

Che bello
Se piove porteremo anche l'ombrello
In giro per le vie della città
Per due boccate di felicità

“Elogio della Cannabis” è stato iniziato in carcere e finito con l’autore agli arresti domiciliari. Si avvale di una scrittura dal ritmo serrato che viaggia, mirabilmente in equilibrio, su tre cursori: l’autobiografia, la critica sociale, la storia scientifica di un mondo vegetale ingiustamente incriminato.
Da leggere. Un gran bel libro.

E questa
Amici miei è una storia disonesta
E puoi cambiarci i personaggi ma
Quanta politica ci puoi trovar
.

Dalla presentazione editoriale.

«Questo “Elogio della Cannabis” è per chi coltiva il sogno di vedere legalizzata la cannabis anche in Italia: un libro dedicato a chi ha sofferto carcere, pregiudizi ed emarginazione perché convinto che la cannabis sia meno nociva del tabacco e dell’alcol, droghe legali di uso più comune. è la testimonianza della repressione subita e una denuncia contro l’inerzia e la compromissione di chi non vuole rendersi conto dell’enorme potenzialità sociale, terapeutica ed economica della cannabis».

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Marcello Vecchio
Elogio della Cannabis
Prefazione di Leo Osslan
Pagine 190, Euro 13.00
Fefè Editore


La vita nuda

Le Edizioni Mimesis hanno pubblicato un libro che oltre ad essere un'appassionante lettura è una testimonianza di che cosa accade quando una società finisce sotto l'imposizione di un governo totalitario.
Ne sono autori Danilo Kiš e Aleksandar Mandić.

Kiš (Subotica, 1935 – Parigi, 1989) è considerato uno degli scrittori europei più importanti della seconda metà del XX secolo. Più estese notizie QUI.
Mandić (Belgrado, 1945) è uno sceneggiatore regista teatrale, cinematografico e televisivo.

A Mandić gli ci vollero tre anni per convincere Kiš a farsi conduttore in video del documentario che aveva intenzione di girare. Infine, riuscì nel suo intento e “La vita nuda” riporta le interviste che lo scrittore svolge con due ex internate nei lager del Maresciallo Tito, i loro nomi: Eva Nahir e Jenny Lebl.
“Nella struttura dell’opera” – scrive la traduttrice Alice Parmeggiani – “è fondamentale il ruolo del coautore del libro Aleksandar Mandić, che alterna le testimonianze delle due donne, giustapponendole in senso temporale e tematico, e facendo in modo che le loro esperienze degli interrogatori e del lager, avvenute distanti di un paio di anni, risultino orrendamente simili ed esemplari”
Orrendamente… sì, perché le dittature, aldilà del colore col quale dipingono le loro camicie, hanno in comune l’orrore delle pratiche usate per colpire gli oppositori.
Non fu da meno Josip Tito che commise crimini – perfino con chi era di fede comunista – usando ogni occasione, perfino le più innocenti.
A Jenny Lebl, uscita da quattro anni dalle prigioni naziste della Gestapo, toccò l’arresto e l’internamento per aver raccontato una barzelletta da educanda.
Eva Nahir, dal canto suo, racconta “Stavo in una cella non potevo stendermi. Potevo solo stare seduta in un angolo”. Così per tre giorni fin quando fu condotta altrove per essere sottoposta a un violento interrogatorio.
E poi c’era il lavoro. Volutamente reso inutile perché si trattava di portare su di una collina delle pietre rovesciarle al suolo, riprenderle e discendere. Poiché alla Nahir cadevano spesso quelle pietre, racconta: “”Mi portarono sotto un pero e mi picchiarono sulle gambe con il filo spinato”.

Nella postfazione scrive Božidar Stanišić: “Ogni lettore di questo libro troverà le sue ragioni per ritornare sui cosiddetti punti-chiave della narrazione ( cosa che un libro, per fortuna, ancora ci permette)”.

Dalla prefazione editoriale.
«Israele, marzo 1989. Danilo Kiš intervista, per un documentario diretto dall’amico Aleksandar Mandić, due donne ebree jugoslave: Jenny Lebl ed Eva Nahir.
Jenny, all’epoca dell’occupazione tedesca della Jugoslavia, è arrestata, torturata e ben presto trasferita in una prigione della Gestapo. ll 20 aprile 1945 – il giorno del compleanno di Hitler – viene condannata a morte. Ma i russi sono ormai alle porte di Berlino e nel lager avviene un vero e proprio miracolo: “Siete libere!”, le parole più belle mai sentite pronunciare in tedesco. Tornata a Belgrado si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza e inizia a collaborare con il rinomato quotidiano “Politika”. Sembra che tutto vada finalmente per il meglio quando, dopo aver raccontato una barzelletta su Tito, Jenny è arrestata e condotta nel campo di prigionia dell’Isola nuda (Goli otok), dove rimarrà dall’aprile 1949 all’ottobre 1951. Dopo infinite umiliazioni Jenny, una volta liberata, emigrerà in Israele, dove, nella primavera del 1986, avviene l’incontro con un’altra ex detenuta di Goli otok, Eva Nahir, e con Danilo Kiš, che decide di raccontare la loro storia».

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Danilo Kiš
Aleksandar Mandić
La vita nuda
Traduzione di Alice Parmeggiani
Postfazione di: Božidar Stanišić
Pagine 124, Euro 12.00
Mimesis


Almamatto

La casa editrice Baldini+Castoldi ha pubblicato un libro che forse dà ragione a quanto diceva Chesterton: “Il pazzo è uno che ha perso tutto tranne la ragione”.
Il libro è intitolato Almamatto Un matto al giorno ed è realizzato da un gruppo di psicoterapeuti, coordinati da Giampietro Savuto psicologo e psicoterapeuta; fondatore di Lighea Onlus e direttore scientifico di Fuori Testata.
Come ogni giorno dell’anno è dedicato a un santo così non c’è dì in questa pubblicazione che non sia dedicato a un personaggio - ritenuto folle dai contemporanei - più o meno geniale, spesso riabilitato, in tutto o in parte, dai posteri.
Facciamo un esempio che riguarda oggi 4 febbraio.
La Chiesa celebra S. Eutichìo martire (martire lo è pure colui che alla nascita si è visto affibbiare tale nome) e “Almamatto” ricorda l’aviatore Charles Lindberg il primo transvolatore dell’Atlantico.
Alla pagina che cita ogni personaggio e la follia creativa che lo identifica fa seguito un corsivo che ricostruisce il profilo del pazzo del giorno.
In assenza di specifici riferimenti all’interno del testo, la collocazione sul calendario è da intendersi legata alla data di nascita o, in minor misura, di morte del matto. Fanno eccezione i personaggi del mondo antico, per i quali non ci sono certezze.
Il «matto del mese» è dedicato ai personaggi letterari ideati dalla penna di grandi scrittori

Dalla presentazione editoriale

«I matti ci incuriosiscono, ci costringono a riflettere, ci cambiano lo sguardo, ci mettono davanti ai nostri fantasmi, non ci lasciano mai indifferenti. La storia dell'uomo è costellata di individui eccentrici, bizzarri, anticonformisti, visionari, in molti casi con disturbi psichici gravi, ma altamente creativi in campo letterario, artistico, scientifico. Partendo da queste considerazioni, è nata l'idea di una sorta di calendario che racconti, al posto del santo del giorno, il matto del giorno. Un almanacco originale, piacevole e utile per riconoscere quel pizzico di follia che c'è in ognuno di noi e che dà sale alla nostra vita. Il libro di un illustre psicoterapeuta, in collaborazione con un gruppo di colleghi e professionisti della comunicazione, che ci fa capire come i diversi gradi di sofferenza psichica abbiano per comune denominatore l'amore variamente declinato: come mancanza di amore, insufficienza di amore, richiesta di amore, eccesso di amore, desiderio di amore.
Tutti i proventi delle vendite dell'Almamatto saranno destinati alla raccolta fondi per realizzare a Milano il progetto del Centro Crisi di Lighea Eos Impresa Sociale».

Almamatto
A cura di Giampietro Savuto
Pagine 406; Euro 25.00
Disponibile anche in eBook: Euro 9,99
Baldini+Castoldi


Attentato al Duce

Chissà che cosa c’era scritto nell’oroscopo dei Leonini per il 1926, anno in cui Mussolini – nato il 29 luglio, quindi sotto il segno del Leone – subì ben tre attentati (7 aprile Violet Gibson; 11 settembre Gino Lucetti; 31 ottobre, Anteo Zamboni) riuscendo sempre a salvare la pelle.
La casa editrice Fefé
ha dedicato una densa pubblicazione proprio a uno di quegli avvenimenti: Attentato al Duce Violet Gibson, capace di intendere e di volere? a cura di Giovanni Pietro Lombardo con interventi di Rosanna De Longis – Gabriella Romano – Giovanni Tessitore.
Di sicuro un triste vaticinio zodiacale doveva gravare sull’Italia sabato 3 gennaio 1925, giorno in cui Mussolini, alle strette dopo il delitto Matteotti, pronunciò a Montecitorio il discorso che instaurò di fatto il Regime. Un discorso, come lo definisce il curatore Lombardo “il più sfrontato, estremistico che avesse mai tenuto (…) la maschera legalitaria era definitivamente tolta”. Quel 3 gennaio l’Italia non salvò la pelle.
Sui plurali tentativi di uccidere Mussolini, segnalo una trasmissione ben fatta su Raiplay.

Il duce, svegliandosi quel mattino del 7 aprile 1926, non sapeva che di lì a poco avrebbe incontrato Violet Gibson nata a Dublino il 31 agosto 1876, ma, si recava proprio quel giorno a inaugurare un congresso (mirabile preveggenza?) di chirurgia.
All’uscita del Campidoglio, s’impettì come suo solito nel saluto romano che, visto ciò che accadde, sarebbe più giusto definire salute romana perché nel portare il busto all’indietro evitò che il proiettile sparato dalla Gibson lo colpisse alla testa bruciacchiandogli invece solo il dorso del naso.
“Facile colpirlo lì” – commentarono dei maligni – “ce l’ha più lungo di Pinocchio!”.
Altri commentarono dicendo che il duce s’era salvato due volte: dal colpo dell’irlandese e dalle frettolose cure dei medici che si precipitarono a soccorrerlo sgomitando per farsi notare fra i più solleciti a portare soccorso.
E che ne fu di Violet figlia di Edward Gibson, primo Barone di Ashbourne e Lord Cancelliere d'Irlanda?
Dapprima interrogatori in questura e poi un viaggio attraverso lunghe osservazioni da parte d’illustri psichiatri italiani dell’epoca. Già, perché la Gibson aveva sofferto un esaurimento nervoso nel 1922, dichiarata pazza era stata internata in un istituto per cure mentali per due anni. Aveva tentato il suicidio all'inizio del 1925 anno in cui si era trasferita a Roma.
Ce n’era, quindi, per ritenerla fuor di cervello vera o falsa che fosse la cosa. Inoltre, scartata, dopo indagini accurate, l’ipotesi di chissà quale mandante, faceva molto comodo ai fascisti immaginare un’attentatrice tale soltanto perché demente.
La Gibson, infatti, fu assolta in istruttoria per totale infermità di mente e successivamente espulsa dall'Italia verso l'Inghilterra. Lì fu triste il suo destino perché passò trent’anni rinchiusa in un manicomio a Northampton, ove morì il 2 maggio 1956.
Il libro pubblicato da Fefè, scandito da foto in b/n, oltre ad essere una puntuale ricostruzione dell’avvenimento, riporta per la prima volta pubblicati integralmente i rapporti degli psichiatri che esaminarono l’irlandese.
Pazza o tirannicida quella donna che per pochissimo non uccise Mussolini?
Mannix Flynn, membro del Consiglio comunale di Dublino ha presentato il 25 marzo 2021 una mozione, approvata all’unanimità, per l’apposizione di una targa commemorativa al numero 12 di Merrion Square, l’abitazione dublinese della famiglia Gibson. La targa ricorda Violet quale "antifascista impegnata che dovrebbe ricevere il posto che le spetta nella storia delle donne d'Irlanda e nella ricca Storia della nazione e del suo popolo".

Dalla presentazione editoriale di “Attentato al Duce”

«In questo libro un nuovo originale approccio è proposto dal gruppo formato da uno psicologo, una storica, una regista/saggista, un sociologo del diritto. E soprattutto si pubblica, per la prima volta nella storiografia internazionale relativa all’attentato, la perizia integrale sulla Gibson redatta da due psichiatri luminari dell’epoca».

…………………………………………

Attentato al Duce
A cura di Giovanni Lombardo
Pagine 256, Euro 17.00
Fefé Editore


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