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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Narratori da Ilisso


Sulle rive del fiume Ilisso, ad est d’Atene, è ambientato il ‘Fedro’ di Platone.
A Nuoro, opera felicemente un’Editrice che Ilisso si chiama con un catalogo di tutto rispetto e con un sito web che necessita di un urgente restyling.
Nata nel 1985 s’è occupata per anni prevalentemente di reperire testi sul territorio, pubblicando anche preziosi volumi sull’architettura sarda, studi sugli abiti tradizionali, fino a rendere disponibile tanta parte del corpus letterario isolano dal XII al XX secolo.
Da qualche tempo ha allargato la propria ottica e per primo strumento s’è dotata di una collana che va oltre la Sardegna: Ilisso Contemporanei. Scrittori del mondo.
A dirigerla è Bastiana Madau che, per la narrativa italiana s’avvale della collaborazione di Filippo La Porta, saggista e critico letterario di grande acutezza di cui troviamo la firma su L’Unità, Repubblica, il Manifesto e del quale ricordo d’aver letto un prezioso “Narratori di un sud disperso. Cantastorie in un mondo senza storie”.
Bastiana Madau, nata ad Orani (Nuoro), è laureata in filosofia alla Sapienza di Roma con una tesi su “Simone de Beauvoir, la letteratura e la filosofia come impegno per la vita”. Prima di lavorare per la Ilisso, ha diretto per dodici anni la biblioteca di Orani, dal 1995 è passata ad Orgosolo dove ha fatto della biblioteca locale uno dei pochi centri di eccellenza culturale in Sardegna.
A lei ho rivolto qualche domanda.
Qual è il profilo editoriale della collana che dirigi?

Storicamente la Ilisso ha dato vita a pubblicazioni che contribuiscono a divulgare la conoscenza del patrimonio culturale dell’Isola; con un’idea similare di ricerca due anni fa è nata la collana (13 titoli all’attivo) con cui si valorizzano le differenze e pluralità delle letterature del mondo, mettendo in luce la singolarità di ciascuna attraverso romanzi affascinanti. Si tratta per lo più di opere di scrittori noti e famosi nei loro paesi d’origine, ma anche in Europa e negli Stati Uniti; per fare qualche esempio: Mohammed Dib, di cui abbiamo pubblicato il bellissimo “Habel”, è stato più volte candidato al Nobel; Sahar Khalifeh – di cui stiamo traducendo “L’eredità” –, già insignita del Premio Moravia, è la vincitrice del Premio Mahfuz 2006 per la Narrativa. In sintesi sono la bellezza delle storie e la qualità della scrittura gli elementi universali che tengono insieme in un’unica collana autrici e autori africani, caraibici e mediorentali, presentati con traduzioni di eccellenza, con accurati editing e in una piacevole veste tipografica.

Tra i più recenti volumi, figurano libri di Massimo Barone e Nicola Bottiglieri che hai scelto insieme con Filippo La Porta.
Vorrei che tu, in sintesi, illustrassi i motivi che vi hanno convinti a queste pubblicazioni.

In questa collana di letteratura internazionale abbiamo deciso – già nella prima definizione delle linee editoriali – di ospitare anche autori italiani le cui opere si avvicinino alla letteratura che amiamo oltre qualunque moda, che sia testimonianza di umanità, che continui a interrogarsi sul mondo e su di noi, che sia deposito di immaginazione e di poesia, e che – certo baciata da calviniana leggerezza – abbia la capacità di “dialogare” con il lettore d’oggi. Come diceva qualche sera fa Filippo La Porta, durante la presentazione dei romanzi di Barone e Bottiglieri nella bella libreria trasteverina Bibli, basterebbe anche scrivere nelle rispettive manchette di ‘Ritorni e altre storie’ e ‘Tristissimi Tropici’... “non è un noir!”.

Dimmi di Massimo Barone

Un autore che racconta con ironia e agilità discorsiva che semplificano, senza mai banalizzarla, la complessità del vivere, e le storie che costruisce hanno la capacità di innescare un dialogo intenso con il lettore, sia quando la sua elegantissima scrittura viaggia nei microcosmi del mito, tracciando un esilarante Odisseo, che quando si immerge nella quotidianità... Come in questi sei travolgenti racconti pubblicati con il titolo “Ritorni e altre storie”, nei quali una serie di personaggi singolari ritornano – con esiti peraltro del tutto inattesi – ai luoghi dell’infanzia e della giovinezza...

Passiamo adesso a Nicola Bottiglieri

Nel caso di Nicola Bottiglieri le sue storie sanno raccontare anche la complessità della Storia con la esse maiuscola, pur facendolo con un divertente romanzo di viaggio. Con “Tristissimi Tropici” – un titolo evidentemente ironico – ci fa vivere l’esperienza di un turista speciale nei paesi dell’utopia – Cuba, Somalia e Nicaragua –, che si snoda tra l’incanto del viaggiatore affascinato dalla magia dei luoghi, dalla ricchezza della loro umanità, e il disincanto per la tragica parabola delle rivoluzioni... quasi a volerci mostrare che viaggiare veramente è sempre – in un certo senso – “sbagliare strada”.

Massimo Barone
“Ritorni e altre storie”
Prefazione di Filippo La Porta
Pagine 130, Euro 12:00

Nicola Bottiglieri
“Tristissimi Tropici”
Prefazione di Filippo La Porta
Pagine 201, Euro 13:50

Ilisso Edizioni

Cosmotaxi riprenderà le sue pubblicazioni quotidiane martedì 2 gennaio 2007


Codex Seraphinianus


C’è una parola di cui si fa forte abuso da anni: evento.
Basta che un imbrattatele esponga le sue miserie o che una compagnia d’aspiranti guitti intristisca qualche angolo stradale, ed ecco che subito zompa fuori la parola evento (invece che disgrazia) per definire quell’accadimento.
E’ parola – evento – che va usata con prudenza, e in pochi casi.
Ecco uno di quei casi. A 25 anni dalla pubblicazione di Franco Maria Ricci, torna in una nuova edizione un singolare capolavoro verbovisivo del secolo scorso: il Codex Seraphinianus di Luigi Serafini.
L’edizione ora mandata in libreria da Rizzoli è arricchita da una prefazione originale dell’autore; le 9 nuove tavole sono state realizzate con la stessa carta Vang e le stesse matite Prismalo dell’epoca.
Dal 1981 il Codex Seraphinianus viaggia per le vie del mondo: vertiginoso dizionario enciclopedico in oltre 500 tavole: lettere, animali, piante, segni grafici, cartigli di Sibilla, cirri d’ingegno, manualità angeliche.
Luigi Serafini - architetto, pittore, scenografo, ceramista, illustratore, costumista – è una singolare presenza dello scenario artistico contemporaneo; trascorre attraverso più campi espressivi fino all’arredo urbano con uno straordinario intervento, ad esempio, alla nuova metropolitana di Napoli intitolato il “Paradiso pedestre”.
Ad accorgersi del Codex, fra i primi (gli succede spesso) fu Billi Bilancioni che su ‘il Manifesto’ scrisse (traggo l’articolo da ‘Spirito fantastico e architettura moderna’, raccolta di saggi dello stesso Bilancioni): “… con quest’opera siamo di fronte a un trattato o a un manuale, nello stile tracciato da Linneo o da Vesalio, che ha rinvenuto in antiche profondità la fonte del tutto e ne traccia la mitografia nell’avventura della deliberata falsificazione dissezionante…”.
Il “Codex” è un complesso di segni che fa pensare all’ambigramma studiato dal matematico Douglas Hofstadter; non è certo un caso, quindi, che Hofstadter si sia interessato al “Codex”, come potete apprendere QUI.
E’ anche accaduto di recente che un certo Jim Marshall, abbia scoperto (e brevettata la sua scoperta) una specie di gioiello nascosto nel ‘Codex’. Egli dice: “Ho decifrato un’altra pietra di Rosetta nell’opera di Serafini, quella che era contenuta dentro un’immagine chiamata Matrix. Il risultato è un nuovo alfabeto che chiamo la Matrixa in onore di Don Luigi”. Per sapere come codificando e decodificando è arrivato a tale ingegnoso approdo cliccate QUI.
La nuova edizione, contiene anche un librino chiamato Decodex che dopo un poderoso studio di Alessandro Riva, riporta testimonianze sull’opera di Serafini firmate, nell’ordine di tempo in cui avvennero, da: Giorgio Soavi, Federico Zeri, Vittorio Sgarbi, Giovanni Mariotti, Giorgio Manganelli, Douglas Hofstadter, Franco Marcoaldi, Achille Bonito Oliva, Pasquale Chessa, Patrizia Valduga, Gianluca Marziani, Pino Corrias, Giovanna Bentivoglio, Camillo Longone, Massimiliano Fuksas.
Tra questi interventi, il viaggio spaziale che vide insieme Luigi e chi scrive.
A Luigi Serafini, ho chiesto: Perché nel 1981 il Codex è nato come libro e non come una mostra?

In realtà il "progetto Codex" nacque improvvisamente all'inizio del 1976, ma oggi credo che sia stato il frutto del periodo passato in California nel 1971. C'era una volta la California...e sì perché in quei luoghi si era formata una concentrazione di giovani (tantissimi: il baby boom del dopoguerra...) e di utopie, dalla psichedelìa alle nuove tecnologie del condivisibile: nelle università della California stava nascendo Internet! Questo tanto per dire la qualità dell'ossigeno che si respirava in quegli anni e in quei posti. Tornato in Italia, intrapresi la stesura del Codex e mi venne naturale pensare che la mia opera non dovesse passare per gallerie, collezionisti, mercanti, critici ecc ecc ma inserirsi invece in un sistema capace di portare nelle case di tutti una fornitura di fantasia e creatività a basso costo. L'unico sistema allora disponibile era la rete editoriale e dunque cominciai a bussare alle porte degli editori. Ovviamente nessuno aprì, e chi aprì mi disse: pubblicare un libro che non si può leggere.. ma siamo matti?
Per fortuna esistono gli eccentrici e Franco Maria Ricci era uno di loro, e per di più editore. Grazie a lui (e sempre sia lodato!) il Codex nacque, anche se in una lussuosa, costosa, quanto imprevista edizione: seta nera, oro ecc... come si dice, i tempi non erano
maturi per la sua diffusione su vasta scala. Nel frattempo il World Wide Web si andava organizzando e cominciava a mostrare una specie di sua "intelligenza" espressa per esempio in Wikipedia, o in quello che oggi si chiama UGC (User Generated Content). Lentamente la natura del Codex (la condivisione) venne fatta propria dalla Rete attraverso blogs, fan clubs, ecc. Così cominciarono a arrivare (soprattutto dagli Stati Uniti) proposte di ripubblicazione e richieste di interviste per il 25 anniversario del Codex. Questo fatto ebbe un eco nei media italiani, finchè lo scorso maggio arrivò una telefonata di Otttavio Di Brizzi, editor della Rizzoli... Dopo 25 anni il progetto Codex si poteva dire finalmente concluso
.

Luigi Serafini
“Codex Seraphinianus”
Rilegato, illustrato a colori
Prezzo di copertina: Euro 89.00
Promozione fino al 6/1/2007: Euro 75.65
Rizzoli


Che nome sei?


Delicata questione quella del nome. Importante per un prodotto fino ad influenzare le sue fortune sul mercato, importante ancora di più per una persona.
In quest’ultimo caso, la cosa buffa è che il proprio nome mai lo si sceglie, ci viene imposto e, ci piaccia o non ci piaccia, lo indosseremo per tutta la vita.
Pensate a degli sprovveduti che chiamino adesso il proprio figlio… faccio un nome a caso… Silvio. E’ chiaro che lo condanneranno ad un’esistenza in cui buscherà battutacce e, forse, qualche insulto. Attenti, quindi!
Il libro di cui sto per parlarvi studia tracciati ed effetti semiologici del nome; non è di quei libri, insomma, che spiegano etimologie dei nomi propri, storie, tendenze astrologiche.
Perciò è un libro originale che, se non sbaglio, mancava nel nostro panorama editoriale.
Che nome sei? (il titolo è la sola cosa che non mi piace del volume) è un viaggio fra nomi, marchi, tag, nick, etichette ed altri segni; attraversa un panorama verbovisivo rilevandone propositi e confessioni involontarie, tic e tabù, trucchi ed epifanie.
L’autrice: Patrizia Calefato. E’ professore associato di Sociolinguistica nell’Università di Bari, dove insegna nella Facoltà di Lingue e Letterature straniere ed anche nei corsi di Scienze della Comunicazione, di Scienze e Tecnologie della Moda.
Dispone in rete di un sito web dove potrete trovare più dettagliate notizie biografiche e, inoltre, testi e notizie bibliografiche.
In questo lavoro spazia dalla letteratura al cinema, dalla pubblicità alla tv rinvenendo con acutezza, con una scrittura di attraente briosità, segnali che tracciano un percorso investigativo su quel breve tratto d’inchiostro che identifica uomini e merci caratterizzandone la presenza.
A Patrizia Calefato, ho chiesto le ragioni che l’hanno spinta a scrivere il libro.
Così ha risposto.

Il nome proprio mi è sempre sembrato un segno speciale del linguaggio. E dal momento che io mi occupo di linguaggi - verbali, visivi, della moda - ho sempre avuto una particolare attenzione per il ruolo dei nomi nella comunicazione. Il nome di persona è un po’ un abito, un rivestimento di noi stessi, il volto che ad altri rivolgiamo, un segno attraverso cui ci si presenta ad altri e al quale si risponde dicendo “Piacere...”. Il nome proprio racchiude in sé sempre piccoli o grandi racconti, e non è solo l’etimologia a svelarcelo. Il nome può essere una parola o un simbolo che vale denaro sonante: è la marca, la griffe. Può essere una caricatura: è il nomignolo. Una maschera virtuale: il nickname. Un ghirigoro d’arte di strada: la tag. La denominazione di un oggetto-feticcio. Un involucro che confeziona la merce divenendo logo ed espandendosi nel packaging.

Patrizia Calefato
“Che nome sei?”
Pagine 190, Euro 17:00
Meltemi


Babbo Natale


Su Cosmotaxi non si montano presepi.
Ho scelto l’immagine di Babbo Natale per questi giorni di vacanza.
Brutta storia la sua. Già nasce in area cristiana, e finisce pure a fare la pubblicità della Coca-Cola.
Una vita sventurata proprio. Dall’inizio alla vecchiaia.
Già, ma, tra le tante, quale immagine di Babbo Natale scegliere?
Ho preferito quella che vedete, è del Prof Bad Trip.

Cosmotaxi riprende le pubblicazioni quotidiane mercoledì 27 dicembre con un servizio sul “Codex Seraphinianus” di Luigi Serafini.


La passione e l'arte

Poter ammirare le opere conservate dai collezionisti offre la possibilità di un duplice sguardo: da una parte si osservano i capolavori raccolti, dall’altra si entra nel mondo del gusto e della cultura di coloro che scelsero quei lavori.
Accade cioè che l’artista si specchi nel collezionista e viceversa.
Guttuso, 1948E’ quanto accade nella bella mostra senese che ho visto giorni fa: La passione e l'arte: Cesare Brandi e Luigi Magnani collezionisti.
Per saperne di più su queste due importanti figure, cliccare QUI per Brandi e QUI per Magnani.
La direzione della mostra è a cura di Annamaria Guiducci che firma il catalogo - edito da Allemandi - con l’ideatrice del progetto Lucia Fornari Schianchi.
Esposte, in un eccellente allestimento, oltre cento opere che permettono al visitatore un percorso attraverso le più importanti correnti artistiche del secolo scorso, come omaggio alle raffinate personalità di Cesare Brandi e Luigi Magnani, alla scoperta del loro amore per l'arte in tutte le sue forme.
E’ possibile ammirare Cézanne, Braque, Monet, De Chirico, Renoir, Capogrossi, Maccari, Hartung, Severini, Mattiacci e varie decine d’altri nomi eccellenti.
Nella pluralità di stili e tendenze rappresentate è pur possibile rintracciare un filo rosso che lega tanta gioia dell’occhio: la ricerca. Nessuno degli artisti collezionati s’è mai fermato sulle proprie opere senza tentare nuove sfide, senza provare nuovi rischi.
Ad Annamaria Guiducci ho chiesto un flash su questo eccezionale avvenimento espositivo.

La mostra dedicata a due grandi protagonisti del secolo scorso, Cesare Brandi e Luigi Magnani, nasce con l’intento di narrare una vicenda intellettuale e umana durata oltre cinquant’anni, dai primi anni Trenta del Novecento alla morte dei due protagonisti. Un sodalizio costellato da interessi comuni, la passione per l’arte, per la musica, la letteratura, i viaggi, documentato dalla intensa corrispondenza che scandisce questo lungo periodo e testimonia i rapporti intensi con gli artisti rappresentati in mostra: per citarne alcuni, da Guttuso a de Pisis, da Morandi a Manzù a Leoncillo, Mastroianni, Mafai, Scialoja, Sadun, fino a Burri e Pascali.
Le opere di Brandi, tutte ricevute in dono, sono la preziosa testimonianza di queste amicizie, spesso ricordo di un soggiorno nella bella villa di famiglia a Vignano; quelle di Magnani sono invece frutto dei preziosi consigli di Cesare all’amico Gino (così Brandi chiamava Magnani) che permisero di reperire e acquistare i capolavori raccolti nella villa di Mamiano vicino Parma. I due nuclei, insieme alle opere di Brandi donate dal figlio adottivo Vittorio Rubiu alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, sono oggi presentati insieme per la prima volta in una straordinaria antologia del percorso artistico italiano del Novecento
.

Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web, c’è un efficientissimo ufficio stampa: Natascia Maesi, dell’Agenzia Vernice Progetti Culturali: ufficiostampa@verniceprogetti.it


La passione e l’arte
Siena
Palazzo Squarcialupi
Info: 0577 – 22 48 28
Fino all’11 marzo 2007


Inni erotici


Chi legge e come si legge un libro erotico? Vecchia questione sulla quale sono stati spesi fiumi d’inchiostro. Sul “chi” c’è disaccordo pieno tra i critici, sul “come” anche.
La teoria che più mi piace è di un grande pornofilo italiano, Piero Lorenzoni (scomparso nel ’92). Sosteneva che il “chi” e il “come” si trovano riuniti, al più alto livello, solo nel collezionista librario di quel genere letterario – e lui lo era –, un collezionismo autenticamente feticista che accanto a opere introvabili dispone altre di facile reperimento, senza distinzioni fra letteratura alta e bassa.
Non è facile procurarsi tutto ciò a meno di non spendere i propri anni, come fece Lorenzoni, dedicandosi a questa piccante e dotta impresa.
Oggi, poi, con l’avvento della Rete, la faccenda diventa più complessa perché bisognerebbe collezionare anche testi e immagini talvolta volatili e catturarli in tempo.
Ad esempio, lo fa con Real Core Sergio Messina che sta ottenendo un grande successo con la sua omonima performance antropologica in mezza Europa – in questi giorni in Olanda – e pure nell’altra mezza (Italia a parte, si capisce).
Procurarsi, quindi, libri erotici richiede passione e non poche difficoltà per certi rari testi.
Ben venga, quindi, un’antologia con una ricognizione tra sensuali corpi tipografici.
E’ il caso di Elogio dell’amore vizioso libro pubblicato da Marsilio.
Ne sono autori Enrico Remmert e Luca Ragagnin, già protagonisti tempo fa di un’esplorazione antologica dei territori letterari di Bacco.
Il volume raccoglie assaggi della letteratura erotica d’ogni tempo ed è una piccola mappa per risalire ai testi nella loro interezza, è, insomma, una guida proprio per quel collezionista feticista di cui dicevo in apertura.
In appendice, una particolare bibliografia: non solo elenco degli autori citati perché a ciascuno è dedicata una breve, brillante, frase critica che ne indica, talvolta umoristicamente (ad esempio: “Masoch: geometra della frusta”), la sua dislocazione nel sensuale universo in cui s’è avventurato; e forse poiché la vita senza mistero non ha sapore, chissà perché non c’è un rimando di pagina interna per quegli autori in bibliografia.
Misteri redazionali a parte, un libro divertito e dotto, che propone pensieri, versi, aforismi di tanti scrittori sul sesso del quale dice Woody Allen: “E’ stata la cosa più divertente che ho fatto senza ridere”.

Enrico Remmert – Luca Ragagnin
“Elogio dell’amore vizioso”
Pagine 203, Euro 14:00
Marsilio


Meno dieci!


Non mi riferisco alla fine dell’anno, ma ai giorni che mancano alla chiusura della mostra fiorentina, inaugurata il 16 novembre a Palazzo Coveri, di un tandem che ha un nome solo: Abso.
Acronimo formato dalle lettere iniziali dei cognomi di due artisti di Napoli: Marco Abbamondi e Attilio Sommella.
Abso da La terra fremeDopo la mostra ischitana – La terra freme –, dedicata quest’anno a Luchino Visconti nel centenario della nascita e trentennio della morte, tenuta alla Colombaia, storica residenza estiva del regista, la stessa mostra è andata, infatti, in trasferta a Firenze.
Abso svolge un lavoro di recupero della memoria realizzato con tecniche che spaziano fra l’arte digitale e quella pittorica.
Ecco che cosa dicono i due con una voce sola.

Questa celebrazione viscontiana ci ha offerto lo spunto per esprimere uno degli aspetti del nostro modo di procedere: rappresentare temi e immaginazioni di un tempo con nuove tecniche espressive che rivisitando reinterpretino, che ripercorrendo tracciati storici ne provino dimensioni, sostanze e distanze. Un attraversamento lontano da dolenzìe sentimentali, che avverta la memoria come misura dell’imprevisto, dell’incontro e dello scacco. E della memoria, infatti, accanto alle figure principali che la animano, ci piace lavorare sui suoi scarti, su quegli angoli talvolta remoti e servili (un oggetto indossato da un protagonista, un attrezzo di lavoro, una boiserie) che stanno lì, come comparse in un film, al servizio della grande immagine che senza di loro finirebbe con l’essere meno grande.

Abso
Palazzo Coveri
Lungarno 19, Firenze
Info: 055 – 28 10 44
Fino al 30 dicembre


Un museo esemplare


Il titolo si riferisce al Mart: Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.
Per lavoro visito parecchi centri espositivi e credo di non sbagliare nel ritenere il Mart, oggi, in Italia, uno dei migliori.
Ci sono anche altri luoghi meritevoli - mi riferisco a spazi istituzionali e non a gallerie private che in giro se ne trovane di buone (mentre aspettiamo che la Gall. Naz. d’Arte Moderna di Roma si scuota dal torpore che da tempo ne appanna l’immagine) -, ma mancano in continuità di calendario e non sempre l’organizzazione museale asseconda le buone scelte là praticate, mentre il Mart alla continuità di valori espressivi aggiunge anche assiduità di date, ottima accoglienza, un’attrezzata biblioteca con centro internet gratuito per i frequentatori, un buon sito web, un efficiente settore comunicazione; a questo proposito voglio qui ringraziare Luca Melchionna dell’Ufficio Stampa che con competenza e cordialità mi ha aiutato a realizzare questo servizio.
Non sorprende, quindi, che il Mart sia apprezzato anche all’estero, sue mostre, infatti, sono state esportate da Pechino a Toronto.
Il merito di tutto questo va a Gabriella Belli che dirige il Museo, un complesso ch’è stato ben ristrutturato dall’architetto Mario Botta.
Delle mostre recentemente da me visitate a Trento e Rovereto, ne parlo nelle note successive.
Per visite e informazioni: Infoline 800 – 39 77 60


Al Mart: Douglas Gordon


Nato in Scozia, nel 1966, Douglas Gordon – Turner Prize 1996, premio della Biennale di Venezia nel 1997 e Hugo Boss Prize nel 1998 – s’è formato alla ‘Glasgow School of Art’ e alla ‘Slade School’ di Londra.
S’esprime su più mezzi: dalla fotografia, alle pitture murali, alle videoinstallazioni (di solito di gigantesche dimensioni) e film spesso tratti da materiale preesistente. E così rielabora sia documentari medici dell’inizio del ‘900 sia classici del cinema; famoso, ad esempio, il suo lavoro del 1993 in cui Psycho di Hitchcock è rallentato fino a durare 24 ore, oppure, 1999, la doppia videoproiezione di una sequenza d’immagini simmetriche da Taxi Driver.
Douglas Gordon: InstallazioneQueste dilatazioni temporali tendono a provocare una riflessione sulla memoria e sul trascorrere dell’esistenza in un’epoca in cui immagini e suoni di famose opere – ma anche talvolta di banali pubblicità – condizionano sostanza e ritmi del nostro pensiero.
La mostra al Mart – primo museo italiano ad ospitare una mostra di Douglas Gordon –ha un titolo di lunghezza settecentesca: prettymucheverywordwritten, spoken, heard, overheard from 1989 e accanto a una selezione di opere video dell'artista, dal 1992 ad oggi, comprende anche un lavoro site specific che i curatori Giorgio Verzotti e Mirta D'Argenzio hanno ambientato alla luce naturale: nel corridoio circolare che al Mart connette il mezzanino con il secondo piano. Qui, è presentato un lavoro composto da tutti i suoi testi verbali, ricontestualizzati in una nuova versione pensata appositamente per questo particolare spazio architettonico e con l’aggiunta di un testo nuovo, anch’esso realizzato per l’occasione.
Il catalogo – edito da Skira – documenta l’attività di Douglas e, inoltre, presenta una elaborazione grafica relativa al “text work” realizzato per il Mart.
Concludo segnalandovi un video che illustra il lavoro dell’artista ospitato al Museo di Trento e un'intervista con lui.

Douglas Gordon
Al Mart
Fino al 21 gennaio 2007


Al Mart: Schiele, Klimt, Kokoschka


Altra mostra – co-prodotta con Österreichische Galerie Belvedere Vienna – è dedicata ad Egon Schiele(1890 – 1918) e “gli amici viennesi”.
Ne sono curatori: Tobias G. Natter, Tomas Sharman, Thomas Trummer.
Schiele: Autoritratto, 1911Schiele nel 1907 conobbe Klimt (1862 – 1918) da cui fu incoraggiato a proseguire nell’attività artistica e profondamente influenzato. Mostrò interesse anche per le opere di Oskar Kokoschka (1886 – 1980), Kubin, Gerstl. Dopo aver lasciato l’Accademia, sviluppò, nel clima della Secessione viennese, un suo stile originale pur caratterizzato all’inizio dal linearismo dello Jugendstil. Successivamente assunse un tratto scattante, un uso dei colori contrastanti e cupi, apparvero nella sua opera figure tendenzialmente bidimensionali, dalle pose contorte che sprigionavano un’oscura sensualità che molti, allora, giudicarono addirittura pornografica; tale eco sfavorevole – insieme ad altre circostanze – gli costò la prigione per corruzione di minorenne.
I suoi lavori, ben disposti in mostra, evidenziano una tensione tormentosa non solo nelle figure ma anche nei paesaggi.
Morì a soli 28 anni a causa dell’epidemia d’influenza spagnola e mai avrebbe immaginato che decenni dopo un gruppo rock, Marlene Kuntz, lo avrebbe citato in uno dei loro maggiori successi: “Schiele, Lei e Me”, canzone chiave dell'album ‘Senza Peso’.
Il catalogo della mostra è edito da Skira.
Al critico d’arte Barbara Martusciello (tra i suoi più recenti allestimenti, mostre di Renato Mambor, Giuseppe Tubi, Pino Pascali, Nanni Balestrini, e fra le pochissime firme ad essersi ricordata giorni fa della recente scomparsa di Prof Bad Trip), ho chiesto: Schiele, Klimt, Kokoska… nell’arte dei nostri giorni, quali le principali ricadute prodotte dall’innovazione operata da quei tre grandi autori in mostra al Mart?

Il presente, com’è ovvio, affonda le sue radici nel passato… Le più giovani generazioni spesso dimenticano questa lezione di vita, alla ricerca spasmodica di un loro segno unico e irripetibile che li consacri star del sistema dell’arte (internazionale?). E’ invece impossibile non tener conto - omaggiando, citando, contaminando, manipolando, superando, alla peggio copiando - di ogni linguaggio precedente a maggior ragione in un’epoca globalizzata, supermediale, tecnologica. Questa realtà renda consapevoli, rafforzi, non paralizzi perché dai “ragazzi” ci si aspetta il progresso, il sovvertimento delle regole ma attraverso la conoscenza che nella cultura e nell’arte non può essere “bignamizzata”. Premesso questo, per rispondere più puntualmente al quesito che mi è stato posto, direi che se Klimt è adottato totalmente, parcellizzato in molta grafica più artistico-sperimentale, in certa produzione digitale e in alcune ricerche astratte, Schiele e Kokoschka sono ravvisabili in certi furori inglesi di Young artists e Bad painting.

Al Mart
Schiele, Klimt, Kokoschka
Fino all’8 gennaio 2007


Al Mart: Franz von Stuck


Nella sede di Rovereto è ospitata la mostra del bavarese Franz von Stuck (1863 – 1928).
Ne sono curatori Sergio Marinelli e Maddalena Tiddia, autori anche del catalogo pubblicato da Skira.
Pittore, scultore, incisore, fotografo, disegnatore, fu in polemica con le istituzioni accademiche e diede vita nel 1892 alla prima Secessione tedesca.
von Stuck: SphinxArtista idolatrato quanto odiato ai suoi tempi, fu un grande promotore di se stesso, lo testimoniano anche le tante fotografie che faceva circolare dov’era ritratto in pose bizzarre.
Progettò a Monaco la propria residenza (Villa Stuck, dal 1992 sede dell’omonimo museo), in stile neoclassico-romano, realizzando anche la decorazione e il mobilio.
In quest’esposizione a Trento, per la prima volta in Italia, è in mostra una delle sue opere più famose: “Lucifero” (1890-91) con due bozzetti preparatori.
Lavoro che collega idealmente la mostra di von Stuck a quella di Schiele perché quest’ultimo per il suo “Ipnotista” s’ispirò proprio a quella tela
A Guglielmo Bilancioni - da pochi giorni è in libreria, da lui tradotto e curato Mistica e Architettura di Louis Hautecoeur, e ricordo anche una sua precedente pubblicazione Spirito fantastico e architettura moderna – docente di Storia dell’Architettura all’Università di Genova, ho chiesto un sintetico profilo critico di Von Stuck.

Pan, dice James Hillmann, è “sporco sotto”, ma ha la testa fra gli dei. E Benjamin, folgorante, sintetizza: “Jugendstil è il sogno di essere svegli”. Sono le due polarità entro le quali situare l’incessante scontro, che è scambio, fra classico e moderno, fra tradizione e avanguardia; e Franz von Stuck, “l’ultimo”, è - epigono e prodromo - un pericoloso campione di questo passaggio, sempre tumultuoso: poiché tutto torna, si supera conservandosi, e si ricompone l’infranto in una forma nuova, che appare dapprima mostruosa per poi incontrare le rigidità di un altro ordine. Così, il caos dei primordi viene da Stuck figurato, con qualche errore di gusto ed una soddisfatta affettazione accademica, e viene consegnato alle astrazioni dell’immediato futuro. Torbido e turgido, livido e lutulento, Stuck, carico di vitalismo distruttivo, soggiogato da un eccesso di plasticità e da un ego ipertrofico, mette in scena la caduta del ‘mondo di ieri’ in abissi senza profondità, mitologie senza miti e dardi senza luce. Vuole soggiogare i titani, confonde cloni e matrici, e fa comprendere come il saper disegnare sia quasi nulla senza il Sapere. Stuck impersona l’enigma contemporaneo: come sia mai possibile che una immensa volgarità si accompagni ad un clamoroso successo mondano.

Al Mart
Franz von Stuck
Fino al 18 marzo


Pesci borderline


Della narrativa, amo più i racconti che i romanzi, non è un caso che, tra le letture fatte, una delle più straordinarie ritengo che sia “Bartleby lo scrivano” di Melville.
Ma, naturalmente, ce ne sono degli altri di racconti splendidi, da Cecov a Poe a Kafka, e per citare scrittori italiani da Svevo a Domenico Rea.
Arte difficile quella del racconto, impone storie e ritmi serrati, non ammette compiacimenti, non perdona pause.
Uno che ci sa fare col racconto, tanto da vedere tre suoi lavori dal 1991 ad oggi inclusi nella prestigiosa antologia annuale delle Best American Short Stories, è Charles D’Ambrosio, nato a Seattle nel 1960 e che ora vive a Portland, nell’Oregon.
Lo scrittore adesso è stato anche incluso nella prestigiosa selezione dei "Notable Books of the Year" del New York Times, con cui i critici letterari del quotidiano più influente d'America segnalano i libri più significativi dell'anno che si sta per chiudere.
Minimum Fax manda in questi giorni in libreria Il museo dei pesci morti e s’accinge a pubblicare un altro libro di racconti scritti da D’Ambrosio: “The Point”
Per saperne di più su questo autore che alcuni hanno accostato al valore di Carver e Yates, v’invito a leggere due interventi di Martina Testa: un breve saggio e un'intervista con l’autore.

Charles D’Ambrosio
“Il museo dei pesci morti”
Traduzione di Martina Testa
Illustrazione di Riccardo Falcinelli
Pagine 287, Euro 13:50
Minimum Fax


Racconti filosofici


Dodici filosofi ciascuno alle prese con la scrittura d’un racconto. Come se la cavano?
Copertina_Il_racconto_ulterioreQuesta la scommessa che l’Editrice Moretti&Vitali manda in libreria col titolo Il racconto ulteriore.
Coordina l’edizione Flavio Ermini (di lui vi ho parlato tempo fa QUI) che nella prefazione scrive: Il “racconto ulteriore” è binomizzato. Mette a confronto il ‘principio di realtà’ e il ‘principio dell’immaginazione’. Accosta un teorema a un’individualità. Unisce una rete di natura logica a un’altra di natura istintuale e immaginativa.
I filosofi-narratori: Yves Bonnefoy – Félix Duque – Philippe Lacoue-Labarthe – Antonio Prete – Roberta De Monticelli – Andrea Tagliapietre – Sergio Givone – Carlo Sini – Jean-Luc Nancy – Massimo Donà – Aldo Giorgio Gargani – Vincenzo Vitiello

Autori Vari
“Il racconto ulteriore”
A cura di Flavio Ermini
Pagine 136, Euro 18:00
Moretti & Vitali


Cuori e gatti rivelatori


La Casa Editrice romana Luca Sossella, accanto ad una produzione libraria di grande livello, sta proseguendo la sua navigazione tra classici della letteratura e pensieri della modernità editando Cd audio e video libri.
Queste edizioni – guidate da Luca Sossella (QUI ritratto in un viaggio spaziale di tempo fa) e Alessandra Maiarelli (maga, ma soprattutto fata dell’art direction) – sono non più una promessa, ma una felicissima realtà del nostro scenario editoriale.
Vi segnalo oggi una loro recente produzione a cura di Lisa Ginsburg.
Un Cd audio con due racconti di Edgar Allan Poe (Boston, 1809 – Baltimora, 1849) tra i più rappresentativi del segno abissale e allucinato di quel grande scrittore: Il rumore del cuore e Il gatto nero.
Interpreti: Marco Baliani e Stefano Bollani.
Marco – di cui vi ho parlato di recente del suo L'amore buono – aderisce al delirio di Poe con una vocalità vertiginosa e febbrile rinunciando ad effettacci, (come spesso abbiamo patito ascoltando da altri attori pagine di quello scrittore), puntando sull’interiorità vissuta dall’io narrante nel descrivere terrori e agghiaccianti epifanie.
Stefano Bollani si produce in una punteggiatura sonora che evita il tradizionale commento musicale, con scansioni che creano una tessitura acustica lontana da pesantezze giallistiche, direi più spuma che onda dei brividi.
Il Cd è accompagnato da due conversazioni di Lisa Ginsbug con gli interpreti e biografie degli stessi.
Se avete amici amanti della buona letteratura o amanti di racconti horror (le due cose non sono in contraddizione), ecco una buona idea per fare loro trovare questo Cd sotto l’albero di Natale.

Edgar Allan Poe
Due racconti
Cd audio di 65 minuti
con Marco Baliani e Stefano Bollani
14:00 euro
Luca Sossella Editore


L'opera nascosta


Il termine site specific fu coniato da Robert Morris per definire installazioni o interventi artistici concepiti appositamente per un luogo, sia esso un contesto urbano o paesaggistico oppure una galleria d’arte, un museo.
Spesso il lavoro site specific s’avvale anche di sonorità registrate o affidate al suono della natura del luogo. La particolarità di questa pratica è che s’ottiene una nuova dimensione percettiva nella relazione tra l’osservatore e lo spazio circostante.
E’ quanto accade nel lavoro che Marcus Schinwald – nato a Salisburgo nel 1973 – presenta a Bologna, a cura di Andrea Villani, dove tra le antiche vetrine dell’Istituto delle Scienze le sue opere (tassidermie ittiche, scarpe e borse da lui modificate e altri oggetti) si calano in modo mimetico tra reperti antichi: le cere anatomiche dei ceroplasti Ercole Lelli e Morandi-Manzolini, gli strumenti chirurgici del medico Giovan Antonio Galli, il cinquecentesco “teatro della natura” di Ulisse Aldovrandi, le raccolte di mineralogia, botanica, zoologia e paleontologia.
Questa esperienza estetica - ha scritto Flash Art su Schinwald – non richiede al fruitore soltanto la percezione comunicativa dell'artista, non basta carpire l'espressività e l'intenzionalità che si cela nelle produzioni artistiche ma occorre individuare le opere stesse, mimetizzate tra i protagonisti stabili del luogo in cui si svolge la mostra; una vera e propria "caccia all'opera" nelle sale del museo, una percorso non indirizzato ma suggerito da una mappa, fornita all'ingresso, che aiuta lo spettatore nella ricerca.
E dichiara l’artista: Non voglio entrare in conflitto con il carattere o l’atmosfera di un museo come questo. Al contrario, spero di incorporare il suo flusso nel formato della mostra. Come se questa fosse una mostra "in traduzione", come se cioè qualcuno parlasse in un “linguaggio arcaico” per realizzare qualcosa di contemporaneo, facendo ricorso a una sorta di “antica fantascienza”.
Con questa mostra, la Galleria d'Arte Moderna continua il programma Coming Soon MAMbo: + Museo - Mostre, da un'idea di Gianfranco Maraniello e Andrea Villani, che, interrogandosi sulle molteplici personalità del museo di ieri e di oggi, sta accompagnando lo spostamento della Gam nella nuova sede presso l’ex forno del Pane, dove nel maggio 2007 assumerà la nuova identità di MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna.

L’uffico stampa è guidato da Giulia Pezzoli: ufficiostampagam@comune.bologna.it

Markus Schinwald
Museo di Palazzo Poggi, Via Zamboni 33
Biblioteca Universitaria, Via Zamboni 35
Bologna
Fino al 7 gennaio 2007
Info: 051 – 50 28 59
Ingresso gratuito


Più libri, più liberi (1)


La nota di oggi è divisa in due parti: la prima dedicata ad un bilancio generale della quinta Fiera della piccola e media editoria – conclusasi ieri a Roma – promossa dall’Associazione Italiana Editori; la seconda approfondisce alcuni temi e problemi di quel campo editoriale.

Dò i numeri… sì, mi càpita spesso: 4 giorni di salone, 389 espositori, oltre 200 tra incontri, presentazioni, dibattiti cui hanno partecipato decine d’autori, studiosi e personaggi rappresentativi del mondo del libro, in Italia e nel mondo, oltre 50mila libri in mostra.
La piccola e media editoria vale oltre il 30% sul fatturato complessivo del canale libreria; il suo segmento di mercato è valutato nel 2005 di 351,6 milioni di euro con un incremento del 7,1% rispetto all’anno precedente; il settore, sempre nel 2005, ha pubblicato 19.763 titoli con un aumento del 10,3% sul 2004.
Organizzazione perfetta: ambienti ben disposti, info point solleciti e cordiali, un ufficio stampa efficientissimo guidato da Francesca Martinotti de “l’Agenzia” che ha permesso a giornalisti e editori di lavorare al meglio.
Il contrario, insomma, di quanto accade alla Fiera del Libro di Torino.
Ah, dimenticavo… qui gli autori, i traduttori e i librai entravano gratis non come a Torino dove dall’anno scorso devono pagare il biglietto.
A Più libri, più liberi non è mancato un successo di pubblico e, pur se non sono informato sul volume degli affari, parecchi editori mi hanno detto d’essere soddisfatti di come andavano le cose; di solito, invece, alle Fiere lacrimano sempre addossando alla Fiera i loro magri guadagni e mai alle pubblicazioni ch’espongono.
Novità di quest’edizione, uno spazio dedicato al rapporto fra libro e web con incontri che hanno analizzato l’antica civiltà del libro e la nuova società della Rete; il tutto studiando le prospettive, anche di mercato, dell’integrazione fra carta e digitale.


Più libri, più liberi (2)


Sulla stampa, nelle radio, nelle tv, sul web, abbiamo suppergiù detto tutti le stesse cose sui meriti dei piccoli editori.
Si è lodato il coraggio di queste piccole imprese, si è loro riconosciuta l’importanza che hanno da sempre nel panorama culturale, ribadito il valore della proposta d’autori che altrimenti mai forse avremmo conosciuto. E’ stato notato anche che oggi, in un momento tra i più gravi della comunicazione sofferto dal nostro paese che esce dal disastroso quinquennio berlusconiano, i piccoli e medi editori, possono rappresentare un’importante via per l’espressione del pensiero libero, dell’antagonismo, della dignità intellettuale.
Fin qui i meriti, se non ne ho dimenticato qualcuno.
Ma, forse, è opportuno anche riflettere su qualcosa che non va. Proprio per dare un contributo affinché migliorino la loro presenza nello scenario in cui operano.
Per comodità d’esposizione, suddivido in paragrafi.

a) progetti

Ho visto troppi progetti simili fra loro. Questo fa pensare che molti debuttano, o continuano a pubblicare, senza guardarsi intorno, muovendosi in spazi già percorsi da altri e, talvolta (è il caso più grave), perfino dall’editoria di grandi dimensioni.
Vistoso esempio n’è il pullulare di tanti sulla giallistica e sul noir. Quante speranze hanno d’inserirsi in un mercato che di quei generi, in questi ultimi tempi, è già saturo?
Con tanti autori italiani e stranieri, a torto o a ragione, stimati e seguiti dai lettori?
Non sarebbe meglio puntare su cose di cui c’è carestia?
Faccio un esempio per non restare sul vago. L’Editoriale Scienza di Trieste si occupa esclusivamente, lo sottolineo esclusivamente, della divulgazione scientifica per ragazzi. Un solo, specializzato, definito, precisato obiettivo. Finalmente!
In Fiera, qualcuno ha obiettato che anche x e y hanno una collana scientifica per ragazzi. Appunto, anche. Guaio non da poco, si finisce col non specializzare, tanto per cominciare, il lavoro della casa editrice con probabili cadute di qualità, e non si crea presso i lettori certezza sull’equazione marchio-prodotto.
Altro esempio positivo è la Casa Luca Sossella. Sta puntando vigorosamente su audio e videolibri facendoli scorrere su di un cursore parallelo a produzioni di spettacolo e di convegnistica. Sono uscite fuori cose di grande livello (date un’occhiata al suo sito web e vedrete) con cura grafica e registrazioni eccellenti. A prezzi ragionevoli vi portate a casa performances di Carmelo Bene, Marco Baliani, Aldo Busi, Paolo Nori, e altri ancora.
Altra considerazione. Troppe collane. Come sono ingioiellati questi piccoli editori!
Com’è possibile che la stessa casa stampi manualistica sul giardinaggio, romanzi sperimentali, poemi in versi alessandrini e saggi culinari sulle cucine asiatiche? Lo possono fare Mondadori, Feltrinelli, Rizzoli, non una piccola casa editrice, non è il suo ruolo, non ne ha le capacità, pure perché le mancano gli scudi per pagare gruppi di specialisti che lavorino, e contemporaneamente, alcuni applicati, ad esempio, su di una collana dedicata ai rituali fetish subsahariani, altri ad una destinata all’arte su ceramica nel frusinate, ed altri ancora ad un’altra collana che s’occupa d’alpinismo subacqueo.
Ad una piccola (o media) casa editrice, non molteplicità di aree, non questo le richiede il lettore, bensì specializzazione su campi espressivi trascurati dai grandi editori.

b) grafica

Ho visto troppe case con pessima grafica, soprattutto in copertina che è la pelle del libro, il primo impatto con il lettore. Non si tratta di colpa attribuibile ad un risicato budget (ce ne sono di poverissime che se la cavano assai bene), ma di non considerare adeguatamente quest’aspetto del lavoro editoriale.

c) promozione

Qui siamo al disastro. Tanti, proprio tanti (gli esempi in positivo pochissimi), dei cosiddetti uffici stampa sfiorano la comicità involontaria. E’ evidente che i piccoli e medi editori non ritengono questo settore strategico, pure se a parole s’affannano a dire il contrario.
S’affidano a volenterosi, ma improvvisati, personaggi che nulla sanno di quel mestiere.
Eppure, proprio quest’area editoriale che soffre tante difficoltà nella distribuzione prima e in libreria poi (quando riesce a raggiungerla), dovrebbe attrezzarsi per disporre di un’efficace comunicazione verso i media e chi legge.
Perché pubblicare decine di titoli in un anno e non editarne solo 12 o al massimo 24, in pratica 1 o 2 per ogni mese, riservando energie economiche alla promozione? Arrivo a dire che, specie per le sigle debuttanti, il maggiore sforzo economico dovrebbe essere puntato proprio lì. Non ci s’illuda di fare a meno di professionisti negli uffici stampa, gente che possiede un’agenda giusta - e sa come fare con redazioni, enti, associazioni.
Certamente costano, ma sono soldi ben spesi.
Calamitosa, poi, è la conduzione dei siti web. Succede pure che qualche editore non ce l’abbia, un po’ come se un tipografo non avesse un proprio biglietto da visita. Ma, tralasciando questa disperata condizione, colpisce l’improvvisazione con la quale sono allestiti certi siti con grafica improbabile, funzionalità incerta, legnose e ovvie presentazioni goffamente autoelogiative.
Ho sentito più di uno che mi riferiva d’essersi affidato “ad un amico che col computer se la cava”! No, non ci siamo proprio. Pubblicate di meno e spendete quei soldi così risparmiati in buona comunicazione. Serve a voi più che ad altri già affermati su piazza.
Naturalmente, tutti poi a lacrimare sul fatto che il loro lavoro non ha visibilità sui media. Sfido io! I media raramente sono mossi da persone curiose e disponibili, d’accordo, ma se non li raggiungi nemmeno, con appropriati messaggi, che vuoi mai sperare?
Inoltre, ho condotto in Fiera un proditorio esperimento – da malvagio quale sono – chiedendo a più di un titolare se avesse intenzione di praticare la formula ‘print-on-demand’ (un possibile avvenire della piccola editoria). Devono averla presa come il nome d’una pietanza crudista dello Yorkshire o di una usanza coprofila perché s’è disegnata sui loro volti una smorfia di disappunto. E’ chiaro che di ‘print-on-demad’ ne sapevano tanto quanto io ne so di guida dei sottomarini nucleari. Da persone, tanto generose sì, ma tanto tecnicamente impreparati al nuovo, non si può, purtroppo, aspettare che mettano su siti, uffici stampa, modelli validi d’informazione. Dovrebbe essere necessaria una patente per diventare editori.
O, quanto meno, l’antidoping.

d) editori a pagamento

Sono in molti a stracciarsi le vesti su questo fenomeno.
La faccenda, in realtà, è assai semplice. Non trovo scandalosa l’esistenza di un’editoria che accolga autori paganti.
Gli editori cosiddetti “a pagamento” esistono perché ci sono autori che ne reclamano i servizi fino ad esporsi in più di un caso (qualche sentenza lo dimostra) a veri raggiri contrattuali; la vanità di vedersi pubblicati può giocare brutti tiri, talvolta è castigata duramente, e aggiungo – da malvagio quale sono – giustamente. Così imparano.
Ecco, questo è il punto. Quegli editori fanno, innanzitutto, firmare un contratto? E, se sì, ne rispettano poi le clausole? Clausole che, spessissimo, quasi sempre, promettono distribuzione, presentazioni radiotelevisive, incontri col pubblico. Se tutto ciò avviene, nulla di male, se non avviene oltre ad essere un reato, getta un’ombra su tutta la categoria dell’area, attizza speranze che era meglio spegnere, aggiunge stanchezza alla già stanca carta. E, guaio ultimo ma non per importanza, trasformano in frustrati scrittori tanti che potevano essere buoni lettori, ma ormai impiegano tanto tempo a scrivere da non trovarne più per leggere.


La scena carcerata


Ci sono alcune frasi che trovo ripetute – specie in ambienti della Sinistra della quale sono elettore – le quali, rispetto al tema della pena carceraria affermano in modo liturgico che “il carcere non risolve il problema”, “non è il codice penale l’arma migliore”, per poi fatalmente concludere che “è necessario affrontare il problema sul piano socioculturale”.
Sono parole che non mancano di buone ragioni.
In sottofondo risuona, però, un tono perdonistico, una dolciastra retorica che non vuol credere ch’esistano al mondo dei gran fetenti.
Uomini che hanno fatto violenze teppistiche, stupri, reati d’intolleranza razziale… è vero che bisogna lavorare sul tessuto sociale con azioni culturali, ma tenendo ben presente che queste hanno tempi omeopatici e che non si può, non si deve, escludere l’immediata, e non breve, galera per quelli là.
Che facciamo con chi procura morti bianche, commette reati contro l’amministrazione dello Stato, fa bancarotta e via previteggiando?... Azioni culturali?... Sì vabbè, ma dopo averli ben rinchiusi però! Non, per esempio, favorendo impunità attraverso indulti, come pare che accada in certi lontani paesi della galassia Andromeda.
Foto di Giancarlo ZizolaEd è, poi, in quel luogo di detenzione – punitivo, ma non torturatore perché già la reclusione (anche negli ambienti più attrezzati e civili, da noi, purtroppo, del tutto mancanti) procura forti sofferenze – che va incoraggiata una nuova acquisizione di coscienza, la proposta di nuovi modelli di vita, la conoscenza di strumenti critici adatti a migliorare sé stessi.
E non è detto che sempre vi si riesca perché bisogna fare i conti anche con il sistema nervoso centrale che indossiamo e che, di frequente, è cocciutamente malvagio, come ha dimostrato proprio di recente a Roma una manifestazione in piazza S. Giovanni... o no?
Ci sono centri culturali che spendono – vincendo resistenze burocratiche nello Stato e
incomprensioni nella società – molte energie impegnandosi fra le mura delle prigioni a portare luce d’intelligenza e di cultura. Spesso agiscono attraverso il mezzo teatrale.
Va ricordato, ad esempio, quanto fa il Teatro della Fortezza a Volterra, ma – spero di sbagliare – da un po’ di tempo mi pare stia cedendo nei suoi spettacoli proprio ad un’astratta retorica redentrice rendendo opaco il suo brillante lavoro di un tempo.
Credo che, invece, oggi in Italia un ottimo percorso lo stia tracciando il Cetec, Centro Europeo Teatro e Carcere.
Ora, in collaborazione con Switchover 2, dal 12 al 14 dicembre realizzerà il primo Edge Meeting europeo presso il Teatro Palladium - Università Roma Tre e l’Aula Magna del Rettorato della stessa Università.
L’incontro propone una ricognizione delle diverse metodologie d’intervento di mediazione artistica nei luoghi del disagio in Italia e in Europa.
L’iniziativa ha l’obiettivo di sviluppare una linea di ricerca applicata, pedagogica, formativa, e di portare al grande pubblico ed agli operatori del settore, le proposte artistiche meno visibili che operano ai confini dell’arte dei circuiti ufficiali.
Le giornate mirano anche a creare una nuova platea. Attraverso incontri e tavole rotonde specifiche che vedranno coinvolti alcuni dei massimi esperti di studi sulla devianza in àmbito europeo, e pure attraverso una programmazione di spettacoli dedicata alla presentazione di plurali esperienze artistiche: messinscene, performances di musica e di danza, una rassegna video.
Il progetto è a cura di Giorgio De Vincenti e Donatella Massimilla .
Nel Comitato Scientifico, oltre ai due curatori anche Vito Zagarrio e Francesco Crispino.
L’Ufficio Stampa è guidato da Marta Volterra per il Cetec - marta.volterra@fastwebnet.it - e Antonella D’Ascenzi per il City Hide Project: info@hideproject.com

Per il programma: QUI

Edge Meeting 2006
12/13/14/15 Dicembre
Università Roma Tre
Teatro Palladium
Via Ostiense 159
Info: romaedgefestival@yahoo.it


Fantomas secondo Cortázar


Se vi volete bene regalate a voi stessi per le feste Fantomas contro i vampiri multinazionali. E’ un libro, recentemente pubblicato da Derive Approdi, scritto dal grande Julio Cortázar (Bruxelles, 1914 – Parigi, 1984). Argentino naturalizzato francese, è universalmente considerato uno dei grandi scrittori in lingua spagnola, e non solo del XX secolo.
Per saperne di più, c’è un sito web con estese notizie biografiche, foto, e la voce dell’autore che legge brani tratti dalle sue opere.
Tra il 1973 e il 1975 Cortázar partecipa ai lavori del Tribunale Russell II che indaga sui crimini contro l’umanità commessi in America Latina. In quel periodo scrive – nel 1975 – Fantomas contro i vampiri multinazionali, romanzo breve che riflette angosce e pensieri ispiratigli dalla brutalità dei dittatori latinoamericani e dei loro mandanti statunitensi.
Il modo in cui compone quest’opera (i diritti d’autore furono ceduti al Tribunale Russell) è originalissimo perché alterna la narrazione a tavole di fumetti sicché il testo, come un trapezista che vola da un attrezzo all’altro, procede dalla pagina scritta a quella con personaggi e nuvolette. E, pur non essendo una graphic novel, anticipa, in qualche modo, alcuni aspetti di quel genere verbovisivo che sarà fondato da Will Eisner nel 1978 allorché apparve la sua storia “Contratto con Dio”.
Singolare anche la maniera in cui fu pubblicato quel libro di Cortázar, un vero gesto di guerriglia nell’area della comunicazione: camuffato graficamente da fumetto e venduto nelle edicole messicane.
Un volume finora mai tradotto in italiano, cosa questa che dobbiamo adesso a Emanuele Pirani che firma anche la postfazione.
Il libro s’avvale di due prefazioni, della latinoamericanista Alessadra Riccio e di Gianni Tognoni Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli.
Su Cortázar e la sua pagina, ben riassume la Riccio: La sua scrittura ha cercato di incidere, di graffiare l’impermeabile realtà della sopraffazione e dello sfruttamento attraverso storie di personaggi inquieti, situazioni paradossali, gesti insensati e controcorrente, smaccata solidarietà verso i perdenti e le loro debolezze.
Anche Fantomas è d’accordo.

Julio Cortázar
“Fantomas contro i vampiri multinazionali”
Traduzione e cura di Emanuele Pirani
Prefazioni di Alessandra Riccio e Gianni Tognoni
Pagine 128, Euro 12:00
DeriveApprodi


Favole Minime


C’era una volta….
– Un re! – diranno i miei vecchi lettori.
No boys, avete sbagliato.
C’era una volta il Gruppo ’63, famoso gruppo di scrittori sovversivi, e tra i suoi fondatori, un brutto ceffo di nome Lamberto Pignotti che, poi, ritroveremo anche nella banda che si faceva chiamare Gruppo ’70.
Lamberto PignottiPer vedere una delle foto segnaletiche di Pignotti, cliccate QUI.
Tutto cominciò nel lontano 1954, allorché pubblicò, ciclostilato, il suo primo libro “Odissea”; non risulta ancora una ‘Iliade’, ma v’invito a non stare tranquilli.
La sua più recente impresa si chiama Favole minime stampato da Empirìa.
Sono microfavole che rigorosamente cominciano con “C’era una volta” e si concludono altrettanto puntualmente con “vissero a lungo felici e contenti”. Ne trovate qua un assaggio.
In quelle pagine al posto di draghi, fate, imperatori e streghe, incontriamo personaggi dai mestieri bizzarri: chi fa il critico d’arte, chi vive da verbo, e pure un graffitista metropolitano, un robot antropomorfo, un pittore monocromo, un serial killer con una vedova allegra…
Figurano anche Alice, Cenerentola, ma non lasciatevi ingannare, è gente che si finge parente dei più famosi omonimi, come – ad esempio – Gulliver che, spento il televisore, parte da casa sua e, dopo aver molto viaggiato, approda in paesi lontani finendo tra le braccia di una prostituta senegalese.
E a quel Gulliver gli è andata meglio che a me trasvolatore di cieli proprio con Pignotti, in un disgraziato viaggio spaziale.
Anche in queste Favole minime - come in tutta la sterminata opera di Lamberto dispersa tra un’infinità di pubblicazioni: libri, riviste, plaquettes, saggi, lavori visivi, opere radiofoniche, interviste (quando si deciderà a riunirla in un sito web permettendone una visione unitaria... mai?) – al tono scherzoso è sotteso un serratissimo discorso politico rivolto contro la violenza sociale, l’antropofagia di tante canaglie.
Anche lui è cannibale perché mangia poesia nel corso di performances alimentari, ma volete mettere?
Concludo con una storia appresa giorni fa. Due tipi, un uomo e una donna, litigavano sempre fra loro, si odiavano competentemente, erano depressi e disperati, meditavano l’omicidio-suicidio, poi un giorno comprarono un libro – “Favole minime”, era intitolato quel volume – lo lessero insieme e da allora vissero a lungo felici e contenti.

Lamberto Pignotti
“Favole minime”
Disegni di Rosa Foschi
Pagine 79, Euro 14:00
Empiria


Viaggi e Naufragi


Il backstage è entrato nella cultura cinematografica proponendosi come un vero e proprio genere espressivo.
Un esempio, un classico, per tutti: Hearts of Darkness: A Filmaker's Apocalypse film sul film di Coppola, girato da sua moglie Eleanor che con quest’opera vinse un Emmy Award nel 1992.
Film intorno al film, dentro al film e pure film senza film, il backstage è stato anche oggetto di tesi di laurea; ad esempio, cliccate QUI
L’Associazione Culturale Viaggi e Naufragi – diretta da Giuseppe Eusepi – presenta da domani la terza edizione di Dietrolequinte Film Festival.
Continua così la sua opera di diffusione del making of cinematografico. Da fruire non più come semplice materiale promozionale al seguito del film, ma come valido strumento di conoscenza e studio dell’arte cinematografica. Come dicevo in apertura, un vero e proprio genere cinematografico dalla struttura drammaturgica originale, autonoma rispetto al film di cui documenta vicende e retroscena.
Questo Dietrolequinte Film Festival è diventato un appuntamento durante il quale è offerta ai giovani filmmakers autori dei backstage la possibilità di mettere in evidenza il proprio talento e di esprimere al pubblico il proprio punto di vista non solo su di un film, ma sul cinema.

Le sezioni del festival sono quattro:

1) Il concorso: Sezione competitiva a cui partecipano le opere che hanno come soggetto la lavorazione di un prodotto cinematografico, realizzato in Italia nell’ultima stagione cinematografica.
2) Internazionale: Rassegna non competitiva di making of tratti da film prodotti in ogni parte del mondo.
3) Rétro: La sezione presenta opere realizzate sui set dei grandi film del passato.
4) Viaggi & Naufragi: Film, metafilm e pseudodocumentari di diversa natura e finalità.

Per il programma, cliccate QUI

Ufficio Stampa: Martina Suozzo: 349 – 07.58.612
Giovanna Nicolai: 333 –66.38.186

Dietrolequinte Film Festival
Roma, 8 – 10 dicembre 2006
Casa del Cinema, Largo Mastroianni, 1
info@dietrolequintefilmfestival.it


Scusi, lei è sinonimo o contrario?


Uno degli anniversari che ricorre oggi riguarda la composizione d’un famosa poesia.
Il 6 dicembre 1832, infatti, Gioacchino Belli scrisse La madre delle Sante.
Chi già conosce quei versi, oppure ha già cliccato sul link che ho scritto sopra, sa che cosa canta quel sonetto: un’intima parte del corpo femminile détta in tanti modi diversi.
Gioacchino Belli, da molti giustamente giudicato all’altezza di Dante, per creare quel capolavoro usò sinonimi.
In un’altra composizione poetica, Umberto Eco ha riscritto parti della “Divina Commedia” per contrari.
Eccone un assaggio dai versi iniziali del I Canto dell’Inferno a tutti noti e, quindi, non trascrivo l’originale:
Al margin di ristar di vostra morte
Mi persi in un deserto illuminato,
ritrovando le piazze più distorte
.
Altro esempio à rebours, appartiene a chi sta scrivendo ed essendo mercoledì (ma se fosse stato un altro giorno lo stesso avrei fatto) cedo alla vanità e cito una mia esercitazione leopardiana.
Insomma, i sinonimi e i contrari recitano un ruolo importantissimo e averli sottomano permette – aldilà di pratiche ludolinguistiche – esattezza nello scrivere.
Il migliore “Dizionario dei sinonimi e contrari” della nostra lingua si deve all’ingegno di Giuseppe Pittàno e l’ha pubblicato la Zanichelli.
Non sorprende che sia proprio la Zanichelli a vantare questo gioiello editoriale perché la storia dell'Editrice documenta una ultrasecolare attenzione al mondo della scuola, della linguistica, della comunicazione.
Un dizionario dei sinonimi aiuta ad attivare le parole che già conosciamo, a migliorare il proprio lessico, spiega le differenze fra termini che potremmo credere uguali, a scegliere i contrari più adatti.
Certo, se uno dice o scrive “esculento” per dire “commestibile” merita come minimo gli arresti domiciliari, ma esistono una miriade di casi ben diversi.
Questo dizionario, poi, s’inoltra - guidato da Marina Stoppelli, curatrice della nuova edizione del Pittàno - anche nel territorio delle sfumature illustrando, ad esempio, le differenze fra ‘dignità – decoro – decenza’, aiutandoci a ragionare sulle migliori opportunità d’uso.
E ancora: accoglie parole straniere divenute correnti in italiano, come convention, internet, mobbing.
Qualche cifra: 42 000 voci; 70 000 accezioni; 300 000 sinonimi; 135 000 analoghi e contrari; 7 000 fraseologie; 900 sfumature di significato; 4 000 pseudonimi di nomi assunti da artisti, filosofi, scrittori, papi; e, inoltre, note etimologiche, indicazione ortofonica di tutti i lemmi italiani e fonematica di quelli stranieri.

A Enrico Lanfranchi, responsabile editoriale dell’area lessicografica della Zanichelli, ho chiesto: aldilà della proverbiale accuratezza concettuale e grafica con la quale agisce la Zanichelli nei suoi Dizionari, qual è, nello scenario editoriale, il segno che distingue l’Editrice nell’area da lei diretta? Qual è, insomma, la cosa di cui va più orgoglioso?

La Zanichelli ha costruito in questi anni un catalogo di dizionari ricco e variegato per rispondere alle necessità dei lettori (dai giovani studenti che per la prima volta affrontano lo studio delle lingue sino ai traduttori esperti). Offrire dizionari dall'italiano verso le lingue d'Europa e, in questi ultimi anni, verso le più parlate lingue del mondo è al contempo una enorme responsabilità ma anche un motivo di orgoglio. Ogni opera deve essere progettata, e poi aggiornata, in base al pubblico che ne fruirà, tenendo conto della competenza linguistica del lettore, delle sue specifiche necessità (parlare, tradurre, scrivere), del contesto in cui egli opera (nella scuola, per la traduzione letteraria o tecnica, per l'autoapprendimento). I dizionari non si improvvisano: esigono una costante indagine linguistica (nuove parole o accezioni, forme desuete), ma anche una continua ricerca tecnica (grafica, informatica, sistemi di consultazione).

Nell’epoca di Internet su quali obiettivi deve puntare la carta stampata nella manualistica lessicografica per avere ancora un ruolo?

La Zanichelli da più di trent'anni pubblica opere non solo su supporto cartaceo ma anche informatico ed è sempre riuscita a stare al passo con i tempi. Per noi è importante il progetto e lo offriamo al lettore sul supporto che il lettore ritiene più adeguato. Il contenuto dei nostri dizionari cartacei (che costituiscono la stragrande maggioranza delle attuali vendite) è presente anche su cd-rom. Al lettore la scelta in base alle diverse esigenze. E' certo che il mondo della scuola ancora oggi privilegia il volume, mentre il settore professionale (in particolare i traduttori) è sempre più orientato, per ovvie esigenze di rapidità di reperimento, di complessità delle ricerche (e anche spazio sulla scrivania), a preferire la consultazione elettronica. Spero che i lettori comprendano tuttavia, che il frutto di decine di autori e collaboratori non può essere regalato sul web: venendo meno la vendita delle opere, vengono immediatamente a mancare le risorse economiche per retribuire il lavoro degli autori e dei collaboratori. Ed è anche questo il motivo della qualità di ciò che noi offriamo .

Di recente avete mandato in libreria il “Dizionario dei sinonimi e contrari” di Giuseppe Pittàno. Perché una nuova edizione?

La terza edizione del “Dizionario dei sinonimi e contrari” di Giuseppe Pittàno è motivata dai continui cambiamenti della nostra lingua, che attribuisce nuovi significati a parole di uso comune, si trasforma e abbandona termini ora ritenuti vecchi e desueti ma che sino a poco tempo fa erano in uso. Ogni strumento, quindi anche un dizionario, è sempre perfettibile: in questa edizione abbiamo aggiunto informazioni che riteniamo utili a chi consulta, come le ‘sfumature di significato’ (ad esempio fra *guazzabuglio* e *accozzaglia*, termini estremamente simili ma che suggeriscono al lettore idee diverse), i ‘quadri di nomenclatura’ (tutte le parole di un determinato ambito, che può essere una disciplina ma anche un oggetto); e abbiamo inserito neologismi e nuovi significati facendo tesoro della ricerca linguistica dello Zingarelli, che ogni anno viene pubblicato con oltre ventimila interventi e cambiamenti.

Giuseppe Pittàno
“Dizionario dei sinonimi e contrari”
Pagine 1088
solo volume, Euro 44:00
volume con Cd-Rom per Windows, Euro 54:00
Zanichelli



Just 4 F.U.N.


A luglio di quest’anno ci ha lasciati Piermario Ciani.
A Bologna lo ricorda ora una mostra - Just 4 F.U.N - di Squaz e Paper Resistance.
L’esposizione è presentata come meglio non si potrebbe da Vittore Baroni e passo a lui la parola.

Piermario CianiNel “calendiario infinito” delle Nazioni Unite FUNtastiche ideato da Piermario Ciani, i mesi sono suddivisi in libidinose ‘sextine’ anziché in settimane e i segni zoo-diacali (tutti di specie animali in rischio d’estinzione) sono ordinati secondo l’Astrusi, l’antico libro degli astri. Si comprende allora, per analogia, perché l’allarmante “Festa Nazionale del Colpo-In-Testa” segnalata da Squaz cade di ‘sabedì 40 settobre’.
Paper Resistance consiglia invece di “alzare il volume dermico” nella sessione d’agopuntura sonora che immette rumore bianco nella pelle del paziente, proprio come la musica dei Mind Invaders (The Great Complotto, Italian Records 1981) non si trovava sul vinile ma agiva direttamente sul cervello degli ascoltatori.
Dal sessantotto ad oggi, si tramanda una florida tradizione del poster politico e del volantino di critica sociale, l’adbusting (alterazione satirica di campagne pubblicitarie commerciali) è da tempo una delle pratiche preferite degli artisti di strada post-graffiti, ma si danno anche approcci di (contro)propaganda che vanno ben oltre la resistenza alle storture della “realtà del consenso”. Si tratta della creazione di nuove realtà identitarie e geografiche, attività demiurgica in cui il Ciani/Stickerman/Blissett era maestro riconosciuto e in cui Squaz e Paper Resistance si dimostrano in questo gradito “omaggio” allievi attenti e giudiziosi, dotati di autoironica arguzia (quanto “fumetto passivo” si respira nelle convention dell’ ”arte sequenziale”!) e consapevoli del fatto che anche i più strampalati fantauniversi spesso non son altro che specchi della nostra condizione alienata e disastrata. Per risultare poi ancora più efficaci, questi spiragli da mondi duplex devono uscire dal comodo e consolatorio spazio espositivo sotto forma di manifesti, adesivi e flyer (forza, date una mano anche voi!), per trovar posto sui muri delle città e nelle bacheche pubbliche, sulle cabine telefoniche e nelle buche delle lettere. Attaccati vicino ai bar dove pratichiamo futili sedute di autocoscienza etilica, nei pressi dei negozi dove diamo sfogo alla smania dello shopping senza accorgerci di acquistare camicie di forza, sulle panchine dove gruppi di gggiovani si scambiano notizie sul turpiloquio e le prodezze ginnico-erotiche dell’ultimo trucido, tragico reality show.
Just 4 F.U.N., ma non solo per divertimento
.

Just 4 F.U.N. – Omaggio a Piermario Ciani
6 - 20 dicembre
Circolo Arci Sesto Senso
Via Petroni 9/c, Bologna


L'avventura è l'avventura (1)


La nota di oggi s’articola in due parti.
La prima illustra una nuova iniziativa editoriale, la seconda l’approfondisce con un’intervista flash al suo curatore.

Molti anni fa, mi diceva Bobi Bazlen (grande suggeritore dell'editoria italiana: da Bompiani a Einaudi a Adelphi) che fare narrativa per ragazzi è una delle cose più difficili per un’editrice. Vero. Lo dimostrano i tanti tentativi finiti male o altri ancora in corso fatti male.
Oggi, poi, è ancora più arduo di quando mi disse quella cosa Bazlen (primi anni ’60) perché lo scenario dei media s’è arricchito di nuovi strumenti. Basterebbe pensare ai videogiochi e ai loro personaggi, da SuperMario a Lara Croft ad altri, che hanno conquistato uno spazio nell’immaginario collettivo ponendosi, per popolarità, alla pari di personaggi delle fiabe di un tempo.
Appare, quindi coraggioso il varo di due nuove collane degli Editori Riuniti dedicate a giovanissimi lettori: Fiabe popolari europee e AvventuraRagazzi; entrambe nascono da un disegno editoriale ben meditato e guidato dal responsabile per l’area ragazzi dell’Editrice: Ermanno Detti

Nella collana dedicata alle fiabe, Il tavolo magico - illustrato da Maja Celija - è il primo volume in uscita (per una scheda del libro cliccate QUI) e raccoglie testi della tradizione popolare europea incentrate sul magico e il soprannaturale.
Maghi e streghe sono ovviamente i personaggi principali, alle prese con filtri, anelli, statue, pentole, capaci di trasformarsi da semplici oggetti quotidiani in oggetti straordinari.
A proposito di oggetti nelle fiabe, ricordo qui un Dizionario, lo segnalai mesi fa, di Gian Paolo Caprettini assai ben fatto che serve a interpretare le unità figurative di base ricorrenti in quel genere letterario e a conoscerne la loro storia.

L’altra collana, AvventuraRagazzi, debutta in libreria con tre titoli: La nave fantasma di Emilio Salgari (Verona, 1862 – Val San Martino, 1911) con illustrazioni di Silvio Talman; Piccoli vagabondi di Gianni Rodari (Omegna, 1920 – Roma, 1980), con tavole di Rita Thermes; La Mano Nera di Ermanno Detti, illustrato da Nicoletta Azzolini.

Un bel tris: dalla componente fantastica salgariana agli altri due libri che riflettono, in epoche diverse, su realtà sociali del nostro tempo.


L'avventura è l'avventura (2)


A Ermanno Detti, responsabile editoriale dell’area ragazzi degli Editori Riuniti, ho chiesto: qual è il profilo editoriale di "AvventuraRagazzi"? Da quali considerazioni siete partiti nel varare la collana e quali contenuti proponete?

Il profilo editoriale di "AvventuraRagazzi" è molto semplice, si tratta di riproporre romanzi di avventura scritti da autori italiani di varie epoche, in particolare da fine Ottocento ad oggi. Difatti nei primi tre libri usciti troviamo Emilio Salgari, “La nave fantasma”, raccolta di racconti bellissimi e dimenticati; Gianni Rodari, “Piccoli vagabondi”, storia di tre ragazzi che nell'immediato dopoguerra sono costretti a fare gli sciuscià; un mio romanzo, “La Mano Nera”, storia di tre ragazzi che nel 1990, quindi immediatamente dopo la caduta del muro di Berlino, si trovano casualmente a dover combattere contro la mafia internazionale che si sta riorganizzando per conquistare il mondo.
Come è nata questa idea? Semplicemente guardando le librerie ovvero la produzione dei libri per ragazzi in Italia. Le case editrici italiane pubblicano ogni anno circa 2200 nuovi titoli ma tra questi è difficilissimo trovare romanzi di avventura vera e propria. Invece i ragazzi sono alla ricerca di questo genere di libri, il romanzo di avventura è per loro evasione, ricerca di libertà e di indipendenza (l'avventura vera è quella che si realizza fuori dalla famiglia). In pratica con questi libri abbiamo voluto coprire un settore culturale ed editoriale che ci appariva pressoché scoperto. I librai ci hanno capito, le prenotazioni sono state altissime, abbiamo già qualche richiesta di supplemento, segno che anche le vendite non vanno male. Abbiamo già in programma altri due volumi di Salgari e “Ladri e guardie”, un'avventura colorata di giallo
.


"Fiabe popolari europee". Esiste un elemento che caratterizza la fiaba italiana rispetto alle altre europee? Insomma, un genius loci letterario che la rende riconoscibile fra le tante pagine di quel genere in Europa?

Non credo che esista un "genius" loci letterario, ma certamente le prime fiabe ad essere state raccolte in occidente sono quelle di Francesco Straparola nel Cinquecento e di Giambattista Basile nel Seicento. Poi sono arrivati Perrault in Francia a fine Seicento, i Grimm agli inizi dell'Ottocento e via via fino ad Andersen, Pitré, Ende, Rodari, tanto per citare autori a noi più vicini. L'opera di Basile, il famoso “Pentamerone o Cunto de li cunti”, è stato definito da Croce il capolavoro delle letteratura barocca ed è vero perché egli ha saputo condire le fiabe di un humour straordinario. Ma il merito fondamentale dell'opera è che dal Basile hanno attinto poi tutti in Occidente, naturalmente riscrivendo, rimodernando, verificando con la cultura locale. Questo aspetto è stato messo bene in evidenza, per fortuna nostra, non da noi italiani, ma da Jack Zipes, noto studioso americano e germanista all'università del Minnesota nel libro “Chi ha paura dei fratelli Grimm”, appena uscito in Italia per i tipi di Mondadori. In conclusione le fiabe europee sono certamente tra le più belle del mondo proprio perché hanno questa stratificazione letteraria di alto valore.

Ermanno Detti
“La mano nera”
Pagine 192, Euro 10:00

Gianni Rodari
“Piccoli vagabondi”
Pagine 152, Euro 10:00

Emilio Salgari
“La nave fantasma”
Pagine 160, Euro 10:00

“Il tavolo magico”
Pagine 128 – Euro 10,00

Editori Riuniti


RomArte


Johann Wolfgang Goethe il 5 novembre 1786 annotava nel suo “Viaggio in Italia” Solo a Roma è possibile prepararsi a comprendere Roma elogiando i monumenti romani, la loro carica di storia e civiltà, e scansandosi per un pelo, appena due secoli, un attacco sulle pagine de “La Padania”.
Ora, Confcooperative Roma ha avviato una riflessione sul ruolo della cooperazione nei settori dello spettacolo, dell’audiovisivo, dei beni culturali e del turismo culturale, àmbiti in cui opera Federcultura, l’organizzazione territoriale di settore dei gruppi aderenti a Confcooperative.
La convergenza di elevate professionalità nella filiera dei beni culturali e la presenza di diverse competenze e specializzazioni di cooperative e associazioni, aprono la strada alla strutturazione di servizi innovativi per la promozione turistica, per la didattica nei musei e per la conoscenza del grande patrimonio artistico di Roma e del suo territorio provinciale.
Servizi che si candida ad offrire il Consorzio RomArte, nato da alcune delle esperienze di punta della cooperazione romana nei settori dello spettacolo dal vivo, e della valorizzazione del patrimonio culturale.
Iniziativa che nasce in un momento in cui l’Italia, e con essa la Capitale, esce dal disastroso quinquennio berlusconiano e che vede l’attuale Governo senza i fondi adeguati che sarebbero necessari per rilanciare quell’area.
Per discutere (si spera senza lacrimare troppo) su tutto questo è stato fissato un incontro a Roma dove il lodevole progetto sarà presentato da Carlo Mitra, Presidente ConfCooperative Roma, Danilo Esposito Vicepresidente di RomArte, e ancora (scusate se zompo le dizioni estese delle cariche ricoperte ma s’assomigliano tutte e, invece di chiarire, confondono le idee): Giorgio Valente, Carlo Fuscagni, Domenico Del Prete; intervengono Maria Pia Garavaglia Vicesindaco di Roma, gli assessori Gianni Borgna, Maria Coscia, Patrizia Ninci.
Molti gli altri ospiti dei quali è prevista la presenza, non li cito tutti sennò facciamo notte. S’assisterà anche alla proiezione del video di Camilla Ruggiero “Gli uomini e le idee della Roma antica”, esemplificativo lavoro che ben si presta a illustrare quanto ha in animo di fare RomArte.
E’ anche previsto un cocktail e io non me lo perderò.
Assente gradito l’on.le Calderoli.

Roma
6 dicembre ’06, ore 10:00
Sala Multimediale del Museo dell’Ara Pacis
Via di Ripetta, 190
Info: 06 – 86 39 85 67; fax 06 – 86 38 06 37
roma@confcooperative.it


Video ad Azimut


Presso la nuova sede espositiva dell'Associazione Culturale Azimut martedì prossimo inaugura la personale della digital artist Francesca Maranetto Gay, vincitrice dell’ottava edizione del Premio Giuria di Qualità “IoEspongo” a cura di Edoardo Di Mauro.
Per Il lampeggiante sito - dai tanti (forse troppi) sipari - della videoartista , cliccate QUI
Ecco uno stralcio dalla presentazione di Edoardo Di Mauro


Francesca Maranetto GayPresso il nuovo spazio espositivo dell’Associazione Culturale Azimut, Francesca Maranetto Gay proporrà una ampia e qualificata selezione della sua produzione degli ultimi due anni […] La Gay dà vita ad installazioni visive complesse pur nella loro immediata ricettività, costruendo una articolata architettura dell’immagine dove la ripresa video si sposa al ritmo incalzante o talvolta ipnotico delle musiche raccolte ed assemblate dall’artista o da lei stessa prodotte. […] Su video proiettore si alterneranno tre delle principali sue produzioni, che si avvarranno anche di stimolati introduzioni teoriche dell’artista stessa. Si tratta di “delirio +” , una sorta di percorso dialettico e di viaggio tra “interno” ed “esterno”, tra la dimensione “mondana” e quella dell’intimità familiare e della tradizione, di “stanza 310”, che indaga sulla relazione e sull’empatia tra un uomo ed una donna, visti come esemplari della condizione umana, che dialogano su temi come quelli della vita e della morte giungendo tramite la riflessione ad una condizione di pace e consapevolezza interiore, e poi il mediometraggio “FwF_4AlwaisWorkinPro”, un autentico bombardamento di immagini e suoni che alterna ritmicamente frenetiche accelerate alternate con passaggi maggiormente quieti e riflessivi, basato sulla ciclicità e sul movimento costante, dove il suono gioca un ruolo fondamentale, un lavoro che rappresenta una ideale “summa” della poetica di Francesca Maranetto Gay. Nelle varie postazioni monitor saranno proiettate altre produzioni, tra cui cito l’interessante e recente “Videopoesia […] Una personale ampia e completa, in grado di dimostrare in pieno la potenzialità di un lavoro che costituirà, per chi ancora non lo conosce, una autentica avventura dei sensi, del cuore e della mente.

Francesca Maranetto Gay
Associazione Culturale Azimut
Antica Piazza delle Erbe, Torino
Dal 5 al 23 dicembre ‘06
Ingresso gratuito
Info : 011 – 56 92 009
contatti@associazioneazimut.net


Il drago rampante


A ottobre, nel corso di una conversazione con Renata Pisu, nella mia taverna spaziale sull’Enterprise, annunciai la prossima uscita di un suo nuovo libro.
Ed ecco, infatti, stampato dalla casa editrice Sperling & Kupfer, da poco in libreria Cina Il drago rampante, la più recente fatica della grande sinologa italiana.
Recita il sottotitolo: Tra modernità e tradizione un paese alla ricerca di una nuova identità e quella identità è quanto mai complessa in un paese che ancora si definisce comunista e vede l'affermarsi di un capitalismo selvaggio. Parla una lingua ch’è un ostacolo per comunicare con il resto del mondo e ha trovato nelle nuove tecnologie un alleato per rivitalizzarsi, ma se si digitano parole come “democrazia” o “libertà” appare sui pc un msg d’errore che dice: “Linguaggio proibito”.
Nel volume, troviamo accanto ad un articolato ragionamento tra il passato e il presente della Cina anche riflessioni, notizie e dettagli sconosciuti ai più.
A Renata Pisu ho chiesto: qual è la prima cosa da fare per capire la Cina dei giorni nostri?

La prima cosa da fare per capire la Cina di oggi è domandarsi: ma cosa pensano in realtà i cinesi? In cosa crede la collettività, o meglio, la maggioranza della gente?
Al proprio interesse particolare, al miglioramento delle condizioni di vita, verrebbe in mente di rispondere. In realtà è così però incombe il mistero sul futuro che i cinesi vogliono darsi. Pensano a breve termine, hanno ancora paura che avvengano bruschi cambiamenti
.

E qual è la cosa assolutamente da non fare se si vuol capire quel mondo oggi?

Da non fare? Pensare che la globalizzazione l’abbia avvicinata. E’ vero? è vera vicinanza? Dire che tutto il mondo è paese è una banalità, ma almeno presuppone una condivisione di sentimenti, di umanità. La globalizzazione no.

Renata Pisu
“Cina: il drago rampante”
Pagine 290, euro 16:00
Sperling & Kupfer


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