Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
lunedì, 31 dicembre 2007
Saggezza e Violenza
Il poeta Emilio Villa, famoso anche come rabdomante di talenti, in occasione della prima esposizione di Gino Marotta (Campobasso, 1935) scrisse: “Se la saggezza non si nega agli ingegni ricchi di immaginazione toccati da superiori riverberi, le opere di Gino sembrano essere unite da saggezza e da violenza”. Ora è in corso presso lo Studio Giangaleazzo Visconti una mostra di Marotta che a distanza di cinquant’anni dal suo esordio milanese alla Galleria Montenapoleone, ritorna nel capoluogo lombardo con le sue prime sperimentazioni sulla materia che, non ancora trentenne, lo proiettarono nello scenario internazionale accanto a Burri, Tàpies e Rauschenberg. Il titolo dell’esposizione di questi giorni è Anni Cinquanta. Si tratta di una panoramica esaustiva - a cura di Alberto Fiz – su un periodo di straordinaria creatività, spesso ingiustamente trascurato. Così nascono le ‘Sabbie’, gli ‘Alluminii’, i ‘Piombi’, i ‘Bandoni’ (nella foto uno di questi del 1958), lamiere di ferro arrugginito combinate e saldate con la fiamma ossidrica. “Sono lavori”, scrive Alberto Fiz, “che collocano Marotta tra i più sensibili e acuti protagonisti della scena romana di quegli anni accanto a Alberto Burri, Mimmo Rotella, Corrado Cagli, in una consapevole volontà di rinnovare le regole della pittura informale. Nelle opere realizzate da Marotta nella seconda metà degli anni Cinquanta si rivela un mondo poetico inquieto e composito dominato da cicatrici, ferite, squarci di luce, forme evocate, tracce di memoria, frammenti di figure e di paesaggi nell’ambito di un’indagine sottesa da una relazione mai scontata tra tecnica ed espressione dove la materia stessa, come nel caso dei ‘Bandoni’, assume una sua precisa autonomia vitalistica e si carica di una valenza problematica nei confronti del reale”. Un Marotta, dunque, ancora tutto da scoprire, che in questi lavori anticipa le sue ricerche sui metacrilati e sul paesaggio artificiale degli anni ’60.
Il catalogo è edito da Silvana Editoriale. Gino Marotta “Anni Cinquanta” Studio Giangaleazzo Visconti Corso Monforte 23, Milano Fino al 18 gennaio 2008
sabato, 29 dicembre 2007
Arte Postale
Il numero 94 della rivista Arte Postale! a cura di Vittore Baroni è pronto con un progetto di timbri d'artista sul tema Ultimatum. Contiene lavori di 38 autori da 13 nazioni in un libretto di 36 pagine limitato a 100 copie. Così Baroni presenta la pubblicazione: “Arte Postale!” 94 rappresenta il tocco finale al programma di commemor/azioni per i miei 30 anni di attività mailartistiche. Questo è difatti il sesto numero della rivista pubblicato nel 2007, come i precedenti collegato ad un evento, mostra o progetto di Rete. In questo caso una sinergia con la rivista ad assemblaggio “BAU - Contenitore di Cultura Contemporanea”, prodotta annualmente dall’associazione BAU di Viareggio. Il tema di BAU 4, in uscita nel 2008, è difatti lo stesso di questo numero: ‘Ultimatum!’. L’invito per entrambe le pubblicazioni specifica: “Guerre, terrorismo, modifiche del clima, inquinamento, sovrappopolazione, epidemie… Con la complicità dei mass media, veniamo mantenuti, infatti, in un costante stato d’allarme, vivendo ogni giorno della nostra esistenza sotto la spada di Damocle di una serie infinita di “Ultimatum” .
Arte Postale! è disponibile in cambio di una pubblicazione oppure al costo, spedizione inclusa, di Euro 5:00 in francobolli da inviare a Vittore Baroni, Via Cesare Battisti 339, 55049 Viareggio.
venerdì, 28 dicembre 2007
Il malandrino Villon
Pur non amando le biografie romanzate, faccio un’eccezione per un libro di Jean Teulé che Neri Pozza ha mandato da poco in libreria. E questo perché l’invenzione è ridotta al minimo, c’è attenzione ai documenti, il personaggio trattato viene fuori in 3D con fedele ricostruzione di tutte le caratteristiche ribalde e avventurose che hanno caratterizzato la sua vita. Queste cose mi fanno sopportare perfino brani di dialoghi immaginari, praticati nel volume, parti dialogate di cui, comunque, volentieri avrei fatto a meno. Premessa necessaria per dire di Io, François Villon scritto da Jean Teulé, autore di televisione, cinema e teatro (e questo la dice lunga sulle origini della sua scelta di scrittura che inclina alla fiction), nonché – come segnala il risvolto di copertina – compagno di vita dell’attrice Miou-Miou. La biografia, come il titolo esplicita, è quella di François Villon che nelle pagine racconta in prima persona la sua esistenza scapestrata di poeta e malfattore. Quattro volte arrestato per furti, raggiri, ferimenti, fino a essere condannato a morte, fu sempre rilasciato ma poi nuovamente catturato e imprigionato. Il 5 giugno 1455 avviene l'episodio, storicamente provato, più tenebroso: nel corso di una rissa uccide un prete di nome Philippe Chermoye. Accusato dell'uccisione del religioso, Villon è costretto a lasciare la capitale francese. Il suo vero nome fu François de Moncorbier, nacque a Parigi nel 1431 e nel 1463 se ne perdono le tracce allorché giudicato, sempre a causa di furti e risse, sarà torturato, processato e condannato, ma il giudizio verrà annullato il 5 gennaio del 1463. Mai si saprà quando e dove è morto. E qui Toulé fa benissimo a non inventare nulla e lascia, infatti, il personaggio mentre s’allontana andando incontro al suo destino. In carcere scrisse le sue opere maggiori. Per il valore dei suoi versi - e principalmente per il suo capolavoro, i poemi raccolti nei “Testamenti” - è ritenuto uno dei precursori della corrente letteraria dei poeti maledetti. L’opera sua più nota è La ballata degli impiccati pubblicata postuma nel 1489; da essa ha tratto ispirazione Fabrizio De André per il brano omonimo pubblicato nel suo album “Tutti morimmo a stento” del 1968. Gran merito di Toulé è di restituire al lettore il tumultuoso viaggiare di Villon in fuga dai giudici, l’afrore delle taverne, i letti sfatti di prostitute, la violenza del potere, l’umanità stracciona e violenta con la quale François convive e si scontra, lasciando balenare dietro la scorza del bandito lampi di tristezza e di rimpianto che si ritrovano nei versi che ci ha lasciato.
Jean Toulé “Io, François Villon” Traduzione di Giuliano Corà Pagine 318, Euro 17:00 Neri Pozza
giovedì, 27 dicembre 2007
Arte e Industria
“Il rapporto tra arte e industria” – scrive Giovanni Bonfiglio – “nasce nel Rinascimento con la realizzazione delle ‘invenzioni’, che a loro volta erano geniali intuizioni di alcuni uomini di arte e di cultura, quasi sempre con personalità poliedriche, quindi in grado di coniugare il loro interesse artistico con interessi più pratici, così fu ad esempio per Leonardo da Vinci e per molti altri artisti del Rinascimento”. È appunto in questo straordinario periodo che si configurano, in Italia le prime operazioni di trasformazione industriale. Questo avviene per soddisfare i crescenti bisogni delle "città stato" (Firenze, Venezia, Genova, Milano) ed è proprio a Firenze che il granduca Francesco 1° de Medici, interessandosi di alchimia e di arti meccaniche, commissiona ad artisti dell'epoca dipinti che illustrano le prime trasformazioni della materia. Un'interessante raccolta di queste tele si trova a Palazzo Vecchio, nello studio che il Vasari realizzò per lo stesso Granduca attorno all'anno 1570. Ai nostri giorni il rapporto arte-industria ha conosciuto maiuscoli sviluppi estendendo con i nuovi media i campi espressivi investiti; così oltre ai tradizionali mezzi della pittura e della scultura, abbiamo artisti impegnati nella pubblicità, nel video, fino alla Net Art. Su di un caso italiano – La raccolta Esso, formatasi nel periodo compreso tra il 1949 e il 1962 – si sofferma una bella mostra in corso alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. I curatori: Lorenzo Cantini e Carla Michelli. L’esposizione – con una suddivisione dei dipinti tra figurativo e astratto – testimonia come, a partire dagli anni cinquanta, un’industria, la Esso Standard Italiana, ricopra un ruolo di grande importanza nel documentare una serie di componenti artistiche e culturali di primo piano del Paese, seguendone e registrandone sviluppi e tendenze, anche di collezione, che attraversano la rinascita economica del dopoguerra, il boom degli anni sessanta e, successivamente, la crisi energetica e la contestazione di lavoratori e studenti del ‘68, per concludersi agli inizi degli anni ottanta. Sono esposte opere vincitrici dei Premi di Pittura voluti dalla Esso con nomi alcuni già noti all’epoca ed altri che lo diventeranno: Afro Basaldella, Franco Gentilini, Emilio Vedova, Giulio Turcato, Giuseppe Santomaso, Pio Semeghini, Emilio Vedova, Carlo Corsi, Toti Scialoja e altri ancora. In concomitanza con la nascita della Raccolta, di particolare importanza fu il ruolo di diffusione culturale esercitato dalla Esso Rivista (1949 - 1983), con commissione di copertine ad artisti del calibro di Vasarely, Colombo, Carmi, Munari, Alviani, Ballocco, Virduzzo, Zen, Berni, Tornquist per citarne solo alcuni. Il catalogo, pubblicato in italiano e inglese da Electa, dà conto di tutte le opere e le sezioni della mostra. La Raccolta d’arte Esso. 1949-1983 A cura di Lorenzo Cantini e Carla Michelli Galleria Nazionale d’Arte Moderna Viale delle Belle Arti, 131 – 00196 Roma Infoline: 06 – 32298221; fax 06 - 3221579 Fino al 24 febbraio 2008
Il libro oggetto
Mi pervengono alquanti comunicati di mostre e convegni sul libro oggetto, quel volume, in copia unica, che pur avendo forma di libro è costruito anche con materiali non cartacei oppure sulla copia di un testo esistente sono applicati segni che ne amplificano o ludicamente contraddicono titolo e contenuti. La più recente notizia arriva da Cassino dove opera un Archivio a cura di Teresa Pollidori e Loredana Rea. Nato nel 1997, s’è avvalso inizialmente di una prima raccolta di opere donate dagli artisti partecipanti alla prima Biennale espositiva. Negli anni, la collezione si è arricchita ed il Comune di Cassino ha istituito l'Archivio del Libro d'artista, che possiede ora un patrimonio di oltre 100 libri. Grazie alla collaborazione del Centro commerciale "Gli Archi", è oggi possibile mostrare al pubblico tutte le opere appartenenti a a quell’Archivio. Un esemplare, in foto: Vittorio Fava, “Libro delle serrature impossibili”, 2004.
Per tutti i nomi degli autori esposti, cliccate QUI. Noto che fra quei nomi ci sono anche alcuni che sono stati ospiti - aldilà del libro d'artista - della mia taverna spaziale sull’Enterprise e, patriotticamente, li cito: Giovanni Fontana; luca patella; Lamberto Pignotti; William Xerra. Archivi del Libro d'Artista Centro Commerciale “Gli Archi” Via Casilina Sud - km. 140,250 Cassino Fino al 13 gennaio ‘08
venerdì, 21 dicembre 2007
Vogliamo i colonnelli
Era questo il titolo d'un film del 1973 di Mario Monicelli che satireggiava in modo trasparente il progetto di colpo di Stato tentato pochi anni prima da Junio Valerio Borghese. La pellicola metteva in burletta goffi personaggi impegnati in un’impresa più grande di loro. Probabilmente il pur bravissimo regista non disponeva a quell’epoca della documentazione necessaria per profilare ciò che nel dicembre 1970 era stato qualcosa di più di un tentativo, pur presentando a tratti angoli di comicità involontaria. A documentare quella tentazione antidemocratica, e altre precedenti e successive, nonché il ruolo di parte dei servizi segreti e le alleanze in patria e all’estero delle destre eversive, ci pensa un libro edito dalla Newton Compton intitolato L’Italia dei colpi di Stato di cui è autore il giornalista Gianni Flamini. Da oltre trent’anni è impegnato in attente ricerche sui temi del terrorismo e dell’eversione, ha pubblicato una serie di libri-inchiesta: “Un agosto tranquillo” (Roma 1971), “Il partito del golpe” (Bologna 1981-1985), “L’ombra della piramide” (Milano 1989), “La banda della Magliana” (Milano 1994 e 2002), “I pretoriani di Pace e Libertà” (Roma 2001), “Segreto di Stato” (con Claudio Nunziata; Roma 2002), “Brennero Connection” (Roma 2003), “L’amico americano” (Roma 2005), “Il bullo del quartiere” (Milano 2006). Flamini ha il merito non solo di fare entrare il lettore in quelle tenebrose trame che racconta con il ritmo dei migliori gialli, ma di riportare l’origine dei falliti putsch all’epoca della guerra fredda allorquando si stabilirono pericolosi legami tra alcuni militari e politici americani e l’area neofascista italiana. A leggere le sue pagine, due riflessioni balzano in primo piano. La prima: quei tentativi furono possibili perché il nostro paese – l’unico in Europa ad essere stato ad un passo dal golpe (quello di De Gaulle fu un colpo di forza, non un colpo di Stato, e quello portoghese è tutt’altra faccenda) – è in massiccia parte ancorato all’idea che solo l’autoritarismo rappresenti al meglio lo Stato; contro tale convinzione poco è stato fatto, specie dalla scuola, e non pochi ostacoli sulla via della modernità sono stati frapposti dal Vaticano. La seconda: l’unità della Sinistra, durata fino alla metà degli anni ’70, fu senza dubbio una delle cause che determinarono difficoltà, e poi dissuasione, fra i malintenzionati. Cosa questa che, di fronte alla frammentazione attuale delle forze progressiste, dovrebbe ben far riflettere sull’importanza dell’essere uniti, senza – come, purtroppo, accade – inseguire traguardi di bottega elettorale. Per la nostra democrazia, i pericoli, sia pure in forma diversa da quella d’anni fa, non devono essere oggi sottovalutati.
Per una scheda sul libro: QUI. Gianni Flamini “L’Italia dei colpi di Stato” Pagine 253, Euro 14:90 Newton Compton
Leo Castelli
La casa editrice Castelvecchi, dopo una presentazione alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, ha mandato in libreria un volume di Alan Jones intitolato Leo Castelli. L'italiano che inventò l'Arte in America con un’autorevole introduzione di Gillo Dorfles. L’edizione s’avvale della consulenza artistica di Barbara Martusciello.
A lei ho chiesto di parlare di quest'importante testo dedicato a Leo Castelli. Il libro è molto interessante sia per la ricostruzione della vita di Leo Castelli che per quella del periodo storico che lo vede protagonista sia, ancora, per un illuminante palesamento dei legami tra artisti, operatori di settore etc. del tempo e per una chiara resa dei meccanismi alla base del sistema dell'arte che diventerà "il" sistema dell'arte dominante, internazionalmente parlando, cioè quello americano. Il lavoro con Alan Jones è stato piacevolissimo perchè lui è una persona molto carina e disponibile oltre che, ovviamente, competente e professionale. Della sua ottima ricostruzione discuto solo un punto, che non mi quadra ma sul quale è stato irremovibile; riguarda l'intervento delle alte sfere politico-economiche americane per imporre il loro "prodotto artistico interno" e obbligare ad un passaggio di testimone il primato europeo. E' lampante tale interferenza d'imperio, e oscura, anche se Alan e gli americani - ma non solo loro, però, va detto - negano ogni trama istituzionale, compresa quella più inquietante votata a tale scopo (leggi Cia e simili apparati). Di sicuro è che hanno vinto loro, anche per nostro demerito: di quello delle nostre, di istituzioni - se pensiamo che un noto politico si armò contro la presenza di certa nostra "arte degenerata" alla Biennale di Venezia, solo per fare un piccolissimo esempio di demenza culturale - e della maggior parte degli artisti che non hanno saputo modificare il loro modo di rapportarsi con il resto del mondo. Quello che oggi possiamo fare, con urgenza, è riscoprire o rivitalizzare la nostra, di produzione "interna" e i nostri personaggi di spicco di quegli anni, difendendoli o difendendone il ricordo e il lavoro, anche con netti interventi istituzionali, tardivi ma ugualmente utili oltre che doverosi e necessari. Alan Jones “Leo Castelli. L'italiano che inventò l'Arte in America” Introduzione di Gillo Dorfles Traduzione di Federico Vuerich e Stefania Sapuppo Consulenza artistica di Barbara Martusciello Pagine 427, Euro 26:00 Castelvecchi
giovedì, 20 dicembre 2007
Macchine fantastiche
Mi è pervenuto da Stampa Alternativa un libro mandato da poco in libreria: Macchine fantastiche Manuale di stramberie e astuzie elettro-meccaniche. Ho aperto il plico temendo l’ennesimo romanzo o, peggio ancora, l’ennesimo “giallo” (ormai il numero dei giallisti è sciaguratamente imponente e, in Italia, secondo soltanto al numero degli evasori fiscali), ma presto mi sono rassicurato. Macchine fantastiche è un percorso attraverso le più strane macchine inventate dagli scrittori nei loro libri; è, quindi, gioioso parente del catalogo, una delle forme di scrittura che più amo. Non è, però, soltanto un’elencazione di marchingegni perché ogni citazione (comprese alcune chicche di raro reperimento) è sorretta da un ragionamento saggistico che indaga sul come la macchina prende forma, su quale buffa o perversa funzione assume nelle pagine in cui si muove, sul suo destino espressivo. Dal malandrino cavallo di Troia all’erpice seviziatore di Kafka, dai meccani amorosi di Picabia agli ingranaggi umani di tanto teatro d’avanguardia, dai droidi ai cyborgs, dai meccanismi libertini a quelli di tortura, dalle macchine celibi ai versificatori elettronici, è tutto un pulsare che pone autori e personaggi di fronte ad uniformità e alterità, fra desideri e repulsioni, speranze e disperazioni, gag e slapstick. L’autore di queste pagine è Antonio Castronuovo e, con mio dispiacere, per niente tecnofilo. E’ nato nel 1954, vive in Romagna. Prima del libro di cui ho detto, ha pubblicato molti saggi, tra cui “Palingenesi del frammento” (1995), “Al mercato del tempo”, 1997 (entrambi per Pellicani); “Il mito di Atene”, 2001, “Ombre del Novecento”, 2002, “Esercizi gnostici”, 2002 (tre titoli editi da La Mandragora); per Stampa Alternativa: “Suicidi d’autore” (2003), “Libri da ridere” (2005); “Tutto il mondo è palese” (Mobydick, 2006). E’ consulente di Rizzoli-Bur e di Rusconi. Scrive sulle riviste “Amadeus”, “Belfagor”, “L’Indice”, “Il Ponte”. Dirige “La Piê”, la più antica rivista romagnola di cultura (fondata nel 1920). A lui ho chiesto: la tecnologia, nella letteratura da te presa in esame, è vista come un lieta premonizione o come un incubo?
La rassegna delle mie macchine fantasiose è un tuffo in un mondo in cui le macchine sono dotate di un senso, quando nella realtà tecnologica esse non ne hanno più. La tecnologia è ormai diventata una perfezione priva di scopo, e ciò ne fa un incubo. Le macchine fantastiche sono invece ironiche, buffe, mirate a produrre effetti improbabili: nell’invenzione artistica l’incubo passa cioè in seconda linea. La felicità impossibile nel mondo della tecnologia diventa possibile in questo mondo di fantasie strambe e curiose. In altre parole: se siamo condannati a vivere tra le macchine, è meglio vivere tra quelle inventate. Sono più belle e più significative. Il libro non contiene alcuna Macchina Della Felicità, ma sospetto che l’umana inventiva ne abbia sognata almeno una, mentre nel mondo reale nessuna macchina – ormai ne siamo tristemente consapevoli – potrà mai dare felicità... La penso in modo diametralmente opposto, ma su Cosmotaxi mi piace ospitare anche opinioni lontane dalle mie. E, poi, ve l’ho già detto, questo è un libro pieno di meraviglie. Per una scheda sul volume: QUI. Antonio Castronuovo “Macchine fantastiche” Pagine 238, Euro 13:00 Stampa Alternativa
Storia dell'Orso
Diciamo la verità, le locuzioni popolari non mettono in buona luce l’orso. Perfino la Borsa, chiama ‘Orso’ la tendenza al ribasso temuta da tanti investitori. E che dire poi dei modi di dire? Da burbero come un orso passando attraverso l’accusa di ladrocinio di lasciar le pere in guardia all’orso fino a implicite ammissioni d’assassinio contenuto nel detto vendere la pelle dell’orso prima d’averlo ucciso. Ma se sin qui si tratta di parole – in massima parte derivanti da favole – peggio quel mammifero se la passa in Cina (e in altri paesi orientali) dove per profitto degli umani viene sottoposto a terribili atrocità come documenta l’Animals Asia Foundation. Ad occuparsi dell’orso, della sua storia evolutiva, delle sue gravi condizioni di vita oggi sul nostro pianeta, è un libro – Orso, pubblicato da Urra-Apogeo – che ne traccia la figura dalla piccola specie (non più grande di un cane) che popolava la terra 25 milioni di anni fa, fino alle otto specie di oggi. L'orso tra miti e leggende, la sua presenza nella letteratura, nel cinema e nell'arte, il suo difficile rapporto (ma, spesso, anche molto affettuoso) con gli uomini, per trattare poi il doloroso capitolo della caccia che gli si dà, delle torture che gli s’infliggono per estrarne la bile, dei rischi d’estinzione che corre.
L’autore è Robert E. Bieder; insegna presso il Dipartimento di Storia e presso la Scuola di affari pubblici e ambientali della Indiana University of Bloomington. Robert E. Bieder “Orso” Pagine 186, Euro 13:00 Urra – Apogeo
mercoledì, 19 dicembre 2007
Contropiede
“Come? Lei crede ancora al tifo e agli idoli?... Ma dove vive, Don Domeq? … Non esiste punteggio, né formazioni, né partite. Oggi le cose succedono solo alla televisione e alla radio. La falsa eccitazione dei locutori non le ha mai fatto sospettare che è tutto un imbroglio? L’ultima partita di calcio è stata giocata tanto tempo fa… Da allora il calcio, è un genere drammatico, interpretato da un solo uomo in una cabina e da attori in maglietta davanti al cameraman” (Borges, da Esse est percipi, 1967). Queste le parole, per più versi profetiche, scritte, 40 anni fa, dal grande scrittore argentino. Di teorie sul calcio ne esistono anche altre, ora d’impronta sociologica, ora antropologica, però m’è capitato di leggerne una, di carattere politico, che – la si condivida oppure no – ha il fascino dell’originalità e, quel che più conta, dell’intelligenza. La si deve a Daniele Camilli. Laureato in Scienze Politiche, lavora presso l' ufficio stampa dell'Assessorato all' agricoltura della Regione Lazio. Si occupa inoltre dello studio delle culture contadine e popolari della Tuscia.
Che cosa sostiene l’autore in questo libro, pubblicato da nottetempo, intitolato "Contropiede Breve discorso sopra il metodo del calcio"? Partendo dall’osservazione “che è uno sport nato con il mondo a noi conosciuto, il sistema capitalistico, rispecchiandone le dinamiche sociali e produttive”, arriva alle conclusioni che tra i due universi esiste una stretta relazione. Corredando il suo discorso con esemplificazioni, descrive come “mentre il cosiddetto ‘gioco a uomo’ sembra somigliare alla catena di montaggio fordista – ognuno al suo posto, ognuno con il suo uomo e il suo ruolo definito, ognuno con il suo bullone da avvitare – il ‘goco a zona’ sembra invece portare le logiche del sistema produttivo post-fordista”. Il parallelo politico tra calci alla palla e pedate sociali non si ferma qui perché “… analizzando la storia dei Mondiali, notiamo una certa correlazione tra la squadra vincente e la situazione sociale e politica caratterizzante il suo paese d’appartenenza. Sosteniamo che, storicamente, le squadre vincitrici appartenevano spesso a quei paesi che stavano vivendo quella che David Hell ha definito crisi di trasformazione potenziale”. Ammetto di non conoscere David Hell e le sue teorie, ma quelle di Camilli (forse per alcuni sfiorando il paradosso), posseggono un’eccentricità di pensiero che le rende degne di nota. A lui ho chiesto: nella visione che hai del calcio e delle sue relazioni con fattori extracalcistici, quale funzione attribuisci al pubblico sugli spalti? Il pubblico chiede “spettacoli”, fuori e sugli spalti. E li ottiene. Il tutto all’interno di una società dove tutto appare uguale. Apparentemente indistinguibile. Un contesto dove tuttavia le differenze sono ancor più marcate, ancor più radicali, perché evidenziate come non mai dalla fisicità dei corpi. Tutti possiamo avere accesso a un cellulare o a un decoder. Tutti partecipiamo a quella che Débord, quarant’anni fa, definiva la “società dello spettacolo”. Poi c’è chi subisce violenza dentro le quattro mura familiari e chi, fortunatamente, no. C’è chi brucia vivo in fabbrica e chi, fortunatamente, no. Il pubblico durante una partita consuma spettacolo e i calciatori stessi sono percepiti e preparati anche all’interno di questa logica. Basti pensare al loro modo di esultare o alla loro presenza in molti dei programmi televisivi, calcistici e non. In mezzo a tutto questo, però, ecco arrivare la contraddizione! Accanto a chi chiede e ottiene spettacolo, c’è una parte che si organizza politicamente e “militarmente” proponendo anche modelli di violenza che molto spesso prescindono dal semplice atto di teppismo per somigliare sempre più ad azioni di vera e propria guerriglia urbana. Pensiamo a quanto accaduto durante i festeggiamenti per i Mondiali 2006 a Roma o a Catania ovvero ultimamente sempre nella Capitale. Con un elemento di novità in più rispetto al passato: la capacità di estendere la propria azione al di fuori degli stadi e di coinvolgere non solo i cosiddetti Ultras, ma anche il cosiddetto “cittadino comune”. Insomma, come scrisse Gianni Mura su Repubblica, “Storie di piccola follia che in Italia, da troppo tempo, si considerano normali”. Daniele Camilli “Contropiede” Introduzione di Tiziano Marelli Pagine 72, Euro 7:00 edizioni nottetempo
Le voci di dentro
Tra coloro che s’impegnano in quel difficile campo del sociale che è il rapporto fra teatro e carcere, da tempo stimo quanto va facendo il Cetec (Centro Europeo Teatro e Carcere). Ora, Marta Volterra dell’Ufficio Stampa m’informa, e volentieri rilancio, che organizzato come sempre da quel Centro, e realizzato con il sostegno e il Patrocinio dell'Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, torna alla ribalta l’Edge Meeting 2007, proseguendo il suo lavoro di esperienza pluriennale. Ancora una volta offre un momento di approfondimento a più livelli promuovendo, dentro e fuori le carceri, un’attività di formazione attraverso le Arti e i Mestieri dello Spettacolo finalizzato al concreto reinserimento lavorativo e dando voce a narrazioni teatrali in un percorso pedagogico oltre che artistico. Si sta per concludere l'anno europeo delle pari opportunità, e quest’appuntamento con l'Edge Meeting sarà tutto declinato al femminile, dedicato alle donne svantaggiate, alle detenute ed ex-detenute. Il Cetec, con sedi a Milano e a Roma, nasce come cooperativa sociale e, oltre a un percorso artistico che ha attraversato i confini (s’è esibito in Francia, Inghilterra, Germania, Irlanda, Spagna), ha promosso laboratori multietnici, e prodotto teatro dentro i luoghi di detenzione con un taglio innovativo, puntando, e riuscendovi, ad andare oltre il momento ludico-ricreativo, realizzando un progetto teso a creare figure professionali nell’area dello spettacolo tra i detenuti. A dirigere il Centro è Donatella Massimilla, regista e drammaturga.
Edge Meeting 2007 Roma, varie località Dal 20 al 22 dicembre ‘07
martedì, 18 dicembre 2007
Franco Vaccari
Da tempo sostengo che la Galleria Civica di Modena è diventato uno dei centri espositivi italiani più interessanti per le arti visive contemporanee; lo è da quando è diretta da Angela Vettese di cui – in occasione di una mostra di un paio d’anni fa – scattai un flash.
Di altri flash è fatta la mostra fotografica in corso dedicata a Franco Vaccari nato a Modena nel 1936; per una sua dettagliata biografia, cliccate QUI. Il percorso della mostra – “Opere 1955 – 1975”, a cura di Luca Panaro e Roberta Russo – ubicata in due diversi spazi, è illustrato in questa scheda. Nel 2003, ospitai Franco Vaccari - in foto - nella mia taverna spaziale sull’Enterprise; e nel corso di quella conversazione ebbi modo di apprezzare i suoi giudizi. Il catalogo – edito da Baldini Castaldi Dalai – presentato da Andrea Landi Presidente della Cassa di Risparmio di Modena e da Mario Lugli Assessore alla Cultura del Comune, porta le firme dei critici Angela Madesani, Luca Panaro, Roberta Russo, Angela Vettese. E proprio dall’intervento di Angela Vettese riporto un brano che mi pare ben profili l’aspetto di questa mostra che presenta uno degli aspetti dell’attività di Franco Vaccari: quella fotografica che, pur avendo fin qui accompagnato le opere dell’artista modenese, non è unica fra i suoi strumenti espressivi. Franco Vaccari non è un fotografo. La buona scelta di un soggetto e di un’inquadratura, l’attenzione alla carta e alla stampa, l’attenzione alla tecnica e al virtuosismo del risultato non potrebbero essere più lontane dal suo approccio. Una lettura critica condotta su questo presupposto sarebbe fuorviante. Fisico, di formazione, Vaccari sembra proporsi infatti soprattutto come un filosofo morale. Non è lui che decide quando e se aprire il diaframma. Non schiaccia. Lascia piuttosto che un pubblico sempre più partecipativo, sempre più incline a giocare con le macchine, vagamente solipsista e spesso esibizionista dica la sua. Non è Andy Warhol, sempre pronto a sottoporre i suoi amici a provini nei quali comanda lui. Vaccari non comanda, semmai induce in tentazione. Chiede agli altri di fare un’immagine e di solito questo accade, complice un mondo in cui la centralità del visivo si è fatta invadente e in cui tutti tendiamo ad avere, dagli anni settanta in qui, sempre più mezzi per scattare un’istantanea e quindi sempre più confidenza con quello specchio dilazionato nel tempo che è la fotoistantanea. Nelle foto-di-non-autore di cui Vaccari stimola la nascita, lo sguardo assume tutti i volti che sta assumendo nel nostro vivere centrato sull’occhio: si fa di volta in volta secco, glaciale, affettuoso, da voyeur, da perditempo, da narciso. Franco Vaccari utilizza le immagini fotografiche come schermi su cui fissare delle esperienze di altri, di persone che non avvertono altra presenza che quella di una macchina. L'Ufficio Stampa della Galleria è condotto da Cristiana Minelli. Franco Vaccari “Opere 1955 – 1975” Galleria Civica, Modena Info: 059 - 22 44 18 Ingresso gratuito Fino al 17 febbraio ‘08
lunedì, 17 dicembre 2007
Le seduzioni di Silvana
Sono in corso due mostre presso la Società per le Belle Arti di Milano. Una è dedicata al Premio biennale intitolato allo scultore e pittore Agenore Fabbri (Pistoia 1911 - Savona,1998), premio che ha la finalità di promuovere l’arte italiana giovane che presenti caratteristiche innovative; l’altra mostra ripercorre la storia della Pittura Analitica esponendo opere degli anni Settanta o appena precedenti. Per saperne di più sui due avvenimenti, cliccate QUI. Cataloghi della Silvana Editoriale. In questa nota segnalo anche una collana, edita dalla Casa appena citata, dovuta alla Fondazione VAF fondata a Francoforte sul Meno dal collezionista Volker W. Feierabend che è anche ideatore del Premio Agenore Fabbri. In Germania, con tutta evidenza, non sapevano che l’acronimo Vaf suona bizzarro in Italia, né all’epoca della nascita di quell’Istituzione agiva ancora Beppe Grillo che ha connotato le sue adunanze con quella sigla birichina. Ospite oggi di Cosmotaxi è Marco Meneguzzo. Figlio dell’artista Franco, è curatore della Mostra Pittura Analitica Una storia italiana 1970-1980 ed uno degli autori della collana feierabendiana uscita con una recente, e imponente, pubblicazione dedicata al Gruppo MID che s'è proposto con accenti multimediali dall’arte programmata all’arte interattiva.
A Marco Meneguzzo ho chiesto di tracciare l’importanza del Gruppo MID nello scenario dell'arte contemporanea. Credo che il MID abbia un posto di rilievo nella storia dell'arte italiana recente. Giunto per ragioni meramente anagrafiche appena a ridosso della generazione "eroica" dell'arte programmata italiana (è stato fondato nel 1964) il gruppetto ha saputo "impadronirsi" artisticamente della luce stroboscopica e di certi ritrovati tecnico-ottici relativi alle forme in movimento, tanto da farne quasi un "marchio di fabbrica", e come tali sono tuttora ricordati ad esempio dai francesi del GRAV. Di più, il tentativo di condurre l'arte a una gestione più vicina al design fa presupporre che avessero intuito le uniche possibilità di sviluppo di quest'arte, appunto da traghettare nel campo delle applicazioni grafiche e scenografiche. Come ricordavo poco fa, è in corso la mostra de te curata “Pittura Analitica Una storia italiana 1970-1980”. Quale la principale motivazione che ti ha spinto a questo lavoro? La Pittura analitica merita maggior attenzione di quanta non ne abbia avuta da vent'anni a questa parte. Interrogarsi se avesse ancora senso dipingere e se questa pratica potesse essere considerata non solo esistenzialmente ma anche ideologicamente e politicamente è stato un esperimento davvero importante, soprattutto se si considerano i processi di pensiero messi in atto, dichiarati negli scritti e mostrati nelle opere. Gli anni settanta italiani, in questa tendenza, sono stati di primaria importanza in Europa, assieme ai corrispondenti movimenti tedeschi e francesi, che tuttavia hanno maggior risonanza, grazie alla capacità di quelle culture di non dimenticare. E' proprio per questo che ho inteso recuperare questo momento, comprimario dell'Arte Povera e dell'arte Concettuale, e tuttavia molto meno ricordato: da allora, da questo tipo di sperimentazione, fare pittura non è stato più lo stesso, non è stato più possibile dipingere senza porsi aprioristicamente la domanda sul "senso del dipingere".
venerdì, 14 dicembre 2007
Tavole italiane: Garanghelo
Il mese scorso, reduce dalla mediocre Biennale ’07 (… ahi, Mister Storr!), sono andato a consolare le mie delusioni tornando al Garanghelo, ex bàcaro rivisitato sapientemente dai fratelli Lucio e Simone Bisutto osti sublimi che dispensano gioie del palato; andateci, sta a due passi, proprio due, dalla Biennale (scendere col traghetto alla fermata “Arsenale”), mi ringrazierete. Un pasticcio di pasta e pesce gustosissimo, una serie di piatti veneziani tutti ben condotti: i nervetti, il fegato, il baccalà mantecato, l'aringa con polenta, sarde in saor, bigoi in salsa, l'insalata di pesce, il carpaccio alle erbe della laguna, la spienza (milza), gli sgombri al pepe... buoni vini. Rispetto a due anni fa, il locale è stato ristrutturato acquistando nuova spaziosità, tavoli sia all’esterno sia all’interno con un servizio cordialissimo ma non invasivo. A differenza di tanti posti veneziani, dove dovrebbero portare il conto provvedendo a mettere una mascherina sul volto (anche in periodi non carnevaleschi) perché sono prezzi da rapinatori, al Garanghelo c’è un rapporto qualità-prezzo tutto da elogiare. Ho appreso che Lucio Bisutto è titolare anche di un altro locale, il Giorgione, purtroppo, non ho avuto tempo per andarci.
Il Garanghelo via Garibaldi, 1621 041 – 52 04 967 Chiuso il martedì
Bevivino rilancia
Tempo fa, in queste pagine web segnalai l’Editrice Bevivino. La casa è guidata da Francesco Bevivino. Nata nell'ottobre del 2002, agisce a Milano e i volumi sono pubblicati attraverso l’articolazione di tredici collane. Narrativa, teatro, fantascienza, politica, sociologia, comunicazione multimediale, e altro ancora nelle pagine di quest’Editrice che, dopo un periodo di riflessione (o di fiacca, non saprei), si rilancia ora sullo scenario editoriale avvalendosi anche di un webmagazine dal nome dostojewskiano - L’idiota – che presenta le novità accompagnate da un frizzante redazionale che commenta fatti e misfatti del mondo della cellulosa.
Tra le novità della Bevivino, segnalo “Le opere e i giorni di Ennio Flaiano” (256 pagine, 15:00 euro) di Franco Celenza: documenti, recensioni e brani antologici che raccontano la vita di questo nostro scrittore a 35 anni dalla scomparsa. E ancora: “La letteratura nell’era dell’informatica” (352 pagine, 8:00 euro) a cura di Cesare Milanese che coordina più saggi tesi a interrogarsi sul futuro dell’universo letterario.
giovedì, 13 dicembre 2007
News dal Medioevo
La trentesima Garzantina è dedicata al Medioevo. 8500 voci, 5 appendici, 1800 illustrazioni, 64 tavole a colori, 40 schede d’approfondimento che sono veri e propri microsaggi sui principali aspetti dell’epoca trattata: filosofia, letteratura, medicina, religione, linguistica, islam, università, sistemi amministrativi, storia delle donne e tanti altri argomenti. Questo, in estrema sintesi, il frutto di tre anni di lavoro di un gruppo di esperti che s’è avvalso della consulenza scientifica e revisione generale di Glauco Maria Cantarella (Recanati, 1950) che insegna Storia del pensiero politico medievale all’Università di Bologna. Presso Garzanti ha già pubblicato: Medioevo e Una sera dell'anno Mille.
A lui ho chiesto: perché i confini cronologici del Medioevo appaiono sfuggenti? Il medioevo è un lunghissimo periodo di esperimenti e di transizione: come ogni età, peraltro... E' stato individuato come "età di mezzo" fra Quattro e Cinquecento, e così riempito di vari significati: fra la latinità classica e quella "rinata" dell'Umanesimo; fra le origini dell'esperienza cristiana nelle sue forme istituzionali e la sua "rinascenza" nella purezza delle origini, secondo gli studiosi e i polemisti della Riforma protestante; specularmente, fra le prime manifestazioni della cristianizzazione generalizzata e il suo crescente splendore nelle forme istituzionale, per i cattolici controriformisti. Per passare poi, fra i secc. XVIII e XIX, ad essere l'età delle origini delle nazioni che si stavano costituendo in stati nazionali. O anche, sotto l'impulso del pensiero giuridico soprattutto francese della seconda metà del '700, l'età del fulgore di alcune istituzioni, come il "feudalesimo": il che, allora, rendeva inevitabile spostare la fine del medioevo al declino di quelle istituzioni: dunque, ad esempio, per la Prussia, al XVII secolo... E' un millennio sfuggente, insomma, seppure con caratteristiche abbastanza nette. Di questo abbiamo cercato di dare conto attraverso il taglio, non tradizionale, della Garzantina. E giusto per non essere "tradizionali" aggiungerò che una data che possa simboleggiare efficacemente la fine del medioevo è rappresentata secondo me dal 1493, quando papa Alessandro VI Borgia stabilì con una bolla quali parti del mondo dovessero essere di competenza spagnola e quali di competenza portoghese: insomma, l'Europa, creatura originale del medioevo, fino ad allora invasa da tutte le migrazioni e da tutti i popoli, si apprestava a tracimare nel mondo e a improntare il mondo di sé. Spesso al Medioevo sono associati significati oscurantisti, si parla di secoli bui, eccetera. Ma le cose stanno proprio così? Nel Medioevo furono tutti bigotti? I "secoli bui" sono un'immagine dell'Illuminismo. In realtà anche l'Illuminismo non è stato privo di aspetti oscuri... E per di più si tendeva a confondere con la civiltà medievale le manifestazioni repressive come l'Inquisizione spagnola. Bisogna, in generale, prestare molta attenzione a non confondere la sincera credenza religiosa con la bigotteria, e nemmeno un quadro culturale segnato e in gran parte edificato dalle esperienze e dalle istituzioni ecclesiastiche con la mera credulità o ingenuità o, ancora, bigotteria cieca. La pervasività della cultura cristiana è fuor di dubbio: ma bisognerebbe ricordare più spesso che essa ha anche fatto tesoro di tutta la cultura classica e l'ha anche rielaborata con esiti originali. Insomma, si farebbe un grave errore, e insieme un grave torto, al medioevo a volerlo rinserrare negli stereotipi che ci sono stati consegnati. Dal cinema ai fumetti ai videogames s’assiste ad un forte ritorno di eroi e ambientazioni medievali. Come mai nell’immaginario, specie dei più giovani, oggi si nota tanto interesse, in forma di ‘heroic fantasy’ per quell’epoca? I ragazzi dipendono dal mercato (non solo loro, per la verità...). E il mercato è un mondo di sollecitazioni che trovano la loro origine anche nei differenti e talora divergenti impulsi della/e realtà contemporanea/e. Basta pensare al Fantasy. O, negli ultimi anni, a quel risorto interesse per le Crociate: sulla base della malaugurata teoria dello "scontro di civiltà" (Huntington). Gioverà ripetere finché si ha voce che la storia non è responsabile dei frantendimenti e delle cattive interpretazioni che se ne danno, e che di solito non sono mai neutrali? E che sarebbe preferibile acquisire un abito critico, un metodo di lettura che può essere più utile per la comprensione? Diciamo che io credo di si: se gli intellettuali hanno un ruolo, questo è il loro compito. Siamo in giorni in cui, spesso, ci si lambicca il cervello su quale regalo fare per le prossime feste, ecco un libro che – aldilà del suo valore che lo rende un evergreen – può anche risolvere quel problema, adatto com’è ad una biblioteca per adulti e ragazzi allo studio. Per una scheda sul volume: QUI. Garzantina: Medioevo Pagine 1760, Euro 39:60 Editore Garzanti
mercoledì, 12 dicembre 2007
Pignotti 1 e 2
Intenso momento d’attività espositiva per Lamberto Pignotti che chi, come me, lo conosce da molti anni, sa che si tratta di creatura sfaticatissima. Mentre, infatti, a cura di Walter Guadagnino, è in corso allo Studio Stefanini di Firenze la mostra Dove siamo (nella foto un’immagine), alla Biblioteca Civica d'Arte Luigi Poletti a Modena da pochi giorni ha aperto i battenti In forma di libro. E’ il titolo di una serie di mostre dedicate al libro d’artista. Un programma che la Biblioteca sta portando avanti da tempo con successo esplorando destini e vocazioni di questo singolare strumento espressivo nel lavoro dei maggiori artisti delle arti visive italiane contemporanee.
Ho chiesto a Lamberto: nella tua opera, quale ruolo e direzione poetica rappresentano il libro d'artista? Mi riferisco a libri in copia unica come quelli che vado facendo da diversi lustri e che sono concepiti ritagliando e piegando opportunamente, con interventi e scritte a pennarello, dei sacchetti di plastica della spesa. E' intanto un'operazione ecologica, di riciclaggio... Non sono ovviamente dei libri tradizionali, ma ne richiamano sguaiatamente la forma. Li considero piuttosto alla stregua di una scultura che si può toccare, sfogliare, mettere in tasca. Intanto vanno in tasca anche a qualche collezionista: vanno letteralmente a ruba nelle gallerie e financo nei musei. Approdano ora alla Biblioteca civica d'arte Poletti di Modena, allo Studio Stefanini di Firenze; figurano nelle collezioni del Museo Pecci di Prato e del MART di Rovereto. Sono un genere di libri poco docili e servizievoli, contrariamente ai libri tradizionali, le cui pagine costituiscono semplicemente dei supporti agli scritti e alle figure; sono libri insomma che rivendicano una inedita e consapevole identità. Certuni definiscono queste opere "libri oggetto"; io preferisco definirli in virtù proprio di una rivendicata identità e autonomia "libri soggetto". Lamberto Pignotti “In forma di libro” Biblioteca Luigi Poletti Viale Vittorio Veneto 5, Modena Info, Tel: 059 – 20 333 72 Mail: biblioteca.poletti@comune.modena.it Fino al 23 febbraio 2008
lunedì, 10 dicembre 2007
Queneau a Glinglin
Da vecchio oulipiano invio lodi all'Editrice Newton Compton che, nello spazio di poco tempo, quest’anno ha pubblicato due opere di Raymond Queneau. Si tratta di “Gli ultimi giorni” (1936) e, più recentemente: “Tempi duri, Saint Glinglin!” (1948). Due opere che precedono le maggiori e che permettono d’esplorare già i primi segni di quella scrittura vertiginosa, matematica, che connota il grande Raymond. Il primo titolo che ho citato è accompagnato da un’introduzione di Arnaldo Colasanti, il secondo da una di Renato Minore . Entrambi i volumi sono tradotti da Francesco Bergamasco, oggi ospite di Cosmotaxi. Nato nel 1966 a Portogruaro, dove risiede, è laureato in Lettere antiche con una tesi in filologia greca all'Università di Venezia, e ha conseguito il Master in Insegnamento dell'Italiano all'Università di Padova. Ha avuto esperienze di studio e d’insegnamento in Finlandia, Brasile e Inghilterra. Prima di "Tempi duri, Saint Glinglin!", l’altro romanzo, inedito in italiano di Queneau, "Gli ultimi giorni", è stato fra i quattro finalisti selezionati dalla giuria del Premio Monselice per la Traduzione 2007 presieduta da Carlo Carena. Mi soffermo su "Tempi duri, Saint Glinglin!" perché mi pare che fra i due citati sia quello più riuscito dello scrittore francese.
Due domande in una: quali le principali difficoltà che hai incontrato nel tradurre "Tempi duri, Saint Glinglin!" e come situi questo libro nell'opera di Queneau? Tra le varie difficoltà, quella forse più pressante è stata rispettare la struttura compositiva, che qui, come negli altri romanzi di Queneau, è molto elaborata e si riflette materialmente sulla scrittura assumendo vari aspetti: una certa regolarità nell’alternanza della convocazione dei personaggi sulla scena (e talvolta, con loro, degli epiteti che li accompagnano); frasi che ritornano uguali o con microvariazioni a intervalli anche molto lunghi; ripetizioni dall’alta densità semantica diluite in modo naturale nella narrazione. Quanto alla posizione di “Tempi duri, Saint Glinglin!”, esso costituisce un ‘unicum’ nella carriera di Queneau, perché è il solo romanzo su cui egli sia ritornato a distanza di tempo (indice di un coinvolgimento particolare): qui Queneau recupera problemi e riflessioni (che datano dagli anni trenta: inizio della cura psicoanalitica) e li liquida sia sul piano personale (raggiungimento di un certo equilibrio) sia sul piano storico (accettazione del divenire). Qual è l'importanza dell'Oulipo nello scenario della letteratura contemporanea? La carica creativa innovativa ha accompagnato l’Oulipo dagli anni ’60 ai primi anni ‘80 (Queneau, Perec, Roubaud, Calvino), decenni in cui peraltro funzione culturale e produzione industriale erano tra esse meno distanti di adesso. Oggi, le sperimentazioni mi sembrano ristrette a una cerchia appartata, sebbene illustre, rispetto alle dinamiche editoriali prevalenti. Paradossalmente, si potrebbe pensare che sia invece diffusa una volgarizzazione della combinatoria, una sua versione dimidiata e isterilita, filtrata da certo cinema americano, che ha indirizzato molti autori a concentrare un’attenzione esasperata sugli acrobatici incastri nell’intreccio (ma “le trame” ¬– ricorda Furio Scarpelli – “si comprano al tabacchino; il problema è dare spessore ai personaggi”). Per schede sui due libri: QUI e QUI. Raymond Queneau “Tempi duri, Saint Glinglin!” Introduzione di Renato Minore Traduzione e postfazione di Francesco Bergamasco Pagine 240, Euro 6:00 “Gli ultimi giorni” Introduzione di Arnaldo Colasanti Traduzione di Francesco Bergamasco Pagine 221, Euro 6:00 Newton Compton
venerdì, 7 dicembre 2007
Pivano a Verona
La splendida città di Verona di recente ha operato scelte elettorali alquanto discutibili (onestà di cronaca impone anche di dire che la Sinistra se l’è meritati quei risultati punitivi), ma, si sa, diceva Ennio Flaiano che esistono anche “trascurabili maggioranze”. Sia come sia, ancora più giusta appare lì una mostra in corso, e da tempo annunciata, su Fernanda Pivano e la Beat Generation, vale a dire su una proposta di praticare l’esistenza in un modo certamente lontano dai contenuti sui quali hanno fatto convergere consensi molti veronesi. Può essere istruttivo e, forse, illuminante, proprio per quelli capire che si può vivere in modi molto diversi da quelli ai quali hanno dato adesione. N’è testimonianza una mostra di fotografia e memorie a 50 anni dalla pubblicazione di “On the Road” di Jack Kerouac, edito nel 1957 dalla Viking Press di New York, e i 10 anni dalla scomparsa di Allen Ginsberg, morto il 5 aprile 1997. Nella foto di Sottsass: Ezra Pound, Allen Ginsberg, Fernanda Pivano; Portofino 23-09-1967. Con l’esposizione dedicata a Fernanda Pivano e la Beat Generation, allestita presso la Biblioteca Civica di Verona, in collaborazione con la Fondazione Benetton Studi e Ricerche ed il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri, a Verona sono ricordati i due anniversari esponendo filmati, libri autografati e documenti manoscritti di Ernest Hemingway, Jack Kerouac, Allen Ginsberg (raccolti da Fernanda Pivano, provenienti dalla biblioteca Riccardo e Fernanda Pivano Fondazione Benetton Studi Ricerche), fotografie di Ettore Sottsass e del curatore della mostra Walter Pescara. Per l’occasione la Biblioteca Civica di Verona pubblicherà, nella raccolta “Sedicesimi”, alcuni estratti da “On The road” di Jack Kerouac e “Howl” di Allen Ginsberg con fotografie di Ettore Sottsass.
Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web, l’Ufficio Stampa è guidato da Caterina Spillari: Tel. e fax 045 – 80 77 391; mail: caterina_spillari@comune.verona.it “Fernanda Pivano e la Beat Generation” Biblioteca Civica di Verona Vicolo san Sebastiano 3 Info: 045 – 80 79 725 Ingresso libero Fino al 6 gennaio 2008
Radioparole
Qualche tempo fa in queste pagine web scrissi una nota su Radioparole. Se avete cliccato sul link, ora sapete di che cosa si tratta. Apprendo con gioia che l'audiodocumentario Il sogno di una cosa di Andrea Giuseppini (autore radiotelevisivo e fondatore di Radioparole) – prodotto da Amis con il contributo dell'assessorato alla cultura della Regione Friuli Venezia Giulia e distribuito dall'Associazione Audiodoc – ha vinto l'edizione 2007 del premio "Memorie e Musiche Comuni" bandito dall'Anci, l'Associazione Nazionale Comuni Italiani. Il premio è rivolto alle ricerche che riguardano la memoria storica e la tradizione etno-musicale. La giuria ha premiato il lavoro "per il suo interesse storico e per la valorizzazione delle fonti orali fatta nel rispetto della complessità, della ricchezza e della grande umanità delle testimonianze degli intervistati".
Maggiori informazioni sulla motivazione e notizie su altri vincitori le trovate: QUI. Per saperne di più su Il sogno di una cosa: CLIC.
giovedì, 6 dicembre 2007
I Moist Media
Organizzato dalla NABA di Milano, ISIA di Firenze, e dall’Accademia di Belle Arti di Carrara si terrà da domani fino al 9 dicembre – presso il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato – un interessante convegno coordinato da Francesco Monico: Dai Media ai Moist Media, i nuovi scenari della Technoetica. Durante questo congresso saranno presenti artisti e ricercatori di oltre 10 nazionalità che presentando le loro ricerche e opere esploreranno la nuova posizione dell'uomo nel mondo delle reti e dei processi. A Francesco Monico ho chiesto: che cosa sono i Moist Media? Ti rispondo estraendo un brano che apparirà a gennaio nel “Quaderno di Comunicazione“ dell’Editrice Meltemi. Il terzo millennio vede un'accelerazione verso le applicazioni delle tecnologie al corpo in maniera così marcata e decisa che ormai si può parlare di vera e propria ibridazione. La tecnologia è dentro ogni aspetto della nostra vita e scandisce la nostra mutazione e il nostro 'essere al mondo'. L'inizio del terzo millennio è segnato dal concetto di Post-Biologico, in questa situazione due tendenze si scontrano: la de-materializzazione, definita Dry, prodotta dai sistemi telematici, e la re-materializzazione, definita Wet, prodotta dai processi biologici. Le due tendenze si scontrano e si ibridano in una ibridazione che realizza i Moist Media ovvero le emulsioni metaforiche che definiscono una nuova mente e delle nuove forme emergenti. Queste nuove menti e nuove forme definiranno, prima metaforicamente poi concretamente, una Cultura Post-Biologica compiuta.
Quali le finalità del convegno? “Researching The Future 2007” prosegue il cammino iniziato con RTF06. E’ un congresso di ricerca in cui gli artisti, professori, ricercatori PhD del Planetary Collegium, divisi nei nodi del CAiiA e del M-Node e ricercatori e artisti, impegnati in un'ottica sincretica di ibridazione dell'esperienza artistica con l'esperienza di ricerca scientifica, fanno il punto sulle proprie ricerche, topiche e questioni. L'incontro si pone come vero e proprio simposio in cui a una presentazione di venti minuti segue l'inserimento del soggetto e del suo prodotto in un network internazionale di discussione di topiche quali Moistmedia, Arte Telematica, Arte Elettronica, Cybernation, Enteogenesi, BioArte,Semilife e la technoetica. Il termine è una unione tra Tecné e noetikos: Tecnoetica è quella speculazione che concerne l'impatto della tecnologia sui processi della coscienza. La tecnologia può essere telematica, digitale, genetica, vegetale, moist (letteralmente emulsionata), linguistica. Le tecnologie oggi disponibili hanno un impatto sulla coscienza e si sono trasformate nel substrato dell'arte del terzo millennio, in particolare le tecnologie più interessanti si definiscono nell'incrocio tra telematica, biotecnologia, nanotecnologie, e informano il processo degli artisti, dei progettisti, dei performers, degli architetti. La definizione estetica del suddetto paradigma tecnologico contemporaneo sarà tech-noetica, cioè una fusione di che cosa conosciamo e possiamo ancora indagare sulla coscienza (noetikos) con ciò che possiamo fare e finalmente realizzeremo attraverso la tecnologia. “Dai Media ai Moist Media” Centro Pecci di Prato Dal 7 al 9 dicembre 2007
mercoledì, 5 dicembre 2007
La regina Irina
Sono certo che un giorno la toponomastica di Venezia dovrà cambiare nome a Calle della Regina (attualmente dedicata a Caterina Corsaro, regina di Cipro, che lì nacque), diventerà “Calle della Regina Irina” in onore di Irina Freguia patronne del Vecio Fritolin ristorante lì ubicato. Se lo merita quel riconoscimento Irina (qui in foto), tante sono le delizie del palato che dispensa e che l’hanno portata ad essere scelta da Monsieur Pinault il quale l’ha voluta a dirigere la ristorazione di Palazzo Grassi. Inoltre, ad ottenere meritate lodi da più Guide, ad essere di recente segnalata dal New York Times. Tanti i trionfi che arrivano in tavola: spaghetti con canoce e zucchine, filetto di branzino con tortino di verdure e salsa di ginepro, terrina di anguille e castraure, baccalà mantecato, per non dire della castradina (rigorosamente solo a metà novembre) che nella preparazione d'Irina è stata elogiata dalla storica della cucina veneziana Carla Coco e ha suscitato fervide citazioni del critico Paolo Marchi. Naturalmente, non manca lo “scartosso di pesce”, anche da asporto, in onore della vecchia tradizione cui deve il nome il locale; i fritolini – risalgono al ‘700 – erano luoghi in cui s’acquistava il pesce appena fritto. Insomma, se siete a Venezia non perdetevi questa puntata nel lusso della Gola. Il “Vecio Fritolin” promuove anche incontri tra scrittori, artisti, vignaioli e gourmet che si ritrovano a tavola per parlare di ricette e di libri, di vini e di arti visive. Per visitare il sito web del locale: QUI.
Vecio Fritolin Calle della Regina 2262 (Rialto, zona Santa Croce) Per prenotazioni: 041 – 52 22 881 info@veciofritolin.it Riposo settimanale: lunedì
BooksWebTv
In Italia, la presentazione in Tv di libri, autori, editori, è, spesso, uno dei momenti più atroci del palinsesto. Tranne pochissime occasioni, tutte tramontate oppure oscurate, parlare di letteratura su Raiset è un problema più che un tema. Per ogni libro, scontro all’ultimo sangue tra i funzionari in cruente riunioni dove s’avverte la corposa presenza di editori e politici che spingono ora questo ora quello. Poi, lo sapete, come anche intercettazioni recenti hanno portato alla luce, bisogna accordarsi fra Rai e Mediaset, sicché a furia di discutere c’è il rischio che nella rubrica delle novità finiscano “La capanna dello zio Tom”, “Cime tempestose” e “I promessi sposi” (perché una presenza italiana, via, ci vuole!). Una buona trasmissione – “Millepiani”, diretta da Maria Teresa Carbone e Nanni Balestrini –, la produceva Cult della piattaforma Sky, ma era fatta così bene che la Fox, nuova proprietaria di ‘Cult’, giustamente, non poteva permettere che andasse in onda e l’ha cancellata dai programmi. Per fortuna, il web sta avanzando proposte che possono soddisfare chi vuol sapere di letteratura ed è meno interessato alle performances d’onorevoli italoforzuti, radicali sinistri, pensatori di Ceppaloni, e brillanti serial killers che con le loro gesta superano la fantasia dei migliori autori di noir. A Milano, ad esempio, è nata da pochi giorni BooksWebTv diretta da Alessandra Casella. E’ interamente realizzata da scrittori, tra cui Elisabetta Bucciarelli, Stefano Bortolussi, Pepa Cerutti e Chiara Mazzotta. Il palinsesto si sviluppa attraverso 6 canali che offrono recensioni, interviste, autori, eventi, news, poesia, libri per ragazzi e uno spazio dedicato agli esordienti. L'offerta del numero zero è molto ricca ed è condotta in modo vispo, veloce, senza quell’aria lugubre con cui sono atteggiati i volti di tanti presentatori di libri in Tv che fanno scendere un velo di mestizia sulle nostre mense quando attaccano a parlare di letteratura come a riferire cronache di funerali ben riusciti. Raul Montanari e Gianni Biondillo inaugurano la rubrica “Bonus/Malus” in cui si processano gli autori, cominciando da Alessandro Manzoni. Antonio Rezza è il primo ospite dell’l”autointervista" fatta allo specchio. Tra gli autori stranieri spicca l'incontro con Perez-Reverte, ma presto saranno on-line nuovi servizi (Chabon, Testud...) anticipati da spot con i saluti di personaggi che vanno da Ken Follet a Franco Battiato a Zuzzurro e Gaspare. Ciò che contraddistingue Booksweb è la scelta di affiancare ai contenuti ufficiali un palinsesto fatto dal popolo della Rete. La sezione “Bookspeople”, condotta da Antonio Zoppetti, blogger e scrittore, si pone l’obbiettivo di valorizzare la Rete come risorsa e di scovare talenti che sappiano sperimentare e proporre nuove idee, nuovi stili. Si tratta di contributi realizzati con mezzi semplici (webcam e cellulari), ma con un alto grado di creatività. Per vedere, sentire, partecipare, cliccate QUI
martedì, 4 dicembre 2007
Gli inferni di Weiss
Lo scrittore e drammaturgo tedesco Peter Weiss (Neubabelsberg, 8 novembre 1916 – Stoccolma, 10 maggio 1982) ha fatto delle sue opere documento ed atto d’accusa verso l’autoritarismo, il colonialismo, il razzismo. Ora, di lui (nella foto) l’editore Cronopio ha mandato in libreria Inferni Auschwitz, Dante, Laocoonte; il volume, pubblicato con il contributo del Goethe-Institut, contiene saggi che riflettono sul confronto tra l’inferno dantesco e l’universo nazista. Scritti fra il 1964 e il ’65, sono tradotti, per la prima volta in Italia, da Anna Pensa.
Così disse Peter Weiss di quei suoi lavori: Immagino Dante nel nostro mondo, sul punto d’intraprendere il viaggio agli inferi. Potrebbe ancora alzare lo sguardo e scorgere una possibilità di redenzione? Nel nostro inferno, infatti, giacciono gli innocenti. Quelli che incontrerebbe lì non hanno niente da espiare. Ciò che devono subire supera le sue fantasie. Oggi anche Dante farebbe quel viaggio sotto altri auspici. Il curatore del volume, Clemens-Carl Härle, nella sua postfazione, così interpreta quelle intenzioni dello scrittore tedesco: Forse Weiss ha avuto bisogno di perdersi nelle crepe e nelle immagini dell’opera di Dante per rendersi conto della scissione tra il visibile e il dicibile […] per rendersi conto di come lui stesso fosse stato a lungo prigioniero di questa scissione. Per rendersi conto, infine, che il male avrà già sempre fatto parte di questo mondo qui e ora e che non esiste una sfera trascendente e separata capace di penetrare più profondamente in questo mondo per condannare il male e salvarci da esso. Inferni, oltre al valore autonomo dei testi, è un quanto mai interessante strumento per meglio capire la produzione letteraria e teatrale di Weiss tutta agita attraverso l’indignazione e la disperazione che in questi saggi mostrano le radici critiche e i traguardi espressivi che motivarono la scrittura di questo grande autore tedesco. Peter Weiss “Inferni” a cura di Clemens-Carl Härle Traduzione di Anna Pensa Pagine 110; Euro 12:00 Cronopio
lunedì, 3 dicembre 2007
Autobiografia / Autoritratto
Si narra che se il diavolo si specchia, la superficie dello specchio non ne rimanda l’immagine, ma la donna che ne sa una più del diavolo questo rischio non lo corre. Borges ha detto che il diavolo è condannato a non poter scrivere la sua autobiografia e deve contentarsi dei ritratti che altri fanno di lui; le donne, d’ogni epoca e paese hanno scritto spesso le proprie autobiografie e, altrettanto spesso, d’alto valore letterario. Tutto ciò sembra testimoniato anche da una mostra in corso al Museo Hendrik Christian Andersen di Roma intitolata Autobiografia / Autoritratto. Curatrice dell’esposizione: Laura Iamurri. Insieme con le fotografie di Francesca Woodman, scomparsa nel 1981, sei altre artiste, nella diversità dei linguaggi individuali (opere pittoriche, fotografie, sculture, video, installazioni), interpretano con le loro opere le possibilità diverse dell’autoritratto. I nomi: Lucilla Catania, Marilù Eustachio, Daniela Monaci, Elisa Montessori, Cloti Ricciardi, Silvia Stucky. Ognuna di loro svolge così una relazione complessa con la propria immagine e risponde alla domanda su che cosa implica, nell’ottica della differenza di genere, l’intenzionalità del ritrarsi e del raccontarsi, intrecciando nessi e intersezioni che convergono nel delineare un’immagine di sé. Il catalogo è edito dall’Editrice Palombi. L’Ufficio Stampa è guidato da Carla Michelli: 06 - 322 98 328
“Autobiografia/Autoritratto” Museo Hendrik Christian Andersen Via Pasquale Stanislao Mancini 20, Roma Info: 06 – 321 90 89 Fino al 20 gennaio 2008
Nunc est bibendum
Questa locuzione latina, tradotta letteralmente, significa "ora si deve bere". È tratta da un verso di Orazio (Odi, I, 37, 1), che aveva con esso inteso tradurre un celebre verso di Alceo che più decisamente affermava "ora bisogna ubriacarsi". La frase oraziana completa è “nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus” ("Adesso finalmente si può bere e danzare, cioè ci si può dare alla pazza gioia"). Curiosamente, entrambe le occasioni, quella di Alceo e quella di Orazio, festeggiavano due decessi, il primo quello del tiranno Mirsilo, il secondo quello di Cleopatra. Si può, però, citare Orazio anche in casi d’eventi non collegati alla morte di nemici, ma soltanto per celebrare il vino. Lo fa, ad esempio, la scrittrice senese Maria Teresa Santalucia Scibona apponendo come epigrafe quel verso alla sua raccolta intitolata La contesa dei vini pubblicata da Pascal Editrice in occasione del settantesimo anniversario della fondazione dell’Enoteca italiana di Siena. Come sanno i 25 lettori di queste mie pagine web, non mi occupo di poesia, ma qui un’eccezione la faccio perché, pur trattandosi di versi, La contesa dei vini contiene un preciso tema – puntualmente e allegramente seguìto – che l’autrice s’è data e, si sa, che è molto più difficile scrivere su binari obbligati che non seguendo ispirazioni libere, spesso, perniciose; l’Oulipo ci dice parecchio al proposito. I poemetti descrivono i vini come creature che stanno lì in armi l’una contro l’altra in una gara all’ultimo sorso e vengono osservati con occhio malizioso e divertito. “Niente male quel secco “Bardolino” / veronese dalla spuma sottile, / è di grana fine e frizzante. / Quasi quasi ci faccio un pensierino / parrebbe lieto, delicato / chissà se è divertente come amante?”. Inoltre, questi versi satireggiano quel modo un po’ tronfio e stancamente gergale con cui tanti critici presentano vitigni ed etichette, e siano, quindi, benvenuti. Cin Cin!
Maria Teresa Santalucia Scibona “La contesa dei vini” Pagine 40, Euro 10 Pascal Editore
domenica, 2 dicembre 2007
sabato, 1 dicembre 2007
Lettrismo ad Asolo
Perché l’AsoloFilmFestival è tra i più vivaci esistenti sullo scenario cinematografico italiano? Perché – come disse, insieme con altre riflessioni, poco fa in queste pagine Toni Jop – tra le sue caratteristiche agisce l’esplorazione di aree espressive contigue all’immagine, alla parola, al suono, dando vita a un laboratorio che riflette sulla pluralità e lo scambio dei codici. Inoltre, lo fa tutto l’anno ospitando rassegne, convegni, mostre, concerti, costituendo così uno dei maggiori poli culturali del territorio Città di origini pre-romane, Asolo con il suo splendido paesaggio ha ispirato grandi nomi delle arti a partire da Palladio e da Canova, fino ad arrivare a Carducci, D’Annunzio, Browning, Stravinskij, Schoenberg, Maderna, Nono, Malipiero, ed Henry James, Hugo Von Hofmansthal, John Dos Passos, Ernest Hemingway, Max Ernst, per citarne solo alcuni fra i più noti. Negli anni Settanta, grazie alla sensibilità artistica e alla presenza in città del grande collezionista Francesco Conz (qui nella foto con Yoko Ono ad Asolo il 30 – 9 – ‘07) – , risiedettero e lavorarono ad Asolo artisti Fluxus: Charlotte Moorman, Nam June Paik, Joe Jones, Geoff Hendricks, Carolee Schneeman, Al Hansen, Alison Knowles, Emmett Williams, Takako Saito, Bob Watts e Peter Moore. Furono anche attivi esponenti dell’Azionismo Viennese: Hermann Nitsch, Günther Brus, Otto Mühl, Gerhard Rühm. E proprio a Francesco Conz si deve una rassegna sul Lettrismo - movimento ideato dal rumeno Isidore Isou (31.1.1925 / 28 luglio 2007) - che inaugura lunedì prossimo con il contributo del Comune di Asolo Assessorato alla cultura. Chi, infatti, se non Conz avrebbe potuto commissionare nove pianoforti agli artisti lettristi? La coincidenza degli incontri e delle affinità gli ha permesso di commissionare un piano lettrista a Jacques Spacagna nel 1989, ma è soltanto quest’anno che Conz commissiona sette pianoforti d’artista ai Lettristi ancora attivi nel movimento. Se Isou purtroppo non era già più in grado di realizzare un’opera di questo genere, Maurice Lemaître ha comunque accettato di realizzarne uno, raggiunto poi da Roland Sabatier, Alain Satié, François Poyet e Broutin, oltre che Jean-Pierre Gillard e Anne-Catherine Caron. La manifestazione, nei suoi vari momenti, avverrà al Museo Civico, alla Piccola Galleria d’Arte, a Villa Antonello e al Caffé Centrale.
Lettrismo ad Asolo Per informazioni: asolo@lettrisme.net Asolo Art Film Festival: info@asolofilmfestival.it Ingresso gratuito Dal 3 al 15 dicembre
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