Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
lunedì, 30 aprile 2007
Los italianos
“Oggi con l’Armata Rossa prigioniera e disarmata, le nostre truppe vincitrici hanno conquistato l’obiettivo militare finale”. Parole che pronunciò Francisco Franco per annunciare l’1 aprile (e non era uno scherzo ispirato alla data) 1939 la sua vittoria. Papa Pio XII, s’affrettò a inviargli un telegramma di plauso: “Levando il cuore a Dio ringraziamo Vostra Eccellenza per la vittoria della Spagna cattolica”. Seguirono 200.000 condanne a morte, 250.000 miliziani antifascisti incarcerati, 100.000 condannati ai lavori forzati. Questo fu l’epilogo della guerra civile spagnola iniziata il 18 luglio 1936. Guerra doppiamente fratricida perché vide spagnoli contro altri spagnoli ed anche, in più di un momento, parte della sinistra contro altri miliziani di sinistra. Si pensi, ad esempio alla tragica settimana, dal 3 all’8 maggio 1937 allorché si scontrarono gli uomini del Poum (partito comunista antistalinista) e la Cnt (sindacato anarchico) contro il Psuc (partito comunista stalinista); numerosi esponenti di spicco del Poum e degli anarchici furono allora arrestati e uccisi. La casa editrice Infinito, proseguendo la serie delle sue eccellenti pubblicazioni impegnate sul sociale e lo storico, manda ora in libreria: Los italianos antifascisti nella guerra civile spagnola; in copertina una rara foto scattata dal grande Robert Capa che ritrae un combattente italiano, dopo pazienti ricerche, riconosciuto nel piacentino Dante Galli. Gli autori del volume: Franco Sprega e Ivano Tagliaferri. Libro bello e utile, corredato da una puntuale cronologia e una cospicua bilbliografia, peccato che nella prima parte gli autori cedano alla voglia di sceneggiare, sia pur con verosimile immaginazione, alcuni episodi, ma si riscattano abbondantemente nella seconda parte del libro ch’è di una potenza drammatica straordinaria. Altro che fiction! Qui, infatti, sfilano 44 biografie di combattenti. Scritte con frasi brevi, parlano seccamente di viaggi, battaglie, ferimenti, arresti, talvolta uccisioni patite da quegli uomini che per servire le proprie idee avevano abbandonato patria, affetti, mestieri. Nessun nome famoso, muratori, carbonai, ciabattini, contadini in armi contro spesso altri italiani là inviati da Mussolini; volontari di una lotta che nella sua sostanza storica anticipa fulgori e drammi della Resistenza. Ogni biografia è accompagnata dalla foto di chi là si parla, e quel b/n che rimanda le immagini di quelle facce (talvolta ritratte nelle questure fasciste), accresce dolorosamente il ricordo in chi legge di quelle vite così generosamente spese, trascina in un mondo di ieri che sembra ancora più lontano degli anni che ci separano da allora. Per quei 44 non c’è posto nel Pantheon del Partito Democratico nascente, lì come ha detto Fassino siederà Craxi. E, francamente, se c’è quell’inquilino, quei 44 nulla hanno perso in gloria, ci hanno solo guadagnato. Franco Sprega - Ivano Tagliaferri “Los italianos” Presentazione di Gianluigi Boiardi Pagine 141; Euro 12:00 Infinito Edizioni
sabato, 28 aprile 2007
sottrAZIONE
Proseguendo nel lavoro d’esplorazione di forme e modalità espressive contemporanee, le Officine Abso guidate da Marco ABbamondi e Attilio SOmmella presentano un nuovo appuntamento del loro palinsesto stavolta dedicato alla musica e alle immagini. E’ la volta, infatti, di "sottrazione", una sorta di dittico formato da due ritratti, uno sonoro eseguito dal gruppo rock Dabol e un altro composto da immagini scattate dalla fotografa Adelaide Di Nunzio. Nel primo caso, la sottrazione è data dalla sperimentale rinuncia dei Dabol alle sonorità elettroniche che li connotano, nel secondo attraverso l’enucleazione del reale, tipico del mezzo fotografico e dello stile di Adelaide Di Nunzio. Tra le operazioni aritmetiche, la sottrazione è la meno fortunata, soffre, immeritatamente, di cattiva fama. E’ vista, infatti, da molti come anoressica sorella delle altre tre: la generosa addizione, la sobria divisione, la prospera moltiplicazione. Ad essa, poi, s’associano anche modi verbali che rimandano a idee criminose, dal furto di beni ad altri reati come, ad esempio, alcuni commessi sui minori. Eppure, le altre tre operazioni non mancano d’un corredo di vizi: l’addizione e anche la moltiplicazione peccano d’avidità e ingordigia, per non dire della furba divisione che presiede a tanti trucchi. L’associare la sottrazione a un disagio è frutto di una proiezione psicologica. Sono in pochi a vivere la sottrazione non come perdita, ma come possibile acquisizione di nuovi significati del reale e dell’immaginario. Sarà, forse, per questo che la sottrazione è una delle strategie delle arti. La serata inaugurale di sottrAZIONE, vedrà i quattro Dabol prodursi in una performance che rivisita esclusivamente con strumenti acustici il loro repertorio a base di rock-a-muffin, e Adelaide Di Nunzio esporre i suoi lavori sia in b/n e sia in colore, nonché scattare altre foto nel corso del liveset. Le musiche, registrate dal vivo, saranno la colonna sonora che nei giorni successivi farà d’ambientazione musicale per tutta la durata della mostra di fotografie.
sottrAZIONE Dabol – Di Nunzio Officine Abso www.abso.it Salita Betlemme 18, Napoli Fino al 5 maggio ‘07
venerdì, 27 aprile 2007
Mezzo secolo di pop-rock
C’è una casa editrice, Editori Riuniti, che sta rinnovando in modo sostanziale, non per lifting, la sua immagine, attraverso il lavoro innovativo dei suoi direttori di collane e un sapiente piano di comunicazione. Diciamo la verità, questa pur gloriosa sigla editoriale, è stata sempre vista, a mio avviso con ragione, come una matura vestale un po’ bigotta a guardia di testi marxisti sacri e meno sacri, o impegnata, sia pure in modo onestissimo, a produrre polverosi saggi. Roba insomma da scansare, con rispetto s’intende, scorrendo i banchi in libreria. Ora non più. Un esempio per tutti: la godibilissima collana Bookever. Altra testimonianza viene da quanto sta pubblicando in area musicale avendo, finalmente, capito l’importanza che ha il rock non solo nel suo specifico sonoro ma anche come stimolo e riflesso di molti comportamenti contemporanei. Dice Wim Wenders: Grazie al rock'n'roll ho cominciato a pensare all'immaginario e alla creatività come uniti alla gioia, l'idea di avere il diritto a godere di qualcosa. Di libri sul rock gli Editori Riuniti in questi ultimi tempi ne hanno mandati parecchi in libreria. Ad esempio, da un percorso storico di Carmelo Genovese a uno studio sui Metallica di Maurizio De Paola , da una monografia di Syd Barrett di Alessandro Bratus ad un’altra su Elvis Costello di Eleonora Bagarotti. Altra importante pubblicazione sulla quale vale trattenersi è A Day in the Life, “storia del pop-rock minuto per minuto”, dice il sottotitolo. E mantiene le promesse della copertina perché è strutturato anno per anno e giorno per giorno a partire dal 1954 ad oggi. Una sorta di diario che segnala puntigliosamente la cronaca di mezzo secolo in musica. Ogni decennio, poi, è preceduto da un microsaggio che ne delinea le particolarità contestualizzando gli avvenimenti musicali in quelli sociali, scientifici, letterari. Una sorta di cronografia che fa di questo libro sì un volume d’area musicale, ma anche un piccolo libro di storia; autore: Enzo Gentile. Giornalista, inizia a lavorare nel 1975 nelle prime radio libere per passare poi alla carta stampata; quotidiani e riviste specializzate, tanti libri e tante trasmissioni Rai, consulenze a mostre sulla grafica e sulla storia della musica. Libro prezioso non solo per gli appassionati del rock che in quelle pagine troveranno una miniera d’informazioni, ma anche per chi lavora nella comunicazione, perché è un valido strumento di consultazione – arricchito da un imponente corredo iconografico – per le redazioni di giornali, riviste, radio e tv. Scriveva Marcel Proust: Le canzonette, la musica da ballo, servono a conservare la memoria del passato, più della musica colta, per quanto sia bella.
Enzo Gentile “A Day in the Life” Pagine 283, Euro 38:00 Editori Riuniti
giovedì, 26 aprile 2007
Avviso ai naviganti
Uscirà domani 27 Aprile negli Stati Uniti Toon Boom Storyboard Pro, software rivolto a registi e produttori per la creazione di storyboard per documentari, videogiochi, pubblicità. Sviluppato con il supporto di esperti storyboard artists, il programma permette di importare testi e immagini e di aggiungere una colonna sonora. Il costo del software è di 799:99 dollari. Dal sito ToonBoom è possibile scaricarne un demo.
martedì, 24 aprile 2007
Una mostra esplosiva
Nel febbraio scorso, si svolse a Terni un interessante festival d’arti elettroniche – “Love is Contemporary" – pieno di molte belle novità, ne riferii in un Cosmotaxi Special. L’attività di quel centro festivaliero – in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Terni – s’avvale di un palinsesto che prevede una continuità di avvenimenti: concerti di musica rock, presentazioni di libri, recitals, danza, performances. Quel polo culturale, agito dall’Associazione Indisciplinarte, propone adesso una mostra di video e installazione: Experience di Rocco Dubbini artista nato ad Ancona nel 1969. Il curatore è Francesco Santaniello. Il lavoro di Rocco Dubbini presenta uno dei modelli di morte dei nostri tempi: l’autobomba. Oggi accade che giornali, tv, web, diano in pasto per digestioni gastromediatiche quei resti combusti di metallo ormai tanto massicciamente di casa nel nostro occhio da non destare in molti di noi orrore o angosciosa sorpresa. Assuefatti come siamo a quelle foto, càpita di adocchiarle distrattamente come una delle tante immagini dello scorrere quotidiano. Estratte dall’ipnotico contesto dell’informazione, o pseudo tale, quelle stesse immagini tornano ad essere quell’icona sanguinosa dei nostri giorni. Rocco Dubbini con Experience c’induce a riflettere su questo argomento. Ha iniziato a lavorare sul tema dell’autobomba nel 2004, riprendendo le tracce di un percorso personale che lo ha portato alla riscoperta di alcune memorie e giocattoli dell’infanzia. E quelle automobiline di un tempo ora le vediamo esplose. “Ogni macchina su cui ha lavorato Dubbini” – afferma Francesco Santaniello – “riproduce il modello di un’autovettura utilizzata in attentati o incidenti realmente accaduti in varie parti del mondo. Quindi tutto nasce dalla notizia, ed è la notizia stessa che ha avuto un effetto dirompente su Rocco bambino, che ricreava microincidenti con le automobiline. L’artista ora ha ripercorso quel gioco perchè crede che il potere dei media giochi sulla gradevolezza dell’incidente, sul fascino del perverso. Dubbini riflette su questa fascinazione subita da ragazzo, lavorando sull’inconscio e sulla parte infantile ancora presente in ognuno di noi. È la metafora di ogni selezione di immagine proposta dai media che tendono sempre a mostrarle in modo che attraggano e giochino non solo sulla parte razionale del pubblico”.
Ufficio Stampa: Luca Dentini; 0744 – 28 46 79; stampa@indisciplinarte.it Rocco Dubbini “Experience” Spazio Ex Siri Terni Dal 27 aprile al 10 maggio ‘07
John Cabot sbarca a Francoforte
Alla Scuola di Francoforte è dedicato un convegno della John Cabot (… sì, è lo stesso navigatore che noi chiamiamo Giovanni Caboto, 1450 circa - 1498) University di Roma. Breve ripasso storico per chi alle elementari ha fatto troppe assenze.
L'Istituto per la Ricerca Sociale (Istitut für Sozialforschung) fu fondato a Francoforte nel 1922 da un gruppo di intellettuali marxisti indipendenti. Il primo direttore fu un economista, Kurt Albert Gerlach. La nomina non gli portò bene perché morì precocemente. Gli successe, facendo intuibili scongiuri, Karl Grünberg che era stato professore di Scienza politica all'Università di Vienna e aveva fondato un'importante rivista nel 1910: "Archivio per la storia della socialismo e del movimento operaio". Con la sua direzione questa rivista divenne l'organo scientifico dell'Istituto; ad essa, e allo stesso Istituto, collaborava un gruppo di intellettuali destinati ad esercitare un influsso profondo su alcuni filoni del pensiero occidentale. I nomi più noti sono quelli di Max Horkheimer, di Friedrich Pollock, di Karl August Wittfogel, di Franz Borkenau, di Henryk Grossmann e, verso la fine degli anni '20, di Leo Löwenthal e di Theodor Wiesengrund Adorno. Più tardi, agli inizi degli anni '30, s’unirono a loro Herbert Marcuse ed Erich Fromm. Nel 1929, Grünberg, al quale gli scongiuri non erano troppo riusciti, per motivi di salute, si dimise dalla carica di direttore dell'Istituto e gli successe, dopo aver consultato una fattucchiera beneventana, Max Horkheimer. Fu con lui che l'Istituto conobbe forse la sua migliore stagione. L’oroscopo della Scuola di Francoforte favorevole sul piano culturale, non lo fu altrettanto sulla vita dell’Istituto perché l’avvento al potere in Germania dell’imbianchino coi baffetti a spazzolino costrinse il gruppo a fare fagotto. Lasciata la patria, fu costretto a un turismo fai da te (ahi ahi ahi!) dapprima a Ginevra, poi a Parigi e infine a New York, dove continuò la sua attività. Dopo i funerali di Hitler (cui nemmeno Blondie, il cane del Führer, partecipò perché fatto secco per ordine del suo padrone) alcuni esponenti, tra cui Adorno, Horkheimer e Pollock, tornarono in Germania per fondare un nuovo Istituto per la ricerca sociale. Quella Scuola fu, poi, di nuovo sulla bocca di tutti per via che gli avvenimenti del ’68 videro menti valorose e giovanotti birichini ispirarsi alle teorie di Marcuse. Il convegno alla John Cabot University di Roma è organizzato a cura di Stefano Giacchetti Ludovisi, docente di filosofia e studioso di Adorno e Marcuse, che guiderà per tre giorni un dibattito internazionale sulla Teoria Critica, la posizione filosofica legata alla Scuola di Francoforte che ha segnato per lungo tempo l’orientamento nello studio delle scienze sociali. A lui ho chiesto un flash su questi incontri. Ripercorrere oggi la traiettoria complessa di quelle teorie è importante perché i filosofi in questione, da Habermas ad Adorno a Benjamin, hanno costituito il modello di un atteggiamento teorico fortemente legato all’impegno etico-politico individuale e collettivo. Il fatto che un’università americana a Roma si occupi di avvicinare le voci più importanti a livello internazionale di specialisti della Teoria Critica come Andrew Feenberg, David Ingram e Max Pensky a quelle italiane come Stefano Petrucciani e Francesco Saverio Trincia, è molto significativo di una discussione che va al di là di confini accademici e locali. In effetti lo scopo esplicito di questa università è proprio quello di avvicinare le culture più distanti tra di loro. Le sessioni di studio vedono al timone Lucia Aiello, Brunella Antomarini (alla quale siamo in molti grati per avere scritto L'errore del maestro), David Miller. John Cabot University Via della Lungara 233, Roma Dal 27 al 29 aprile
lunedì, 23 aprile 2007
Esempi di arte urbana
L’aggettivo nel titolo non è da intendersi come sinonimo di 'garbata' o 'manierata', tutt’altro, si tratta d’arte screanzata che della metropoli interpreta i segni aggressivi, i tratti cazzuti, le icone ora roventi ed ora algide di quel Sacro Romano Emporio di marca dickiana nel quale ai nostri giorni turbinano l’uomo e la merce, la memoria e la presenza, l’incontro e lo scacco. Tutto questo si ritrova in Sottoterra 02 esempi di arte urbana, una mostra firmata da Barbara Martusciello che, tra i critici italiani, è una tra le poche ad avere autentica (non solo proclamata nelle interviste ai media) voglia d’esplorare le terre del nuovo interlinguaggio e d’inedite forme di contaminazione, portando alla ribalta nomi che muovono i primi passi nel mondo delle arti visive. Mi piace sottolineare che alla Martusciello non mancherebbe occasione di puntare sul sicuro come dimostra la sua storia espositiva che la vede agire progetti con nomi storici o prossimi ad essere tali (da Schifano a Rotella, a Frascà, Patella, Balestrini, Mambor, Sasso, Echaurren, e tanti altri), ma accanto a quelle mostre, con quella sua aria da bambinaccia le piace praticare l’azzardo, il rischio, la scommessa. Ed eccola presentare a Roma nove giovani artisti in questa nuova edizione di Sottoterra promossa dall’Associazione Giga, acronimo che sta per Gruppo Italiano Giovani Artisti. Come nella precedente edizione, il progetto focalizza l’attenzione su figure che propongono una ricerca visiva con riferimenti alla nuova cultura underground e a un meticciato linguistico. A Mimmo Rotella fu dedicato il primo appuntamento nell’aprile 2006, in quanto sovvertitore del linguaggi, vicino a un’operatività street-art, quest’anno è Mario Schifano il protagonista senjor. Per la sua attenzione al paesaggio urbano, la pratica della sperimentazione fotografica, mediale e tecnologica, l’uso della firma-logo che richiama le tags, elementi tutti che fanno di lui un punto di riferimento per gli artisti più giovani e, non solo in Italia, per tanta produzione visiva emergente. I nomi che espongono quest’anno: Alessio Facchini – Gaialight – Maseda – Salvatore Mauro – Valentino Manghi – Matteo Peretti – Serpe in seno – Stella Tasca – Wladimir Vinciguerra.
Estraggo un passaggio da quanto scrive Barbara Martusciello nel catalogo edito da GigaPress: In questa produzione indipendente ho più volte riscontrato, accanto al debito verso la sperimentazione artistica soprattutto degli anni Sessanta e Settanta, una freschezza culturale e un’energia creativa notevoli: ciò è sottolineato sia nella precedente sia nell’attuale edizione di “Sottoterra. Esempi di arte urbana” e, va detto, in simili rare – specialmente a Roma – occasioni. Come ho già ho avuto modo di scrivere, questo genere di produzione proveniente dai più differenti ambiti della creatività alternativa (street art, graffitiamo, writing, stickeraggio, skateboarding, grafica controculturale e altre pratiche undrground), non è assimilabile a un semplice fenomeno di costume o a mode giovanili perché è qualcosa di più profondo e consapevole. Sono, questi che stiamo vivendo, tempi di avvenuta relativizzazione del rapporto spazio-tempo , di grande libertà di navigazione nell’iperspazio della Rete, di solida costruzione di un villaggio globale dell’informazione, della tecnica, dell’immagine del sapere; la commistione tra ambiti differenti della cultura e della creatività, il meticciato tra “Alto” e “Basso” è, pertanto, la base portante di tutto quello che si produce a livello creativo, nella cosiddetta arte applicata e nell'arte visiva: sia di matrice controculturale sia in quella cosiddetta ufficiale. “Sottoterra 02” A cura di Barbara Martusciello Aoociazione G.i.g.a. Via del Governo vecchio 43 Roma Dal martedì al sabato: 16:00 – 20:00 Fino al 12 maggio ‘07
Aladino di tutti i colori
Debutta il 26 aprile nella sede Rai di Palermo la Storia di Aladino e della lampada meravigliosa, uno dei racconti di quel gran libro ch’è “Le mille e una notte”. Ai più distratti ricordo che quel classico raccoglie centinaia di narrazioni d’origine molto diversa unificati dalla lingua araba. Diffuso in Egitto dopo il 1000, prese, intorno al 1400, la forma e il titolo con cui è giunto in occidente dove ha avuto la fama che sappiamo con la libera traduzione in francese dell’orientalista Antoine Galland. Storia di Aladino e della lampada meravigliosa è messa in scena da Mimmo Cuticchio che incontrai tempo durante un volo spaziale. Cuticchio trasporta la vicenda di Aladino nell’Opera dei pupi, facendone una metafora del mondo attuale, una storia esemplare di pace e tolleranza rivolta ai bambini ma anche agli adulti; accanto a lui agirà il narratore iracheno Yousif Latif Jaralla e i pupari manianti Giacomo Cuticchio, Fulvio Verna, Tania Giordano, Nori Takahasci. Lo spettacolo è prodotto dall’Associazione Figli d'Arte Cuticchio. Sul suo spettacolo, Cuticchio (qui in una foto di Luigi Nicosì) dice:
Il mio Aladino è una figura simbolica che unisce tutti i bambini del mondo, i bimbi di tutte le razze e di tutti i colori. Senza la lampada magica e senza l’aiuto di qualcuno “più grande di lui”, il protagonista non avrebbe futuro. Aladino siamo tutti noi, adulti e bambini, ricchi e poveri, italiani e stranieri. Il Genio è uno spirito positivo che conosce i segreti reconditi. Le sue interferenze e le sue apparizioni aiutano Aladino a superare ogni peripezia. Tutti i bambini del mondo hanno diritto al loro Aladino, ma, per come oggi va il mondo, non è detto che anche noi adulti non si abbia bisogno di un Genio che ci aiuti a superare la crudezza del quotidiano vivere. Sede Rai, Palermo Viale Strasburgo 19 Dal 26 aprile ‘07
sabato, 21 aprile 2007
I libri e le rose
A Milano, il 23 aprile, terza edizione di San Giorgio, la festa dei Libri e delle Rose. Che cosa c’entra San Giorgio, militare fatto santo da Papa Gelasio, fra i libri e le rose? Il fatto è che è una festa importata da Barcellona tre anni fa dalla Amat Comunicazione (guidata da Ludovica Amat, di origine catalana), che ha voluto riproporre in Italia quella festività proprio dai catalani dedicata al 23 aprile per ricordare che in quel giorno del 1616 morirono due giganti della letteratura: Cervantes e Shakespeare. Giornata nera per la letteratura, per trovarne un’altra tanto nefasta bisogna arrivare al XX secolo allorché nacque Susanna Tamaro. E San Giorgio? Risposta: perché proprio quel giorno è ricordato nel calendario dei santi; cosa che a me, e non soltanto a me, provoca pochissima emozione. Mi pare insomma che quel San Giorgio somigli a un imbucato, come si dice di quei tali che s’infilano in una festa senza invito. E poi ve lo raccomando. L’impresa che lo ha reso celebre – come ce la racconta Jacopo da Varagine – è stata quella di trafiggere un drago (il quale, pare, azzannasse pecore nelle vicinanze della città libica Silene e minacciasse di papparsi anche gli umani), e, allacciatogli il collo con la cintura d’una fanciulla, lo trascinò in città dove, dopo avere ottenuto dagli abitanti che tutti loro fossero disposti a battezzarsi altrimenti avrebbe liberato il drago, avuta tale tanto spontanea adesione al cattolicesimo, finì a colpi di lancia quella povera bestia, alla faccia di tutti gli animalisti. Mal gliene incorse però. Perché alcuni cittadini, vista la prepotenza di quel Giorgio (allora non ancora santo), gli fecero la pelle… chi di lama ferisce con quel che segue. A Barcellona, e accadrà anche a Milano, il 23 aprile gli uomini regalano una rosa alle donne (immagino, però, che, se incontrata, escluderanno la Moratti da quest'omaggio) e le donne ricambiano il dono con un libro (suggerisco loro, per scongiurare spiacevoli contrattempi, d’evitare volumi d’autori cinesi, a Milano di questi tempi non si sa mai). Insomma, una lieta occasione per passeggiare fra i tanti stands degli editori, allestiti nel quartiere Brera e quest’anno, grazie al successo delle passate edizioni, anche a Niguarda. Fitto il calendario degli avvenimenti letterari. Alcuni esempi. Al Bar Giamaica Raul Montanari presenterà "E' di moda la morte" (Perrone Editore) e "Incubi" scritto a più mani con Pinketts, Nove, Sclavi, Biondillo; incubi milanesi raccontati direttamente dagli autori (Editore, Baldini e Castoldi). Valeria Palumbo intervisterà Silvia Vegetti Finzi, Alina Marazzi, Silvia Giacomoni, Giulio Giorello, Clirim Muca, Mario Gerosa, quest’ultimo recente autore di “Second Life” per Meltemi, e prossimo ospite della mia taverna spaziale sull’Enterprise. Walter Passerini interverrà trattando un tema quanto mai d’attualità: “Il pane e le rose: il lavoro e l’amore ai tempi della precarietà”.
Magie degli spazi vuoti
Per meglio comprendere quanto segue è necessario, come nei vecchi sceneggiati tv di un tempo, un riassunto delle puntate precedenti.
Ora che sapete l’antefatto, quel concorso fotografico a tema sul “buco”, bandito dall'Emmenthaler per celebrare la Dop (Denominazione d’Origine Protetta), è giunto alla conclusione ed ha una vincitrice, si chiama Elisa Tonin ed il suo lavoro è alla destra del vostro monitor. Franco La Cecla – Professore di Antropologia Culturale presso l’Università San Raffaele di Milano, consulente del Comune di Barcellona e dello Studio Renzo Piano di Parigi – così scrive nel catalogo. … Ogni volta che mangiate un buco, strizzate l’occhio all’insensatezza misteriosa del mondo che è inafferrabile, ma visibile come appunto quella strana sostanza che non ha forma e dà forma a tutto ciò che la circonda […] Non è un caso che per molte culture indigene gli antenati siano arrivati dalla terra e siano sbucati per fondare il mondo. Per questo gli indiani Hopi ed i loro progenitori Anasazi vivevano nei kiwa, in case sotterranee in cui si entrava da un buco del tetto. Anche sparire e rigenerarsi avviene solo apparentemente in buche senza uscita. In realtà non c’è cultura che non sappia che pozzi, crateri, vulcani e tombe sono solo porte per altri mondi. Il mondo sotterraneo induce a sovvertire le apparenze. Lo sguardo dal tombino sia esso di Maurizio Cattelan o di Charlie Chaplin, altera la serietà delle cose, costringe le ragazze a stringersi le gonne e fa scrutare meglio le nuvole. Quel che è sicuro è che quando si entra in un buco, non se ne esce mai come ci si era entrati. Bene è uscita dal buco dell’obiettivo la vincitrice del concorso Elisa Tonin che ho presentato in apertura e, felice del risultato ottenuto, così lo commenta. Ritengo che abbinare al riconoscimento ufficiale della qualità di un prodotto, come l’Emmenthaler, un evento di questo tipo comporti un cambiamento nelle politiche promozionali tipiche del settore alimentare. La possibilità d’interpretare il buco mi ha da subito stuzzicato la fantasia. Il buco come cornice. Il buco come porta di un mondo virtuale. Il buco come gioco di luce e sfumature di ombre. La magia del vuoto: spazio per creare, immaginare e farsi trasportare oltre. La mia fotografia vuol essere un invito a vedere quello che non si può togliere. La mostra presenta circa 50 immagini che selezionate da Reuters/Contrasto offrono uno spaccato sul mondo visto dai buchi e le sue tante possibilità d’interpretazione. La manifestazione è stata assistita in promozione dall’Ufficio Stampa Eidos con la puntualissima Costanza Zanolini che, manco a dirlo, mai ha dato buca. “Buchi: Magie degli spazi vuoti” Forma – Centro Internazionale di Fotografia Piazza Tito Lucrezio Caro Milano Fino al 29 aprile
venerdì, 20 aprile 2007
I Santini Del Prete
Da anni un tandem di ferrovieri, Franco Santini e Raimondo Del Prete, unendo i loro cognomi sono diventati I Santini Del Prete ghiotta preda per festival e rassegne d’arte contemporanea dov’è possibile assistere alle loro patafisiche esibizioni performative. Sbandierando l’orgoglioso slogan “Non siamo artisti, siamo ferrovieri!” conducono un discorso che, sotto le parvenze (ma anche effettive sembianze) del gioco, svolge una serrata critica al sistema dell’arte con i suoi mercanti più attenti a certi critici che agli artisti, e ai critici più attenti a tutti i mercanti che non all’arte. Per un frizzante profilo critico dei due, consiglio di dare un’occhiata a quanto ha scritto con la sua solita verve Barbara Martusciello: QUI. Tempo fa, io, inesausto viaggiatore delle Ferrovie dello Stato, li costrinsi ad abbandonare vagoni e locomotive, di cui soffro spesso i ritardi, per imbarcarli sulla mia puntuale Enterprise dove nella taverna spaziale di quell’astronave con quei due ebbi alcolica conversazione. Ora mi giunge notizia che il loro funambolico procedere sui binari di un percorso slapstick, li porta a entrare, senza fischiare e senza sbuffare, negli Arcani Maggiori dei Tarocchi. Di che cosa si tratta? Ecco qui. Scrive Morena Poltronieri: “Questa raccolta di Arcani evoca la celebre opera di Italo Calvino 'Il Castello dei destini incrociati', ove il valore delle lamine è assorbito da quello della vita e viceversa, annullando ogni separazione dell’alto col basso. La continua ironia aggiunge valore all’opera, e indica la strada per giungere alla sapienza: *Fatevi bambini e conquisterete il mondo!*. Questa è la scommessa della vita: rinunciare al potere per divenire potenti, abbandonare il sapere per essere sapienti, perdere la strada per ritrovare la propria, l’unica che, con 'Il Sentiero dei Tarocchi' diviene la visione di ciò che manca, attraverso cui raggiungere il tutto". La Casa dell’Arte Rosignano Marittimo (LI) Palazzo Marini via del Torrione 7 Visite per appuntamento info: 0586 – 76 76 57; 320 - 03 82 132 0586 – 787093; 338 – 76 34 063 Dal 21 aprile al 5 maggio 2007
giovedì, 19 aprile 2007
Io speriamo che me la cavo: musical
Quel libro è stato uno dei maggiori successi editoriali italiani degli ultimi vent’anni. Nelle pagine di Marcello D’Orta, bonarie e perfide al tempo stesso, sfilava un’umanità infantile sgangherata e generosa, che imbrattava fogli con temi sgrammaticati seconda una pulita grammatica del pensiero svelando aspirazioni e drammi di ragazzi che vivevano in un contesto sociale “sgarrupato” e birbone. Libro certamente divertente, ma che conteneva più di un’amarezza, più di un segnale di come le cose potevano precipitare, com’è accaduto; di come, credo, una plebe non sia riuscita a farsi popolo – vecchio dramma di Napoli che va dal Cardinale Ruffo e i suoi sgherri fino a quel rozzo protoberlusconi che fu Achille Lauro, e arriva all’odierno fallimento delle nuove amministrazioni –, a trovare una via di riscatto. Da quel libro è stato tratto un film (regia di Lina Wertmuller, protagonista Paolo Villaggio; entrambi in una delle loro prove meno felici), una bella opera di musica classica, in forma di melologo (orchestra “Nuova Alessandro Scarlatti” di Napoli), due piccanti e riuscite versioni teatrali in Francia (messe in scena dalla Compagnie Remue-Méninges e dallo Studio Théâtre de Stains) e una brillante trasposizione scenica in Italia (sceneggiatura di Maurizio Costanzo e di D’Orta stesso). Pochi lavori letterari italiani degli ultimi anni hanno avuto tante traduzioni di linguaggio dalla pagina ad altri codici e aspetto ancora uno dei pochi mancanti, il fumetto, che mi pare assai adatto a raccogliere cenci e lussi di quei ragazzi. Ora è la volta del musical. A Marcello D’Orta, ch’ebbi compagno in un viaggio spaziale, ho chiesto una riflessione su quel suo lavoro.
Caro Armando, a distanza di diciassette anni, “Io speriamo che me la cavo” torna a far parlare di sé, e questo è tanto più rilevante quanto si pensi che il dattiloscritto (cui avevo dato nome “10 Collodi”) fu rifiutato da tutte le case editrici italiane. Avevo già posto il piede sul pedale che alza il coperchio della pattumiera, quando la moglie uscì in una classica espressione partenopea: “Hai fatto 30, fai 31”, con ciò esortandomi a spedire il testo all’ultima casa editrice rimasta nella mia (lunghissima) lista: la Mondadori. Il plico, su cui era semplicemente scritto: Arnoldo Mondadori Editore (senza cioè indicare nessun editor in particolare. A quel tempo, infatti, non sapevo neanche chi fosse un editor) finì nelle mani di un napoletano, responsabile degli Oscar, Antonio Franchini, che si sbellicò dalle risate, destando le attenzioni di Paolo Caruso e Gabriella Ungarelli, gli scopritori di De Crescenzo. Questi capirono subito che il libro era destinato al successo (benché nessuno dei due poteva immaginarne le incredibili proporzioni), e così in capo a qualche mese lo pubblicarono nella collana “Ingrandimenti”. Oggi il libro ha venduto nel mondo oltre 3 milioni di copie, ma il record vero, a mio giudizio, sono le… 750.000 copie false stampate a Napoli. Questa operazione del musical, mi rende particolarmente contento perché è targata made in Naples. Nella trasposizione di Costanzo, giornalista romano, l’attore protagonista era Ferruccio Amendola, torinese, ma romano d’adozione, il regista Ugo Gregoretti, romano, e gli attori bambini romani. Paradossalmente, di napoletano non c’era niente (salvo la mia partecipazione alla sceneggiatura). Anche il teatro era capitolino: il Parioli. A Napoli quella messa in scena non fu mai portata. Il giorno della prima, in teatro c’erano noti personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura, ma non un mio concittadino. Almeno illustre. Di recente, la Compagnie Remue-Méninges ha rappresentato “Dio ci ha creato gratis” (Dieu nous a créés gratis) la mia seconda opera, riscuotendo, come per “Io speriamo che me la cavo”, (J’espérons que je m’en sortira) larghi consensi di critica e di pubblico. Assistendo a quelle recite parigine, in cuor mio pensavo: “Ma è mai possibile che bisogna sempre essere profeti fuor di casa? Ecco, ora la mia “casa” mi apre le porte: ci accomodiamo insieme in teatro? “Io speriamo che me la cavo” Con Maurizio Casagrande Musiche di Enzo Gragnaniello Regia di Domenico Maria Corrado Teatro Delle Palme, Napoli Dal 19 aprile al 20 maggio
mercoledì, 18 aprile 2007
Piacere, dolore, potere
La cultura fetish, prepotentemente rilanciata da Internet, non è più nascosta tra librerie e musei particolari, ma si offre tutti i giorni ai nostri sguardi in molteplici campi: dalla pubblicità al cinema, dal teatro alla letteratura, dalle arti visive alla moda. Fioriscono studi di sociologia e antropologia sul cosiddetto sesso estremo – spesso insopportabilmente oscuri e noiosi –, e un mare di pubblicistica sulla stampa quotidiana e periodica dagli intenti torbidi nascosti sotto la finzione dell’inchiesta. Un libro che esce decisamente dai suddetti vizi editoriali è Piacere, dolore, potere un approccio anarchico al sadomasochismo mandato in libreria da Elèuthera... a proposito, la recente scomparsa di Vonnegut mi fa ricordare e segnalare che proprio Elèuthera ha in catalogo 6 preziosi titoli di quel grandissimo autore. Tornando al libro di cui oggi mi occupo, l’autore è Jean–Manuel Traimond che stimo molto e del quale già ho scritto un anno fa allorché uscì un altro suo volume. Traimond riesce, con scrittura dalla cadenza colta e non culturale, a interpretare il fenomeno del sadomasochismo nella sua prospettiva storica, carnale, psicologica e sociale al tempo stesso, avvalendosi anche di singolari documenti (questionari pubblicati per praticanti del Bdsm, testimonianze scientifiche, scritti di padrone e schiavi) che riesce a presentare, com’è nel suo stile, in modo piccante e mai pruriginoso. Libro che dà il meglio di sé nell’analisi psicologica dei partners sadomaso con la loro esatta coazione a ripetere, col regredire progredendo, con lo sfamarsi senza saziarsi. L’autore spazia nella nera fiaba della dominazione e della sottomissione attraversando anche territori che vanno dalla religione al militarismo. E se sulla religione concordo con lui, meno d’accordo mi trovo sul parallelismo col mondo del servizio militare e della guerra anche se proprio qui sembrerebbero ancora più appariscenti i segni. Perché nell’àmbito del militarismo (e le sue conseguenti atrocità) si verifica solo una parte del rapporto s/m, c’è del sadismo non del masochismo. E’ indubbio che tanti torturatori nei lager, nei gulag, nelle caserme, nei posti di polizia, a infliggere sofferenze provino piacere sessuale, ma non le loro vittime. E proprio per quanto afferma giustamente Traimond allorché scrive che la gioia sessuale del dominato sta nella sicurezza delle regole che ha posto in essere con il dominatore; nel mondo della tortura repressiva quella certezza manca, la paura del seviziato blocca ogni fantasia e ogni flusso di piacere. Aldilà di questo mio piccolo dissenso, la lettura di Jean–Manuel Traimond è da non perdere, perché è un libro di grande qualità, scritto in modo piacevole e quasi sommesso, senza trincerarsi dietro paroloni e criptiche teorie, scritto con lo sguardo partecipe e disincantato di chi con sapienza fissa l’umanità e i suoi fardelli. Per una scheda sul libro e l’Indice, cliccate QUI.
Jean–Manuel Traimond “Piacere, Dolore, Potere” Traduzione di Alberto Panaro Pagine 180; Euro 15:00 Edizioni Elèuthera
martedì, 17 aprile 2007
Documentario su Pizzuto
A conclusione delle celebrazioni del 30° anniversario della scomparsa di Antonio Pizzuto, sarà presentato a Roma, alla Sala del Burcardo, giovedì 19 aprile alle ore 17, un documentario (durata: 42’00”) di Nosrat Panahi Nejad, girato fra Palermo e Roma che ripercorre vita e opere dello scrittore. Nosrat Panahi Nejad, nato ad Ahwaz (Iran) nel 1953, vive a Palermo. Diplomatosi in fotografia all’Istituto milanese Europeo di Design ha esposto in collettive e personali in molte città italiane; è anche curatore della rivista “Quaderni Pizzutiani”. Ho scritto prima di celebrazioni, ma, in verità, queste sono state largamente inferiori a quanto Pizzuto meriterebbe. La cosiddetta grande stampa, radio, televisioni, e anche tanti siti web che si occupano di letteratura (in Rete, tra le poche, felici, eccezioni, segnalo Lettura lenta di Luca Tassinari, il più importante dei siti che si occupano di Pizzuto), hanno trascurato l’occasione per parlare di questo caso letterario di cui m'occupai nel settembre scorso. Presenteranno il documentario: il regista; Maria Pizzuto figlia dello scrittore e presidente della Fondazione Antonio Pizzuto; il giornalista Gian Maria Molli. Gian Maria Molli, 62 anni, fiorentino, scrittore, lavora alla Rai alle pagine culturali del Gr3, è autore di tre raccolte di racconti, una fiaba e un romanzo breve. La più recente pubblicazione, Visioni, è dell’anno scorso; la precedente, “Fiori”, del 2000, è stata pubblicata nei Quaderni Pizzutiani. E proprio a lui ho chiesto un breve profilo dello scrittore.
Antonio Pizzuto è un autore senza tempo e senza luogo. La sua Sicilia, qua e là evocata, è il mondo. Pertanto è sempre attuale. Quando ha cominciato a scrivere i primi romanzi, del tutto anonimo, fra il ’20 il ’30, pubblicati postumi (“Sinfonia 1923”, “Rapin e Rapier”, “Sul ponte di Avignone”, “Così”), Pizzuto era già proiettato in avanti, verso quella che sarà definita l’epoca della grande sperimentazione degli anni ’50 – ’60, ma senza confondersi né con il futurismo prima, né con l’avanguardia dopo, da cui, anzi, prese debitamente le distanze, contraccambiato, e pagandone le conseguenze con l’inevitabile isolamento. Sarà Gianfranco Contini, a metà degli anni Sessanta, a farlo uscire dall’anonimato conferendogli la palma di scrittore autentico e definendolo il “Joyce italiano”. L’accostamento con il grande irlandese, che non piaceva molto a Pizzuto, è invece calzante, soprattutto se si considerano le opere dell’ultimo decennio di vita: “Paginette”, “Sinfonia”, “Testamento”, “Pagelle I e II”, “Ultime e Penultime”, “Giunte e virgole”, fino alla drammatica stesura di “Spegnere le caldaie”, dove la prosa si condensa in un crogiuolo di parole polisenso, dettate da un ritmo interiore che diventa musica, come avviene, appunto, nel Finnegans Wake di Joyce. Personalmente sono più legato alla cosiddetta trilogia composta da “Signorina Rosina” (il primo romanzo edito), “Si riparano bambole”, “Ravenna”, in cui il flusso narrativo, ancora in parte disteso, evoca immagini di un’intensità profonda, che scaturiscono da un lavoro sulla lingua accurato, scrupoloso, consapevole della scelta e del valore di ogni singola parola, portato alle estreme conseguenze nelle ultime opere. Riusciremo mai a vedere questo documentario trasmesso da qualche network Tv? Disperare è legittimo, sperare è lecito.
lunedì, 16 aprile 2007
Osservatorio su arte e scienza
Arte e scienza dopo secoli, si pensi al Rinascimento, sono tornate a far parte di uno stesso territorio al quale hanno sempre appartenuto: quello della creatività umana. La divisione idealistica fra i due campi del sapere è caduta, speriamo per sempre. Ha scritto Paul Feyerabend in “La scienza come arte”: Ogni opera di scienza è scienza e arte, come ogni opera d'arte è arte e scienza. Solo come spontanea è l'arte nella scienza, così spontanea è la scienza nell'arte. A questo tema è dedicato un convegno che si terrà domani a Roma: Osservatorio Cosmico Conferenza su Arte e Scienza con interventi d’autorevoli nomi, dall’astrofisica Margherita Hack all’artista Luca Patella, dall’etologo Enrico Alleva al biostatistico Alessandro Giuliani, ad altri ancora i cui nomi, con il programma del convegno, li trovate sul sito web dell’Associazione Zerynthia. Coordinerà il convegno un nome di spicco della giovane critica d’arte in Italia, Angelo Capasso, docente di Arte Contemporanea all’Università La Sapienza, recente autore di un quanto mai interessante volume di cui già mi sono occupato in questa rubrica: Opere d'arte a parole. L’intervento di Capasso sarà incentrato sull’arte dell’era digitale, aspetto espressivo contemporaneo che vivacemente propone i rapporti fra arte e scienza, tecnologia e società. Traggo dagli atti del I Congreso Internacional De Estudios Visuales, tenutosi a Madrid, un frammento del suo intervento di allora che proprio sul digitale rifletteva.
…Ogni strumento nel repertorio delle scienze digitali è un organismo senziente, e conseguentemente, la percezione è, ad un tempo, dentro e fuori di noi, nelle protesi che la tecnologia ha ormai spinto nella nostra coscienza senziente e sensibile. Il superamento della soglia del moderno, in questo "neomoderno", è dato dalla realtà dei media digitali che presuppongono un sistema di comunicazione che assimila la rappresentazione all’interno della tecnosfera, della neurosfera e della genosfera […] La neutralità del digitale consente una compartecipazione di livelli diversi in un contesto ibrido (il digitale stesso): net-art, web-art, internet-art, global-art, sono fenomeni sociali più che fenomeni legati al mondo dell’arte, inteso in termini tradizionali. Queste escursioni e azioni (hackerismo e hacktivismo) si aggiungono alla ricerca estetica dell’arte del secolo scorso e delineano un mondo, quello del digitale, in cui livelli diversi si compenetrano e si fondono, generando una nuova possibilità di “opera d’arte totale”. Il dibattito sarà trasmesso in differita nella radio on line Radio Arte Mobile ed entrerà a far parte dell’archivio di quell’emittente. 17 aprile 2007 ore 17:00 Osservatorio Cosmico Conferenza su Arte e Scienza Sala Bovet, Istituto Superiore di Sanità Viale Regina Elena 299, Roma Per informazioni: Associazione Zerynthia: 06- 49 40 893 – zerynthia@zerynthia.it Ram: 06 – 44 70 42 49 – info@radioartemobile.it
Dalla celluloide alla cellulosa
Di solito, il percorso è inverso: dal libro al film, oppure dal film al videogame – per science fiction e action movie –, ma l’operazione (con qualche precedente ad Hollywood) che qui presento porta sulla pagina una storia raccontata sullo schermo. Non so chi abbia avuta quest’idea dal linguaggio acrobatico, ma conosco i nomi delle autrici: Simona Izzo (regista e sceneggiatrice del film) e Luisella Bolla che alla sceneggiatura non ha partecipato, quindi, se il film non dovesse piacervi, non prendetevela con lei. Luisella Bolla, regista e conduttrice di programmi culturali radiofonici per la Rai, è anche autrice di libri che indagano sul linguaggio dei media e della comunicazione; fra le pubblicazioni più recenti ricordo un viaggio di Alice nel paese della Fiction dal titolo Incantesimi. E poiché nei media si muove con occhio di lince, gestisce da felino un suo blog che guarda, e morde in modo carnivoro, al mondo della tv. Il film e il libro si chiamano allo stesso modo: Tutte le donne della mia vita. L’editore delle pagine è Marlin. La storia si svolge tra fornelli della cucina e fornelli dell’eros.
A Luisella Bolla ho chiesto: qual è la principale difficoltà che hai trovato nel trasporre quel film in un libro? Adottare e, insieme, adattare l'essenza emotiva del film - i volti degli attori, il potere evocativo della musica, la suggestione del ritmo. In questo caso, sceneggiatura e regia vengono usati liberamente per esplorare i ricordi dello chef protagonista, che nel libro si racconta in prima persona. Lo sforzo e la difficoltà maggiore: aprire l'attimo di un primo piano in una scia narrativa. E far sentire i sapori, gli odori, i profumi della vita e della cucina. Pensi che sul nostro mercato quest’operazione può affermarsi oppure costituisce un’esperienza episodica? Ci sono molti libri ispirati alla fiction televisiva, che cavalcano l'onda del successo e sono destinati soprattutto ai fans. Il cinema, al contrario, o si ispira alla letteratura o pubblica le sceneggiature nude e crude per un pubblico di lettori esperti. Mescolare le scritture, invece, è una ricerca narrativa da verificare caso per caso. Un'esperienza interessante, che dispiega tante domande sulle modalità del vedere, del raccontare visivamente il mondo. Scheda del libro e del film: QUI. Simona Izzo – Luisella Bolla “Tutte le donne della mia vita” Pagine 156; Euro 13:00 Marlin Editore
venerdì, 13 aprile 2007
Io ero Mario
Lo scrittore tedesco Christian Friedrich Hebbel (1813 – 1863), un precursore del pensiero di Nietzsche, scriveva nel suo diario: “La morte mostra all’uomo ciò che egli è”. Chissà se a questo non ha pensato anche il trentaquattrenne scultore e illustratore Federico Paris nell’ideare un particolare progetto che consiste nell’interpretare l’immagine di chi è entrato nel rabelaisiano “grande forse”. Si dirà che sculture e ritratti di trapassati noti e meno noti n’esistono tanti da riempire un’infinità di musei e case, ma l’opera di Federico Paris ha una caratteristica concettuale e materica che la rende per niente comune: la figura che crea è fatta con le ceneri del personaggio ricordato. Al momento, di questo progetto esiste un solo esemplare - Io ero Mario - ed è quello che c’è nella foto qui accanto che, però, nel trasferirlo dalla fotografia originale non è venuto un granché, perciò consiglio di cliccare sul sito che l’artista ha dedicato a questa sua operazione, vale a dire QUI.
A Federico Paris, ho chiesto: qual è il senso di questa tua creazione? Come si pone, in senso storico e filosofico, di fronte al concetto della morte? "Io ero Mario" s’ispira alle statuette votive di alcune culture arcaiche, soprattutto quella etrusca. L'idea nacque proprio guardando uno di quei vasi cinerari che hanno l’aspetto del defunto. Stupisce il senso di protezione che emanano quelle immagini, il senso di benevolenza che quei visi di terracotta esprimono. L'arte etrusca suscita una forte evocazione dello scomparso ed è incredibile come quei piccoli contenitori riescano a raccontare chi erano le persone là contenute. Mi è venuto allora il desiderio di vedere che cosa sarebbe successo se il contenuto fosse stato anche il contenitore. Ho cercato di raccontare una persona attraverso quella che fu la sua immagine e di racchiudere la sua energia in una figura allegra e benevola, com’era Mario. Una qualcosa che tenuta in casa fosse una fonte d'ispirazione spirituale o semplicemente desse un ricordo bello della persona scomparsa. Inoltre, credo che i vasi cinerari contemporanei siano oggetti piuttosto lugubri e tristi, mentre "Mario" racchiude in sé anche la forza comunicativa dell'arte, la capacità di donare emozioni. “Io ero Mario” possiamo definirlo il prototipo di una tua operazione che so intendi articolarla attraverso un progetto che ha a che fare con il numero 10... "Io ero Mario", infatti, è il capostipite di un progetto più ampio che prevede la realizzazione di un totale di dieci sculture con cenere umana. Sto cercando perciò, in Europa e in altri continenti, dieci persone che vogliano affidarmi le ceneri di loro cari. Vorrei raccontare attraverso queste sculture, esposte in una mostra corredata da catalogo, la storia di quelle persone, com'erano in vita, riuscire a trasmettere quelle personalità tramite la loro nuova forma che assumeranno. Credo che per fare questo, ‘dieci’ sia un numero perfetto, non eccessivo da rendere il mio lavoro seriale o privo del giusto amore e della giusta attenzione che le persone raffigurate meriteranno.
giovedì, 12 aprile 2007
Fiabesche avventure femminili
Le brave ragazze, si sa, vanno in Paradiso; le cattive, dappertutto. Cenerentola e Cappuccetto Rosso, ad esempio, vanno ovunque? Forse sì. A questo, infatti, fa pensare un libro appena mandato in libreria da Bruno Mondadori. Le loro (e non soltanto le loro) avventure sono studiate da Michele Rak in un volume intitolato: Da Cenerentola a Cappuccetto Rosso Breve storia illustrata della fiaba barocca. Libro dotto e divertente che lancia sguardi, e occhiatacce, su creature e percorsi di cellulosa rivelando significati – spesso poco innocenti – di personaggi femminili che s’aggirano fra boschi e castelli, sfidando draghi, matrigne e streghe, o ammaliando principi. Queste ragazze sono diventate modelli e miti che segnalano il dissesto della società medievale e l’avvento della Modernità. Michele Rak, teorico e storico dei linguaggi d’arte e del mutamento culturale, insegna Teoria e critica della letteratura presso l’Università di Siena. Dirige la Scuola di dottorato in Scienze del testo, l’Osservatorio europeo sulla lettura e la ricerca nazionale “Il lettore di libri in Italia”. Ha tradotto e curato “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile (Garzanti, Milano 1986-2005). È autore, tra altri studi, di “Napoli gentile” (il Mulino, Bologna 1994) ed “Immagini e scrittura” (Liguori, Napoli 2003). Per la casa editrice Bruno Mondadori, prima del volume di cui mi sto occupando, ha pubblicato, nel 2005, “Logica della fiaba”, libro che quando uscì fu per me l'occasione per fare col suo autore una chiacchierata nello Spazio.
Esistono ricadute ai giorni nostri dell'antica narrativa d’avventura femminile? Cenerentola telefona talvolta a Lara Croft? Ho posto tali domande a Michele Rak che mi ha dato un’articolata risposta in 4 punti. 1. Persiste nelle culture europee la vicenda della ragazza avventurosa che ingaggia conflitti in famiglia e, con tutti i mezzi, tenta l’ascesa sociale e ci riesce. 2. È una storia che indifferentemente è visibile a cinema e nel fumetto, nel romanzo e nel fotoromanzo, a teatro e nella canzone, tutti i linguaggi d’arte con cui le comunità rappresentano se stesse e le loro trasformazioni in modo non conflittuale. Accade in questi generi della rappresentazione perché accade nelle società dell’Occidente. 3. La nostra prospettiva sempre più global ci consente di osservare che, come un virus, questa icona comincia a penetrare anche le mentalità statiche dell’Oriente del pianeta. Accade man mano che il soggetto donna trova nuovi spazi politici, sociali, economici. 4. È un effetto dei numeri, della partecipazione, della circolazione di molti modelli di comportamento che si insinuano nelle incrinature che percorrono tutte le società sotto la potente spinta della cultura mediale. Per una scheda sul libro e l’indice dei capitoli del volume, cliccate QUI. Michele Rak “Da Cenerentola a Cappuccetto Rosso” Breve storia illustrata della fiaba barocca Pagine 240; Euro 25:00 Bruno Mondadori
mercoledì, 11 aprile 2007
Dama cinese
Fra le nuove collane affacciatesi di recente nel nostro scenario editoriale, una delle più riuscite è Bookever degli Editori Riuniti. Agisce nell’area latino-americana e ispanica, vale a dire in quello spazio letterario del mondo occidentale in cui a me pare ci siano ancora da scoprire novità (in libri di ieri tuttora da tradurre e in autori d’oggi dalla scrittura originale) mentre altrove è facile imbattersi in rimasticature del passato e in pagine variamente tamarriche. Il merito di quest’operazione va a Paolo Valentini che dirige Bookever. Dopo due romanzi (“L’ora azzurra” di Alonso Cueto e “Andamios” di Mario Benedetti), arriva in libreria di Mario Bellatin il volume Dama cinese che ai miei occhi ha il grande merito di non possedere una vera e propria trama, scorre, difatti, in modo mercuriale fra storie in transito, brani di vite abbandonate, lacerti di memorie. Libro questo che ha fatto scrivere a Frédéric Vitoux sul Nouvel Observateur: “Non si esce indenni da una lettura simile. O meglio, da questa esperienza”. Mario Bellatin è nato a Città del Messico nel 1960; è direttore della Escuela Dinamica de Escritores. Considerato uno degli autori più originali e innovativi degli ultimi anni, è stato tradotto in varie lingue, ottenendo, soprattutto in Francia, un notevole successo di critica e pubblico. Dama cinese, è il suo primo libro pubblicato in Italia. In Spagna, è stato giudicato da ‘El Pais’ uno dei migliori romanzi del 2006 e su quel quotidiano così è stato scritto di Bellatin: “E’ un autore che crea una sorta di caos narrativo, nel quale nulla sembra avere senso, neppure l’esasperante freddezza. Un caos che alla fine si ordina con affascinante precisione”.
Ho chiesto a Bellatin: ti presenti ai tuoi lettori dicendo "Soy Mario Bellatin y odio narrar". Che cosa ti fa odiare il narrare? Odio narrare perchè questo lo fanno tutti coloro che hanno Google, mentre il mio lavoro è la scrittura. Ti piace pensare alla "Dama cinese" come a una mappa o a un labirinto? Mi piace pensare questa scrittura come a una pittura anamorfica. Bookever agisce in Rete un proprio blog. Mario Bellatin “Dama cinese” Traduzione di Maria Nicola Pagine 96; Euro 10:00 Bookever/Editori Riuniti
martedì, 10 aprile 2007
Giocare col suono
“Il suono (dal latino sonus) è la sensazione generata dalla vibrazione prodotta da un corpo in oscillazione”, così il vocabolario risponde, senza suono, se lo interrogate a quella voce. Il suono, specie in assenza della creatura o dell’oggetto che lo produce, si sa, possiede un grande stimolo alla fantasia e si connota in modo assai diverso secondo la personalità dell’ascoltatore; l’importanza di quest’impulso è descritto dai neonatologi anche nel periodo della gestazione. “Fin dalla nostra infanzia” – scrivono i redattori del portale Amadeus – “abbiamo vissuto, sperimentato ed immagazzinato diversi modelli sonori, associando a ciascuno di essi una particolare entità definita (una sensazione, un significato, una reazione biochimica, una circostanza o, più in generale, un concetto): tutti questi suoni possono essere definiti modelli sonori condizionati, in quanto derivanti da una associazione mentale. Esistono però anche dei modelli sonori incondizionati, a cui appartiene tutta una gamma di “suoni primitivi”, puro riflesso delle emozioni e comprensibili da tutti senza bisogno di precedenti condizionamenti cognitivi. Oggigiorno esistono solo due suoni incondizionati (primitivi): il pianto e il riso; tutti gli altri suoni primitivi sono ormai scomparsi insieme ad una parte della spontaneità comportamentale. E’ proprio in questo contesto che entra in gioco il potere del suono in senso lato”. Ho fatto questa premessa per presentare un libro delizioso pubblicato da Editoriale Scienza da tempo attenta nel produrre libri e librini diretti all’infanzia con lo scopo d’istruire divertendo. Il libro si chiama Gioco scienza con i suoni. N’è autrice Isabelle Chavigny con azzeccatissime illustrazioni di Jérôme Ruillier. Il volumetto è un vero e proprio laboratorio audiolinguistico di educazione al suono adatto a bambini dai 4 anni in su, e si rivela anche indicato per ragazzi che hanno difficoltà di carattere linguistico o di concentrazione. Ecco perché lo segnalo anche a insegnanti e operatori che lavorano in quell’area didattica. La sua componente ludica è ben organizzata attraverso schede, fumetti, bustine-quiz, divertenti pop-up e con un Cd. L’indicazione di alcuni capitoli farà meglio ancora comprendere la costruzione di questa pubblicazione: suonare coi bicchieri; la danza dei granelli di sale; il suono delle balene; l’appendino campana; il re del silenzio; fare musica con un pettine; e altri ancora proponendo microrealizzazioni sonore. Perché il libro oltre a dare informazioni sul suono e i suoni, tende a far produrre ai bambini stessi sonorità da loro ideate ed eseguite. Dice il maestro Zen: “A battere due mani ne conosciamo il suono, ma qual è il suono di una sola mano?”. Questa domanda, rassicuratevi, non c’è nel libro; verso l’infanzia sarebbe una crudeltà perseguibile per legge. Già lo è verso di noi adulti.
Isabelle Chavigny “Gioco Scienza con i suoni” Illustrazioni di Jérôme Ruillier Pagine 32 con Cd; Euro 13:90 Editoriale Scienza
venerdì, 6 aprile 2007
Le parole dell'arte
Il titolo di questa nota non tragga in inganno, non sto per presentarvi un dizionario di termini artistici, ma un libro di dialoghi. Fra un critico e artisti da lui incontrati nella sua vita professionale con i quali intreccia un partecipato scambio di visioni e opinioni, con metodo maieutico, disegnando il profilo delle arti visive nella nostra epoca e viceversa. Non interviste quindi, perché questo vero e proprio genere letterario (con travasi di linguaggio nella radio, nella tv, nel web) s’avvale di una diversa drammaturgia. Questi dialoghi li ha ideati e realizzati Angelo Capasso ed ora, riversati dal mondo fonetico a quello della cellulosa, è possibile leggerli in un libro di Meltemi fresco di stampa intitolato Opere d’arte a parole. Angelo Capasso è critico d'arte e professore di Storia dell’arte contemporanea presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Roma “La Sapienza”. Collabora con le riviste «Tema celeste», «Modus vivendi», «Exibart» e «Art in America». Tra le sue pubblicazioni: “Abo. Le arti della critica” (2001) e “Ombre e fantasmi” (2004). I suoi interlocutori in Opere d’arte a parole: Jimmie Durham, Luigi Ontani, Jorge Molder, Enzo Cucchi, Thorsten Kirchhoff, Yang Jiechang, Wang Du, Avish Khebrehzadeh, Wim Wenders, Dennis Oppenheim, H. H. Lim, Lou Reed, Alberto Di Fabio, Jannis Kounellis, Roman Signer, Marc Quinn, Luca Patella, Rebecca Horn, Kendell Geers, Gilbert & George, Georgina Starr, Maurizio Cattelan, Urs Lüthi, Fabio Mauri, Michele Zaza. Ad Angelo Capasso ho chiesto di definire i tratti essenziali del suo lavoro nello scenario critico dei nostri giorni.
Io critico d’istinto. L’ho scritto in una intervista che mi ha fatto Marcello Carriero molto tempo fa e lo penso da sempre. E’ la regola stessa del fare critica: distinguere, distinguersi ed essere intuitivi, riflessivi quanto basta. “Opere d’arte a parole” è un libro che propone un progetto per rifondare la critica a partire dalla parola, che non è scrittura intesa come esercizio della cultura alfabetizzata, ma della cultura della condivisione, quindi della comunicazione. E’ un libro molto attuale perché si stringe sul digitale, una realtà sottovalutata, o forse non compresa fino in fondo. Vorrei una tua riflessione sulla differenza che passa oggi fra lo storico e il critico dell'arte... Lo storico lavora su dati accertati, lo storico su dati accertabili. Per questo, come dicevo, il fiuto, l’incertezza, la mobilità di giudizio non sono valori negativi, ma elementi strutturali dell’esercizio della critica. Purtroppo sono gli stessi che poi costruiscono figure incerte, gli informatori medici, quelli che circolano con la valigetta delle loro riviste sotto mano e ogni volta trovano certezze in quanto hanno scritto altri (spesso i galleristi che hanno necessità economiche molto più urgenti). “Opere d’arte a parole” è un libro che vuole tornare su valori solidi, vorrebbe essere anche un exemplum di come la critica non debba necessariamente diventare giornalismo spinto sulla visione (e non sulla cronaca) quanto possa essere un punto di vista su cui fondare progetti nuovi per l’arte. Per questo ho abolito il termine intervista dal mio libro a favore di “dialogo”. Nell’intervista l’interlocutore è un microfono, nel dialogo due persone, in quel caso il critico e l’artista, parlano. Per una scheda del libro, cliccate QUI. Angelo Capasso “Opere d’arte a parole” Pagine 235; Euro 19:50 Meltemi
giovedì, 5 aprile 2007
La religione secondo Bataille
S’avvicinano i giorni pasquali e sta per scatenarsi la solita orgia di sepolcri, processioni, stupefazione per un miracolo più improbabile di un episodio delle avventure del Barone di Münchausen che riuscì a salire in cielo tirandosi per i capelli. Anch’io voglio parlare di religione. A modo mio. Lo faccio presentando un libro dell’editore Cronopio da poco in libreria. Titolo: Sulla religione Tre conferenze e altri scritti; autore: Georges Bataille. Il libro esce a cura di Felice Ciro Papparo. Per Bataille la religione nulla ha a che fare con la trascendenza, anzi ne è la distruzione. Allo scrittore Pierre Klossowski che gli chiede “Lei è cattolico?”, Bataille risponde: “Sono cattolico? Non protesto perché non saprei come”. Non a caso, Franco Marcoaldi recensendo questo libro di Bataille (il 31 marzo ‘07 su ‘la Repubblica’) ha evidenziato come nell'ottica di Bataille la religione ridotta a istituzione è la negazione della religione stessa. A Felice Ciro Papparo ho chiesto: In questi ultimi tempi si nota (dall'editoria al cinema al teatro) una ripresa del dibattito sulla religione, e meglio ancora sulle religioni. Qual è l'attualità di questi scritti di Bataille in quel dibattito?
“Potrei rispondere alla sua domanda con una battuta, apparentemente sbrigativa, dicendo che l'attualità degli scritti batailleani sta nella loro inattualità, intendendo il termine proprio nell'accezione di un autore caro a Bataille, cioè Nietzsche. La loro inattualità consiste nel presentare una posizione teorica ed esperienziale che combattendo il tempo presente della religione - quello, per esemplificare con il nostro presente, dalle più che razionali posizioni di un Ratzinger, assolutamente prive, come da tempo va ripetendo Cacciari alla Chiesa, di qualunque carità (si veda da ultimo la stupida battaglia contro i ‘Dico’) e per converso dalle accese ma niente affatto passionali 'guerre' allo spirito dell'Occidente dei teocrati musulmani – metterei da canto le posizioni buddiste invece, sempre molto sobrie, al limite della condivisione – si pone, così, fuori dal tempo della religione ridotta a repressiva istituzione per indicare un tempo futuro della religione, che può esprimersi solo nei limiti della passione. Non essendo e non potendo essere riducibile o riconducibile né al fanatismo – del fuoco-passione che lo consuma, infatti, il soggetto fanatico, come stanno a dimostrare i tanti da esso bruciati-arrostiti, sa fare buon uso facendo diventare la propria passione un valore razionale; e tantomeno all'untuoso atteggiamento dei tanti sacerdoti che popolano le varie religioni con gli 'occhi sempre rivolti al cielo', – sempre dimentichi, questi occhi che guardano oltre, verso la trascendenza, “l'azzurro del cielo” (per citare il titolo di un romanzo di Bataille) della nostra terra, la religione nei limiti della sola passione, in quanto segno incancellabile del caos che abita l'esistenza, diventa un segno decisivo, insieme all'arte e alla poesia, rappresentando il caos da cui l'esistenza è fondata, riesce, prendendosi cura dei molti modi in cui essa si esprime, a dire l'esistenza nei molti modi in cui accade, sottraendola così all'unico modo cui vorrebbero destinarla i tanti rappresentanti del monoteismo”. Georges Bataille “Sulla religione” A cura di Felice Ciro Papparo Pagine 196; Euro 18:50 Cronopio
mercoledì, 4 aprile 2007
Actarus
Quelli che oggi hanno trent’anni o suppergiù hanno impresso nella loro memoria televisiva soprattutto un personaggio: Actarus. Era il protagonista della serie di videofumetti giapponesi ‘Atlas Ufo Robot’ trasmessi alla fine degli anni ’70. Gli dava voce al doppiaggio Romano Malaspina, e ricordo che a quel tempo mentre lavoravamo insieme a un programma di Radiorai, alcuni impiegati venuti a sapere che lui era… Actarus, vennero in studio a chiedergli l’autografo da portare ai figli. Actarus te lo ritrovavi riprodotto dappertutto, la canzoncina della sigla risuonava ovunque, e chissà se qualcuno giovane o meno tale non si sia chiesto anche, confondendo Cina e Giappone, che a riallacciare le relazioni diplomatiche che in quegli anni avvennero fra Stati Uniti e Cina non fosse stato proprio Actarus. Naturalmente ci furono anche film tratti da frettolosi montaggi di puntate di quella serie, con sale cinematografiche piene di ragazzini urlanti come in uno stadio. Ora quel personaggio uscito dalla celluloide rivive in cellulosa attraverso la fantasia di Claudio Morici autore di un romanzo pubblicato da Meridiano Zero intitolato Actarus La vera storia di un pilota robot. Pastiche letterario ambientato nella Tokio del 2076, il libro di Morici coglie un Actarus eroe stanco ormai di combattere contro i mostri di Vega, a stento trascinato fuori di casa dal suo vecchio amico, il pilota terrestre Alcor… omonimo della società Alcor che si occupa d’ibernazione umana e forse nel 2076 sarà famosa. Finché un giorno, Actarus conosce Roberta, pacifista bella e con la dispensa sempre piena di prodotti equosolidali e… no, mi fermo qui perché se vado avanti quelli di Meridiano Zero s’incazzano. Poco mi sorprende che Claudio Morici abbia scelto per questo suo nuovo libro un’atmosfera spaziale perché lo so pronto a imbarcarsi in voli interplanetari come potete vedere, sapendo anche di più su di lui, cliccando QUI. Non mi resta che augurare al libro di Claudio Morici d’attraversare le librerie con successo e vedere il suo libro che “… si trasforma in un razzo missile / con circuiti di mille valvole / tra le stelle sprinta e va”. Claudico Morici “Actarus. La vera storia di un pilota di robot” Pagine 224; Euro 13.00 Ed. Meridiano Zero
martedì, 3 aprile 2007
Wakati ujao
Avete già capito dal titolo di questa nota di che cosa mi occupo oggi… no?... strano, vi facevo più colti… vabbè, fra poco tradurrò quella titolazione Wakati ujao, così è intitolata un’antologia di nove racconti di fantascienza i ricavati della cui vendita saranno devoluti ad Amref Italia per aiutare gli obiettivi umanitari di quell’organizzazione. I testi sono di D. Altomare, C: Chillemi, S. Conti, E. Di Stefano, M. Gambaro, S. Massera, M. Morellini, A. Petrino, P.Preziati, A. Tintori. L’iniziativa editoriale si deve alla redazione di Web Trek Italia, magazine in Rete – guidato da Giancarlo Manfredi – dedicato a informazioni e studi su Star Trek. A Giancarlo Manfredi, che ebbi a compagno di viaggio tempo fa in un volo spaziale ho chiesto di parlarmi di “Wakati ujao”
Wakati ujao è una espressione swahili che potremmo tradurre liberamente con il termine italiano "avvenire". Ma è un futuro africano particolare quello che viene profetizzato in questa antologia a cura di WebTrek Italia. Ai nostri amici scrittori abbiamo infatti chiesto di raccontare le loro visioni scegliendo un'ottica ottimistica o al contrario una prospettiva pessimistica, ma immaginando comunque un continente Africano che è diventato superpotenza mondiale, da qui a cento anni. Il clima surriscaldato del pianeta, problemi genetici imprevisti (Ogm, contaminazioni ambientali, eccetera), conflitti mondiali e (soprattutto) uno stile di vita decadente e pieno di contraddizioni e ipocrisia, ribaltano il ruolo dell'occidente ricco e consumista. Paesaggi di un'Africa futura, i nove racconti sorprendono e le nove illustrazioni (di stile diversissimo le une dalle altre) accendono l'immaginazione del lettore. Un lavoro creativo assolutamente di squadra (sul ponte dell'Enterprise non ci si aspetta nulla di meno), certamente una faticaccia, però crediamo, noi tutti, che ne sia valsa la pena. Non siete almeno un po’ curiosi? AA. VV. Wakati Ujao Pagine 188; $15.53 Editore Sergio Ferrari
lunedì, 2 aprile 2007
Pizza disconnection
In due parole: a un cittadino italiano viene in testa un giorno (in cui forse l’oroscopo gliela diceva nera) d’aprire nella città in cui risiede un piccolo locale per la vendita della pizza a taglio. L’avesse mai pensata! Entra in un tunnel di guai. Martoriato da una serie incredibile di autorizzazioni, esami, permessi, prove, ispezioni preventive, visite mediche e fiscali, il tutto diluito in tempi biblici, e quando tenta di capire ciò che gli sta accadendo, nessuno l’aiuta a farlo, gli viene risposto soltanto, da una moltitudine di persone di un numero incredibile d’uffici, con una voce sola la stessa terroristica frase di 5 parole 5: “Sennò le fanno la multa”. Quando riesce dopo forti spese del tutto impreviste a raggiungere l’ambìto traguardo e apre la pizzeria, quel cittadino, da sempre di sinistra, s’imbatte con una serie d’atrocità che gli combinano i dipendenti protetti dal sindacato. Una per tutte: dovrà pagare lo stipendio a una donna rimasta incinta subito dopo l’assunzione, e fin qui tutto giusto e lui nulla ha da obiettare, ma quella stessa donna aprirà, durante la dolce attesa, proprio una pizzeria di fronte alla sua lavorandoci per tutto il giorno con il suo pancione; altri s’assenteranno presentando improbabili certificati medici… la pizzeria chiude. Quel cittadino si chiama Luigi Furini, nato nel 1954, vive a Pavia, è un giornalista, ha lavorato a lungo in testate locali, dalla catena di ‘Diario’ ai quotidiani del Gruppo Espresso per i quali anche oggi scrive. E’ autore, presso Garzanti, di un libro delizioso, comico e amarissimo: Volevo solo vendere la pizza che s’avvale della prefazione di Marco Travaglio. Della sua avventura se n’è occupato tra gli altri anche Corrado Augias in Tv con un'intervista che argutamente condotta e ben assecondata da Furini, diventa uno sketch: QUI Il volume, com’è stata notato in più recensioni, è un documentato, pesante atto d’accusa verso la burocrazia italiana e verso ambienti sindacali che pur di non alienarsi gli iscritti sono capaci di coprire veri e propri soprusi e mascalzonate di “lavoratori” (le virgolette, da me sempre detestate, qui sono d’obbligo). Altri hanno già lodato la denuncia civile di Furini, a me qui preme sottolinearne anche il valore letterario. Volevo solo vendere la pizza è un riuscito esempio di scrittura satirica, condotto con ritmo da slapstick, contro la burocrazia. Maiuscoli esempi di questo tipo di scrittura, si sa, li troviamo in molti scrittori russi di ieri e di oggi: da Gogol a Cechov, da Erofeev alla Voznesenskaja. In Italia il libro di Furini nulla ha da invidiare a certi momenti de “I Burosauri” di Ambrogi o a pagine di Bianciardi (ricordo quelle irresistibili de “La vita agra” in cui viene descritta sarcasticamente la difficoltà di un’iscrizione ad una sede del Pci). Luigi Furini è salito su questo Cosmotaxi.
Da elettore di sinistra quale io sono, ti chiedo: come hai fatto a restare di sinistra? Non è una battuta scherzosa, gradirei capire il (lodevole) ragionamento che hai svolto; può essere utile a molti di noi. Il libro doveva intitolarsi "Com'è dura essere di sinistra". Poi l'abbiamo cambiato per un titolo più soft e perchè non si voleva politicizzare la questione della burocrazia che, in effetti, è comune a tutti. Detto questo, sono nato e ho vissuto 50 anni a sinistra. E qui ho deciso di restare perchè nel mondo (ma anche in Italia) ci sono gli sfruttati da aiutare, i lavoratori (quelli veri) da difendere. E non saranno certamente quattro sindacalisti mal informati e qualche dipendente cialtrone a farmi cambiare idea. Non è grazie alla sinistra italiana che resto "di sinistra". In casa nostra ci sarebbe molto da cambiare e da rinnovare. Sono di sinistra questi leader di partito che si scambiano i bigliettini con Berlusconi? Quante speranze abbiamo che le liberalizzazioni varate riescano nel loro intento? Pochissime. Intanto si tratta di finte liberalizzazioni (le ricariche dei telefoni, l'abolizione della penale sui mutui, l'abolizione della commissione di massimo scoperto sono piccolissimi passi avanti in un Paese che avrebbe bisogno di aria nuova, di aprirsi ai mercati, di abolire le corporazioni, di vera concorrenza). Invece il governo è miope, o teme di perdere consensi e allora dice di fare e non fa, Insomma, si è visto poco e, quel che è peggio, è che Bersani dica, ormai, di averle fatte le liberalizzazioni. Luigi Furini “Volevo solo vendere la pizza” Prefazione di Marco Travaglio Pagine 193; Euro 14:00 Garzanti
Un gioco giallo
Un raffinato gioco letterario con premi ai solutori è proposto da Tecla Dozio. Lo lancia dal sito, tutto in giallo,Gialloandco questa signora del giallo, alla quale le fortune del giallo in Italia devono tanto. E il perché non è un giallo. Dalla sua “Libreria del Giallo” a Milano, città questa sì piena di gialli (da dove partì il giallo di Mani Pulite, governata da mariuoli gialli qualcuno dei quali morto latitante), da anni, ben prima che il giallo s’affermasse, promuove il genere della letteratura gialla. Ma anche noir che col giallo ben combina e confina. Tecla con sibilline parole gialle, invita al gioco in giallo che ha inventato.
Per saperne, o amanti del giallo, cliccate QUI
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