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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

una storia dilettevole della musica (1)


La casa editrice Marsilio ha pubblicato una storia dilettevole della musica insulti, ingiurie, contumelie e altri divertimenti.
Libro dalla godibilissima scrittura, autore Guido Zaccagnini.
Ha insegnato Storia della musica presso il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. Scrive per quotidiani e riviste, voce storica di Radiorai è autore e conduttore per Radio 3, Rai News 24 e Rai 5.
Ha fondato e diretto l’ensemble Spettro Sonoro, con cui ha eseguito e registrato, tra le altre, l’opera omnia di Nietzsche.
Autore di una monografia su Berlioz, ha tradotto e curato La generazione romantica di Charles Rosen e Su Beethoven. Musica, mito, psicanalisi, utopia di Maynard Solomon.
Consulente per musiche di videoart, ha composto colonne sonore per film, sceneggiati radiofonici, programmi tv.

In questo volume, Zaccagnini illumina antagonismi e innovazioni ripercorsi attraverso le gesta di sommi compositori che rivelano accese rivalità e non poche meschinità sul palcoscenico della storia europea da Mozart a Bellini, da Bach a Stravinskij.
Qualche esempio di contumelie:

- Non verrà mai fuori niente da quel giovane
Haydn su Beethoven

- Un compositore di quart’ordine, e non è neppure interessante
Čajkovskij su Händel

- Le sue “Messe” sono pasticceria rococò
Stravinskij su Mozart

Per ogni musicista citato, più o meno malevolo, segue una scheda di approfondimento che come scrive l’autore è “di carattere informativo e, a seconda dei casi, sarà di natura teorica, storica, etica o sociologica”:
Un lavoro che istruisce e delizia, lontano da ogni sussiegoso accademismo, da ogni albagia linguistica, che si presta ad essere letto anche da chi non è vicino al mondo musicale perché illustra forme livide o rancorose dell’animo di noi umani che albergano anche nei suoi maggiori esemplari di arte e di pensiero.
Il libro, con ricchi apparati (bibliografia, indice dei nomi, cronologia dei 30 musicisti citati), si avvale d’illustrazioni di Luigi Serafini in quarta di copertina e all’interno del volume.

Dalla presentazione editoriale.

«Ombrosi o passionali, romantici o iper-razionali: le vite dei musicisti sono policrome come le melodie con cui accendono i nostri sensi e pensieri. Tensioni emotive, vizi e virtù si traducono nelle loro composizioni, ragion per cui conoscerli e riconoscerli permette di intravedere il volto umano di personalità spesso idealizzate. Forte del rapporto sentimentale e professionale che da circa mezzo secolo intrattiene con la musica in veste di storico, studioso e divulgatore, Guido Zaccagnini racconta i rapporti tra i grandi protagonisti e i segreti dietro la nascita di melodie e falsi miti frettolosamente etichettati come capolavori. Accanto alle vicende biografiche non manca inoltre di chiarire aspetti teorici e legati ai vari contesti che hanno determinato l’affermarsi di leggende o la parabola discendente di forme musicali, correnti e strumenti, dalla Mazurka alla Sonata, dal Verismo all’Impressionismo, dal clavicembalo all’organo ecc. Narrando l’indole autoritaria e iraconda di Händel e le intemperanze di Wagner, la passione per i lepidotteri di Camille Saint-Saëns e il pallino di Erik Satie per gli ombrelli, le bordate di Prokof’ev contro Šostakovič e il Puccini double face, dandy nel bel mondo e «sor Giaomo» per gli amici, l’autore ricompone in modo originale i vari filoni che nel corso dei decenni hanno attraversato le fasi stilistiche della musica, delineando un avvincente affresco che va da Beethoven a Strauss, passando per Schubert, Schumann, Brahms, Wolf e Mahler. Far rivivere dissidi tecnici, morali e concettuali permette di «sollecitare una riflessione e conferire a questi monumenti della nostra civiltà musicale un tocco di umanità: che potrà, forse, farceli sentire più vicini; e magari farceli amare di più».

Segue ora un incontro con Guido Zaccagnini


Una storia dilettevole della musica (2)

A Guido Zaccagnini in foto ho rivolto alcune domande

Da quale tua esigenza è nato questo saggio?

Più che da un'esigenza questo libro nasce da un pensiero che si è venuto a formare nel tempo. È nato poco alla volta, nel corso dei decenni nel corso dei quali, naturalmente per ragioni legate alla mia professione dii storico della musica, ho preso a leggere monografie, saggi, articoli e interviste sul tale musicista, su tal altro periodo storico ecc. Nel tempo, ho accumulato una serie, a dir poco cospicua, di notizie riguardanti le opinioni di celebri compositori espresse a proposito di colleghi a loro contemporanei o del passato. Una volta resomi conto della mole dei documenti raccolti, ho pensato di mettere a frutto tali letture, soprattutto avvalendomi delle centinata di "pecette" via via incollate sulle altrettante pagine contenenti giudizi, aneddoti biografici curiosi e altro materiale che potesse divertire eventuali appassionati di musica, nello scoprire di che pasta fossero fatti celebrità, a prescindere dalla creazione di capolavori musicali.

Quale ragionamento ti ha fatto scegliere il periodo osservato nel libro?

Ho iniziato da Haendel in quanto è il primo musicista della storia di cui sia stata pubblicata una monografia. Prima di lui, ci si può solo basare su opinioni e affermazioni impossibili a verificarsi. Certamente è noto che Giovanni Pierluigi da Palestrina arrotondasse il suo stipendio di musicista vaticano vendendo vino all'intera comunità della basilica di S. Giovanni di Roma; così com'è risaputo che Carlo Gesualdo da Venosa uccise moglie e amante una volta pescati in flagrate adulterio; così come non è un mistero che Jean-Baptiste Lully rimpinguasse il salario elargitogli da Luigi XIV per mezzo di ardite speculazioni edilizie. Ma l'argomento su cui mi sono concentrato era ed è rimasto quello delle maldicenze, delle ingiurie e degli insulti reciproci tra i Maestri del pentagramma. E questo carrellata si è arrestata dopo circa due secoli, fermandomi a Igor Stravinskij (morto cinquant'anni fa): soprattutto per evitare possibili e probabili conseguenze giudiziarie.

Nell’illustrare altezze e bassezze dei 30 famosi musicisti citati nel libro qual è la cosa che hai ritenuto necessaria fare per prima e quale per prima da evitare?

Il dato che ho costantemente tenuto presente, quasi a mo' di timone, è stata l'attendibilità delle citazioni: non ce n'è una in tutto il libro che non abbia il suo riferimento bibliografico: autore, titolo, casa editrice e numero di pagina. Ciò in quanto su certi musicisti sono state scritte e propalate (sino ad oggi!) fandonie a sfascio, aneddoti inventati di sana pianta: per esempio riferiti a Gioachino Rossini. Consequenzialmente, solo in un paio di occasioni ho inserito commenti apocrifi: ma segnalandone l'ipotetica veridicità. Inoltre, ho scartato aneddoti e contumelie se riferiti a compositori verosimilmente poco noti - o del tutto sconosciuti - a un pubblico di non esperti musicali. Per esempio, Chausson, Gretry, Jommelli, Reinecke, Gade, Alkan ecc.

A quale pubblico hai immaginato di rivolgere queste tue pagine?

Inizialmente, questa raccolta era destinata a lettori che avessero una sufficiente dimestichezza con la storia e la teoria della musica. Poi, anche - o meglio: soprattutto - su suggerimento dell'editore, ho corredato ciascun capitolo di una scheda: auspicabilmente utile a chi non abbia idea di che cosa significhino termini specifici come "sinfonia", "armonia", "contrappunto", "poema sinfonico", "tonalità" o "dodecafonia". E anche in ogni capitolo, allo scopo d'intrigare anche chi del settore è più o meno esperto, ho inserito un evento curioso, plausibilmente poco conosciuto e sufficientemente divertente, tratto da biografie di autori celeberrimi. Quanti sanno, per esempio, che in gattabuia finirono - per ragioni diversissime - Johann Sebastian Bach, Carl Maria von Weber e Ludwig van Beethoven? Quanti sono al corrente che Georg Friedrich Haendel evitò per miracolo di essere assassinato sulla pubblica via? Quanti che il concepimento dell'ultimo figlio di Mozart vada attribuito, con ogni probabilità, all'allievo del Maestro di Salisburgo, Franz Xaver Süssmayr, colui che s'impegnò (assai di malavoglia) a completare il suo "Requiem" rimasto incompiuto?

… tutti ingredienti che rendono attrattivo il tuo volume

… ecco, proprio per quanto ho appena detto, spero che questo libro possa interessare sia musicofili incalliti sia semplici curiosi di fatti musicali, anche se magari in possesso di un abbonamento a una stagione teatrale o di concerti, o di un discreto archivio discografico. È ovvio che consiglio a coloro che sanno di musica di saltare a pie' pari la lettura delle schede: anche perché, nello stenderle, ho tenuto a mente il fatto che potrebbe intraprenderne la lettura anche chi non sappia come sia fatto un organo, la differenza tra un clavicembalo e un pianoforte, che cosa significhi "in Do maggiore", "in Sol minore" e via di questo passo. In definitiva, il mio augurio è che la conoscenza di giudizi impietosi espressi da giganti della storia della musica metta una qualche pulce nell'orecchio di chi accetta a scatola chiusa qualsiasi opera composta da una qualsivoglia celebrità, definendoli a prescindere dal loro intrinseco valore capolavori indiscutibili, pietre miliari, creazioni supreme.

Qual è la maldicenza contenuta nel volume dalla quale ti senti lontano e quale quella cui ti senti vicino?

Beh, a leggere quanto dichiarato da Debussy su Bach, da Wagner su Haendel e sul "Don Giovanni" di Mozart, da Stravinskij su Beethoven, da Berlioz su Rossini, da Richard Strauss su Wagner e via di questo passo, c'è da restare di stucco. È vero che in più di un'occasione certe dichiarazioni furono poi corrette dai loro autori, il più delle volte smussandone i toni o facendo una prudente marcia indietro, ma in alcuni casi, seppure frutto di momentanee e irragionevoli prese di posizione, viene da chiedersi come certi termini siano potuti uscire dalla penna di indiscutibili geni che la storia ci ha consegnati. Faccio solo un esempio. Questo scrisse Aleksandr Skrjabin riferendosi alle opere pianistiche di Franz Schubert: "Roba buona per esser pestata sul pianoforte dalle signorine". Va bene che il musicista russo, con il passare gli anni, andò sempre più rincitrullendosi ma quel che è troppo è troppo!

… già, pare pure a me

… per inverso, trovo irresistibile il commento che espresse Léo Delibes (l'autore del balletto "Coppélia") a proposito del "Parsifal" wagneriano. Doverosa premessa. Wagner definì questa sua estrema creatura “Bünhenweihefestspiel”, termine traducibile alquanto liberamente come “rito per la consacrazione del palcoscenico”: mai si era preso tanto sul serio il compositore tedesco, tanto di vietarne la rappresentazione al di fuori del suo teatro a Bayreuth per trent'anni a far data dalla sua morte. Commento di Délibes: "Adoro il secondo atto del "Parsifal" perché ci sono giovani donne e quando ci sono giovani donne c'è sempre da divertirsi." Nota a margine: Délibes si riferiva alle Fanciulle-Fiore che animano il giardino incantato del cattivo mago Klingsor che tentato, ma inutilmente, di sedurre Parsifal e di farlo desistere dal suo sacro progetto di riconciliare l'Uomo con Dio.

Stravinskij conclude la sfilata dei detrattori elencati nel tuo libro.
Dopo di lui le malignità fra musicisti (e non solo fra musicisti) non sono certamente finite. Ma noti una differenza di forma tra ieri e oggi nelle aggressioni verbali e scritte
?

Certamente nel secondo Novecento e in questi primi decenni del XXI secolo sono continuati reciproci frizzi e lazzi anche tra musicisti di grido ma in diversa misura: da un alto, con il proliferare di mezzi comunicativi la cui portata è sotto gli occhi tutti (blog, siti web, facebook, twitter e compagnia bella) si è data la stura a una mole straripante di commenti e giudizi, anche se il più delle volte inverificabili o anzi negati a posteriori dei presunti artefici di tali opinioni. Dall'altro, non pochi posti di potere (sovrintendenze, direzioni artistiche) sono stati e sono tuttora occupati da musicisti in attività: in certi casi, è meglio astenersi dal manifestare il proprio pensiero nei loro confronti. Non si sa mai...

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Guido Zaccagnini
una storia dilettevole della musica
Pagine 496, Euro 19.00
Marsilio


Sotto falso nome

Ricorre oggi una triste data per la storia d’Italia, infatti il 28 ottobre del 1922 si ebbe la Marcia su Roma che portò il fascismo al potere.
Seguì un Ventennio fra i più bui che il nostro Paese abbia vissuto.
Soppressione della stampa d’opposizione, delle libertà sindacali, persecuzioni fino agli omicidi degli avversari politici, guerre, l’alleanza con i nazisti, e, non ultime per importanza, le leggi razziali promulgate in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni Quaranta, inizialmente dal Regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana, rivolte contro gli Ebrei.
Da tutti quegli avvenimenti pare, però, che non tutti gli italiani oggi ne abbiano tratto lezione.

In occasione di questo mesto anniversario sono stati pubblicati parecchi libri, ne ho scelto uno perché è diretto ai ragazzi, ai giovani di domani, nei quali va riposta la fiducia (speriamo non tradita) che non replichino gli errori dei padri
Il titolo del volume pubblicato da Einaudi Ragazzi, casa editrice guidata da Orietta Fatucci, è Sotto falso nome.
L’autore: Frediano Sessi già ospite graditissimo di questo sito, la più recente delle volte fu in occasione della pubblicazione del suo Il bambino scomparso.
QUI una mia conversazione con lui su quel libro e il tema suscitato.

Dalla presentazione editoriale di “Sotto falso nome”

«Un libro per ragazzi: .la vera storia di un incredibile scambio di identità e la fuga dalla persecuzione di una famiglia di ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Un appassionante racconto di amicizia e solidarietà . È il 1943 e in tutti i territori controllati dai nazifascisti imperversa la persecuzione contro gli ebrei. In una palazzina di Mantova, tuttavia, una giovane coppia decide di rischiare la vita pur di proteggere una famiglia di amici in fuga da Fiume, occupata dai tedeschi, dove violenze e deportazioni hanno già fatto strage di innocenti. Ha luogo, così, uno scambio di identità pericolosissimo: Lilli Gizelt e il suo fidanzato Robert Frankl prendono il posto dei coniugi Rampi, insieme ad altre tre persone. Vanno ad abitare nel loro appartamento, fanno la spesa con le loro carte annonarie, fingono di essere chi non sono, protetti dalla solidarietà dei vicini di casa, ma sempre in guardia per evitare di destare l'attenzione di potenziali delatori e polizia fascista. Si salvano, miracolosamente, e non dimenticheranno mai i loro benefattori».

Grazie al loro coraggioso e disinteressato gesto, Luisa e Francesco Rampi sono ora ricordati nella foresta dei Giusti dell' organizzazione no-profit Gariwo
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Frediano Sessi
Sotto falso nome
Pagine 128, Euro 12.00
Einaudi Ragazzi


A letto nel Medioevo


Ad aprile di quest’anno ci ha lasciato la grande medievista Chiara Frugoni.
La sua è stata una voce protagonista negli studi su quell’età storica troppo spesso sbrigativamente definita come un’età oscura.
Ecco come su questo sito rispose alla mia domanda “Furono così bui quei secoli?”: Medioevo=secoli bui è un’invenzione di Montanelli che da un punto di vista giornalistico è una definizione perfetta. Ma non ha alcun senso. Come si possono giudicare bui i secoli con Dante, Boccaccio, Petrarca, Cimabue, Giotto? E il secolo appena passato con due guerre mondiali, la bomba atomica e il massacro degli ebrei è stato un secolo luminoso?

QUI una carrellata fra alcuni suoi libri presentati in video dalla stessa autrice.

L’ultimo suo lavoro, pubblicato dalla casa editrice il Mulino, reca il titolo A letto nel Medioevo Come e con chi
Per un’agile presentazione audio del libro: CLIC!

Un volume, come sempre negli altri libri di Frugoni, ricchissimo di documentazione con pagine di scrittura rapida, gustosa, e sapida.
Il letto dove si nasce o si muore, letti per ricchi, letti per poveri attraversati da accordi politici o proposte indecenti, la camera da letto come stanza “multitasking” osservata sospettosamente dalla Chiesa.
Un libro imperdibile, un piccolo capolavoro.

Dalla presentazione editoriale.

«Gelo, pioggia e vento: nel Medioevo sembra esserci solo un’unica stagione, l’inverno. Ma i disagi del clima sono compensati dal tepore del camino, sempre presente nella stanza da letto. Dove non ci si coricava soltanto; anche di giorno la camera era vivacemente utilizzata: per pranzare, studiare, ricevere visite. Sontuoso e imbottito, abbellito da nappe e cuscini, oppure umile pagliericcio, comprato al mercato o fatto su misura, il letto tutto racconta: la morte e la nascita, amori legittimi e amori proibiti, giochi festosi, atti di violenza e tripudio dei sensi, malattie, segreti e trame di ogni genere. Un luogo per due? Non necessariamente. A volte molto affollato e ad accoglienza variabile, come avviene nelle gustose novelle di Boccaccio, sul letto tenta di appuntarsi, senza molto successo, il controllo della chiesa che lo addita come luogo di ogni seduzione diabolica».

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Chiara Frugoni
A letto nel Medioevo
Con 67 illustrazioni a colori
Pagine 168, Euro 22.00
Il Mulino


I paesi invisibili (1)

La casa editrice il Saggiatore ha pubblicato un libro che ha l’originalità di trattare un tema – i borghi abbandonati – in modo originale perché non si abbandona a improbabili voluttà turistiche o lacrimosi rimpianti del tempo antico, ma mette in mostra in maniera amara e cruda le condizioni in cui versano quei luoghi.
TItolo del volume: I paesi invisibili Manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d’Italia.
L’autrice è Anna Rizzo (Palermo, 1979).
Antropologa culturale, collabora da anni con diverse amministrazioni locali per la rivitalizzazione dei paesi abbandonati d’Italia.
Da oltre dieci anni segue la riqualificazione di Frattura di Scanno e ne parla in questo video.

Dalla presentazione editoriale.

«Esistono luoghi in cui non sembra vivere nessuno. Strade solitarie su cui muovono i passi sparuti camminatori, case centenarie in cui i silenzi sono rotti solo dal ronzio di qualche televisione lontana, antichi muretti a secco su cui camminano gatti randagi e lucertole più di quanto vi si appoggino mani e schiene umane, vecchie stufe a gas a riscaldare ampie stanze semivuote. Sebbene ci possa sembrare uno scenario desolato, queste immagini raccontano in verità una storia di resistenza: quella di tredici milioni di persone che continuano ancora oggi ad abitare i borghi e i paesini d’Italia che, stagione dopo stagione, si svuotano perdendo servizi e attività fondamentali. Anna Rizzo, antropologa che da anni studia e collabora con le piccole comunità delle cosiddette «aree interne» del paese, ci porta alla scoperta di questo arcipelago in gran parte sconosciuto. Il suo è un resoconto personale di queste realtà ai margini, solitamente visibili sulle mappe solo se illuminate da una tragedia mediatica o dalle sirene romanticizzanti del turismo, e quasi mai raccontate in modo onesto e senza facili nostalgie: da Riace a Gibellina, da Cavallerizzo a Frattura di Scanno, Anna Rizzo affronta le problematiche legate allo spopolamento e allo stato di abbandono di edifici e infrastrutture, interroga i cittadini sui loro bisogni, sulle loro paure e sulle strategie di adattamento che hanno individuato, ragiona attorno alle motivazioni di chi è rimasto e di chi se n’è andato.
I paesi invisibili: a un tempo, una panoramica nitida delle piccole comunità d’Italia e un manifesto: una ricognizione fuor di retorica della situazione in cui versano attualmente i nostri borghi e degli interventi necessari per evitare che, tra sfruttamento turistico e incuria dello Stato, un pezzo importante della nostra identità collettiva finisca cancellato per sempre. Perché, è vero, un paese ci vuole anche solo per il «gusto di andarsene via», ma un paese ci vuole soprattutto per la bellezza di ritornarvi. Un viaggio nei piccoli borghi delle aree interne d’Italia tra isolamento e spopolamento, sfruttamento turistico e comunità che, nonostante tutto, continuano a resistere».

Segue un incontro con Anna Rizzo.


I paesi invisibili (2)


Ad Anna Rizzo (in foto) ho rivolto alcune domande.

Quando e perché nasce in te l’interesse per i paesi invisibili?

Nasce nel 2010 quando comincio a studiare la trasformazione economica di alcuni paesi terremotati e distrutti nel 1915 in Abruzzo, nel devastante sisma della Marsica, dove morirono 30.000 persone in 30 secondi e l'ho analizzato in relazione al terremoto dell’Aquila del 2009.

Come si svolge la tua vita mentre operi in quei borghi abbandonati? Quali le principali difficoltà che devi superare?

Quando “faccio campo”, che vuol dire che abito in un paese che devo studiare per mesi, di solito chiedo un alloggio "neutro", come una foresteria o una scuola. Nessuno si accorge da fuori che sono un’antropologa, perché sono mimetizzata e anonima, chiaramente tranne per i residenti che si accorgono di me. Le difficoltà sono la mancanza di negozi, alimentari, farmacie, autobus e presidio medico. Devo portare tutto anticipatamente e prevedere qualsiasi criticità per non pesare su nessuno.

Mi pare che il tuo impegno di studi sia cominciato a Frattura (Scanno).
Perché proprio lì? Che cosa ti ha portato in quella località
?

Il mio impegno di studi è iniziato come archeo antropologa nel 2002, quando cominciai ad appassionarmi di preistoria in uno scavo universitario a Poggibonsi (SI), stavamo scavando un insediamento sulla via Franchigena, "Poggio Bonizio".
A Frattura di Scanno (AQ) arriviamo come equipe nel 2010 con l’Università di Bologna, la Società Cooperativa Matrix96 e l’interessamento della direttrice della missione, l’archeologa protostorica Francesca Romana del Fattore che ha pensato e ideato una ricerca multidisciplinare di stampo anglosassone. Una delle poche in Italia, che è stata vincente per i risultati. Una missione che accoglieva specialisti di archeologia e di antropologia ma anche di scienze dure.

Una parola che va molto di moda: resilienza.
Perché scrivi nel tuo libro che quell’espressione “infesta il dibattito sui borghi”
?

Perché nessun paese dopo una tragedia o trauma, che vuol dire terremoto o dissesto idrogeologico, ma anche una tragedia umana come quella accaduta nel 2018 nelle Gole del Raganello in Calabria, dove morirono dieci persone, turisti e una guida escursionistica, sono tornati come prima. Anzi, molte non hanno avuto la forza di rialzarsi, economie locali dissolte e aree interdette per sempre.

Chi dovrebbe occuparsi i di quei paesi?

I paesi quelli piccoli e senza servizi che ricadono nelle aree cosiddette "interne" sono zone di emergenza a tutti gli effetti. Se ne dovrebbero occupare medici, psicologi, ingegneri, botanici, geologi, assistenti sociali, tutte quelle professioni che si occupano di mettere in sicurezza le persone e garantirgli una qualità della vita dignitosa.

Tra gli addetti ai lavori trovi ci sia adeguata preparazione a risolvere i problemi emergenti oppure no?

Arrivano durante l’emergenza conclamata o in atto, quando è troppo tardi e spesso senza una documentazione adeguata dei luoghi, perché mancano almeno, se non di più, 40 anni di ricerca accademica su cosa sono i paesi oggi.

"Cristallizzato in una dimensione neutra, come se tutti i paesi d’Italia fossero il paese, nei prossimi anni assisteremo alla scomparsa definitiva di un mondo, quello delle aree rurali remote, con cui non siamo più in contatto da tempo”.
Perché “Siamo già altro” come s’intitola l’ultimo capitolo del tuo libro dal quale ho tratto le precedenti righe…altro?... chi siamo o chi siamo diventati
?

Dobbiamo guardare agli ottenni, ai bambini e osservare come vivono nei paesi. Connessi a tablet e telefonini si nutrono di culture altre, cosmopolite e metropolitane. Vivono fortunatamente in una dimensione enormemente più inclusiva della nostra. Il razzismo, la transomofobia, la violenza verso categorie non egemoni per loro è un’aberrazione. Bisognerebbe chiedere a loro cosa desiderano, come e dove pensano di vivere. Anche se sono piccoli sono lungimiranti e visionari.

Vorrei chiudere questa conversazione contraddicendo il pur giusto e ragionato pessimismo espresso prima.
Ci sono speranze di ripresa per quei luoghi
?

No, perché non sono un bacino di voti, né si produce PiI…

… e allora quali possibilità hanno di sopravvivenza quei paesi?

Sopravvivono quei paesi che già prima della pandemia avevano attivato processi e sollecitato i più giovani verso le potenzialità del proprio territorio. Chi oggi, in un periodo di transizione ecologica, lavorativa, economica, ma anche di maggior consapevolezza degli abitanti vuole sfruttare questo trend per fare incetta di soldi, ci farà assistere nuovamente alla realizzazione di opere incompiute.

……………….……..……

Anna Rizzo
I paesi invisibili
Pagine 168, Euro 17.00
Il Saggiatore


A data da destinarsi


Dà il titolo a questa nota un’espressione burocratica che indica cosa da farsi in un momento futuro da stabilirsi. Oppure di avvenimento promesso e per causa di varia natura rimandato senza data certa. È una dizione stampigliata su foderine che raccolgono fogli derelitti, pratiche che forse mai vedranno la luce, polverosi scartafacci.
C’è, però, chi la usa come eroica monelleria utilizzando quelle parole eternandole in un futuro coniugato al presente, facendo sberleffo al Tempo, capriola di calendario.
Accade alla Galleria Bianco Contemporaneo di Rossella Alessandrucci dove è in corso, a cura di Lorenzo Canova (QUI la sua presentazione) la mostra di Lamberto Pignotti intitolata – lo avrete già capito – proprio A data da destinarsi-

Estratto dal comunicato stampa

«Un progetto inedito, ispirato al nostro recente vissuto collettivo composto da una serie di 19 foto ritagliate dai giornali e 19 poesie ad esse dedicate. Lavori incentrati sul rapporto inquietante e seducente ad un tempo, tra realtà e vitalità, tra storia e meta-storia, tra vicende e vice-vicende.

Esposte 19 opere storiche dell’artista, che attraversano un asso temporale che va dagli ani ’60 del secolo scorso al 2019. Uno spaccato di storia rappresentato attraverso parole e immagini, segno identificativo della scrittura verbo-visiva e sinestetica dell’artista.
Lamberto Pignotti, considerato uno dei padri della poesia visiva, è una della voci più autentiche nel panorama italiano della neoavanguardia degli anni Sessanta-Settanta del Novecento. Nei primi anni Sessanta concepisce e teorizza le prime forme di “poesia tecnologica” e “poesia visiva”. Nel 1963 dà vita, con Miccini, Chiari e altri artisti e critici, al “Gruppo 70” e partecipa pochi mesi dopo alla formazione del “Gruppo 63” a Palermo. La sua opera artistica procede rapportando segni e codici di diversa provenienza: linguistici, visivi, dell’audito, del gusto, dell’olfatto, del tatto, del comportamento, dello spettacolo. Come poeta visivo e lineare è incluso in molte antologie italiane e straniere ed è trattato in vari libri di saggistica e consultazione. A tutt’oggi è attivo sia come artista che come intellettuale, invitato a conferenze e rappresentazioni dedicate a lui e alle sue teorie sinestetiche di cui è un precursore».

La mostra è corredata da un catalogo/cartella d’artista a tiratura limitata di 50 copie: un bauletto con le foto delle opere esposte unitamente al testo critico e la biografia dell’artista.

CLIC per una carrellata di immagini.

A Pignotti, tempo fa in un incontro su questo sito gli chiesi perché spesso i critici usano l’aggettivo “diagonale” per definire il suo lavoro...

...Diagonale?... mah, si può dire anche laterale, obliquo, trasversale, di scorcio, di lato, di sguincio, di traverso… E’ un po’ come quando perdi una cosa e per ritrovarla devi cambiare posizione e punto di vista. Spesso ce l’hai sotto gli occhi ma non la vedi, come la “Lettera rubata” di Poe: devi insomma spostarti e guardare con altro occhio, attivare una specie di anamorfosi. Quando ritrovo vecchie foto – conservate, dimenticate – esse mi appaiono improvvisamente come “attuali”. Effetto di uno sguardo forse… diagonale.
Comunque, a me è sempre interessato il sovrapporsi di presente e passato, di opera classicizzata e di opera sperimentale
.

Una curiosità. In questi giorni è sugli schermi italiani “Il colibrì”. In una scena d’interni si scorgono sulle pareti opere di Pignotti.

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Lamberto Pignotti
A data da destinarsi
Galleria Bianco Contemporaneo
Via Reno 18/a – Roma
info@biancocontemporaneo.it
+39 3342906204
+39 3397370168
Fino al 14 novembre


Mussolini ha fatto tanto per le donne! (1)

Ogni nuovo libro di Mirella Serri illumina un tratto della nostra storia meno lontana.
È il caso anche di questo suo più recente volume pubblicato dalla casa editrice Longanesi intitolato Mussolini ha fatto tanto per le donne! La radice fascista del maschilismo italiano.
Serri è docente di Letteratura moderna e contemporanea, collabora al quotidiano La Stampa, TTL, Rai Storia e Rai Cultura.
Con Corbaccio ha pubblicato nel 2005 I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte 1938 - 1948 .
Con Longanesi, nel 2012, Sorvegliati speciali. Gli intellettuali spiati dai gendarmi (1945-1980), Un amore partigiano. Storia di Gianna e Neri, eroi scomodi della Resistenza(2014), (2015), Bambini in fuga. https://www.adolgiso.it/public/cosmotaxi/201706archive001.asp#1498214402001 (2017), Gli invisibili. La storia segreta dei prigionieri illustri di Hitler in Italia; Gli irriducibili. I giovani ribelli che sfidarono Mussolini.

Dalla presentazione editoriale.

«Mussolini amava le donne. E per questo aveva creato per loro un prototipo ideale a cui dovevano strettamente adeguarsi: l’angelo del focolare, la moglie devota che sostiene il marito e consacra la sua vita alla riproduzione. Qualora una donna, però, proprio non fosse riuscita a sposarsi avrebbe dovuto lavorare per servire il suo Paese, magari come stenografa, dattilografa, venditrice di macchine da cucire, grata di ricevere la metà dello stipendio di un collega uomo. Certo, poteva anche essere una prostituta, al servizio di ogni necessità fisica dell’uomo fascista. Ripercorrendone la biografia, la Serri si sofferma sui rapporti di Mussolini con le sue amanti, mettendoli a confronto con il femminismo di quegli anni e dimostrando che in realtà non amava per nulla le donne. Amava alcuni dei possibili ruoli femminili, forse. Ma per il resto le temeva.
Le aveva viste in piazza, unite nei movimenti per il suffragio, indipendenti e libere grazie ai lavori che avevano ottenuto e agli incarichi che avevano ricoperto durante la Grande guerra mentre gli uomini erano al fronte. E si era sentito umiliato da loro. Aveva sviluppato un’ostilità antifemminile che declinò in leggi e divieti. Le prime norme che emanò appena arrivato al potere furono contro le donne e i progressi da loro compiuti in campo sociale. Inasprì il Codice di Famiglia, per esempio, e modificò anche il Codice Penale, garantendo lunga e prospera vita al famigerato «delitto d’onore». Inaugurò così il maschilismo di Stato.
Come denuncia in questo libro Mirella Serri, ancora oggi che sono passati cent’anni dalla marcia su Roma, il maschilismo di Stato del fascismo e il suo tessuto culturale continuano tristemente a condizionarci».

Per sfogliare le prime pagine CLIC!

QUI Simona Colarizi professoressa Emerita di Storia Contemporanea alla Sapienza Università di Roma e il giornalista e saggista Paolo Mieli discutono con l’autrice del suo libro.

Segue ora un incontro con Mirella Serri.


Mussolini ha fatto tanto per le donne! (2)


A Mirella Serri (in foto) ho rivolto alcune domande.

Come e perché nasce questo tuo libro?

Volevo raccontare il fatto che quando una dittatura va al potere per prima cosa schiaccia le donne. L’intervento mussoliniano con la sua cacciata delle donne dai luoghi di lavoro ebbe infatti uno scopo prioritario: dare una prova di forza, elaborare una simbologia alternativa a quella democratica e femminista: l’occupazione maschile, sostenne il neodittatore, è un fattore indispensabile alla costruzione di una solida identità.

Scrivi che la Marcia su Roma fu anche una marcia contro le donne.
Da quali elementi, o provvedimenti legislativi, trai quella conclusione
?

Il Duce, fin dal giorno successivo all’insediamento come capo del Governo a Palazzo Chigi, con grande pervicacia e ostinazione non perse tempo: tramite interventi legislativi – la riforma della scuola, le norme sul mondo del lavoro – fece di tutto per mettere al bando dalla società civile il genere femminile. Il 28 ottobre 1922 Mussolini capeggiò una doppia marcia: quella per la presa del potere, per l’abbattimento della democrazia, e quella contro le donne.
Il racconto della doppia marcia di Mussolini prende avvio dagli anni Dieci del secolo passato, quando in Italia è attivo e forte il movimento femminista, che ha sviluppato stretti rapporti con il Partito socialista e con la Confederazione generale del Lavoro. Gli stessi socialisti spesso, come in questo libro viene ripetutamente ricordato, sono oscillanti e ambigui nei confronti dell’emancipazione femminile. Dal 1912 un violento conflitto oppone Mussolini – che ha conquistato, con la corrente massimalista, la direzione dell’Avanti! – alle femministe
e ai socialisti riformisti, come Anna Kuliscioff e Filippo Turati, schierati per il voto alle donne e per il loro diritto di diventare « cittadine ».

Il maschilismo fascista possiamo accostarlo a una nuova manifestazione di “patriarcato italico” oppure ha proprie caratteristiche?

Ha sue caratteristiche specifiche.
A mutare la condizione delle donne era stata la Grande Guerra: l’esercito femminile, ovvero la manodopera di borghesi, operaie e contadine durante il primo conflitto mondiale, coglierà
di sorpresa politici e contesto sociale, sostituendo gli uomini destinati al fronte: signore e signorine, impiegate e lavoratrici dell’industria offrono un importante apporto al mondo del lavoro e sembrano essere pronte a conquistarsi il diritto al voto ambito da decenni.
Occupato lo scranno di presidente del Consiglio, Mussolini, nei giorni immediatamente successivi alla marcia su Roma, scatena la controffensiva nei confronti delle donne.
Il patriarcato fascista ha delle sue peculiarità. Poco dopo l’insediamento di Mussolini le donne vengono estromesse dalla pubblica amministrazione (assunte durante la guerra, vengono licenziate in massa, e da quel momento troveranno tutta una serie di limiti alla loro assunzione) e i salari femminili sono dimezzati.
L’occupazione femminile è deleteria: «fomenta una indipendenza e conseguenti mode fisiche morali contrarie al parto », dice Mussolini. Il suo attacco è al femminismo anche in quanto antifascismo: Critica Fascista rileva: « Resta provato essere il femminismo esagerato nient’altro che del chiaro e preciso antifascismo ».
Con l’estromissione delle donne dal mondo del lavoro e della scuola grazie alla riforma Gentile, « la più fascista di tutte le riforme », come dice Mussolini, nasce il maschilismo di Stato, l’elaborazione a opera del regime di un’immagine della donna sempre e comunque sottomessa.

A chi fai risalire la responsabilità del non avere, in settant’anni di repubblica democratica, estirpato le radici di quella malapianta con le conseguenze spesso tragiche di oggi?

Il mussolinismo maschilista che conquistò l’Italia mettendo in atto una doppia marcia contro la democrazia e contro le donne rallentò con la sua permanente influenza anche le conquiste femminili degli anni a venire.
E questo fu anche la responsabilità delle forze politiche nel dopoguerra.
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Mirella Serri
Mussolini ha fatto tanto per le donne!
Pagine 272, Euro
Longanesi


PPP in tre mostre


In occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975), l’Azienda Speciale Palaexpo di Roma, le Gallerie Nazionali di Arte Antica e il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo celebrano la figura del regista e narratore e p0eta, nelle rispettive sedi museali, con un progetto espositivo coordinato e condiviso, articolato in tre mostre distinte dal titolo: “Pier Paolo Pasolini Tutto è santo”.

Il progetto concepito e curato collettivamente da Michele Di Monte, Giulia Ferracci, Giuseppe Garrera, Flaminia Gennari Santori, Hou Hanru, Cesare Pietroiusti, Bartolomeo Pietromarchi, Clara Tosi Pamphili, ha come punto di partenza il tema della corporeità e intreccia discipline, media, opere originali e documenti di archivio secondo tre direttrici autonome, specifiche per ogni sede, ma concepite per potersi integrare allo scopo di sollecitare riflessioni inedite sulla produzione pasoliniana, sull’influenza culturale che ha esercitato e ancora esercita sullo sguardo di chi la osserva dal XXI secolo.

Il titolo comune, “Pier Paolo Pasolini.Tutto è santo” è ispirato alla frase pronunciata dal saggio Chirone nel film Medea (1969), a evocare la misteriosa sacralità del mondo: il mondo arcaico, religioso, del sottoproletariato, un mondo senza classi e senza appartenenze ideologiche, in opposizione a quello della modernità ordinato secondo i principi razionali, laici, borghesi.

CLIC per il programma.

Roma
Sedi citate
Dal 19 – 10 – 2022
al 26 – 2 – 2023


Evolution

Stimo molto Domenico Quaranta perciò pubblico volentieri un suo intervento in Rete qui di seguito.

«Sono stato invitato a curare la sezione "Evolution" di Art Verona, che si è tenuta dal 14 al 16 ottobre 2022. Evolution si concentra sugli artisti che lavorano con le tecnologie, ma nell'ottobre del 2022, a pochi giorni dalla scomparsa di Bruno Latour, a 6 anni e 283 giorni dall'aumento di 1,5 °C del riscaldamento globale, credo che evoluzione significhi rinunciare alla dicotomia cultura / natura, umano / non umano, e a qualsiasi idea di progresso guidato dalla scienza, o di innovazione guidata dalla tecnologia. Evoluzione significa ibridazione, adattamento, imparare dalla natura, mettere in discussione il presente ed esplorare linee temporali alternative.
Anche se curare una sezione di una fiera d'arte non è come fare una mostra, sono orgoglioso e felice di vedere questa visione condivisa dalle gallerie e dagli artisti esposti. Evolution raccoglie sei gallerie italiane che presentano mostre personali o piccoli group show. A Gallery Apart (Roma) propone una personale con opere recenti di Marco Strappato, tra cui una serie di stampe in cui fotografie di stock di paesaggi sono rielaborate al punto da rendere irriconoscibile il soggetto, trasformando immagini piuttosto convenzionali nei misteriosi frammenti di un paesaggio lunare. Virginia Bianchi Gallery (Bologna) riunisce in un unico ambiente il lavoro dell'artista francese Léa Porré e del duo Xenoangel (Marija Avramović e Sam Twidale), entrambi interessati a futuri alternativi, alla finzione speculativa e all'ibridazione tra tecnologico e organico. Ospitato da Gallleriapiù (Bologna), Emilio Vavarella presenta una selezione di opere, in particolare una serie di arazzi astratti prodotti con un telaio Jacquard del XIX secolo, e la traduzione di sezioni del suo DNA in un modello che può essere potenzialmente (ri)convertito in codice genetico (funzionando così sia come autoritratto che come banca del DNA). Lo sguardo della macchina è esplorato da Galleria Michela Rizzo e da Marignana Arte (Venezia) in uno stand congiunto che espone opere recenti di Quayola, che ritrae l'ambiente naturale visto da scanner laser ad alta precisione e telecamere ad altissima definizione, e di Matthew Attard, che utilizza la tecnologia dell'eye-tracking per esplorare l'embodiment e il disegno contemporaneo. MLZ Art Dep (Trieste) presenta le opere di Camilla Alberti, Vincenzo Marsiglia e The Cool Couple: tre proposte molto diverse tra loro, accomunate dall'interesse per il tempo profondo della storia naturale e l'archeologia del presente. Infine, Cortesi Gallery (Milano) presenta C-Verso, una piattaforma Web3 per l'arte generativa, esponendo le stampe dell'artista statunitense ippsketch, che realizza disegni astratti con una tavolozza ispirata a Nomenclature of Colors di Werner (1814), un libro che serviva come guida alla classificazione prima che la fotografia diventasse di uso comune e che fu utilizzato da Charles Darwin durante i suoi viaggi esplorativi. Presso lo stand si potrà fare minting dal vivo, per consentire ai visitatori di familiarizzare con i processi dei codici generativi su blockchain. Ci vediamo a Verona!

Immagine: XENOANGEL, The hush of gentle junk, 2022. Ceramica, resina, controller di gioco, conchiglie, silicone, tubo di plastica, 10 x 8 x 13 cm. Courtesy Virginia Bianchi Gallery.

Se pensate che sia troppo tardi per leggere un libro sulle NFT scritto tra il 2021 e l'inizio del 2022, provo a convincervi con alcune recensioni. Right Click Save lo ha recentemente descritto come un “nuovo rivoluzionario libro”. Nella newsletter Dirt, Terry Nguyen presenta Surfing with Satoshi come "un eccellente esempio di libro che si colloca all'intersezione tra arte e tecnologia", aggiungendo: “La sua forza deriva dalla capacità di Quaranta di inquadrare la mania dell'NFT nella più ampia storia dell'arte moderna.” Infine, Brian Droitcour ha scritto su Outland: “Il resoconto di Quaranta... stabilisce un livello elevato per gli altri che seguiranno. Surfing with Satoshi è un libro unico nel suo genere: un tentativo da parte di un singolo autore di intrecciare una serie eterogenea di storie - di movimenti artistici, mercati, tecnologie e critiche - in una narrazione coerente.”

Se ancora non volete arricchire Jeff Bezos e sprecare alberi, potrebbe interessarvi un breve testo che ho pubblicato in The Book of X. 10 Years of Computation, Communication, Aesthetics & X, un'antologia di testi e immagini che celebra il decimo anniversario della conferenza internazionale xCoAx, disponibile per il download gratuito e in forma stampata (gratis - si pagano solo le spese di spedizione). Si intitola "How Can Art Exist on a Distributed Ledger?" ed è lungo solo dodici pagine.

Ecco dove che mi troverete a tenere conferenze e a partecipare a discussioni nei prossimi due mesi. Il 22 ottobre 2022 sarò a Venezia per discutere di NFT al Padiglione Nazionale dell'Uzbekistan insieme a Silvia Dal Dosso, Ryder Ripps, Maria Paula Fernandez e altri. Il 12 novembre 2022 mi recherò a Lubiana per moderare una tavola rotonda nell'ambito dell'evento From Commons to NFTs, che riunisce artisti, hacker e ricercatori per esaminare criticamente il passaggio della cultura digitale dalla condivisione aperta a forme di proprietà basate sulla crittografia. Il 22 novembre, presso la Fondazione Feltrinelli di Milano, parteciperò a Creating with Blockchain, una tavola rotonda sull'impatto delle blockchain sui media, la comunicazione e le arti. Infine, dal 2 al 3 dicembre sarò a Bruxelles per la nuova edizione della conferenza The Future of Living, che affronterà il futuro dell'intelligenza artificiale nel nostro ambiente di vita, nelle città, nelle comunità e nella cultura».


L'assassinio del professor Schlick

La casa editrice Hoepli ha pubblicato un libro che fa luce su di uno dei tanti crimini commessi dal nazismo.
Titolo: L’assassinio del professor Schlick Ascesa e declino del Circolo di Vienna
L’autore è David Edmonds (1964).
Dopo gli studi all'Università di Oxford ha conseguito un PhD in filosofia.
È giornalista della BBC e autore di documentari.
Fra i suoi libri pubblicati in Italia: “La lite di Cambridge”, “Il cane di Rousseau”, scritti con John Eidinow, e “Uccideresti l'uomo grasso? Il dilemma etico del male minore”.

Sono sicuro di non fare spoiler su questa storia, purtroppo vera, narrata dall’autore perché è già detto nel titolo la fine della grave vicenda.

Edmonds così scrive in Prefazione: “Esistono già molti ottimi lavori sul Circolo di Vienna. Questo libro vuole andare incontro all’interesse generale – spiegando chi fossero i membri del Circolo, che ne fu di loro, perché furono così importanti e, in particolare, cercando di osservarli nel contesto in cui il loro lavoro poté svilupparsi. Il Circolo di Vienna era un gruppo filosofico. Ma non può essere compreso al di fuori del contesto. Nacque infatti in una città in cui musica, letteratura e architettura erano in un momento di grande fioritura. La capitale austriaca è un protagonista centrale di queste pagine. Vienna è stata la culla del modernismo, la città dello psicanalista Sigmund Freud e del compositore Arnold Schönberg, del giornalista Karl Kraus e dell’architetto Adolf Loos, del romanziere Robert Musil e del drammaturgo Arthur Schnitzler”.

Per saperne di più sul Circolo di Vienna CLIC.
Il fondamento teorico del Circolo è il Principio di Verificabilità, elaborato da Moritz Schlick (Berlino, 14 aprile 1882 – Vienna, 22 giugno 1936) nel 1924, quel Principio afferma che “una questione o un problema è risolvibile se possiamo immaginare le esperienze che dovremmo avere per dargli una risposta”.
Schlick, fisico e filosofo, fu tra i fondatori del Circolo di Vienna e del positivismo logico.

Con l'avvento del nazismo, mentre molti membri del Circolo si rifugiavano in Inghilterra e negli Stati Uniti, Schlick decise di rimanere a Vienna.
Il 22 giugno 1936, mentre saliva le scale dell'università per tenere una lezione, fu avvicinato da tal Johann (o Hans) Nelböck, uno studente che lo contestò per le tesi sostenute in un saggio. Quando Schlick fece per obiettare, il contestatore estrasse una pistola e lo colpì mortalmente. Fu immediatamente processato, ma il sentimento razzista lo trasformò in un "eroe ariano" contro la "filosofia senza anima" del Circolo.
L'assassino fu scarcerato nel 1938 e dopo l'Anschluss divenne membro del Partito nazionalsocialista austriaco.

Dalla presentazione editoriale.

«Un saggio storico tinto di giallo, ambientato in uno dei momenti più bui della storia d'Europa, sullo sfondo della catastrofe economica e dell'ascesa di Hitler. Protagonista è il Circolo di Vienna, influente gruppo di brillanti pensatori guidato da Moritz Schlick impegnato in una lotta contro la metafisica e le pseudoscienze in una città che veniva inghiottita da fascismo, antisemitismo e irrazionalità. Quando Nelböck, il suo assassino, durante il processo affermò che il suo ex professore stava diffondendo una pericolosa filosofia ebrea, alcuni giornali austriaci presero le difese di quel folle gesto. Edmonds ricostruisce la storia del positivismo logico nel milieau viennese con uno stile da raffinato narratore, rievocando il sapore artistico e politico dei dibattiti nei caffè degli anni venti».

A Vienna, dove fu assassinato, a Schlick è stata dedicata solo una lapide.

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David Edmonds
L’assassinio del professor Schlick
Traduzione di Lorenzo Marinucci
Pagine: XIV-322, Euro 22.90
Hoepli


L'illuminazione dello sguardo


A Milano, in Piazza San Fedele svolge la sua intensa attività (arti visive, musica, cinema) la Fondazione San Fedele dove è in corso dal 5 ottobre L’illuminazione dello sguardo una mostra di William Xerra (QUI il suo sito web) in una triplice occasione: i cinquant’anni della sua serie “VIVE“ esposta nei locali ora inaugurati nella nuova sala espositiva Nanda Vigo e la donazione di Xerra al San Fedele della sua particolare “Via Crucis”.
La mostra è a cura di Andrea Dall’Asta attento rilevatore dei nuovi segni nell’arte,.
Molti altri critici si sono interessati all’opera di Xerra, qui per citarne uno di fama internazionale: Pierre Restany. .

La serie “VIVE” è ispirata a quella dizione redazionale che riabilita una parola prima incautamente cancellata. Sicché nel lavoro di Xerra essa è sovrimpressa a monumenti architettonici, pittorici, letterari dell’umanità.
Anni dopo vedrà la luce un’altra serie, “IO MENTO”, di cui è esposto in mostra un esemplare.
“Io mento” – scrive Elisabetta Longari – “declinato in tutte le lingue, posto come un diaframma fra l’occhio dell’osservatore e le superfici su cui si accampa, che pure vivono di altre suggestioni (ad esempio vecchie cartoline inneggianti all’amore, n. d. r.), però minate, messe ferocemente in discussione, erose in modo radicale dalla scritta Io mento (…) IO MENTO con “VIVE” introduce una vertigine di senso simile a quella provocata dalla confessione ‘IO MENTO’ che ha il potere di sconfessare lo spazio convenzionalmente dedicato all’arte che eppure vorrebbe poter mantenere un’aura vagamente sacrale”.

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William Xerra
L’illuminazione dello sguardo
Fondazione San Fedele
Piazza San Fedele, 4 - Milano
Info: tel. 02 - 86 35 2.1
segreteria.ccsf@sanfedele.net
Fino al 3 dicembre


Il fascismo è finito il 25 aprile 1945 (1)

Per Cosmotaxi è libro del mese di questo ottobre 2022, quello pubblicato dalla casa editrice Laterza, intitolato Il fascismo è finito il 25 aprile 1945, titolo volutamente non seguito dal punto interrogativo; quella frase falsamente rassicurante l’abbiamo udita tante volte e questo saggio di cui è autore lo storico Mimmo Franzinelli la smentisce vigorosamente.
Franzinelli, studioso del fascismo e dell’Italia repubblicana, è membro della Fondazione “Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini” di Firenze.
Tra i suoi più recenti libri: “Il filosofo in camicia nera. Giovanni Gentile e gli intellettuali di Mussolini” (Mondadori 2021), “L’insurrezione fascista. Storia e mito della marcia su Roma” (Mondadori 2022).
Per Laterza ha curato l’”Epistolario 1943-1967 di Ernesto Rossi” (2007), “Oltre la guerra fredda” (2010), “Storia della Resistenza (con Marcello Flores,(2019).

Questo volume, edito prima delle elezioni politiche del 25 settembre, oltre che di una puntualissima documentazione si avvale di una scrittura veloce, serrata, ricostruendo dalle origini del dopo guerra ai giorni nostri l’avventura del neofascismo in Italia e come va ad innestarsi su linee mentali e personaggi del passato regime con inquietante continuità.
Libro imperdibile, e oggi anche assolutamente necessario.

Dalla presentazione editoriale

«Il fascismo è finito con la morte di Mussolini. I fascisti non esistono più o sono irrilevanti. L’Italia ha rotto per sempre con quel passato. Siamo sicuri che sia così? E allora come spieghiamo le molte continuità tra il regime e la Repubblica? Le bombe, i pellegrinaggi a Predappio e le continue violenze?
È giunto il momento di smontare uno dei luoghi comuni più duraturo della storia repubblicana, ovvero quello secondo il quale il fascismo è morto e sepolto da fine aprile 1945. Già nel secondo dopoguerra, infatti, la dottrina della continuità dello Stato riportò ai vertici di prefetture e polizia personaggi di schietta fede fascista. Poi si è permessa la ricostituzione di un partito fascista come il Movimento Sociale Italiano che, tra manganello e doppiopetto, ha avuto un ruolo negli scontri di piazza e ha contribuito perfino all’elezione di presidenti della Repubblica (da Antonio Segni a Giovanni Leone). E ancora, tra la fine degli anni Sessanta e il successivo decennio, le convulse fasi della strategia della tensione, con trame nere e stragi su cui la magistratura non ha fatto chiarezza, lasciando impuniti i responsabili delle sanguinose attività terroristiche. Infine, al superamento del MSI in ottiche postfasciste hanno corrisposto riemersioni e soprassalti di destra radicale. E oggi, a un secolo dalla Marcia su Roma, il fascismo torna periodicamente protagonista delle cronache, segnando la politica e la società con una presenza che non si può ignorare».

In questo video una conversazione fra Mimmo Franzinelli e Carlo Greppi curatore della serie di Laterza “Fact Checking: la storia alla prova dei fatti” nella quale è uscito “Il fascismo è finito il 25 aprile 1945”.

Segue un incontro con Mimmo Franzinelli.


Il fascismo è finito il 25 aprile 1945 (2)

A Mimmo Franzinelli ho rivolto alcune domande.

Qual è la principale motivazione che ti ha portato a scrivere questo saggio?

img src='https://i.postimg.cc/y6fmjZbF/Foto-Mimmo-Franzinelli.jpg' border='0' align="right">Il desiderio di effettuare un affondo storico su tematiche e problematiche che vengono usualmente esaminate con i soli occhi dell’attualità, alla luce delle contingenze momentanee. Ero rimasto colpito dalla superficialità con cui, per fare un esempio, sulla questione del mantenimento o della abrogazione delle cittadinanze onorarie concesse nel 1924 da centinaia di comuni a Mussolini, si sprechino commenti banali sul rischio di “cancellare la storia”, senza preoccuparsi di esaminare la genesi di quei provvedimenti, che sta nell’iniziativa del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giacomo Acerbo, d’intesa con il duce e l’Associazione dei comuni fascisti. A ciò ho dedicato un capitolo, che ha riscosso l’interesse di vari consigli comunali chiamati a deliberare in proposito, ultimo in ordine di tempo quello di Provaglio d’Iseo, in provincia di Brescia.

Nello scrivere questo testo quale cosa hai deciso da fare assolutamente per prima e quale assolutamente per prima da evitare?

Dovevo evitare assolutamente di scrivere un pamphlet a tesi, ma - nel solco della collana laterziana Fact Checking - sottoporre la storia alla prova dei fatti, scoprire o riscoprire da un’angolatura nuova, sulla base di un’ampia documentazione d’epoca, e ricollegare storia a memoria.

Perché in Italia non abbiamo avuto un Tribunale come a Norimberga?
Chi ha le maggiori responsabilità in quel mancato processo
?

Alla volontà iniziale di accentrare a Roma, presso la procura militare, i fascicoli sui crimini di guerra, dovuta ad un’esigenza di razionalità, seguì nel 1947 - condizionato dal clima della guerra fredda - la decisione di effettuare soltanto una dozzina di processi e di insabbiarne centinaia. Le responsabilità sono, evidentemente, di ordine politico, ovvero della Democrazia cristiana. D’altronde lo riconobbe, nei suoi ultimi anni di vita, l’ex ministro Paolo Emilio Taviani, ammettendo il proprio ruolo in questa poco onorevole vicenda di giustizia negata.

Il pericolo che corre la democrazia oggi in Italia è costituita da nostalgici (organizzati o meno), oppure, come scrivi, lo vedi avanzare (anche o soprattutto) da altre parti? Quali?

Il rischio, lo vedo su forme di conformismo che puntano all’allineamento al potente di turno, valutando con fastidio ogni tendenza eterodossa. Un processo evidente nelle manipolazioni dell’informazione, vuoi mediante tecniche occulte vuoi per la volontà di personaggi preposti dal “palazzo” a gestire i mass media. A una destra tronfia corrisponde peraltro, a mio avviso, un centro-sinistra frammentato e litigioso, preoccupato anzitutto dei giochi personalistici di potere e incapace di proporre al Paese una proposta coraggiosa e lungimirante.

Quando su questo sito incontro uno storico, concludo con la stessa domanda.
- Piero Gobetti: "La storia è sempre più complessa dei programmi".
“La Rivoluzione liberale”, 1924.
- Alain: "La storia è un grande presente, e mai solamente un passato".
“Le avventure del cuore”, 1945
- Elias Canetti: "Imparare dalla storia che da essa non c'è niente da imparare".
“La tortura delle mosche”, 1992.
E per Mimmo Franzinelli la storia che cos'è
?

È un ineluttabile processo che mescola drammi ed eroismi, riguarda tutti - singoli e comunità - e ne condiziona in modo determinante vita e morte, spesso senza darne consapevolezza. Un processo ben più contraddittorio, aspro e affascinante di quanto gli storici riescano a spiegare nei loro libri.

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Mimmo Franzinelli
Il fascismo è finito il 25 aprile 1945
Pagine 158, Euro 14.00
Laterza


Cinzia Ruggeri: Cinzia Says...


Edita da Mousse Publishing la ricostruzione scientifica della vita dell’artista, stilista e designer Cinzia Ruggeri (1942-2019).
Il libro contiene un vasto corredo iconografico composto da materiali d’archivio, fotografie e documenti. La monografia è stata realizzata grazie al sostegno dell’Italian Council (IX edizione, 2020), programma di promozione internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, in occasione della prima retrospettiva dedicata a Cinzia Ruggeri che inaugurerà il 5 novembre 2022 presso il Goldsmiths Centre for Contemporary Art di Londra.
Il volume è a cura di Luca Lo Pinto con testi di Mariuccia Casadio, Elena Fava, Maria Luisa Frisa, Corrado Levi, Luca Lo Pinto, Valeria Magli, Giancarlo Maiocchi, Sarah McCrory, Marco Poma & Andrea Gianotti, Mauro Sabbione, Davide Stucchi & Anna Franceschini, Jeppe Ugelvig

Ruggeri, ha fatto della sua ricerca artistica uno strumento di indagine sulle proprietà funzionali e semantiche dell'oggetto e sulla dimensione architettonica e sociale del corpo, secondo una prospettiva originale e anticonformista.
“Cinzia Dice...” è la prima monografia su questa figura non convenzionale che si è mossa attraverso le discipline con assoluta libertà. La sua vita e la sua pratica versatile sono state guidate dal desiderio di ridefinire lo stato formale e funzionale degli elementi della vita quotidiana, dall'abbigliamento agli accessori, dall'arredamento all'illuminazione creando mondi fantasiosi, provocatori, eleganti..
Nel libro la dimensione biografica è accompagnata da una serie di testimonianze di figure che hanno collaborato in prima persona con Cinzia Ruggeri. In ordine di apparizione, la prima personalità che si incontra nel volume è Valeria Magli con cui Ruggeri collabora sul finire degli anni Settanta realizzando per lei una serie di costumi di scena. Segue poi Giancarlo Maiocchi, alias Occhiomagico, con il quale si consolida una forte amicizia e sinergia che si riscontra nella realizzazione di campagne pubblicitarie, le copertine per Domus e progetti a più mani in compagnia di Metamorphosi. Composto da Marco Poma e Andrea Gianotti, Metamorphosi era una casa di produzione televisiva e cinematografica che ha condiviso con Ruggeri una concezione dell’opera e dell’arte con un approccio Fluxus. Il membro dei Matia Bazar Mauro Sabbione racconta della creazione dell’identità visiva della band e del motivo delle scale tanto apprezzato dall’artista e fashion designer. Chiude questa lista di esperienze Corrado Levi che non solo collaborò con Ruggeri in una dimensione vicina alla moda, ma anche organizzando progetti espositivi.
I saggi sollevano, attraverso diversi approcci, una storia lasciata per lungo tempo in ombra interrogandone il lascito nel presente. Il testo di Luca Lo Pinto attraversa tutto il percorso di Ruggeri offrendo al lettore la dimensione della sua ricerca.

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Cinzia Ruggeri: Cinzia says...
Inglese/Italiano
416 pagine, Euro 50.00
Mousse Publishing


Il coccodrillo

Dobbiamo alla casa editrice Adelphi la pubblicazione di un piccolo gioiello: Il coccodrillo, racconto d’insolita comicità di Fëdor Dostoevskij (Mosca, 11 novembre 1821 – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881) del quale conosciamo il suo tenebroso, tormentato io interiore espresso in tanti romanzi che segnano i vertici della letteratura russa e non soltanto russa.
Personaggio dalla vita convulsa e drammatica (fu vittima anche di una sadica falsa fucilazione), dall’esasperata vitalità combattuta fra carne e spirito, di lui dirà la sua amante Apollinaria: “Mi faceva paura. I suoi parossismi d’amore erano simili a crisi epilettiche… uomo avido di lacrime e di sangue”.
“Il coccodrillo” (1865, aveva appena pubblicato “I demoni” e si accingeva a scrivere “L'adolescente”) è ambientato a Pietroburgo citttà di cui lo scrittore dice “Vorrei trasformarmi in Eugene Sue per descriverne gli straordinari misteri. Io sono un appassionato di misteri, sono un immaginativo, un mistico, e questa città mi è sempre apparsa piena di straordinario”.
E straordinaria è anche l’avventura, narrata con toni umoristici da Dostoievskij, del burocrate Matveič e della frivola sua moglie Elena Ivanovna che desidera vedere un coccodrillo esposto a pagamento da un avido impresario tedesco nel Passage.
Visita che risulterà fatale a Matveič che avendo solleticato con un guanto il naso dell’animale per sincerarsi che non fosse un manufatto di pietra, verrà ingoiato dal grosso rettile e se ne starà nel ventre della bestia, sdraiato su di un fianco, senza alcuna intenzione di venirne fuori. Ignorato per tutta la vita a causa della sua mediocrità ora ben contento della notorietà che gliene proviene: sarà, pensa e dice, una cattedra, dall'alto della quale comincerà a istruire l'umanità.
L’operina venne considerate da alcuni la caricatura del socialista utopico Nikolaj Cernjsevskij, “rivoluzionario, giornalista, (pessimo) scrittore” – come scrive in postfazione Serena Vitale ottima curatrice del volumetto – “da poco confinato in Siberia come criminale di Stato. E nel comportamento di Elena Ivanovna, maestra di pizzicotti e seduzione, avevano colto somiglianze con quello, scandaloso per l’epoca, della moglie di Cernjsevski, Ol’ga Sokratovna: non lo aveva seguito in Siberia e si comportava da donna ‘emancipata’ (il marito stesso, del resto, le scriveva che «l’astinenza sessuale è dannosa per l’organismo femminile, non devi essermi fedele».
Nessuna allegoria, reclamò sia pur tardivamente, Dostoevskij: «Un giorno mi venne l’idea di scrivere una storia fantastica, qualcosa come un’imitazione del ‘Naso’ di Gogol’. Non avevo mai pensato a scrivere in stile fantastico. Era puramente una birichinata letteraria, soltanto per far ridere (…) Finiva il secolo XX quando davanti alla più grande biblioteca russa, per sessantasette anni intitolata a Lenin – quel Lenin che detestava «l’arcignobile Dostoevskij», «vomito moralizzatore», e «isterico penitente» – comparve un monumento allo scrittore per molti decenni ‘persona non grata’ a chi decideva i destini della letteratura sovietica”

Dalla presentazione editoriale.

«Pietroburgo, anni Sessanta dell’Ottocento. In un negozio del Passage, l’elegante galleria commerciale – la prima in Russia – inaugurata nel 1848 sul Nevskij prospekt, un tedesco espone a pagamento un coccodrillo. Il funzionario Ivan Matveič, uomo supponente e ignorante, e la sua bella moglie Elena Ivanovna vanno ad ammirare l’esotica attrazione con un amico di famiglia. Ma quando Ivan Matveič cerca di solleticargli il naso con un guanto, il coccodrillo lo inghiotte in un solo boccone. Sventrare l’animale sembrerebbe l’unica soluzione – «retrograda», però, osserva un progressista di passaggio. E lo stesso Ivan Matveič, dal ventre del suo leviatano – grande, comodo, solo un po’ troppo odoroso di gomma –, fa sapere che vuole restarsene lì dentro. Lontano dagli svaghi mondani, sostiene, potrà dedicarsi come un ‘nuovo Fourier’ a migliorare le sorti del genere umano, e ‘dal coccodrillo ... verranno la verità e la luce’. Mentre al Passage la gente si accalca per vedere il “mostro”, Ivan Matveič – caustica parodia di Černyševskij e di tutti i pensatori rivoluzionari dell’epoca – continua a fantasticare sulle nuove magnifiche sorti e progressive della patria russa.
Strizzando l’occhio al Naso di Gogol’, anticipando altre e più tremende metamorfosi novecentesche, divertendosi e divertendo, Dostoevskij presagisce il trionfo della borghesia, il culto del benessere e del profitto, fino alla passione per gli shopping center, e costruisce l’immagine di un “nuovo mondo” tanto risibile quanto mostruoso».

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Fëdor Dostoevskij
Il coccodrillo
A cura di Serena Vitale
Pagine 98, Euro12.00
Adelphi



Mosaico contemporaneo

Lunga, dalle antiche origini, è la storia del mosaico.
Gli esperti ne colgono le prime tracce alla fine del V secolo a. C. in Grecia,
Ad Atene, Olinto, Pella sono state trovate composizioni figurative fatte con tasselli di pietra o vetro fissati con mastice a vari supporti.
L’arte del mosaico abbandonò poi i motivi prevalentemente floreali o geometrici per abbracciare soggetti narrativi più complessi con combinazioni di colore più elaborate. Da noi un esempio di quell’evoluzione si ha alla casa del Fauno a Pompei
Mai si è smesso nei secoli ad esprimersi attraverso il mosaico tanto che arriviamo ai giorni nostri con quella tecnica praticata da grandi artisti quali Gaudì, Guttuso, Severini, Chagall, Cassinari, Sironi, Funi.


In foto:
Palazzo Rasponi dalle Teste, Ravenna, mostra Opere dal mondo. Agnieszka Kwiatkowska, Mona Lee, 2022
.

Forse non tutti sanno che Ravenna fu tre volte capitale di tre imperi e vanta ben otto monumenti dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’Umanità, più noto, invece, è il fatto che la città possegga mosaici ritenuti fra i più belli al mondo.
Non sorprende, quindi che proprio a Ravenna si svolga una Biennale dedicata al mosaico e anche il congresso dell’Associazione Internazionale Mosaicisti Contemporanei.
Già, perché il mosaico ha anche versioni moderne come è possibile notare visitando Ravenna dove si svolgerà la VII Biennale del mosaico moderno.
Vi partecipano oltre cento artisti provenienti da venti differenti paesi del mondo - dagli Stati Uniti al Giappone, dal Messico alla Cina – oltre che dall’Italia e ovviamente da Ravenna; sessanta spazi espositivi tra monumenti, musei, chiostri, gallerie e luoghi simbolici che ospitano più di cinquanta mostre e allestimenti site specific.
La modernità di questa Biennale è testimoniata anche dalla presenza di opere realizzate dall’Intelligenza artificiale.
Ma non solo nuova tecnologia alla Biennale ravennate, anche un goloso divertimento offerto da un mosaico da mangiare fatto da tessere di zucchero caramellato.

QUI un articolato comunicato stampa con la presentazione del programma: località, date, nomi dei partecipanti.

E ancora, last but not least, vi propongo un’altra occasione d’arte visiva a Ravenna.
Si tratta di Prodigy Kid a cura di Daniele Torcellini che presenta il tandem di artisti Francesco Cavaliere - Leonardo Pivi.
.
Ufficio stampa per entrambi gli avvenimenti
Sara Zolla | Tel. +39 346 8457982 | press@sarazolla.com

………...............……...………………..………….

VII Biennale di Mosaico Contemporaneo
Info: MAR - Ufficio relazioni esterne e promozione
Tel. +39 0544 482775 | 482487
ufficio.stampa@museocitta.ra.it | www.mar.ra.it
Ravenna, 8 ottobre - 27 novembre 2022

*************
Prodigy Kid
Sala Martini, MAR - Museo d’Arte della città di Ravenna,
Via di Roma 13, Ravenna
Info MAR: +39 0544 482775
8 ottobre 2022 – 8 gennaio 2023



Polline

Ci sono forme espressive che hanno una data di nascita, è il caso della Land Art che vede la luce nel 1969. Con quel termine, Land art, s’indica l’opera di artisti la cui ricerca, affine a quella dell’arte concettuale, a partire dal 1967-68 negli Stati Uniti e poi in Europa, porta a interventi artistici nell’ambiente naturale.
In Italia ne abbiamo cospicui esempi tra i quali va registrata la terza edizione di Sentieri d’arte rassegna curata da Fulvio Chimento e Carlotta Minarelli con “Polline”, un percorso espositivo allestito lungo le Prealpi lombarde dei Comuni di Centro e Alta Valle Intelvi al confine tra Como e il Canton Ticino.

Estratto dal comunicato stampa

«“Polline” rientra nelle iniziative del Progetto MARKS, realizzato a valere sul Programma di Cooperazione V-A Interreg Italia-Svizzera 2014/2020, progetto a cura di Regione Lombardia e Canton Ticino; l'operazione è cofinanziata dall’Unione Europea, Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, dallo Stato Italiano, dalla Confederazione elvetica e dai Cantoni. Polline è organizzata da Lanzo Intelvi 1868 S.r.l. e Associazione CerchioStella, in collaborazione con Comunità Montana Lario Intelvese, ERSAF, Fondazione Karl Schmid, Consorzio Forestale Lario Intelvese, Museo e Giardino Botanico Villa Carlotta, e il patrocinio dei Comuni di Centro Valle e Alta Valle Intelvi.

Il polline è una sostanza apparentemente informe, trasportata da vento, acqua e correnti, che assume sembianza fisica di quello “spirito vitale” che i greci rintracciavano nella potenza del mondo naturale. Il titolo della mostra si riferisce quindi al reciproco scambio che si instaura tra le opere e il contesto naturale, in un dialogo continuo tra la dimensione artistica e quella spirituale della natura. Il senso dell’arte, come il polline, è rintracciabile in ciò che si manifesta in modo impercettibile e aereo, afferrabile solo grazie a un impulso d’ispirazione estetica: arte come forma di “fecondazione” e di guarigione, che, tramite l’esercizio della sua pratica, determina una “dipendenza” in grado di porre l’esistenza al servizio di una volontà superiore.
Intervengono gli artisti Simone Berti – Andrea Caretto e Raffaella Spagna – Jonathan Vivacqua.
Progetto grafico: Paola Locatelli.

Simone Berti (Adria, 1966) ha ideato per la mostra due interventi denominati ‘Senza titolo’. Il primo coinvolge il rapporto esistente tra arte e botanica attraverso l’utilizzo di due alberi di faggio che, crescendo insieme attraverso l’innesto dei loro rami (anastomosi), formeranno un portale-ingresso che, nel corso degli anni, diverrà sempre più visibile e strutturato, aprendo la via allo sguardo al paesaggio pre-alpino della Valle Intelvi. La seconda installazione vede la presenza di due grandi anelli dorati allestiti in modo speculare sul tronco di due alberi collocati ai lati del sentiero: il visitatore è quindi costretto a passarvi sotto, come per ricevere una benedizione da parte del regno vegetale.

Andrea Caretto (Torino, 1970) e Raffaella Spagna (Rivoli, 1967) realizzano due interventi di tipo scultoreo-installativo. Il primo, ‘Emissari’, mette in evidenza la relazione tra la forma dei blocchi di roccia e i due principali agenti che hanno modellato questo territorio: l'antico ghiacciaio e i fiumi. L’assemblaggio di rocce che formano l’opera ‘Mostro Generoso’ attiva invece la percezione di una forma organica, di un’entità minerale perturbante. Nel cuore del bosco di maggiociondoli sembra riemergere dall’antica Tetide, una mitica creatura proveniente dagli abissi, che sorveglia, custodisce e governa. Affiorando in superficie questa entità scruta l’ambiente circostante in modo silenzioso e attende il tempo nel quale gli umani saranno di nuovo in grado di recepire i suoi messaggi.

Jonathan Vivacqua (Erba, 1986) ricorre spesso all’utilizzo di materiale proveniente da cantieri edili, che seleziona con cura personalmente per riutilizzarlo e ricollocarlo con fine estetizzante. L’originalità del lavoro di Vivacqua risiede nella semplicità con cui assembla in modo sintetico materiali preesistenti, che possono essere considerati dei “ritrovamenti” non casuali, come nel caso degli interventi ‘Metamorfosi’ e ‘Tesoro’. L’artista si misura con il paesaggio dell’Alpe Grande e del basso sentiero del Monte Generoso dando forma a due installazioni dal medesimo titolo, ‘Scarabocch’i, con sottile rimando alle funzioni presenti nei programmi di grafica, che permettono di intervenire attraverso il segno-colore su un’immagine digitale: in questo caso, ci troviamo di fronte a un “ritocco” effettuato su una “cartolina” di paesaggio.

“Polline” nasce non solo con l’intento di integrarsi al paesaggio, ma anche di dialogare con le precise istanze culturali legate a questo territorio, caratterizzato da una certa vocazione al “transito”: durante il secondo conflitto mondiale, tra il 1943 e il 1945, è stato infatti attraversato da circa 20.000 persone: ebrei, partigiani, dissidenti politici, italiani che
Le opere che compongono la mostra “Polline” sono fruibili con modalità libera lungo il sentiero per i prossimi cinque anni».

Ufficio stampa: Irene Guzman - irenegzm@gmail.com - Tel. 349 1250956

…………………………..…………………..……………………………….

Sentieri d’arte 2022
Mostra: Polline
A cura di: Fulvio Chimento e Carlotta Minarelli
Per informazioni: servizi@valleintelviturismo.it –Tel. +39 375 7380671
Dal 9 ottobre al 18 dicembre 2022
Ingresso: libero


La voce del padrone (1)


La casa editrice Jaca Book ha pubblicato un libro d’estremo interesse:La voce del padrone Suoni e racconti dagli studi di registrazione
L’autore è Francesco Brusco
Nato a Modena nel 1978, è docente di storia dell’arte, musicista e studioso di popular music. Ha pubblicato “Estetica di Sgt. Pepper “(2017), “Revolution” (2018), “Faber nella bottega di De André” (2019), “Guccini. Frammenti di un discorso musicale” (200),
Scrive di musica per “il manifesto” e per riviste specializzate .
Come musicista ha inciso con il trio Là Nua due album, Là Nua (2013) e Just for Taste (2015). Da chitarrista ha partecipato ad altre produzioni.

Perché è un libro di grande interesse? Perché fa assistere alla nascita e alla storia della discografia facendola scorrere sugli scenari sociali e produttivi delle varie epoche riuscendo a non trascurare anche le istanze e i procedimenti tecnici che accompagnano la storia del disco.
Il volume si avvale di una introduzione del musicista e musicologo Franco Fabbri autore in quelle righe di un valoroso microsaggio sull’età dell’oro della registrazione…a proposito non perdetevi il suo Il tempo di una canzone. .. . che così scrive in prefazione: “… questo di Francesco Brusco è il primo libro che si occupi in modo così concentrato ed estensivo dello studio di registrazione e dei suoi abitanti: i tecnici, i produttori, i turnisti.

Qui un video con Francesco Brusco che traccia un profilo del suo libro.

Dalla presentazione editoriale
«L'epoca d'oro degli studi di registrazione italiani, dalla metà degli anni Sessanta all'avvento del digitale, rivive nelle testimonianze inedite di musicisti, produttori, tecnici del suono e assistenti, protagonisti di quell'avventura eppure rimasti a lungo dietro le quinte. Le loro memorie si intrecciano ripercorrendo la storia discografica italiana e l'evoluzione della produzione in studio, le cui conseguenze sono a un tempo artistiche, tecnologiche e sociali. Sull'asse tra Roma e Milano, dalla Tiburtina a via Quintiliano, tra basiliche e castelli, si ritrovano nomi e luoghi immortalati nella musica del loro tempo. Pur con volumi cangianti, la voce del padrone riecheggia da sempre nel discorso sulla creazione musicale: scopo di questo libro è seguirne le tracce con attenzione documentaristica e narrativa, tra suoni e racconti. L'opera si avvale della prefazione di Franco Fabbri e contiene interviste a Mauro Pagani, Alessandro Colombini, Vince Tempera, Alberto Radius, Ellade Bandini, Pino Presti, Massimo Spinosa, Luca Rossi, Silvano Chimenti, Mauro Paoluzzi, Paolo Donnarumma, Rosario Jermano, Aldo Banfi, Pietro Pellegrini, Simone Casetta».

Segue ora un incontro con Francesco Brusco.


La voce del padrone (2)


A Francesco Brusco (in foto) ho rivolto alcune domande.

Come e perché vede la luce questo tuo libro?

Direi per due sentimenti piuttosto forti: curiosità e invidia. La prima è rivolta agli aspetti più nascosti della produzione musicale, quelli che dirigono il processo creativo verso la forma con cui l’opera discografica giunge all’ascoltatore. L’invidia, invece, è per chi ha vissuto in studio di registrazione quell’epoca d’oro che va dalla metà degli anni Sessanta all’avvento del digitale.

Dove e quando nasce l’industria discografica? Se ne conoscono i protagonisti?

L’industria discografica, in estrema sintesi, si sviluppa a partire dalla diffusione dei mezzi di registrazione e di riproduzione ideati da Edison nel 1877 e da Berliner dieci anni più tardi. Il fonografo prima e il grammofono poi migrano rapidamente dagli Stati Uniti all’Europa a cavallo tra Otto e Novecento. In Italia, attraverso una particolare rete commerciale, i primi poli discografici saranno quelli di Milano e Napoli. Da lì parte una storia complessa, in cui ovviamente è impossibile scindere le questioni musicali da quelle economiche, sociali e culturali.

Che cosa ha significato per la musica la registrazione delle esecuzioni?

In primo luogo, la registrazione ha rivoluzionato la diffusione musicale, aggiungendo alle tradizionali forme di trasmissione orale e scritta quella mediatica, divenuta poi sempre più centrale. Ma ne ha modificato anche i modi di produzione, rendendo assolutamente collettivo il processo creativo, e quelli di ricezione, moltiplicando le modalità in cui da ascoltatori fruiamo della musica.

Qual è l’importanza dell’avvento del multitraccia nella storia della discografia?

Beh, si tratta di un passo decisivo, soprattutto per quella che oggi definiamo popular music. Con lo sviluppo del multitracking, e l’aumento progressivo delle piste disponibili su nastro, è cambiato totalmente l’approccio produttivo, permettendo all’opera in studio di affrancarsi dall’estetica iniziale, che era diretta alla riproduzione fedele dell’esecuzione dal vivo. Per dirla con George Martin, in studio non si fotografa più il suono, ma lo si dipinge. È cambiato il modo di arrangiare i brani, ed è cambiata la stessa composizione sociale dello studio di registrazione, in virtù della possibilità di montare assieme esecuzioni di interpreti diversi fatte in momenti diversi.

Che cosa accade nel passaggio dall’analogico al digitale?

Con il digitale è cambiata l’intera filiera produttiva. Non solo la registrazione in senso stretto, e già lì ci sarebbe da discutere a lungo sulla trasformazione degli spazi fisici negli studios e sull’accessibilità dei programmi di registrazione sonora. Anche se in definitiva, il sistema digitale ha ereditato gran parte di quella “grammatica” creata dall’analogico e dal multitraccia. Ma sono soprattutto la diffusione e la ricezione, a uscire trasformati dal digitale. Basti pensare a quanto sia differente l’approccio all’ascolto di un supporto fisico — il tanto citato vinile, ma anche il cd e la musicassetta — da quello dello streaming. Per non parlare dei metadati, tutti quegli elementi che corredano una registrazione… copertine, libretti, testi, eccetera. Non a caso, dopo quasi cinquant’anni in cui l’album era il prodotto discografico per eccellenza, siamo tornati all’egemonia del singolo, molto più adatto alla trasmissione in rete.

Internet e il digitale quali sfide e opportunità hanno posto ai musicisti, ai tecnici, ai produttori?

Sicuramente, a un certo punto, lo strapotere del software ne ha messo in discussione gli stessi ruoli. Prima parlavo dello spazio fisico dello studio: con il digitale le grandi sale di registrazione hanno progressivamente ceduto il posto a un nuovo modello, più piccolo e flessibile, che sembra destinato a prevalere nel presente e nel prossimo futuro. I più nostalgici diranno che la tecnologia ha estromesso l’artista dal centro della scena. Ma, se guardiamo al bicchiere mezzo pieno, ci sono anche effetti positivi a livello sociale e di partecipazione creativa.

Scrivi che “l’avvento di MIDI, sintetizzatori, drum machine, sampling, associati a una tecnologia di registrazione a basso costo, permette di incrementare l’indipendenza e sposta l’accento sul processo compositivo”.
Come? Con quali più rimarchevoli esiti
?

In quel passaggio mi riferisco al cosiddetto project studio, uno studio domestico che spesso consiste semplicemente in una control room ben equipaggiata e in una piccola cabina di registrazione per singoli strumenti. È il modello che si è diffuso in parallelo al personal computer, fondato sul successo di internet come mezzo di diffusione musicale. L’esito, per citare uno dei tanti protagonisti intervistati nel libro, Massimo Spinosa, è quello di una democratizzazione che rischia troppo spesso di sfociare nella deprofessionalizzazione.

…………………………………

Francesco Brusco
La voce del padrone
Prefazione di Franco Fabbri
Pagine 190, Euro 22.00
Jaca Book


Segni in corso

A Roma, allo Studio Storie Contemporanee è in corso la mostra, a cura di ,Anna Cochetti, “Segni in corso” con il tandem d’artisti Lamberto Pignotti - Lucia Speranza.

Pignotti, com’è noto, è uno dei fondatori della poesia visiva e conta un numero incalcolabile di personali in Italia e all’estero.
Qui, in un video traccia le origini della sua storia artistica e il profilo espressivo della sua opera.
A Pignotti ho chiesto di parlare su “Segni in corso”

Posso dirti che si tratta di un lavoro fatto con Lucia Sapienza, con cui ho collaborato da più di un decennio e realizzato altre opere di genere verbovisivo. In questo caso Lucia durante i suoi viaggi in treno ha scattato alcune immagini dai finestrini cogliendo scritte, graffi ombre. La serie dà l'idea del tempo trascorso e dello spazio in movimento verso una meta indefinita. Qui è stata dimenticata la stazione di partenza e non risulta una destinazione. Come per altri casi Lucia mi ha chiesto un intervento che integrasse le foto. Mi è allora venuto in mente che da qualche parte conservavo ancora alcune buste di lettere provenienti - erano gli anni 50 e 60 - da vari artisti, scrittori, riviste e centri culturali sparsi e sperduti nel mondo da Berlino a New York, da Hong Kong alla California, da Los Angeles a Belgrado, da Saragozza a Parigi, dal Messico a Tokyo, da Monaco al Venezuela... Nel mucchio c' erano anche lettere tornate indietro per indirizzi sbagliati o insufficienti o addirittura inesistenti. Strappando gli indirizzi dalle buste e incollandoli alle foto di Lucia ho avuto l'impressione di messaggi e segni che sottraendosi a un ruolo predeterminato dal qui e ora possano provocare, come ho scritto nella premessa della mostra, fantasmagoriche associazioni di remoti messaggi spediti per mari e per monti a scrittori e artisti, spesso tornati indietro da indirizzi e destinatari irraggiungibili.

Lucia Sapienza (Luxsapiente@blogspot.com per il suo sito web), artista nata a Catania, è da anni impegnata in realizzazioni verbovisive e per “Segni in corso” presenta anche un video con immagini da lei fotografate che sfilano su di un testo di Pignotti.

Lamberto Pignotti – Lucia Sapienza
Segni in corso
A cura di Anna Cochetti
Studio Storie Contemporanee
Via A. Poerio16/B, Roma
Info: 328 – 86 98 229
Vernissage: 8 ottobre 2022


Janis

ll 4 0ttobre 1970 il mondo perdeva una grandissima voce, quella di Janis Joplin.
Fu trovata morta nella stanza 105 del Landmark Hotel a Hollywood. Aveva 27 anni.
Overdose di eroina, questo il rapporto dell’autopsia.
Stava lavorando al suo nuovo album; il 5 ottobre avrebbe dovuto registrare le parti vocali di un brano dal titolo che, visto quanto accadde, appare decisamente inquietante: “Buried Alive In The Blues”.
L’oceano riceverà la dispersione delle sue ceneri.
Aveva debuttato nel 1967 nel gruppo “Big Brother & The Olding Company” con cui incise i suoi primi dischi e conobbe il successo.
«Sul palco faccio l'amore con venticinquemila persone, poi torno a casa da sola», così usava dire.

«Una voce» – scrive Claudio Fabretti - «appassionata e straziante, che era insieme ruggine e miele, furore e tenerezza, malinconia blues e fuoco psichedelico. Un canto unico e inimitabile in tutta la storia del rock. Uno stile che diventerà un riferimento preciso per intere generazioni di vocalist, da Patti Smith a PJ Harvey, da Annie Lennox degli Eurythmics a Skin degli Skunk Anansie».
E Riccardo Bertoncelli: «Era una musa inquietante, una strega capace di incantare il pubblico, la sacerdotessa di un rock estremo senza distinzione tra fantasia scenica e realtà».


Una buona trasmissione della Radio svizzera Italiana: https://www.rsi.ch/play/radio/voi-che-sapete---/audio/janis-joplin-50-anni-dopo?id=13498534

Stefano Marcucci ricorda: “Adorava Bessie Smith, la regina nera dalla voce etilica scomparsa prematuramente: Janis le comprò una lapide.
Quando toccò a lei, a 27 anni, dopo Brian Jones e Jimi Hendrix, Jim Morrison profetizzò: Io sarò il quarto”.
Ci prese. Morirà, infatti, a Parigi il 3 luglio 1971.

QUI Cosmotaxi ricorda Janis Joplin con uno dei suoi maggiori successi.


Il caso Mussolini

Diceva lo scrittore polacco Stanislaw Jerzy Lec: “Il sogno dei tiranni: tagliare la testa ai cittadini e tenerli in vita”.
Fu anche il sogno di Mussolini, il cui comportamento è paragonabile a quello di un tiranno domestico, padre teppista, docente manesco.
Su di lui molto è stato scritto, eppure un nuovo profilo storico ed esistenziale di eccellente profondità lo ha pubblicato la casa editrice Neri Pozza è intitolato Il caso Mussolini
L’autore è Maurizio Serra, (Londra, 1955).
Diplomatico e scrittore, è autore di una quindicina di volumi, tra cui, per Neri Pozza, “L’immaginifico. Vita di Gabriele D’Annunzio” (2019).
Nel 2018 è stato insignito, per l’insieme della sua opera, del Prix Prince Pierre de Monaco e nel 2020 del Premio internazionale Viareggio-Versilia.
È il primo italiano e il terzo straniero eletto membro «immortale» dell’Académie Française, dalla sua fondazione nel 1635.

L’Introduzione si apre con la frase “Benito Mussolini ha sempre mentito, dall’inizio alla fine”. Seguono pagine che documentano quell’affermazione trascorrendo sulla sua esistenza di piccolo borghese (per citare un titolo di Paolo Monelli), un uomo che dopo avere esaltato a parole in tonitruanti discorsi coraggio ed eroismo termina i suoi giorni fuggendo, travestito da soldato tedesco (ve lo immaginate il suo compare Hitler finire così?) portando con sé un tesoro di ricchezze sottratte al popolo italiano.
Nota Serra che quando Mussolini fu liberato dal gruppo tedesco guidato dalle SS di Skorzeny avrebbe preferito forse starsene prigioniero al Gran Sasso.
Un tipo che stampava la sua immagine in gigantografie che occultavano un piccolo uomo. Quanto alla leggenda di “dittatore buono”, ecco un’altra bugia sul suo conto. Basti pensare agli omicidi di oppositori che lo vedono mandante, nella vita privata l’indegna condotta tenuta con il suo figlio segreto e Ida Dalser madre di quel ragazzo. Ed i suoi uomini a caccia di ebrei mandati a morire nei lager?
Insomma, un libro da leggere per sempre meglio conoscere l’abisso in cui tanti italiani scambiarono per una vetta della loro storia.
Abbiamo imparato la lezione? Pare proprio che ci siano legittimi molti dubbi al riguardo.

Dalla presentazione editoriale

«Questo libro non è una biografia di Mussolini, né una ricostruzione della società italiana dal ventennio fascista fino alla Liberazione del 25 aprile 1945. È il tentativo di mettere in luce un caso che continua a pesare sulla coscienza degli italiani a più di settant’anni dalla caduta del fascismo: il caso di un uomo che fece di tutto per restare indecifrabile e divenne, in tal modo, un simbolo delle peggiori passioni collettive.
Attraverso un’ampia e rigorosa documentazione, Maurizio Serra esamina tutti gli aspetti della vicenda politica e umana di Mussolini: ne indaga le pulsioni profonde, le scelte (e non scelte), le affermazioni e i comportamenti che si sono riverberati sul destino dell’Italia. Ne emerge il ritratto di un uomo in cui la dissimulazione è una costante dall’inizio alla fine. Un uomo mosso da un perenne risentimento, da un permanente istinto di difesa e offesa, e la cui natura di commediante – la parola alata, la mascella (o mandibola) protesa e il petto in fuori – cela il disagio nei contatti riavvicinati e nei bagni di folla. Un uomo che vuole incarnare l’antica figura del condottiero e crede, ad un tempo, nell’Uomo nuovo che l’epoca della tecnica annuncia. Un adepto della modernità e dei suoi miti che si rivela tragicamente in ritardo di fronte alle sfide che l’epoca moderna comporta: l’avvento degli Stati Uniti quale superpotenza mondiale, la marginalizzazione dell’Europa, le prime crepe del colonialismo, la vera natura della tecnica, la scoperta dell’energia nucleare ecc. Un capo militare che in guerra parla di «otto milioni di baionette», pronti a conquistare il terreno palmo a palmo, e ignora così la lezione dei disastri del 1914-1918, come pure le nuove concezioni militari degli inglesi e della “guerra lampo” tedesca. Un uomo, infine, che nel momento del naufragio delle sue illusioni, incapace di riconoscere la propria responsabilità, attribuisce il disastro al popolo italiano che, sue parole, «nella sua profonda e manifesta ingratitudine, si è dimostrato plebe».
Di quest’uomo esiste una versione riduzionistica che vede in lui una sorta di «tumore benigno», rispetto a quello, «maligno», dei vari Hitler e Stalin. Diffusa, anche all’estero, è l’idea che il totalitarismo fascista sia stato un totalitarismo “all’italiana”, meno letale del suo equivalente nazista.
Nella vasta letteratura esistente sul duce e sul fascismo, il ritratto di Mussolini che emerge in queste pagine costituisce una radicale smentita di queste tesi. Razza, rito e guerra – la triade costitutiva della fenomenologia fascista – hanno, per Serra, da sempre guidato l’azione di Mussolini, un uomo, «indifferente, nutrito di un’impassibilità rara nel nostro carattere e nella nostra storia».
Comprendere chi realmente fosse – lo scopo proprio di queste pagine – è perciò il compito indispensabile per chiudere definitivamente i conti con «il fascismo che non passa».

……………………….…

Maurizio Serra
Il caso Mussolini
Pagine 508, Euro 19.00
Neri Pozza


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