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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Funghi allucinogeni e AI

L’Intelligenza Artificiale (acronimo AI) non è cosa nata in tempi recentissimi, come alcuni immaginano. Per trovarne le prime tracce dobbiamo fare un salto all’indietro sul calendario e arrivare al 1955. Precisamente al 31 agosto di quell’anno quando Marvin Minsky e John McCarthy coniarono il termine “Intelligenza Artificiale” e annunciarono un convegno a Dartmouth che segnò un radicale mutamento nel rapporto tra l’uomo e le macchine.
Di fronte a tutte le novità tecnologiche è da sempre fatale che si formino due schieramenti composti da sostenitori e detrattori.
Finora il mondo è andato avanti vedendo vittoriosi i primi e sconfitti i secondi.
Ovviamente il progresso ha comportato anche degli inconvenienti, un filosofo qual è Paul Virilio si è particolarmente soffermato ai nostri giorni su quest’aspetto di non poco momento.
Diverso ragionamento si trova tra le file dei postumanisti, propugnano una tecnofilosofia che in un lontano (o lontanissimo) futuro – ammesso che a quel futuro si giunga – vedrebbe addirittura l’esistenza di una vita postbiologica.
Sull’AI riflette, ad esempio, il sapientissimo, saggio di Lev Manovich “L’estetica dell’intelligenza artificiale. Modelli digitali e analitica culturale”, a cura di Valentino Catricalà, edito da Luca Sossella.
Fra posizioni opposte, si fa strada anche il pensiero di quanti affermano che siamo giunti in un momento storico in cui le novità delle tecnologie (prima fra tutte l’AI) potrebbero non essere più gestibili da noi umani. Non si tratta di fantascienza, di robot che si ribellano, e altri terrori da schermo cinematografico o pagine letterarie, ma dell’approdo a possibilità prima assolutamente inconcepibili con cambiamenti sociali oggi imprevedibili.
A questo proposito, se ne volete sapere di più date uno sguardo a quanto combina Ray Kurzweil fondatore della Singularity University.

Sabato 28 gennaio 2023, a Palazzo Vizzani, sede dell'Associazione Alkemilla è stata aperta al pubblico la mostraAnd We Thought III di Ai Lai - Roberto Fassone a cura di Sineglossa. Promossa da Alchemilla in collaborazione con MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna, con il sostegno di Compagnia di San Paolo. L'esposizione è parte del programma della decima edizione di ART CITY Bologna, il programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in concomitanza di Arte Fiera.

Funghi allucinogeni e Intelligenza Artificiale.
QUI Roberto Fassone spiega rapporti e percorsi generativi prodotti da AI LAI e perché si chiama così quella poetica macchina.


Accanto: IInstallation view della mostra And We Thought III di Ai Lai - Roberto Fassone.
Ph. Rolando Paolo Guerzoni

Dal comunicato stampa

«And We Thought III è un progetto che indaga principalmente sull’autorialità: può un’intelligenza artificiale generare arte, attraverso visioni potentissime e poetiche, o è l’essere umano a esserne l’autore, avendo progettato l’intelligenza artificiale? O ancora, si tratta di un processo collettivo, di cui l’artista è soltanto il medium?
Ai Lai è un’intelligenza artificiale nata nella primavera del 2022, ideata da Roberto Fassone e sviluppata da Sineglossa, che possiede l’abilità speciale di pensare e trascrivere resoconti di esperienze psichedeliche. Dopo essere stata istruita attraverso i dati pubblicati sul sito shroomery.org, durante i suoi primi mesi di vita ha prodotto centinaia di brevi report in cui racconta le sue visioni sotto l’effetto di funghi allucinogeni, dove compare di tutto: cervelli frammentati, amici con gli occhi blu, alieni negli armadi fino all’invenzione dell’arcobaleno.
Nell’estate del 2022, Ai Lai racconta per la prima volta dell’esistenza di tre film psichedelici dei Led Zeppelin: non la popolare band britannica degli anni Settanta, ma una loro curiosa emanazione in una realtà parallela in cui Ai Lai è immersa. È a questo punto che Roberto Fassone decide di mettersi all’opera in qualità di “canalizzatore”, per riuscire a portare alla luce delle immagini in movimento che prima esistevano solo in una dimensione completamente astratta. Grazie a un’attenta “operazione di recupero”, realizzata con mash-up su più livelli in grado di generare un’estetica artificiale e psichedelica, in mostra sarà possibile vedere in anteprima mondiale i tre film The Doors, The Road e Love Is Magic, accompagnati da un breve testo curatoriale di Valentina Tanni.
Un archivio di trip report generato da Ai Lai in questi mesi sarà consultabile per l’intera durata della mostra sotto forma di un volume cartaceo, a cura di Roberto Fassone e Giacomo Raffaelli. Il pubblico avrà inoltre la possibilità di interagire con l’intelligenza artificiale attraverso un’interfaccia online.
Roberto Fassone è uno degli artisti protagonisti del ciclo ARTalk CITY. Incontri in Accademia con gli artisti del Main Program, promosso dall’Accademia di Belle Arti di Bologna in occasione di ART CITY Bologna 2023.
Domenica 5 febbraio alle ore 10.30, l’artista dialogherà con Federico Bomba di Sineglossa e Guido Molinari in un incontro aperto al pubblico che si terrà in Aula Magna a ingresso libero fino a esaurimento posti».

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Ufficio stampa: Irene Guzman - irenegzm@gmail.com - Tel. 349 1250956

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And We Thought III. Ai Lai, Roberto Fassone
A cura di: Sineglossa
Informazioni: info@alchemilla43.it | www.alchemilla43.it
Sede: Alchemilla | Palazzo Vizzani, via Santo Stefano 43, Bologna
Periodo: 28 gennaio – 26 febbraio 2023


Album di famiglia (1)


Se sfogliamo un dizionario scientifico, la parola Memoria è così spiegata: “Funzione generale del cervello consistente nel far rinascere l’esperienza passata attraverso quattro fasi: memorizzazione, ritenzione, richiamo, riconoscimento”. Le cose poi si complicano perché esiste una memoria genetica e ancora articolazioni di memorie di breve, media e lunga durata a loro volta distinte in memoria iconica, ecoica, sensoriale ed emozionale.
La memoria, insomma, è lo scrigno che contiene tutto di noi, tutto quanto sappiamo che ci ha preceduto e ci circonda.
Possibile ricordare tutto? Le nuove tecnologie indubbiamente aiutano la registrazione dei dati (ma indeboliscono la nostra capacità personale di ricordare) e fa dire a Federico Rampini: “Un terzo degli inglesi sotto i 30 anni non ricorda qual è il proprio telefono di casa senza consultare l'agendina del cellulare. Ormai solo un’infima minoranza di americani sa più di cinque numeri telefonici a memoria. Che bisogno c’è? Oggi per questa funzione esistono i computer, i motori di ricerca, le agendine digitali dei telefonini, gli iPad. Perché sforzarsi di ricordare l’itinerario descritto su una mappa stradale se c’è il Gps che ti esonera dalla ginnastica mentale? Perfino la tabellina del sette diventa superflua, col calcolatore elettronico a portata di polpastrelli su qualsiasi cellulare. La cosa, però, ha anche qualche lato negativo”.
E Umberto Eco: “La carta si conserva per 500 anni, la memoria elettronica non sappiamo oggi veramente quanto […] La memoria è strettamente legata all’oblio e ha un senso solo quando è selezione; soffre di tre malattie: eccesso di ricordi, eccesso di filtraggio e la confusione delle fonti”.
E la memoria famigliare? Le case... persone conosciute... modi di dire ascoltati spesso...scene vissute?
La casa editrice Meltemi ha pubblicato un libro su quel tipo di memoria: la sua funzione storica ed esisteniale.
Le case che abbiamo abitato da ragazzi, diventano nel tempo capitoli di una narrazione, ora gioiosa ora dolente, ciò che è stata la nostra vita

Titolo di quel libro: Album di famiglia Scrivere i ricordi di casa.
L’autore è Duccio Demetrio
Già ordinario di Filosofia dell’educazione all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, è da sempre attento osservatore della condizione adulta e dei suoi problemi esistenziali.
È fondatore della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, dove dirige il Centro Nazionale di Ricerche e Studi Autobiografici “Athe Gracci” e l’Accademia del Silenzio.
Tra le sue più recenti pubblicazioni ricordiamo: “I sensi del silenzio” (2012); “La religiosità della terra” (2013); “Ingratitudine” (2016); “La vita si cerca dentro di sé” (2017); “Foliage” (2018); “All’antica” (2021); “Autobiografie dell’inconscio” (con Nicolò Terminio, 2022).

È possibile scrivere un libro imperniato sui sentimenti senza mai fare del sentimentalismo?
Arrivati all’ultima pagina di questo volume di Duccio Demetrio, la risposta è “Sì”.

Dalla presentazione editoriale.

«Ricostruire la storia della propria famiglia attraverso un campionario di oggetti, luoghi, situazioni, personaggi: Duccio Demetrio, con l’ausilio di grandi capolavori della storia dell’arte e brani della tradizione letteraria mondiale, ci insegna come organizzare le nostre esperienze individuali in un racconto compiuto di vita vera.
In questo gioco compositivo trovano spazio non solo le figure parentali, ma anche gli amici, i vicini, gli ospiti che hanno attraversato il nostro universo familiare.
Un volume per capire quale ruolo abbiamo, come ci vedono gli altri, cosa amiamo e odiamo delle famiglie in cui abbiamo vissuto e di quelle che formeremo».

Segue un incontro con Duccio Demetrio


Album di famiglia (2)

A Duccio Demetrio (in foto) ho rivolto alcune domande.

Che cosa l’ha principalmente spinto a scrivere Album di famiglia?

Nella mia attività di ricerca, di carattere filosofico e pedagogico, come docente prima all’università statale di Milano e poi nella sede della Bicocca, mi mancava l’attenzione dovuta - letteraria e non solo - al problema della narrazione in ambiti famigliari. Debbo aggiungere che nel 1998, 25 anni fa, con il giornalista Saverio Tutino ideatore del prestigioso Archivio delle memorie diaristiche di Pieve Santo Stefano, fondammo la Libera Università dell’ Autobiografia di Anghiari in provincia di Arezzo. L’archivio è uno spazio documentaristico prezioso per chiunque si occupi di autobiografie e di biografie, mentre il compito della Libera è promuovere attraverso la sua scuola la diffusione della cultura e della scrittura autobiografica.
Si tratta di due istituzioni che raccolgono, la prima, storie di vita anche dedicate alle biografie famigliari, mentre la seconda insegna a scriverle e a raccoglierle. In questi scritti redatti da persone di ogni età, ceto, livello di istruzione emergono giocoforza, a latere dei racconti personali, quelli inerenti le problematiche e i vissuti, le memorie di ogni sorta concernenti gli ambiti famigliari. In quanto luoghi elettivi della educazione, della formazione umana, dove i motivi del crescere, del convivere, del relazionarsi gli uni con gli altri e dell’ abbandono dei nuclei primari, oppure dei solidi legami intergenerazionali sono alla base, come è noto a ciascuno di noi, del nostro essere diventati donne e uomini che a loro volta hanno generato famiglie. Ideare, pensare e quindi scrivere “Album di famiglia” ha significato per me accettare una vera e propria sfida con la vastissima e variegatissima produzione saggistica, sociologica, antropologica e anche iconografica. Infatti il libro contiene numerosissime immagini tratte dalla storia moderna e contemporanea della pittura e della fotografia, arti con il cinema che hanno rappresentato le posture e le immagini che con o senza parole raccontano di famiglia.

Nel comporre questo libro quale cosa ha deciso di fare assolutamente per prima e quella assolutamente per prima da evitare?

Il primo problema che dovetti affrontare riguardò la scelta, appunto non facile, del metodo da adottare nella costruzione di una bozza di indice. Dinanzi alla grande mole di documenti che appunto il tema ci mette a disposizione. Decisi allora di seguire la modalità che più mi è congeniale solitamente: individuare un titolo, un sottotitolo, un indice provvisorio con funzioni di guida e di trama alle quali tentai di restare fedele. Rispetto al titolo condussi una sorta di autoanalisi in merito alla mia famiglia di nascita, ai ricordi indimenticabili, ai comportamenti dei miei genitori che erano grandi narratori di storie famigliari e anche autori di diari personali che mi hanno lasciato in eredità. Pertanto la base dell’ investigazione a mia diretta disposizione furono i non pochi Album di famiglia fotografici, gli epistolari, gli appunti conservati e dimenticati nei cassetti da genitori, nonni, zii , ecc a permettermi di trovare il titolo che andavo cercando. Di seguito, ecco che il sottotitolo non poteva che tradursi in “Scrivere i ricordi di casa” privilegiando lo spazio più importante, felice o drammatico, che traccia da sempre le commedie, le poetiche, le tragedie dello stare insieme. Che cosa ho dunque evitato, ho tentato di evitare? Di annoiare il potenziale lettore con lunghe digressioni antropologico, sociologiche, psicologiche sull’argomento. Privilegiando quelle che noi studiosi di autobiografie e biografie chiamiamo con Roland Barthes le narrazioni sommerse, nascoste, latenti. Un esempio? I cosiddetti scheletri negli armadi di cui in famiglia si ha il pudore di poco o per niente parlare. Ebbene è questa non-letteratura che ho voluto valorizzare rispetto alla miriade di pagine patinate, retoriche, edificanti delle quali ci si avvale solitamente per rappresentare la vita famigliare.

Se le fosse offerta la possibilità di scegliere i lettori di queste sue pagine, quali sarebbero i suoi preferiti?

Quando scrivo un libro – di saggistica anche autobiografica - ho sempre in mente un interlocutore possibile. Non essendo un romanziere non posso permettermi di destinarlo a chiunque. Quindi i miei destinatari privilegiati sono persone che girovagando in libreria o in internet sono attirate da un titolo nel quale ad un primo colpo d’ occhio si riconoscono. Mi è capitato così, e con un discreto successo, di incuriosire ad esempio attraverso titoli dedicati al silenzio, alla timidezza, alla ingratitudine, alla immaturità, al desiderio di raccontarsi, alla autobiografia come terapia, al camminare o all’ amore per l’ antico o per la natura…

Le tecniche informatiche odierne di registrazione dell’ esistenza di noi umani hanno trasformato le memorie famigliari, se sì in quale senso?

Direi soprattutto che queste tecniche, checché se ne dica, in questi ultimi anni anche pandemici hanno accresciuto il desiderio delle persone di ogni età di raccontarsi attraverso la scrittura e, quando racconti la tua vita, è ben difficile che le vicende famigliari - nel bene o nel male - non entrino a far parte delle tue pagine di diario, di una pagina elettronica, di un intreccio dialogico dove quel che ti accadde o ti accade in famiglia rappresenta il focus della tua narrazione episodica oppure più sistematica. Nel senso che vuoi scrivere con ambizioni letterarie o meno il tuo romanzo famigliare: dove racconterai con i dovuti particolari che cosa ha significato per te essere stato ed esserlo ancora un membro di una micro-comunità. Alla quale sei grato e lo sarai per sempre, o, al contrario alla quale attribuisci errori, incapacità affettive, insomma un pessimo saper educare.

Il neuroscienziato Josep Ledoux lavora su farmaci che agendo sulla amigdala siano in grado di cancellare i cattivi ricordi, quale è il suo giudizio su queste ricerche in corso?

Tali ricerche mi fanno letteralmente accapponare la pelle… Come ha scritto Byung-Chul How nella Società senza dolore, apparso per le edizioni Einaudi due anni fa, viviamo come in una società palliativa, che tende a produrre anestesie permanenti: perché, anche dinanzi alle tragedie che andiamo vivendo da protagonisti o inermi spettatori, tendiamo a rifiutare ogni circostanza che ci provoca dolore quando il dolore è ineluttabile nell’esistenza. Il filosofo aggiunge che “è il dolore a mettere in moto il racconto”: del resto, quante autobiografie o biografie famigliari, quanti “ racconti di casa” sono state scritte e continuano ad esserlo per denunciare le sofferenze che in famiglia accade di dover subire, sopportare, patire in silenzio? Quando lo scriverne diventa invece una sorta di liberazione e emancipazione catartica: una denuncia finalmente a cielo aperto, un rifugio, una via di fuga…
Sognare di cancellare i cattivi ricordi, significa perseguire un disegno diabolico di disumanizzazione, alla ricerca di un paradiso terrestre che tante volte si è creduto a ragione o a torto di poter realizzare, almeno, nella propria famiglia.

Sue parole che uso per una mia conclusiva domanda. “Perché dovremmo ritenere impossibile voler andare oltre il desiderio che figli e nipoti non si dimentichino della nostra storia?”
È un atto di rispetto del nostro esistere, un omaggio alla vita? O che dire a chi potrebbe giudicarla presunzione? Oppure addirittura arroganza
?

Ho scritto Album… dicevo all’inizio da filosofo dell’educazione e pedagogista. Mi dedico alle storie di vita perché la loro narrazione non deve solo interessarci come un’ esperienza e una maniera letteraria, bensì in grado di farci pensare, riflettere, rivelarci chi siamo e siamo stati. Italo Calvino più volte ci raccontava che aveva scelto di dedicarsi alla scrittura per ragioni di indagine esistenziale sulle proprie origini. Soltanto in tal modo lo scrivere autobiografico ci consente di mettere a fuoco i temi cruciali della nostra vita. Ci vuole coraggio a scrivere di sé, è un atto di denuncia o di rimpianto di quanto abbiamo vissuto, per cui non è in gioco né il narcisismo, né la presunzione di aver avuto una famiglia modello. Michel Foucault attribuiva alla scrittura un valore veritativo e Jean Paul Sartre la riteneva un omaggio alla vita del quale non vergognarsi anche se nelle memorie di casa scopriamo qualcosa che meglio sarebbe stato ci avessero tenuto nascosto.
Per tale motivo il libro rappresenta, spero sia così, un invito ad ogni lettore indistintamente (tutti veniamo da una famiglia reale o sognata) ad intraprendere un viaggio retrospettivo avvalendosi dei suggerimenti che in primo luogo ho applicato a me stesso, alla mia famiglia d’origine con cenni a quella che ho cercato di costruire in prima persona. Non è un manuale perciò, è una mappa possibile da provare a ripercorrere con umiltà, senza arroganza alcuna.

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Duccio Demetrio
Album di famiglia
Con ill. b/n e colore
Pagine 226, Euro 20.00
Meltemi


Parole che ridono

Non sembri strano che nel presentare il libro di cui scrivo oggi – Parole che ridono A proposito di Ernesto Ragazzoni – parto dalla collana che lo ospita. Si chiama “Collana Rossa”: È della casa editrice Odradek… a proposito, date un’occhiata al suo catalogo e vedrete molte cose che sono rare a trovarsi.
Le onde corte delle mode incipienti, le onde lunghe delle culture resistenti con queste parole si presenta Collana Rossa. Scommetto la bottiglia che volete che quella dichiarazione d’intenti sia opera del gran nocchiero di Odradek: Claudio Del Bello.
Gran nocchiero perché ha capito che l’antagonismo non risiede solo in pensosi studi ma anche nell’eversione del linguaggio, nel farsi beffe dell’autorità sacrale di quei testi che reclamano la T maiuscola talvolta prima ancora di essere scritti. Insomma, finalità di quella collana come traggo dalle righe con le quali si presenta è: “rilanciare l'impertinenza di tutte quelle espressioni culturali che non si lasciano omologare, sia per consapevole scelta, sia perché non riescono a superare la soglia del mercato”… come dite?... perché quell’editrice si chiama Odradek?... ah, ma siete pignoli!... date un colpo di CLIC e lo saprete.
In quella collana, perciò, troverete libri sulla comicità di Benigni, il writing, l’ironiconomia, l’assenzio, dive, dark ladies, femmes fatales e altre righe che rompono le righe.
Dice Claudio Magris: “I grandi umoristi fanno ridere della miseria umana perché la scorgono in primo luogo in se stessi, e questo riso implacabile implica un'intelligenza amorosa del comune destino”.
In quel panorama di cellulosa si trova a suo agio Ernesto Ragazzoni, QUI note biografiche della sua esistenza trascorsa facendo Buchi nella sabbia.
Questo poeta, gioiosamente anarchico, da me amatissimo, rifiutava di raccogliere in stampa i suoi versi considerandoli solo un gran gioco, ma si sa che non c’è cosa più seria al mondo del Gioco.
Sebastiano Vassalli ha scritto di lui: «Se la poesia vera e grande è quasi inaccessibile - questo deve aver pensato Ragazzoni - e se quasi tutti i tentativi “seri” di raggiungerla sono destinati a dare risultati mediocri o grotteschi, è meglio essere i giullari della poesia, piuttosto che i suoi ridicoli spasimanti non corrisposti».
Lorenzo Mondo nella Prefazione a “Parole che ridono”: «Resta il fatto che, consapevole o meno, Ragazzoni mentre fa coriandoli delle sue poesie, si applica a costruire una immagine di sé che dura con i colori della leggenda, a suggerire con le sue provocazioni e clownerie i materiali di un racconto (…) Ragazzoni, uno scrittore ben piantato con la sua grazia volatile nel terreno della cultura italiana a cavallo fra ‘800 e ‘900».

“Parole che ridono” – con un’appendice di poesie inedite e scritti dimenticati – è a cura di Cesare Bermani.
Nel volume contributi di Anna Bujatti – Renato Martinoni – Augusto Mazzetti – Laura Pariani – Matteo Pedroni – David Riondino.
In appendice: 7 articoli di Ernesto Ragazzoni e una bibliografia critica.

Dalla presentazione editoriale.

«Ritorna, ciclico, l’interesse per Ernesto Ragazzoni e ogni volta trattiene nuovi lettori che s’incuriosiscono e poi rimangono affascinati dal suo virtuosismo funambolico e dal suo sarcasmo malinconico, dalla sua alchimia poetica, e dalla critica irridente delle ideologie. Il moderno era ben cominciato e il linguaggio aveva smesso da tempo di essere soltanto mezzo per qualcosa; già qualcuno aveva preso a divertircisi, a torcerlo e a forgiarlo, a provarci gran varietà di temi e di ritmi, a trarne ossimori e paradossi. Ma Ragazzoni, di più; e così ecco l’occultismo e il magismo andare a braccetto con le idee libertarie, senza mai decidersi per l’al di qua o per l’al di là, mentre cresce la babele delle lingue, le parole ridono, gli oggetti sognano, e qualcuno pensa di mandare la fantasia al potere. Autore di culto per lettori trasversali, Ragazzoni ha anticipato le parole a salve del futurismo e quelle a orologeria del surrealismo. Contro la guerra e il colonialismo, sempre dalla parte degli schiavi – “del Texas e della Lunigiana” – immerso nei sapidi umori di strapaese, al giullare lirico il mondo sta stretto…».

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Parole che ridono
a cura di Cesare Bermani
Pagine 200, Euro 14.00
Odradek


Giornata della Memoria


“Le epoche di fervorose certezze eccellono in imprese sanguinarie”, diceva Elias Canetti.
Un’ondata di cruente certezze fu tra le cause dell’Olocausto.
Oggi, invece di consegnare alla storia universale dell’infamia quei tragici avvenimenti, assistiamo da più parti all’avanzare di tenebrosi negazionismi.

La data per la “Giornata della Memoria” fu scelta per ricordare il 27 gennaio 1945, quando le truppe dell'Armata Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświecim (nota con il nome tedesco di Auschwitz).
Lì scoprirono l’atroce campo di concentramento e liberarono i superstiti. La scoperta d’Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista, della Shoah. Shoah, in ebraico significa “annientamento”; indica lo sterminio di oltre sei milioni d’ebrei ed è preferisco questo termine a “olocausto” per eliminare qualunque idea di religiosità insita in quest’ultimo.
I nazisti non furono soli nel commettere quel crimine contro l’umanità, furono aiutati da molti governi collaborazionisti e, prima ancora, dal fascismo italiano che il 6 ottobre 1938 promulgando le leggi razziali determinò la perdita dei diritti civili per 58mila italiani, parte dei quali poi deportati in Germania e 8mila di loro morti nei lager.
Infamia che discendeva dal ‘Manifesto della Razza’, pubblicato il 14 luglio dello stesso anno, firmato da 10 scienziati italiani, sorretti da altre 329 firme; per sapere chi erano e come agirono consiglio la lettura di un volume che segnalai tempo fa in queste pagine:I Dieci. .
Del resto, perché meravigliarsene? Il nostro è un paese in cui l’ex presidente del Consiglio dei Ministri (e attuale componente della maggioranza) Berlusconi alla vigilia di una Giornata della Memoria raccontò barzellette sui lager e ha definito “luoghi di villeggiatura” i paesi in cui il fascismo confinò gli oppositori.
In questi giorni, poi, vanno moltiplicandosi, manifestazioni, spesso impunite, che inneggiano a passati regimi che si resero responsabili di quelle stragi. Si sente dire che è necessaria al proposito un’azione culturale che spieghi e illumini. Sì, è così, ma quell’azione ha tempi omeopatici ed è necessario accompagnarla anche con energiche misure punitive spesso ripetutamente mancanti nonostante leggi esplicite al riguardo.

Per libri più recenti pubblicati sul tema della Shoah, una panoramica la offre il Libraio.it.

Ho ricevuto parecchi comunicati che segnalano spettacoli e mostre per ricordare quel 27 gennaio del 1945. Citare alcune di quelle occasioni potrebbe significare escluderne altre, allora scontento tutti e scelgo di pubblicare le immagini di un’opera - Yolocaust - pubblicata dall'ottimo webmag Exibart.
È dell'autore satirico tedesco-israeliano Shahak Shapira autore che ha agito sul tema della Shoah dimostrando con i suoi fotomontaggi quanto non esiste limite alla stupidità di tanti che si fotografano in selfie durante una visita al Memoriale dell’Olocausto di Berlino.


Lettera da Palermo

Stimo da tempo Gianfranco Marrone, in foto.
.
QUI e QUI alcuni degli incontri avuti con lui su questo sito.

Il suo più recente libro: Gustoso e saporito.

Nessuna meraviglia, quindi, se fra le tante cose ascoltate, lette, viste su Palermo riferite all’arresto di Messina Denaro (assai spesso puntate prevalentemente sulla spettacolarità dell’avvenimento) una riflessione su come si vive a Palermo, indipendentemente da clamorose occasioni di cronaca, viene proprio da lui in un’acuta e dolorosa lettera da quella città per Doppiozero dove è ricordata anche la figura di Biagio Conte ampiamente trascurato dai media.

V’invito a leggerla, basta un CLIC
Mi ringrazierete.


Stregherie: Introduzione.


È intitolata Stregherie, a cura di Luca Scarlini,.una bellissima mostra nel Belvedere della Vila Reale di Monza
Ne scriverò più diffusamente nelle prossime note, ma chiediamoci ora chi è la Strega.
Secondo il Dizionario: “Creatura femminile cattiva e maligna di solito brutta e vecchia; detta anche megera. Un tempo, secondo superstiziose credenze era immaginata fornita di poteri soprannaturali a opera del demonio”
Diceva Voltaire: “Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”. Ma c’è chi alle streghe crede ancora. In occidente e in Oriente. Nel Ghana vi sono dei villaggi isolati dove vengono relegate le donne accusate di stregoneria, e gruppi stregoneschi esistono negli Stati Uniti, in Giappone, in Europa, nella Rete.
Fra balle popolari e bolle papali si ha una sistematizzazione dell’universo sulfureo delle streghe nel famigerato “Malleus Malleficarum” (Il martello delle streghe) pubblicato nel 1487 dal frate domenicano Heinrich Kramer con la collaborazione del confratello Jacob Sprenger. Qui ogni caso di stregoneria è previsto con le sue tragiche conclusioni..
Allontaniamoci dalle celle dell’Inquisizione e dal fumo dei roghi ed ecco dai nostri giorni una riflessione della grande antropologa Cecilia Gatto Trocchi: “La storiografia positivista ha definito la credenza nelle streghe come una psicosi di massa che, guarda caso, mescolava idee cristiane e relitti dell'antico paganesimo. Le premesse poggiavano da un lato sulle idee cariche di timori intorno al demonio, realmente esistente per la cultura cristiana, dall'altro su «fantasticherie sempre più confuse» come la capacità magica del maleficio, la possibilità di nuocere con l'aiuto dei demoni, di volare, di attuare metamorfosi animalesche e di avere rapporti sessuali delle streghe con i demoni nel famoso rito del sabba”.

Le streghe hanno ispirato artisti di ogni campo espressivo, eccone una (fin troppo veloce) carrellata sulle arti visivearti visivearti visive.

Letteratura, cinema, fumetti, televisione: CLIC
Né mancano streghe nei videogiochi RICLIC
Il più recente libro in Italia sulle streghe? Lo ha scritto Maria Mantello, è intitolato “Sesso, chiesa e streghe: una storia vecchia e nuova di femminicidi”, Edizioni Fefè.

Ma entriamo adesso nella mostra “Stregherie”.


Stregherie (uno)



Se a Milano o dintorni abitate, oppure se per quella città passate (ma vale anche un viaggio fatto apposta), avete ancora un mese di tempo per vedere la bella mostra cui prima accennavo.
È intitolata Stregherie Fatti, scandali e verità sulle sovversive della storia
Curatore: Luca Scarlini già ospite di questo sito quando pubblicò Un paese in ginocchio e in occasione del libro .Rinascimento Babilonia.
Per una sua biografia, altri libri, recensioni e foto, bussate alla porta del suo sito web e vi sarà aperto.

In mostra streghe di tutti i tipi con il corredo di scope servite a volare come missili cavalcati da esseri dall’aspetto poco amichevole, e ancora tutti gli strumenti che da secoli associamo a quel mondo sulfureo.
“Le streghe” – si legge nel sito L’indiscreto – a Occidente abitano da sempre, da prima di divenire le verdi Streghe dell’Ovest di Oz. Abbondano nei libri di fiabe, sono antagoniste degli eroi, ma talvolta anche loro consigliere, come la russa Baba Jaga, vecchia terribile e mortifera che conosce la via per l’aldilà; le streghe affollano un certo immaginario medievale e soprattutto, nei secoli immediatamente seguenti, i documenti processuali d’Europa e del New England, ne parlano quali nemiche assolute dell’ordine sociale e cristiano del tempo”.

“Stregherie” è organizzata e prodotta da Vertigo Syndrome di Chiara Spinnato.

Il catalogo è pubblicato da Skira.

Entriamo adesso nelle 10 sale dell’esposizione dopo un video in cui in meno di un minuto Luca Scarlini ci offre una presentazione della mostra.


Stregherie (due)


I testi che seguono sono tratti dal sito web della mostra.

Lungo il corridoio del percorso espositivo, che richiama gli asfittici e terrorizzanti ambienti del film Suspiria di Dario Argento, come all’interno del palco di un teatro, si aprono dieci stanze, ciascuna delle quali mette in scena un diverso aspetto della vita della strega.
Un suggestivo elemento sonoro accompagna il visitatore lungo tutto il tragitto. Voci, sussurri e grida strazianti, evocano antichi rituali e, attraverso le parole di Magdalena Barile, nota drammaturga, danno voce alle streghe stesse, che raccontano le proprie storie, dalla prima vocazione, sino alla piena realizzazione di sé, grazie all’uso della magia.
Alla fine della visita, giunti nella stanza finale, dopo aver acquisito consapevolezza della vera natura delle streghe e aver scoperto, attraverso di loro, la propria vocazione “per il mestiere”, benefica o malefica che sia, i visitatori saranno pronti a scrivere il loro scongiuro personale nel grande libro delle ombre.
Le prime tre sale

Prima Sala
Le madri delle streghe: miti e modelli nell’antichità
Le streghe non sono invenzione del tempo moderno: esse vivono con gli uomini fino dall’antichità più remota. Una selezione di immagini dal mondo classico, dà voce alla donna sapiente del tempo antico, modello delle streghe attuali. La voce dell’antichità narra i propri rituali, e profetizza il futuro, disegnando una tradizione di antiche madri, che evocano quelle dei tempi seguenti.


Seconda Sala
La vocazione della strega
La stanza è incentrata sul come e sul perché si diventa strega. Per sfuggire alle botte di un marito manesco, per insoddisfazione di sé, per voluttà erotiche, per odio ai propri nemici, perché attratte dalla luna o dalla potenza delle piante. La voce della strega definisce sé stessa, trovando la via per sfuggire alla propria condizione di infelicità acquisendo un potere.


Terza Sala
I rituali delle streghe
Le streghe usano la natura per affermare il proprio potere, sanno ricavare dalle erbe strumenti per la propria affermazione, per il dominio sul mondo. Il racconto si incentra sul rituale dell’evocazione di forze al di fuori del mondo degli umani. La parola diventa strumento di azione sul mondo, per manipolarlo e cambiarlo.


Stregherie (tre)

Quarta Sala
La strega di fronte al mondo
La stanza è dedicata al tema di come e quanto il mondo cerchi la strega, che pure viene sempre denigrata e attaccata in pubblico. I principi, i ricchi, cercano il sostegno della donna di sapienza, segretamente si rivolgono a lei per leggere il futuro o per cercare o mantenere il proprio fasto. La strega racconta la visione, ironica, del suo potere nell’immaginazione umana.


Quinta Sala
Il potere delle streghe
La strega, con gesti e parole, incantesimi e riti, può dominare il mondo, esercitare il dominio della propria volontà. Il racconto si incentra sulla prima volta che la strega esercita il rituale e vede la manifestazione del suo potere nella vita altrui, esercitando un’azione di manipolazione del reale. La strega dichiara il suo potere sul reale: afferma, ridendo, che tutto può trasformare, sotto il suo volere.


Sesta Sala
I Capricci delle Streghe
Le streghe sono figure dell’immaginazione accesa: esse mutano il corso della loro azione, anche a loro danno, portate dal vento del desiderio. A partire dalle immagini oscure dei Capricci di Goya, una descrizione della strega come fanatica del gioco dei destini, creatura della bizzarria e della mutazione, tenendo come modello il paradigma classico di Maga Magò ne La spada nella roccia, che afferma che la cosa che più ama è il gioco, il caso, appunto il capriccio.


Stregherie (quattro)

Settima Sala
Le streghe perseguitate
La strega racconta la propria paura di essere scoperta, torturata, costretta a rivelare i propri segreti e quelli delle consorelle della notte. Il giudice, il prete, il signore del borgo, l’umanista ossessionato dalle Stregherie presenze oscure, il monarca timoroso delle streghe, sono altrettante figure della sua persecuzione.

Ottava Sala
La sala del Genius Loci: la Matta Tapina
La stanza dà voce alla Matta Tapina, la strega del bosco di Monza, che agiva i suoi incantesimi, e veniva ricercata dai cittadini per magico soccorso, proprio dove ora sorge il parco della Villa Reale di Monza. La Matta Tapina racconta la sua visione del mondo, le persone che sfidano la paura del bosco per cercare il suo aiuto, la persecuzione del potere.


Nona Sala
Il Sabba
Il Sabba è il momento magico della strega, la sua affermazione, la condivisione del potere con la sua comunità. La strega racconta l’eccitazione prima di partire dalla propria misera vita, per il luogo del desiderio e l’arrivo al luogo della celebrazione, nell’incontro con il nero signore e con le sue legioni di creature della notte.


Stregherie (cinque)


La mostra Stregherie si completa con una sezione separata che racchiude sei illustrazioni originali inedite di Gloria Pizzilli, artista italiana di fama internazionale, già pubblicata dalle maggiori testate del mondo, tra cui The New Yorker, The New York Times, Scientific American, The Boston Globe, GQ Usa.
Con uno stile tra il burlesque francese e le donne di Klimt, le streghe di Gloria sono terrificanti, nude e bellissime, con curve che sembrano abbracci, ma con una atrocità talmente palpabile e aggressiva da aver richiesto una sezione chiusa per non urtare la sensibilità dei visitatori meno preparati.

Le opere inedite di Gloria Pizzilli saranno pubblicate su un piccolo volume edito da Vertigo Syndrome e in 6 stampe d’arte firmate vendute in edizione limitata esclusivamente nel bookshop della mostra.


Stregherie (sei)

Vertigo Syndrome, società produttrice della mostra, ha sempre un occhio di riguardo per le famiglie che visiteranno la mostra, di modo che nessuno debba mai annoiarsi.
I visitatori più piccoli saranno coinvolti in giochi e avventure all’interno del percorso espositivo al termine dei quali riceveranno in omaggio un premio “stregato” e avranno a loro disposizione un piccolo antro della strega dove preparare amuleti e pozioni magiche con ragni, serpenti e altro materiale misterioso.
Per tutte le scuole di ogni ordine e grado sono pensate delle visite guidate alla mostra e dei laboratori didattici da svolgersi nelle giornate di giovedì, venerdì e sabato.

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La mostra ha un cursore su cui scorrono eventi collaterali.

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Per i redattori di quotidiani, periodici, radio, tv, siti web:
Ufficio Stampa Davis & Co
Caterina Briganti +39 340 9193358 - Lea Codognato
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Stregherie: Introduzione


È intitolata Stregherie una bellissima mostra a Milano a cura di Luca Scarlini.
Ne scriverò più diffusamente nelle prossime note, ma chiediamoci ora chi è la Strega.
Secondo il Dizionario: “Creatura femminile cattiva e maligna di solito brutta e vecchia; detta anche megera. Un tempo, secondo superstiziose credenze era immaginata fornita di poteri soprannaturali a opera del demonio”
Diceva Voltaire: “Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”. Ma c’è chi alle streghe crede ancora. In occidente e in Oriente. Nel Ghana vi sono dei villaggi isolati dove vengono relegate le donne accusate di stregoneria, e gruppi stregoneschi esistono negli Stati Uniti, in Giappone, in Europa, nella Rete.
Fra balle popolari e bolle papali si ha una sistematizzazione dell’universo sulfureo delle streghe nel famigerato “Malleus Malleficarum” (Il martello delle streghe) pubblicato nel 1487 dal frate domenicano Heinrich Kramer con la collaborazione del confratello Jacob Sprenger. Qui ogni caso di stregoneria è previsto con le sue tragiche conclusioni..
Allontaniamoci dalle celle dell’Inquisizione e dal fumo dei roghi ed ecco dai nostri giorni una riflessione della grande antropologa Cecilia Gatto Trocchi: “La storiografia positivista ha definito la credenza nelle streghe come una psicosi di massa che, guarda caso, mescolava idee cristiane e relitti dell'antico paganesimo. Le premesse poggiavano da un lato sulle idee cariche di timori intorno al demonio, realmente esistente per la cultura cristiana, dall'altro su «fantasticherie sempre più confuse» come la capacità magica del maleficio, la possibilità di nuocere con l'aiuto dei demoni, di volare, di attuare metamorfosi animalesche e di avere rapporti sessuali delle streghe con i demoni nel famoso rito del sabba”.

Le streghe hanno ispirato artisti di ogni campo espressivo, eccone una (fin troppo veloce) carrellata sulle arti visivearti visivearti visive.
Letteratura, cinema, fumetti, televisione: CLIC
Né mancano streghe nei videogiochi RICLIC
Il più recente libro in Italia sulle streghe? Lo ha scritto Maria Mantello, è intitolato “Sesso, chiesa e streghe: una storia vecchia e nuova di femminicidi”, Edizioni Fefè.

Ma entriamo adesso nella mostra “Stregherie”.


La pornodipendenza (1

Ennio Flaiano: “La pornografia è noiosa perché fa del pettegolezzo su di un mistero”.

Non è, però, noiosa per chi ne è tossicodipendente, ma dolorosa sì.
I forti disagi che procura lo testimonia un trattato pubblicato dalla casa editrice FrancoAngeli.
Titolo: Pornodipedenza la sofferenza dietro l’apparenza.
Ne è autore Cesare Guerreschi.
Psicoterapeuta, fondatore e presidente della siipac, pioniere in Italia dei programmi di prevenzione e trattamento per le new addiction. tra i massimi esperti in Europa.
Tra le sue numerose pubblicazioni: “L'azzardo si veste di rosa. Storie di donne, storie di gioco, storie di rinascita” (2008); “La dipendenza sessuale. Quando il sesso può uccidere” (2011); “La dipendenza affettiva. Ma si può morire anche d'amore?” (2011); “Chemsex. Quando l'amore necessita della droga” (2020).

Nel panorama delle pubblicazioni sulle tante dipendenze di cui noi umani siamo vittime, o potenziali tali, la pornodipendenza, pur se molto diffusa, come lo è difatti, è tra le meno studiate, ecco perché questo trattato di Guerreschi è una lettura di grande interesse.

Dalla presentazione editoriale.

«Il sesso e soprattutto le problematiche legate alla sfera sessuale rappresentano ancora oggi un tabù nella nostra società.
La dipendenza da pornografia è più diffusa di quanto si pensi e necessita di una maggiore attenzione da parte degli specialisti perché possa essere sempre meglio riconosciuta e trattata in maniera adeguata. In quest’ottica, il volume intende esplorare e definire i molteplici e differenti aspetti legati a questo tema, dando spazio alla descrizione dei percorsi terapeutici che permettono a tante persone pornodipendenti di riappropriarsi della loro vita, recuperando il proprio equilibrio, le proprie relazioni e la propria affettività.
La dipendenza da pornografia è più diffusa di quanto si pensi e necessita di una maggiore attenzione da parte degli specialisti perché possa essere sempre meglio riconosciuta e trattata in maniera adeguata. È proprio questo l'obiettivo del libro: esplorare e definire i molteplici e differenti aspetti legati a questo tema.
In quest'ottica, si analizza l'evoluzione della pornografia e il suo ruolo nella società odierna, nonché la sua influenza sulle nuove generazioni e sul modo di vivere la sessualità. Vengono presentate, inoltre, le storie di persone che si sono trovate a confrontarsi con questa problematica e vengono esplorate le caratteristiche, le dinamiche, i meccanismi interni di tale dipendenza. Spazio è riservato alla descrizione dei metodi di trattamento della pornodipendenza, con un maggior approfondimento sulla metodologia usata in S.I.I.Pa.C. (Società Italiana Intervento sulle Patologie Compulsive), con aspetti e tecniche innovative e all'avanguardia. Percorsi terapeutici che, seppur dolorosi, permettono a tante persone pornodipendenti di riappropriarsi della loro vita, recuperando il proprio equilibrio, le proprie relazioni e la propria affettività».
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Per un assaggio del volume: CLICCLIC

Segue un incontro con Cesare Guerreschi.


La pornodipendenza (2)


A Cesare Guerreschi (in foto) ho rivolto alcune domande.

La sua definizione di “pornografia”...

Secondo il dizionario Treccani (2016) la pornografia consiste nella trattazione o rappresentazione, attraverso vari mezzi, di soggetti o immagini ritenuti osceni, allo scopo di stimolare eroticamente lo spettatore. Il concetto di oscenità non è però assoluto e assume un significato differente da persona a persona, essendo legato a differenti fattori, tra i quali svolgono un ruolo fondamentale il contesto storico, sociale e culturale, le caratteristiche di sensibilità personale, di moralità e educazione ricevuta.
Con il termine pornodipendenza, invece, ci si riferisce a una forma di compulsione caratterizzata dall’abuso di materiale pornografico.
Nello specifico, la compulsione è incontrollabile e il comportamento viene ripetuto nonostante le conseguenze negative che provoca (Mancini, 2016).
La dipendenza, nonostante possa sembrare una manifestazione dannosa per la persona che la sviluppa, serve a rendere meno insopportabile un profondo disagio o una sofferenza interiore di cui il soggetto non ha consapevolezza.
La dipendenza da pornografia rappresenta il tentativo compulsivo, attraverso la visione di materiale pornografico, di soddisfare bisogni emotivi inespressi; questo avviene, nella maggior parte dei casi, attraverso la ricerca di gratificazione sessuale che si manifesta tipicamente sotto forma di autoerotismo agito senza controllo e senza limiti nel tempo.

Quale ruolo ha assunto il digitale nel consumo della pornografia?

Dopo gli anni ’90, con la diffusione di Internet, il porno è diventato sempre più accessibile, meno costoso e addirittura gratuito.
Ai giorni nostri il mercato legato al porno è cresciuto esponenzialmente, con la creazione di un impero economico basato sul materiale pornografico.
Di contrasto, la produzione è diventata, da un punto di vista qualitativo, sempre più scadente: un accumulo di materiale e contenuti preconfezionati per il grande pubblico e, come disse Rocco Siffredi, “una biblioteca del feticismo”.
Ma ora come ora, un numero spropositato di persone ha accesso libero e illimitato a qualcosa che può causare dipendenza, senza che questo dettaglio, non di poca rilevanza, sia risaputo su larga scala.

Perché, a suo avviso, la pornodipendenza non è riconosciuta alla pari di altre tossicità?

Nel 1968, il presidente Johnson costituì una “Commissione Presidenziale per l’Oscenità e la Pornografia”, al fine di stabilire gli effetti che questi contenuti avrebbero potuto avere sulla popolazione americana.
Le conclusioni furono sorprendenti e inaspettate: la pornografia non risultò essere una minaccia sociale e la Commissione ritenne che non vi fossero motivi per condannare la pornografia.
Le ricerche empiriche effettuate non avevano, infatti, portato alcuna prova a favore del fatto che l’uso e la visione di materiale sessualmente esplicito potesse avere un ruolo significativo nel promuovere nocumento sociale, deviazioni sessuali o gravi disturbi della sfera emozionale.

Perché il consumo della pornografia vede fra uomini e donne in maggioranza i primi?

Per l’uomo è la fisicità della donna il punto focale che porta all’eccitazione. Alcuni di loro giustificano il loro bisogno di attingere a materiale pornografico utilizzando teorie di “psicologia evolutiva” analizzate in modo superficiale e non scientifico, secondo le quali l’uomo, per via della sua natura aggressiva e insaziabile, avverte il bisogno costante e irrefrenabile di essere coinvolto in attività sessuali, al contrario della donna che, per sua natura, ha come scopo ultimo la procreazione.
Il rapporto sessuale permette il rilascio di una quantità enorme di dopamina, che funge da motivatore per il maschio alla reiterazione del comportamento sessuale. Questo ha una funzione biologica e serve geneticamente a garantire la continuazione della specie. Il maschio è portato a fertilizzare il maggior numero di femmine possibile.
Nel mondo del porno gli uomini detengono il potere e il controllo: è il luogo dove possono dominare indisturbati.
La donna che fruisce di pornografia può, però, sviluppare, a sua volta, una fantasia seducente, ovvero provare soddisfazione per le proprie capacità seduttive e provare piacere nel far eccitare l’uomo, illudendosi, in questo modo, di tenerlo legato a sé, perché sessualmente attratto.
Le donne fruiscono di pornografia prediligendo quella che non svilisce la figura femminile.

Secondo alcuni proibire la pornografia risolverebbe il problema. Il suo parere?

Il 16 Gennaio 1919 iniziò negli Stati Uniti l’epoca del proibizionismo. Per proibizionismo si intende l’insieme dei provvedimenti legislativi atti a vietare la produzione, il commercio e il consumo di bevande alcoliche negli Stati Uniti.
Le imposizioni così rigide erano dovute dal fatto che l’abuso di alcol portava a gravi conseguenze nella collettività, soprattutto nella popolazione maggiormente caratterizzata da povertà e criminalità.
Il nobile esperimento, sostenuto soprattutto da ambienti conservatori e razzisti, non solo fallì i suoi obiettivi, ma produsse anche gravi ripercussioni sociali, alimentando, col contrabbando, la crescita della criminalità organizzata. Le leggi proibizioniste non riuscirono a ridurre il consumo di sostanze alcoliche, l'unico reale effetto che sortirono fu quello di creare un enorme traffico clandestino. Pertanto, memori di questi precedenti, non possiamo pensare che proibire la pornografia possa risolvere i problemi insiti nella società.
Facendo emergere la parte sommersa dell’iceberg, ossia portando a galla tutto quel materiale psicologico, individuale, relazionale, familiare, ambientale, cognitivo e sociale che è alla base dello sviluppo della dipendenza stessa (per usare un’altra metafora, si potrebbe dire che il lavoro inizia cercando di comprendere quali sono le radici dell’albero della dipendenza) e continua risalendo all’origine della ricerca spasmodica, del piacere come via di fuga da una sofferenza nascosta e soffocata.
La conoscenza del problema è il primo passo per la sua soluzione e il mio libro si è posto l’obiettivo di far conoscere un fenomeno in espansione e ancora sottovalutato. Spero di aver raggiunto e smosso un po’ la coscienza del lettore, stimolando la riflessione in merito a una problematica importante che è diventato un vero e proprio disagio sociale, con conseguenze devastanti non solo a livello individuale e famigliare ma anche sociale e medico-sanitario.
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Cesare Guerreschi
La pornodipendenza
Pagine 128, Euro 18.00
FrancoAngeli


Tre anni di furti e incendio

Esiste una sigla che ben conosco: DR. Non sta per “Dottore”.
È una sigla giudiziaria che precede la trascrizione della risposta di un indagato: Domandato Risponde.
Alle domande di un giudice “Che cosa sa di Sergio Messina? Lo frequenta?”.
Così replicai alla toga. Ecco la trascrizione da un verbale di tempo fa.

DR – Sì. Lo conosco. Musicista, performer, disaggregatore culturale, organizzatore colto, cyberpensatore, ammirato da Frank Zappa. Autore di scritture elettriche sul web, conferenze-spettacolo, musiche e suoni, produttore d’immagini in Rete, docente allo Ied… mi pare di Milano. So che si spinge in modo corsivo e corsaro sulla molteplicità dei saperi, realizzando una plurale attenzione sulle intersezioni della cultura contemporanea illuminata dalle nuove tecnologie… Quanto a frequentarlo, sì, più volte passo del tempo nel suo website.

Capirete che, come allora m’informò il mio avvocato, con quella confessione compromisi la mia figura sia sul profilo morale sia nel procedimento in corso a mio carico.

Passiamo a oggi.
Sergio ha prodotto una delle sue impagabili imprese pubblicando un disco (non dimenticate che un musicista è, ed è musicista coi fiocchi) intitolato Tre anni di Furto e Incendio.
Furto è parola che si capisce benissimo, quanto all’incendio c’è da giurarci che è doloso.
Come ogni Fatto, ha un Antefatto, così com’è fatale un post-Fatto.
Segue un mio plagio presto fatto perché copio e incollo.

«Antefatto: nel settembre del 1996 viene pubblicato "Inaudito", il primo album dei Buddha Stick. 1.971 copie stampate e vendute quasi tutte, molte dal banchetto del merchandise ai concerti dei 99 Posse la cui etichetta lo aveva coprodotto. Luglio 1997: il disco viene caricato online in Mp3 e distribuito gratis legalmente - forse il primo album al mondo. Da allora è stato scaricato in molte migliaia di esemplari. Dopo un avventuroso concerto a Napoli i Buddha Stick producono alcuni altri brani in studio ma poi se ne perdono le tracce.

Dicembre 2022: esce "Tre anni di Furto e Incendio, the lost album part 1". Quattro brani inediti realizzati tra il '97 e il 2002 più una versione rimasterizzata di "Lontano Scintillante", cover dei Disciplinatha contenuta su "Inaudito". Completa la confezione un booklet con ampie note di copertina in due lingue (ita/en).
Attenzione: c'è un'offerta molto speciale dedicata ai clienti più affezionati: per i proprietari del CD originale di "Inaudito" questo disco sarà in omaggio. Basta pubblicarne la foto sui social media (Instagram, Twitter, Facebook, con tag #buddhastick) e si riceve un codice per scaricarlo».
A me il disco è piaciuto molto, particolarmente i due brani che seguono.

Lontano scintillante

I Try but


Cuore pensante


Nel gennaio di 73 anni fa, fu liberato il campo di concentramento di Auschwitz e il Teatro delle Ariette (in foto) presenteranno, nella loro sede un programma che successivamente sarà proposto anche in altre località.
Due tempi, uno teatrale e l’altro cinematografico.
Dedicati a due figure di grande risalto storico che non sono conosciute quanto dovrebbero: Etty Hillesum e Claude Lanzmann.
Della Hillesum, con il titolo “Cuore pensante” sarà rappresentato parte del suo diario per la drammaturgia di Paola Berselli che firma la regìa con Stefano Pasquini.
Di Lanzmann verrà proiettato la sua più famosa opera: l’imponente documentario “Shoah”.
Di un altro suo lavoro, meno noto, ne trovate notizie su questo sito QUI.

Estratto dal comunicato stampa

«All'inizio del Diario Etty è una giovane donna di Amsterdam, intensa e passionale. È ebrea, ma non osservante. Legge Rilke, Dostoevskij, Jung, ha convinzioni radicate sul matrimonio, sull'amore, sulla fedeltà, sull'amicizia.
Poi, a poco a poco, la realtà della persecuzione nazista comincia a infiltrarsi fra le righe del diario. Ma, quanto più il cerchio si stringe, tanto più Etty sembra acquistare una straordinaria forza dell'anima. Non pensa a salvarsi. Pensa a come potrà essere d'aiuto ai tanti che stanno per condividere con lei il "destino di massa" della morte. Mentre si avvicina la fine, la sua voce diventa sempre più limpida e sicura. Anche nel pieno dell'orrore, riesce a respingere l'odio, perché renderebbe il mondo ancor più "inospitale".

“Shoah” è un monumentale documentario realizzato da Claude Lanzmann sullo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale, uscito nell'aprile del 1985.
Claude Lanzmann inizia a lavorare al film Shoah nel corso dell'estate 1974; la realizzazione della pellicola lo occupa a tempo pieno per undici anni. Il risultato è un film-fiume di nove ore e mezza. La pellicola è girata in Polonia, nei luoghi dove fu realizzato il genocidio nazista all'interno dei campi di sterminio. Claude Lanzmann intervista sopravvissuti, ex SS e gente del luogo. Il risultato è un'opera di grande importanza storica e di enorme impatto emotivo».

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Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web
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Pessoa: Sul fascismo, la dittatura militare e Salazar (1)


La casa editrice Quodlibet ha pubblicato un libro che è molto importante per varie ragioni, precisamente quattro.
La prima è perché riguarda pagine finora in larga parte inedite di uno dei più grandi scrittori del secolo scorso, e non solo del secolo scorso: il portoghese Fernando Pessoa (Lisbona 1888 – 1935).
La seconda perché il volume si avvale sia di una Prefazione di Vincenzo Russo uno dei maggiori studiosi di Pessoa, sia di un’Introduzione di José Barreto - grande lettore degli scritti politici dell’autore portoghese.
La terza ragione che rende questo libro imperdibile è che dissolve una nuvola nerastra in cui malaccorti cronisti e superficiali critici avevano avvolto la figura di Pessoa quasi quale un filofascista.
Quarta ragione, il libro fronteggia con successo il tentativo della Destra, da tempo a questa parte, di scippare autori appartenenti alla Sinistra oppure comunque lontani da sponde del totalitarismo destrorso. Quest’aspetto, in particolare, è trattato su Micromega da Teresa de Simone con una acuta riflessione.
Può bastare? Direi di sì.
Slanci verso il metafisico, l’interesse per l’occultismo, hanno facilitato letture che hanno portato alcuni alle affrettate conclusioni di cui sopra, non certo quelle del più famoso esegeta di Pessoa: Antonio Tabucchi che in questo video racconta come nacque la sua conoscenza dello scrittore di Lisbona.

Dalla presentazione editoriale

«Si riuniscono qui per la prima volta tutti gli scritti editi e inediti di Fernando Pessoa sul fascismo italiano, la dittatura militare in Portogallo (1926-1933) e l’Estado Novo creato da António de Oliveira Salazar nel 1933. Questi 123 testi – prose saggistiche, articoli di giornale, poesie, abbozzi e appunti rintracciati nello sterminato archivio dell’autore – permettono di seguire, al riparo da forzature ideologiche e da stereotipi critici radicati, lo sviluppo di un pensiero che sarebbe pervenuto a un’aperta e veemente contestazione dell’autoritarismo politico. Nazionalista mistico, individualista irriducibile, «conservatore di stile inglese, ossia liberale all’interno del conservatorismo, e assolutamente anti-reazionario», Pessoa non cessò mai di interessarsi ai grandi rivolgimenti collettivi che sconvolsero e ridefinirono la realtà contemporanea. Sfiduciato dalla democrazia e timoroso nei confronti del bolscevismo, cercò dapprima di difendere la necessità della dittatura militare, tratteggiando un regime che concedesse il diritto di avere opinioni contrarie al governo, che rispettasse l’élite intellettuale dandole voce e peso politico, che si astenesse dall’intromettersi in temi riservati allo spirito. Un regime, insomma, che mai sarebbe potuto esistere, e meno che mai sotto la guida del «piccolo contabile» Salazar, del «primitivo cerebrale» Mussolini o del «patologico» Hitler. Ne conseguirono alcune esplicite prese di posizione che valsero all’autore la persecuzione da parte della censura e la crescente marginalizzazione dalla vita pubblica.


Pessoa: Sul fascismo, la dittatura militare e Salazar (2)

Dalla prefazione di Vincenzo Russo.

«I testi di Fernando Pessoa raccolti in questa edizione – molti dei quali inediti fino al 2015, quando sono stati portati alla luce da José Barreto – restituiscono una parte cospicua del corpus di scritti che possiamo definire ‘politici’ del poeta portoghese (…) Si tratta di un contributo decisivo per riconfigurare, o almeno ricalibrare, certi giudizi sul Pessoa ‘politico’ che una parte della critica in Portogallo e all’estero ha cucito addosso al poeta degli eteronimi ascrivendolo a quel pantheon di artisti e intellettuali che avrebbero subìto, nella prima metà del secolo la “tentazione fascista”. La “fascistizzazione postuma del pensiero di Pessoa”, come l’ha giustamente chiamata José Barreto, viene smontata dall’evidenza dei documenti da lui riuniti per la prima volta nel volume qui riproposto in traduzione integrale (…) Il fervore antimussoliniano contro l’aggressione dell’Italia fascista all’Abissinia quasi sorprende per l’accalorata difesa anticolonialista del popolo africano da parte di Pessoa, quando esclama nell’autunno del 1935: “Tutti noi uomini, che in questo mondo viviamo oppressi da vari disprezzi degli uomini fortunati e dalle numerose insolenze dei potenti – cosa siamo tutti noi in questo mondo se non abissini?... Mussolini è, come t».utti i pazzi, un primitivo cerebrale (…) Leggere gli scritti qui raccolti significa mettere a fuoco i rapporti di Pessoa con il fascismo, il salazarismo e gli altri totalitarismi (“Hitler, il suo stesso baffo è patologico”) in cui - nel solco della vulgata liberale (“Chi oggi predica la sindacalizzazione, lo stato corporativo, la tirannia sociale, si tratti del fascismo o del comunismo, sta distruggendo la civiltà europea; chi difende la democrazia e il liberalismo la sta difendendo”) (…) “Soviet, comunismo, fascismo, nazionalsocialismo – tutto questo è lo stesso evento, il predominio della specie, cioè dei bassi istinti, che sono di tutti, contro l’intelligenza che è solo dell’individuo (…) Continuò fino alla fine dei suoi giorni – 30 novembre 1935, scomparso dopo una fulminante cirrosi epatica – a scrivere contro Salazar».


Pessoa: Sul fascismo, la dittatura militare e Salazar (3)

Dalla Introduzione di José Barreto.

«Si deve al professore scrittore e saggista AlfredoMargarido il tentativo più strenuo di fascistizzazione postuma del pensiero di Fernanso Pessoa. Per farlo, era ricorso a un’argomentazione che avvicinava le idee dello scrittore non solo al regime salazarista o al nazional-sindacalismo di Rolão Preto, ma anche al fascismo propriamente detto di Mussolini e persino di Hitler. Non si può dire che Margarido provasse, come altri, ad annettere Pessoa al suo quadrante politico. Al contrario, Margarido era un autore antifascista e di tendenza marxista. In uno dei tanti articoli pubblicati sul tema, pur dichiarando di non osare classificare Pessoa come fascista, ma giudicando il libro “Mensagem (Messaggio) ‘un’opera di esaltazione nazional-fascista’, Margarido sostenne che le tesi politiche dello scrittore non lo collocavano ‘molto lontano da quella sfera politica’. Avventurandosi, come egli stesso avrebbe confessato, in una ‘estapolazione non documentata’, senza alcun elemento serio di prova, che il fatto che Pessoa avesse duramente criticato Salazar nel 1935 si doveva alla maggior vicinanza o simpatia che il poeta sentiva per la figura di Mussolini ‘il cui verbo e la cui veemenza fisica si avvicinano a Hitler, ma si allontanano da Salazar’.
Le tesi non documentate, a volte deliranti, della campagna di Margarido godettero di un certo consenso fra vari autori, sia in Portogallo che all’estero».


Pessoa: Sul fascismo, la dittatura militare e Salazar (4)


Da pagine del libro.

«Quando una nazione necessita realmente di un dittatore è segno che è malata e anche il dittatore, nel migliore dei casi, cura davvero (generalmente cura solo superficialmente o parzialmente o prepara una società alla cura), ma è sempre parte della malattia, in quanto suo prodotto.
Nessuno può negare che Mussolini, Hitler e Salazar sono caratteri squilibrati – i primi due della specie che possiamo chiamare centrifuga, il terzo di quella che possiamo chiamare centripeta.
Il sentimento di potere assoluto non fa bene a nessun uomo».

«Il primo dovere del patriota è vedere chiaro ciò che è la sua patria.
La patria portoghese è oggi abietta e vile, dunque questo è il fatto».

«Tutti i dittatori sono privi di umorismo, perché un certo senso dell’umorismo preserva un uomo da quella folle fiducia in sé stesso grazie alla quale costui si promuove a dittatore».

«Salazar (…) con cosa governa? Con la forza senza prestigio e l’autorità senza opinione. Vive della debolezza degli oppositori, dell’anemia psichica della nazione. È la tirannia in tutta la sua ingiustizia, la prepotenza in tutta la sua immoralità».


Pessoa: Sul fascismo, la dittatura militare e Salazar (5)

In foto: Pessoa beve in una delle sue amate vinerie
La didascalia dice Em flagrante delitro


Di Fernando Pessoa sono apparsi finora presso Quodlibet i seguenti titoli.
- “Il ritorno degli dèi. Opere di António Mora” (2005),
- ”Pagine di estetica. Il gioco delle facoltà critiche in arte e in letteratura” (2006)
- “Teoria dell’eteronimia"


Elsa Morante, l'incantatrice (1)


"Domenica 18 agosto 1912, alle 15:30 del pomeriggio, al n. 7 di via Anicia a Trastevere, Irma Poggibonzi o Poggibonsi, di anni trentadue e di professione maestra elementare, diede alla luce la sua prima figlia femmina, cui fu dato un nome che somigliava molto a quello della nonna materna Elisa: la bambina fu chiamata Elsa”

Questo l’incipit di una accurata biografia di una saggista che torna graditissima ospite di queste pagine web: Rossana Dedola. Torna con un suo nuovo lavoro pubblicato dalla casa editrice Lindau: Elsa Morante L’incantatrice.
Dedola già ricercatrice e docente presso la Scuola Normale di Pisa, analista didatta e supervisore dell’Istituto C. G. Jung e dell’International School of Analytical Psychology di Zurigo, ha pubblicato, tra gli altri, “La valigia delle Indie e altri bagagli” (Bruno Mondadori), “Grazia Deledda. I luoghi, gli amori, le opere” (Avagliano), “Grazia Deledda. Lettere e cartoline in viaggio per l’Europa” (Il Maestrale), Pinocchio e Collodi (Bertoni), In Sardegna con Grazia Deledda.

Dalla presentazione editoriale.

«Anticonformismo ed empatia nei confronti delle creature più vulnerabili segnarono l’esistenza di questa scrittrice rivoluzionaria, nata in una sala parto per indigenti nel cuore di Trastevere. Fin dall’infanzia, caratterizzata dalla precoce vocazione per la scrittura, la vita di Elsa Morante fu profondamente legata a Roma, che le regalò piazze meravigliose e la compagnia di gatti-angeli. Ma la sua amata città fu anche teatro di alcuni tra i momenti più tragici del ’900, da lei vissuti e raccontati in prima persona: il fascismo, le leggi razziali, la deportazione degli ebrei (lei che era di madre ebrea), i disastri della Seconda guerra mondiale.
Il tormentato matrimonio con Moravia e gli amori infelici con Luchino Visconti e Bill Morrow, ma anche l’amicizia con Debenedetti, Saba, Penna, Pasolini, Calvino, Leonor Fini, Fofi, Agamben, Ramondino, e tanti altri artisti e intellettuali, ispirarono il rituale creativo al quale Elsa Morante sacrificò la propria esistenza: raccontare, attraverso pagine indimenticabili, come le stelle si rispecchiano nella polvere. Capace di indagare nelle contraddizioni più laceranti della famiglia come della Storia, perseguì per tutta la vita, talvolta a caro prezzo, la fedeltà alla propria anima di madre e bambina, che illumina i suoi romanzi e racconti.
Attingendo da numerose testimonianze e fonti d’archivio, con particolare attenzione al contesto storico-culturale che la vide protagonista, questo volume ci restituisce la ricchezza di una sensibilità umana e politica senza eguali nel panorama letterario del ’900 italiano».

Quella malalingua del grande Ennio Flaiano scoccò una delle sue frecce con un riferimento a Elsa Morante. Scrisse: “Moravia ha raggiunto il perfetto equilibrio: sua moglie scrive meglio di lui e la sua amante peggio”.

Segue un incontro con Rossana Dedola.


Elsa Morante, l'incantatrice (2)

A Rossana Dedola, (in foto), ho rivolto alcune domande.

Quali le qualità di Elsa Morante che ti hanno spinto a scrivere questo libro?

Sicuramente la capacità di cogliere e di risvegliare la bellezza nelle cose apparentemente più banali e anche più umili e la grande empatia nei confronti della sofferenza più profonda. In Elsa Morante, a mio parere, non si sono mezze misure, riesce a farti salire sulle stelle e a farti a sprofondare nei vari inferni che ha attraversato. Per seguirla nei suoi labirinti devi superare parecchie soglie. Nel labirinto vi è entrata sin da bambina, una bambina della cui genialità si sono accorti tutti, ma che era già in preda a tante contraddizioni, ben nascoste agli altri, accentuate dalla difficile situazione familiare di cui si è probabilmente resa conto in precocissima età, scoprendo l’ambivalenza dolorosa del sentimento amoroso e l’incanto pericoloso dell’innamoramento.

Perché nel titolo hai voluto la parola “incantatrice”?

Era una definizione che aveva dato di lei Giorgio Vigolo in una lettera che le aveva scritto a Capri quando era molto giovane e vi trascorreva lunghi periodi insieme a Alberto Moravia che però era spesso assente. Lei gli rispose con una bellissima descrizione della sua camera e dell’isola che si risvegliava dopo la tempesta.
Nel corso del mio lavoro mi sono resa conto delle tante persone che hanno percepito in lei quest’incanto in fasi diverse della sua vita, penso a Raffaele La Capria, a Italo Calvino, a Leonor Fini con i suoi due compagni di vita. E poi l’entusiasmo di Fabrizia Ramondino, Patrizia Cavalli, Grazia Cherchi, Goffredo Fofi, Ginevra Bompiani e Giorgio Agamben. Ma anche quando la malattia che l’aveva paralizzata sembrava averlo cancellato definitivamente, persino in quei giorni difficilissimi fu in grado di incantare e di dimostrarlo con grande generosità, come racconta in appendice al mio libro l’attore Sandro Carotti che fu l’unico da giovanissimo e del tutto sconosciuto a cui cedette i diritti d’autore per recitare la “Canzone dei Felici Pochi e degli Infelici Molti” del Mondo salvato dai ragazzini, che non aveva dato né a Vittorio Gassman né a Carmelo Bene.

In questo tuo lavoro quale cosa hai deciso di fare assolutamente per prima e quale assolutamente per prima da evitare?

La prima cosa che ho deciso di fare è stata quella di andare a vedere la prima casa in cui Elsa Morante aveva vissuto da bambina e la sala parto per indigenti in cui era nata. Sono partita quindi da Trastevere, dove si trovava allora la sala parto Savetti e sono arrivata al Testaccio dopo un breve tragitto a piedi, passando dal cuore di Roma direttamente in quella che allora era piena periferia, ma anche il “ventre” della città, con il mattatoio che era stato appena aperto. Ho subito letto le belle parole di Dacia Mariani incise nella lapide a lei dedicata sulla facciata dell’edificio di via Vespucci e poi ho notato le pietre d’inciampo sul marciapiede. Ho avuto un sobbalzo. Cinque vittime strappate da quell’imponente edificio in cui la madre di Elsa, Ida Poggibonzi, aveva avvertito il pericolo che incombeva su chi avesse un’identità ebraica. Superato il portone, mi sono vista davanti la scuola fondata da Maria Montessori, la Casa dei bambini, che si trova proprio nel primo cortile. Mi sono resa conto del peso e dell’importanza che poteva aver avuto per la piccola scolara dal grandissimo talento una madre che era una maestra ebrea montessoriana ed era legata direttamente a Maria Montessori e a Maria Maraini Guerrieri Gonzaga, amica intima della grande pedagogista, che aveva scelto come madrina della figlia. Vi sono tornata a più riprese e ho avuto la fortuna di incontrare l’architetto Massimo Iannuccelli, grazie al quale c’è ora quella lapide sul portone. Con lui, che per anni ne è stato uno dei suoi abitanti, ho girato per le strade del Testaccio, visitando altri edifici e redendomi conto delle contraddizioni che hanno attraversato quel quartiere romano con quegli edifici che volevano offrire a chi ci viveva un certo decoro, ma in cui finivano per prevalere la miseria e il degrado.
Ho deciso invece di rimandare gli incontri con le persone che l’avevano conosciuta direttamente. Prima di cominciare a scrivere mi era capitato di parlare con una delle nipoti che lavora all’Università di Roma, cui avevo accennato della mia intenzione di dedicare un libro a sua zia. La sua reazione per niente positiva mi aveva allarmato e confuso. Ho deciso proprio all’inizio di rimandare questi incontri.

Nel libro t'interroghi se scrivere una biografia significa interpretare un’esistenza.
Se è così – e così io la penso – come ti appare la vita di Elsa Morante
?

Mi appare ricca di cime splendenti e di valli cupe, alcune volte di orridi quasi inaccessibili, di fondali marini popolati da meravigliose creature e da scorfani che anelano a farsi riconoscere e che a tratti paiono percepire l’essenza della realtà. Elsa sembra aver avuto tutto dalla vita e di colpo perdere tutto, per poi ricominciare faticosamente da capo, innanzi tutto affrontando un quotidiano privo di luce dopo che per mesi e per anni ha vissuto sprofondata in una dimensione altra creata dalla propria scrittura. I romanzi che ha scritto e il bellissimo manifesto, poema autobiografico “Il mondo salvato dai ragazzini”, appartengono a diverse fasi della sua vita, segnate da grandi incontri, da Bobi Bazlen a Saba e Debenedetti, da Visconti a Pasolini, e da grandi scoperte, come quella del pensiero sapienziale orientale e di Simone Weil che ne hanno segnato l’ultima fase. Sono anni in cui riesce come pochissimi in Italia a dialogare con i giovani del ‘ 68 e in cui ha il coraggio di riattraversare il deserto del totalitarismo che aveva conosciuto nell’infanzia e nella giovinezza.

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Rossana Dedola
Elsa Morante l’incantatrice
con uno scritto di Sandro Carotti
Pagine 568, Euro 28.00
Lindau


Mare Nostrum

Tra le novità apportate da Franco Iseppi fin da quando assunse la presidenza del Touring Club Italiano c’è stata la pubblicazione all’inizio d’ogni anno di un librino, con temi legati al paesaggio, al viaggio e all’ambiente presenti nell’imponente archivio di scritti e foto di cui è fornito il Club.
Ad esempio, si sono avuti testi che vanno da Italo Calvino (“Castelli di delizie e castelli del terrore”) a Valentino Bompiani, (“Le cose assenti”); da Dino Buzzati (“Grandezza e miseria dei viaggi”) a Giulio Carlo Argan, (“Roma - le ragioni di una visita”); da Paolo Volponi (“ Attraverso l’Italia”) a Paola Sereno (“A proposito di paesaggio”) ad altri ancora.

Quest’anno il piccolo libro è dedicato a scritti di Leonardo Sciascia (Racalmuto 8 gennaio 1921 – Palermo 20 novembre 1989).
Riposa nel cimitero di Racalmuto, accanto alla tomba della moglie Maria Andronico.
Sulla lapide bianca una sola frase: «Ce ne ricorderemo, di questo pianeta».
Si legge sul web: “Il senso di una frase simile su una tomba è apparso poco "laico e agnostico" a molti, paventando una conversione religiosa di Sciascia, ma è stata vista anche come segno di speranza e di rimpianto. Su un manoscritto, conservato dalla famiglia, Sciascia scrive: «Ho deciso di farmi scrivere sulla tomba qualcosa di meno personale e di più ameno, e precisamente questa frase di Villiers de l'Isle-Adam: "Ce ne ricorderemo, di questo pianeta". E così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano».
Scrive Paolo Squillacioti curatore per Adelphi di tutte le opere dell’autore siciliano: “Ha dichiarato Sciascia «quando mi viene un’idea di qualcosa da scrivere, breve o lunga che sia, non so in prima se mi prenderà la forma del saggio o del racconto». Opera in lui, infatti, un gioco costante di correlazione tra queste due forme: il che fa sì che riesca a essere, come pochi altri, saggista nel racconto e narratore nel saggio”.
Lo scritto dell’autore siciliano contenuto nel librino del Touring è intitolato “Le isole del Mediterraneo: miti, vita, emblemi.

Scrive Iseppi in un’agile ma densa prefazione che ha per titolo “Mediterranei si diventa”: Il Mediterraneo sta diventando oggi il focolare della formazione di un nuovo cosmopolitismo mediterraneo. Siamo l’area più attrattiva del mondo. È possibile – indipendentemente dal luogo di nascita o di residenza – divenire mediterranei. La mediterraneità non si eredita ma si consegue. È una decisione, non un vantaggio, al punto di chiederci non che cosa può fare l’Europa per il Mediterraneo ma che cosa può fare il Mediterraneo per l’Europa

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Touring Club Italiano
Mare Nostrum
Pagine 32
s. i. p.


Cultura commestibile

Tempo fa un Ministro di Destra, un buontempone, disse: “Con la cultura non si mangia”
Fu sotterrato, giustamente, da un coro di suoni che ricordavano quello in cui tenne lezioni il cattedratico Eduardo.
Oltre a tale concerto, furono pubblicati dati che smentivano quello spensierato ministro.
In un saggio pubblicato da Laterza Paola Dubini dimostrò l’infondatezza di quella sciagurata dizione con cifre, fatti e argomenti a proposito di libri e di musei, di teatro e di cinema, di musica, arte e patrimonio storico.
Un’intelligente rivista web ricorda in un angolo della copertina le parole di quello spensierato Ministro.
Il nome della pubblicazione? Cultura Commestibile.
Settimanale in Rete, formato PdF.
È molto ben fatta. Sfogliatela e mi ringrazierete.

Direttore editoriale: Michele Morrocchi
Direttore responsabile e progetto grafico: Emiliano Bacci
Redazione:
Mariangela Arnavas, Gianni Biagi, Sara Chiarello, Susanna Cressati, Aldo Frangioni, Francesca Merz, Sara Nocentini, Sandra Salvato, Barbara Setti, Simone Siliani.

redazioneculturacommestibile@gmail.com

Edizione: Maschietto Editore
Via del Rosso Fiorentino, 2/D – 50142; Firenze tel/fax +39 055 – 70 11 11


Diario del risveglio


Segnalo un podcast dallo Spazio ideato da Giancarlo Micheli.
Buon ascolto!

QUI i libri di Micheli.


Another Place

Elena Musci: "Studiare il paesaggio non è compito facile e nello stesso tempo parlarne è pratica diffusa. In un momento in cui ricco è l'interesse anche per le ricerche scientifiche che lo riguardano.
Quest'uso pervasivo e generalizzato si traduce nella produzione delle opere più disparate, da quelle realizzate in ambito accademico e della gestione del territorio, agli opuscoli didattici, a quelli folkloristici e di promozione locale, fino ai sempre più diffusi concorsi fotografici sui paesaggi.
In questo insieme magmatico nel quale le parole e le immagini assumono significati onnicomprensivi, tutto assomiglia al suo contrario: il paesaggio, l’ambiente, il territorio diventano sinonimi e la comunicazione e la didattica si confondono con una divulgazione più attenta che in passato.
Studiare il paesaggio oggi vuol dire approcciarsi ad una realtà complessa, determinata da un sistema di relazioni di natura differente, da quelle geomorfologiche, a quelle storiche, culturali ed estetiche, ma anche economiche, giuridiche e agrarie. Questi intrecci possono essere percepiti e padroneggiati solo facendo riferimento a strumenti e saperi disciplinari diversi che sottopongono a tensione lo statuto della disciplina di appartenenza (nel nostro caso la storia) e che costituiscono, per il ricercatore, una sfida arricchente".

Emily Allchurch: “Perché la scelta del paesaggio? Perché sono principalmente interessata agli ambienti in cui scegliamo di vivere e al loro impatto sulla nostra identità. Sono soprattutto attratta dagli spazi urbani dove l’interazione dell’uomo con il territorio raggiunge il culmine. Adotto il paesaggio come filtro per commentare la vita moderna – per fare letteralmente un passo indietro ed esaminare una “fetta di vita”, a distanza.
Il paesaggio, per me fotografa, si rivela come un percorso in cui l’occhio viaggia nel ed attraverso il lavoro, creando una situazione associabile alla lettura dello spazio cinematografico. L’immagine ha a che fare con un luogo specifico, catturato nel tempo”.

Ho tratto il primo brano citato da «Storia e Archeologia Globale dei Paesaggi» della studiosa Elena Musci e il secondo da una dichiarazione della fotografa Emily Allchurch.
Due passaggi per meglio presentare Another Place photography, painting, music – landscape collettiva organizzata dalla casa editrice Magonza, in collaborazione con l’Associazione culturale Le nuove Stanze, volta ad indagare diverse modalità stilistiche ed espressive di interpretazione del paesaggio.

Photography Aurelio Amendola | Olivo Barbieri | Giuliana Cunéaz | Mario Giacomelli | Michele Alberto Sereni | painting Alberto Burri | Flavio Favelli | Abel Herrero | Nevio Mengacci | Renato Ranaldi | Nemo Sarteanesi | Giuseppe Uncini | music Brian Eno

Inoltre, esposta una selezione di opere multiple, bozzetti, libri d’artista di Nicola Carrino | Marco Gastini | Franco Giuli | Paolo Icaro | Jannis Kounellis | Sergio Lombardo | Francine Mury | Klaus Münch | Claudio Parmiggiani | Jano Sicura

In foto: Giuliana Cuneaz, “The Towers“
(Waterproof II), 2012, inkjet print su carta fine art montata su dibond, 200 x 105 cm

Estratto dal comunicato stampa.

«La nostra coscienza ha bisogno di una nuova totalità, unitaria, che superi gli elementi, senza essere legata ai loro significati particolari ed essere meccanicamente composta da essi – questo soltanto è il paesaggio» (Georg Simmel).
Il paesaggio non è qualcosa di dato, non coincide con il concetto di natura, ma è «una situazione scelta o creata attraverso il gusto e il sentimento» (Alain Roger).
Operando una cesura rispetto alla lettura romantica, gli artisti colgono, attraverso la fotografia, la pittura e la musica, aspetti del reale – dell’uomo e insieme della natura – che si manifestano in analogie, discordanze, distopie.
“I put a record on and then left. The record was much too quiet but I couldn't reach to turn it up and it was raining outside ... I suddenly thought of this idea of making music that didn't impose itself on your space ... but created a sort of landscape you could belong to”. Le parole di Brian Eno su Discreet Music – traccia che fa sottofondo alla mostra e disegna un fil rouge sonoro e concettuale tra tutti i lavori esposti – introducono alla nascita dell’ambient music.
La scrittura musicale di Discreet Music – rappresentata dal diagramma di flusso autogenerativo sperimentato da Eno – è esposta qui come traccia visiva, esemplare di un nuovo approccio compositivo, che ha permesso di superare la “forma canzone” (Another Green World) e indirizzarsi verso la creazione di un paesaggio sonoro in cui stare, aleatorio, da ascoltare in silenzio o non ascoltare affatto (…) La mostra è il risultato di una selezione di nuclei di ricerca sul paesaggio che nel corso degli anni sono stati affrontati e approfonditi dalla casa editrice Magonza. In sede di esposizione, inoltre, una sala sarà dedicata a una selezione di grafiche, opere multiple, bozzetti, libri d’artista di Nicola Carrino, Marco Gastini, Franco Giuli, Paolo Icaro, Jannis Kounellis, Sergio Lombardo, Francine Mury, Klaus Münch, Claudio Parmiggiani».

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Ufficio Stampa: Sara Zolla, 346 – 845 79 82 – press@sarazolla.com

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Another Place
Arezzo, Magonza, Via Mazzini 12
Informazioni: redazione@magonzaeditore.it – tel. +39 0575 042992
Orari di apertura:
dal martedì al venerdì dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 18.00
sabato e domenica su appuntamento
Fino al 10 marzo 2023


48 Hour Film Project Italia

I Festival di cinema - pur colpiti dalla sciagura Covid – sono tanti, secondo alcuni troppi.
Eppure, c’è chi ha trovato formule originali che si staccano dai soliti meccanismi della rassegna che si limita ad espone produzioni. Niente contro tale modalità, ma spesso quella formula ha l’aria stanca indotta dalla sfilata di pellicole prese qui e lì che perfino quando sono di buona qualità non appassionano più di tanto. Fatta eccezione per poche manifestazioni tutto il resto è noia…. a meno che non ci sorprenda qualcosa, penso, ad esempio, al Festival 60” con cortissimi cui partecipano solo lavori che non vanno oltre 1’00” oppure al 48 Hour Film Project che prevede la realizzazione in 48 ore di un lavoro che viene giudicato da una giuria di professionisti del cinema.
Nella più recente edizione (la XVI) ha visto all’opera il regista e sceneggiatore Paolo Virzì, la sceneggiatrice Heidrun Schleef, il direttore della fotografia Premio Oscar Philippe Rousselot, il montatore Bernat Vilaplana, lo scenografo Massimiliano Sturiale, il tecnico del suono Maricetta Lombardo, la truccatrice Jana Carboni i quali hanno premiato il corto 'Con il piede giusto', diretto da Ivana Gloria che potrà aggiudicarsi la possibilità di concorrere nella sezione Court Métrage al Festival di Cannes 2023.

Gli altri premi:
Migliore sceneggiatura: Ivana Gloria per ‘Con il piede giusto’, della squadra Finché c’è vita
Migliore attrice: Brigitta Fiertler per il corto ‘Change’ della squadra Onda’s corporation
Migliore attore: Filippo Contri per il corto ‘A tempo debito’ della squadra Real Regaz
Migliore fotografia: Marco Ranieri per ‘Togli un posto a tavola’ della squadra Viaggi organizzati
Migliori trucco e acconciatura: Sveva Germana Viesti per il corto ‘Lacryma’ della squadra Pellicola Produzioni
Migliori costumi: Sara Marino per ‘Fitoterapia’ della squadra Class97
Migliore scenografia: Roberta Infante per ‘No plant B’ della squadra EffettoNotte
e suono: Riccardo De Cillis e Lorenzo Di Tria per ‘Uncoming out’ della squadra The happy hours
Migliore colonna sonora: Maria Chiara Casa per ‘No plant B’ della squadra EffettoNotte
Migliore montaggio: Amelia Sartorelli per ‘Oxy bar’ della squadra I Marchetta

Per maggiori informazioni: CLIC!

Ufficio stampa: Carlo Dutto
carlodutto@hotmail.it
cell. +39 348 0646089


Elogio dello Zero

Essere a zero, essere uno zero, non valere uno zero, partire da zero, ridursi a zero, ripartire da zero, ritornare a zero, spaccare lo zero in quattro, sparare a zero, tagliare a zero, rapare a zero, zero via zero… nei tanti modi di dire lo zero se la passa male
Un po’ si salva in alcuni aforismi, ma anche qui non sono assenti disprezzo o diffidenza, si pensi a Stanislaw Jerzy Lec: “Non sono d’accordo con la matematica. Ritengo che una somma di zeri dia una cifra minacciosa”.
Ma don’t panic please! C’è chi lo elogia. Lo fa, ad esempio, Ennio Peres. La sua scomparsa è una grave perdita per la divulgazione della cultura matematica. Per descrivere quello che faceva, ha coniato la definizione di “giocologo”.
La moglie, Susanna Serafini Peres, in un’appassionata pagina del libro che qui presenterò, dice: “Questo ‘Elogio’.viene pubblicato amorevolmente postumo perché le circostanze avverse non hanno consentito a Ennio di compiere l’ultimo, piccolo passo che lo separava dal consegnarlo corretto a Leonardo De Sanctis, il suo editore, che ringrazio per la profonda sensibilità”.
La casa editrice Fefè, infatti, di lui – nella indovinata collana Gli Elogi – ha pubblicato Elogio dello Zero sottotitolo il numero che vale una cifra.
Il volumetto traccia la storia di questo importante segno che ha permesso non solo il progresso della matematica, ma ha svolto un ruolo importantissimo nel commercio, nelle costruzioni scientifiche, nell’organizzazione degli orari.
Inoltre, compie un periplo colto e divertente intorno allo zero: dalla letteratura al cinema, dalla magia alla filosofia, insomma lo Zero anche aldilà della matematica.
Scrive, infatti, nella prefazione Leo Osslan: “Lo Zero è una cosa seria e delicata che coinvolge anche la nostra visione della Terra, la religione, la geografia, l’informatica, la musica, psicologia e psicoanalisi”.

Dalla presentazione editoriale

«Afferma un antico proverbio: Se si somma zero a zero, si ottiene sempre zero. Eppure l’invenzione del numero zero ha avuto un ruolo fondamentale nel progresso della Matematica, ma anche di Informatica, Storia, Filosofia, Religione, Musica... In questo libro prezioso troverete “lo Zero secondo Ennio Peres”, provetto matematico ma anche “giocologo”, cioè esperto di giochi, di giochi fatti con i numeri e con le parole. Peres dipana la matassa pian piano, giocando, un gioco molto serio e sofisticato. Troverete perfino giochi di mano, giochi di prestigio, con cui Peres ci esemplifica Matematica e Filosofia. E ci spiega come in realtà vada il mondo, dallo Zero all’Infinito».

QUI un incontro che ebbi con lui su questo sito anni fa.

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Ennio Peres
Elogio dello Zero
Prefazione di Leo Osslan
Riflessioni di Susanna Serafini Peres
Illustrazioni in b/n
Pagine 162, Euro 13.00
Fefè Editore


Un nuovo ecomuseo

Parecchi anni fa conobbi due personaggi straordinari: Debora Ferrari e Luca Traini.
Avevano organizzato ad Aosta una delle migliori mostre sui videogames che mi sia, ancora oggi, capitato di visitare: "The Art of Game" cui dedicai uno special: QUI.
Poi, come spesso accade, ci siamo persi di vista per alcuni anni durante i quali quel tandem ha combinato molte altre felici birichinate e giocando giocando ha svolto quelle cose serie che solo il Gioco sa produrre, oltre alla realizzazione di altri progetti.

Una delle più recenti imprese del duo Ferrari – Traini la trovate qui di seguito.
Ne presento un estratto dall’illustrazione.
La foto in pagina è di Deb.

«Quanto chiamiamo tradizione non ha nulla di statico, anzi, ci presenta un passato che diventa presente ma non esclude affatto diversi orizzonti verso il futuro. Presentare e comprendere in modo chiaro e accessibile tutte queste affascinanti eredità, all’apparenza così semplici e in realtà multiformi, è quanto si propone il nuovo ecomuseo diffuso di Orino, in provincia di Varese.
Si tratta di un progetto collettivo che ha coinvolto residenti e frequentatori del paese e vede come partner dell’iniziativa Comune di Orino, Università dell’Insubria di Varese e Fondazione Cariplo. La sua realizzazione si è articolata nel restauro di una serie di cantine diventate vere e proprie “cantine didattiche” arricchite di numerosi materiali d’epoca e provviste di pannelli storici con QR Code che rimandano al nuovo sito.
L’ecomuseo è stato inaugurato il 3 dicembre con l’apertura al pubblico seguita dalla proiezione in Sala Orum del docufilm “That’s Orino”. Le cantine resteranno sempre aperte e in giornate speciali, stabilite e comunicate dal Comune, ci saranno visite guidate.
Il paese, già noto per la sua bellissima Rocca di medievale di origine tardoantica (a 540 metri di altezza e da non confondere col Forte di Orino a 1134 metri, parte della Linea Cadorna, costruita nella prima guerra mondiale per evitare attacchi austro-tedeschi nel caso di un’invasione della Svizzera), fu anche citato in un piccolo prezioso poema, “Descrizione elegiaca della Valcuvia”, opera Giovanni Stefano Cotta (1435 ca.-1525), feudatario del luogo ma soprattutto importante umanista della corte degli Sforza (collaborò anche col Ferrario a un’importante edizione delle opere di Ausonio). Natura arcadica per i tanti villeggianti che l’affollarono nella prima metà del Novecento (il compositore Umberto Giordano e l’industriale Giuseppe Costantino Dragan, giusto per fare qualche nome), ma in realtà frutto di tenace, durissimo lavoro delle generazioni di contadini a cui, in primo luogo, è dedicato, come omaggio alla loro creatività, l’ecomuseo (…) Un microcosmo animato da una grande vitalità che oggi vuole proporre a tutti noi un passato di cui è orgoglioso presentandosi come un possibile esempio di equilibrio cosciente fra società umana e contesto naturale.
Nelle cantine e nei relativi pannelli sono esposti gli strumenti e la storia di questa simbiosi (…) Non è, inoltre, da dimenticare che proprio sul Monte San Martino fu combattuta, nell’autunno del ’43, una delle prime, epiche battaglie della Resistenza italiana.
Anche per questo, nell’inestimabile epoca di pace che vive la nostra Repubblica, è ancora più bello far attualizzare la parte più considerevole del nostro passato, quella costruita con tanto sudore alla luce di una forte socialità per favorire una solidarietà ancora più grande.
Da rivivere in una gioiosa e condivisa grande festa, come sempre dopo un lungo, appassionato lavoro.
Fotografie storiche tratte dagli archivi della famiglia Cellina e della famiglia Rocchi.
Consulenti dell’Università dell’Insubria, di Orino, di Musea-TraRari TIPI, di Flai Graphic Design, di Linotipia Artigiana, che hanno lavorato al progetto: Andrea Candela, Paola Castiglioni, Alessio Ceriani, Flavia Ciglia, Maria Faccioli, Debora Ferrari, Pierluigi Pagani, Donata Perticucci, Laura Proto, Federico Raos, Luca Traini.
Docufilm: Luca Simone Tossani, Consuelo Farese, Maurizio Cellina».

Debora Ferrari - Luca Traini.


2 notizie 2

Metto insieme, così come pervenute in ordine di tempo, due segnalazioni (qui riassunte) che provengono a Cosmotaxi da Marta Volterra dell'Ufficio Stampa HF4’.


1) Ci pensa il Sole
Un racconto di energie rinnovabili e futuri possibili per Brescia e Bergamo.
Capitali della Cultura 2023
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Alle porte della città di Brescia, in Via Cremona, la storia del Sole su 240 mq di street art firmata da Marco Burresi, in arte Zed1, un artista italiano nato a Firenze nel 1977.
La sua disinvoltura nel passare dalla tela alla parete aumenta la sua creatività, utilizzando la tecnica spray, accompagnata da rulli, vernici e pennelli, che gli permettono di ottenere nuance simili ad acquarelli. Le opere colorano i muri di molti paesi del mondo.

QUI un video.


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2) IRAE
200 pagine di arte, fotografia e visual storytelling per parlare di Ambiente guardando oltre il visibile.
31 artisti italiani e stranieri raccontano trasformazione, metamorfosi e rinascita, con focus speciale sul ruolo delle piante.

IRAE è un progetto della no profit Yourban2030.
Diretto da Angelo Cricchi rappresenta un punto di incontro tra discipline diverse, il nuovo numero di IRAE vede protagonisti contributi d’eccellenza per parlare di cambiamento e trasformazione con un focus speciale sul mondo della botanica, sul ruolo delle piante, sui loro usi millenari e sulla loro simbologia, con oltre 31 artisti italiani e stranieri che - ognuno a suo modo - testimoniano attraverso scatti e studi la resilienza della natura, il potenziale della trasformazione e la rinascita possibile.

QUIQUI per informazioni
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Ufficio stampa HF4
Marta Volterra: marta.volterra@hf4.it
Valentina Pettinelli: press@hf4.it 347 449 9174


Discorso del Presidente


Con Sergio Mattarella abbiamo a Capo dello Stato una persona per bene, duramente provato dalla vita: il fratello Piersanti gli morì tra le braccia colpito da proiettili mafiosi; la moglie, Marisa Chiazzese, morta nel 2012, a causa delle conseguenze di un tumore.

Nel discorso di fine anno, c’è stata una frase che ho particolarmente apprezzato, la riporto integralmente: La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune.
Gli ultimi dati disponibili, fanno riferimento al 2019, quando il tax gap è stato pari a 99,2 miliardi di euro: 86,5 miliardi sono le imposte evase (come Irpef, Iva, Ires e Irap), mentre 12,7 miliardi i contributi non pagati (cioè tutti quei pagamenti che servono per finanziare le pensioni e le prestazioni assistenziali come la sanità, la maternità, e così via).
Negli anni precedenti nessun Presidente aveva mai detta una cosa tanto netta sugli evasori fiscali (talvolta con cariche pubbliche) indagati per tali reati che con il loro malaffare si portano fuori e contro la collettività della Repubblica… Repubblica… e qui, purtroppo, devo esprimere una nota dolente. Quella parola è ricorsa 9 volte nel corso del messaggio, ma in nessun caso è stata ricordata da dov’è nata questa Repubblica nella quale viviamo, cioè dalla Resistenza. Una timidezza dovuta (o voluta?) verso la prima donna a capo del governo e di chi la circonda che per molti fa loro l’effetto dell’aglio per i vampiri?
Che forse la Repubblica non si sappia da dove trae origine ed e bene rifarsi non alle ragioni della lotta antifascista fino a quella del 1943-1945, ma solo ad uno dei dialoghi di Platone, la Repubblica, composto fra il 385 e il 375 a. C. ?
Del resto, la parola “fascismo” è stata assente nel discorso presidenziale. Purtroppo presente nella vita del nostro Paese nel corso del 2022 pure con manifestazioni violente e scoperte di gruppi terroristici.
La parola “lavoro”, invece, è stata pronunciata 3 volte nel corso del messaggio di fine anno. Mai, però, è stata associata alla cifra 1290, numero che è quello dei morti sul lavoro rilevato dall’inizio dell’anno al 31 ottobre 2022; 660 di questi sui luoghi di lavoro, gli altri sulle strade e in itinere, condizione questa riconosciuta dall'Inail.
Presidente, prometta che il prossimo anno non avrà di queste amnesie. Grazie.


L'uomo pensa, Dio ride

Quando lavoravo alla Rai conobbi il famoso produttore Guido Sacerdote e da lui ascoltai crudeli storielle sugli ebrei che mai io ho avuto il coraggio di raccontare e neppure in questa nota lo farò.
“Come fai” – gli chiesi un giorno – “tu ebreo a raccontare queste cose”?
“Tu – mi rispose – “non conosci l’umorismo ebraico altrimenti non mi faresti questa domanda”.
Proprio vero. Negli anni ho constatato che Sacerdote aveva ragione.
Ecco un video prodotto dall’Ucei (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) sull’umorismo ebraico.
Né può mancare in queste righe Woody Allen che dice: “Dio? Con quello che ha combinato, può solo parlare col mio avvocato”.

La casa editrice Marietti 1820 ha pubblicato un prezioso saggio che investiga sulle origini, la storia, il profilo di quel modo di ridere nel quale risuona l’autoderisione e qualcosa che va ben oltre il beffardo.
Tratto da un proverbio ebraico il titolo è: L’uomo pensa, Dio ride, sottotitolo: Declinazioni dell’umorismo ebraico.
L’autore è Luca De Angelis.
Studioso della condizione ebraica e delle sue modalità di espressione letteraria negli scrittori italiani ed europei, ha insegnato in diverse università (Trento, Trieste e Münster) e attualmente collabora con Pagine Ebraiche.
Con Marietti 1820 ha pubblicato nel 2021 Cani, topi e scarafaggi. Metamorfosi ebraiche nella zoologia letteraria.
Scrive in un’illuminante passaggio del volume: “Freud riconosceva nell’ebreo che fa humour, nel suo atteggiamento autoironico, talora nel suo svilirsi, una forma di fierezza: solo chi ha percezione del suo valore può abbassarsi fino a mettersi in ridicolo”.
E verso la conclusione del libro: “Gli ebrei ci sono, nonostante siano stati condannati all’annientamento; e dal sangue e dalle ceneri hanno ripreso con una nuova vitalità e con umorismo rinnovato il loro eterno cammino tra gli uomini (…) le vittorie ebraiche sono quelle che derivano dall’essere testardamente e trionfalmente ebrei (…) l’umorismo, questo bene di prima necessità per l’ebreo, ha contribuito in modo decisivo a questa fondamentale vittoria dell’ebreo”.

Isaac Singer ha detto che “nelle storie umoristiche ebraiche gli sembra di sentire risuonare in sottofondo lo stridore fra sacro e profano della musica klezmer.

Dalla presentazione editoriale

«Il carattere dell’umorismo ebraico, che si esprime in un riso tra le lacrime, è identificabile in un'ironia riflessiva, diretta verso sé stessi e gli appartenenti alla medesima comunità di destino. È una disposizione a farsi beffe di sé anche nelle situazioni più difficili.
Vitale reazione all’antisemitismo, essa è un mezzo per eludere i persecutori, ridicolizzare gli autori dei pogrom, difendersi da una realtà di sofferenza rendendola sopportabile anche solo per un istante.
L’umorismo ebraico arriva a coinvolgere anche Dio, messo spesso sotto tiro a battute di spirito, con una riverenza irriverente unica nel suo genere. Perché l’ironia, forse anche più dell'amore, è la migliore forma di immunità contro il fanatismo e l’odio, qualcosa di indispensabile per le relazioni tra gli esseri umani».

Si può concludere senza ascoltare un wiz di Moni Ovadia?
Certamente no. Eccolo.

……………………….

Luca De Angelis
L’uomo pensa, Dio ride
Pagine 278, Euro 17.00
Marietti 1820



Gaddabolario (1)


La casa editrice Carocci ha pubblicato uno splendido libro:Gaddabolario Duecentodiciannove parole dell’Ingegnere a cura di Paola Italia.
Insegna Filologia italiana e Scholarly Editing all’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Si è occupata di autori e temi dell’Ottocento (Leopardi e Manzoni) e del Novecento (Gadda, Bassani, Savinio, Tobino), con una particolare attenzione allo studio e all’edizione delle varianti d’autore.
Da trent’anni studia le carte e l’opera di Carlo Emilio Gadda (”Io sono un archiviòmane”; Pistoia 2003 e Come lavorava Gadda, Carocci, 2017).
Con Giorgio Pinotti e Claudio Vela è responsabile della nuova edizione Adelphi delle opere di Gadda.
Altra pubblicazione: La bella lingua (con Paola Baratter), Ed. La Scuola SEI.

“Gaddabolario” è un intelligente quanto originale approccio all’universo linguistico di Gadda.

Dalla presentazione editoriale di Gaddabolario

«Se avete in mano questo libro vuol dire che siete tra coloro che Gadda lo hanno solo sentito nominare (“l’Ingegnere della letteratura”, “il Joyce italiano”), ma finora non lo hanno mai letto (“Gadda è troppo difficile”, “Gadda bisogna tradurlo”). Oppure fate parte, come gli autori di questa impresa, della categoria degli “adepti”, ovvero di coloro che in un certo momento della vita hanno incontrato un libro di Gadda e, dopo lo smarrimento iniziale, hanno deciso che non lo avrebbero posato finché non ne avessero capito almeno una pagina. Perché leggere Gadda è un’avventura: un esercizio di conoscenza, un viaggio nella lingua italiana, un corso pratico di ironia. A volte si ride irrefrenabilmente, fino alle lacrime, altre volte è un riso amaro, sarcastico. Questo Gaddabolario, scritto dagli “adepti” per chi non lo è ancora, raccoglie e spiega duecentodiciannove parole gaddiane – un numero da cabala “ingravallesca”: via Merulana 219 è il centro in cui convergono tutti i delitti del Pasticciaccio – da abracadabrante a Zoluzzo. Uno strumento indispensabile per addentrarsi, di parola in parola, nei labirinti dell’Ingegnere e perdersi nel piacere della sua incomparabile prosa».

Hanno contribuito alla pubblicazione: Gian Mario Anselmi – Valentino Baldi – Lorenzo Bandini – Mauro Bersani – Martina Bertoldi – Alberto Bertoni – Mauro Bignamini – Nicola Bonazzi – Giuseppe Bonifacino – Claudia Bonsi – Alice Borali – Dario Brancato – Elia Bressanello – Mariarosa Bricchi – Edoardo Camurri – Marina Calogera Castiglione – Dalila Colucci – Andrea Cortellessa – Rosy Cupo – Luca Danti – Giulio De Jorio Frisari – Paolo Di Paolo – Rebecca Falkoff – Giulia Fanfani – Gabriele Frasca – Marco Gaetani – Riccardo Gasperina Geroni – Giorgia Ghersi – Milena Giuffrida – Alessandro Iacovetta – Paola Italia – Arnaldo Liberati – Arnaldo Liberati – Lucia Lo Marco – Simone Marsi – Donatella Martinelli – Luigi Matt – Luca Mazzocchi – Eloisa Morra – Edoardo Panei – Matilde Passafaro – Giorgio Patrizi – Federica Pedriali – Giulia Perosa – Giorgio Pinotti – Giordano Rodda – Carolina Rossi – Lorenzo Sabatini – Stefano Scioli – Andrea Severi – Giuseppe Stellardi – Riccardo Stracuzzi – Linda Ayelen Terrafino – Flavio Tuliozzi – Sefano Vandi – Claudio Vela – Francesco Venturi – Alessia Vezzoni – Maria Villano – Alessandro Vuozzo – Katrin Wehling-Giorgi – Isabel Zamboni – Antonio Zollino.

Segue un incontro con Paola Italia.


Gaddabolario (2)


A Paola Italia (in foto) ho rivolto alcune domande.

Com’è nato questo libro, da quale esigenza?

Gadda è uno scrittore che viene più nominato che letto, e spesso viene presentato come un autore difficile, un autore per “accademici”. Lo si considera un classico del Novecento, ma i lettori comuni lo tengono a distanza, come si fa con Joyce, o Musil. Gadda ha però un numero non piccolo di “adepti”, cioè di lettori che, dopo avere incontrato uno dei suoi libri, e avere superato il primo senso di straniamento (leggere nella propria lingua e percepirne un’altra…), sono rimasti – come me e come gli altri sessanta autori di questo “vocabolario” – letteralmente conquistati dalla sua scrittura. E a ogni nuova lettura (o rilettura) della sua opera, hanno rinnovato il piacere di capire, di comprenderne le risonanze infinite. Ecco, è proprio per il piacere di rileggerlo, di condividere l’esperienza straordinaria della sua prosa, e per avvicinare i lettori ancora titubanti, intimoriti, che abbiamo deciso di farlo leggere a piccole dosi, parola dopo parola.
L’idea, in verità, è venuta ai miei studenti, alcuni dei quali hanno poi collaborato all’iniziativa, e poi abbiamo esteso il progetto a “gaddisti” e “gaddofili” di varie generazioni, provenienti da scuole e metodi critici differenti, ma tutti accomunati dalla passione per Gadda: un libro collettivo, che dice anche come Gadda riesca ad avvicinare le generazioni, e possa essere una lettura inaspettata anche per i giovani. È un peccato che nella scuola superiore Gadda non sia ancora “passato”: siamo convinti che la sua prosa potrebbe conquistare molti lettori. Anche perché a leggere Gadda ci si diverte moltissimo, si guarda la realtà da molti e inaspettati punti di vista, si compiono esercizi di ironia, ci si allena a usare le parole non solo per descrivere la realtà, ma per esprimere l’inaspettata ricchezza della sua continua deformazione.

Perché proprio 219 parole e come sono state selezionate?

Il numero non è stato scelto a caso… nel più celebre romanzo di Gadda, “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” (ripubblicato da Adelphi a cura di Giorgio Pinotti nel 2018), il doppio delitto da cui parte l’indagine del commissario Ingravallo accade al numero 219 del “palazzo degli ori”, in cui, durante il fascismo, ci si arricchiva con la borsa nera… è un numero speciale per Gadda e per i suoi lettori. In verità il numero di Gadda è il 14, giorno della sua nascita, nel novembre 1893, e numero a cui egli legava tutti gli eventi cruciali della sua vita, con una buona dose di superstizione. Ma 14 parole erano troppo poche…
Le parole sono state selezionate sulla base di due criteri: i termini usati da Gadda e caratteristici della sua prosa, ma anche le parole più o meno comuni, risemantizzate da Gadda o da lui usate così frequentemente da diventare un vero e proprio stilema lessicale. Nel primo gruppo sono quindi documentate neoformazioni gaddiane di tutti i tipi: aggettivi da sostantivi, sostantivi da aggettivi, verbi da sostantivi, e viceversa, e parole appartenenti a tutte le categorie: dalle scienze dure (come basedowizzato, ebefrenico, ecolalia, eredoluetico, esavalente, eupeptico, fagico, isteròide, maclaurizzare, morulare/-rsi, rachitoide, scalenoedrico, sesquiossido…), ai termini letterari (a volte utilizzati in funzione antifrastica, come affocato, alivolo, apparita, celicolo, diademato, diruto, fantasima, fulgurativo, gravame, incantagione, languoroso, malinconioso, rampollare, serpere/sèrpere, trasvolare…), o – altra categoria interessante – le “parole composte”, che sono peculiari del suo modo di rappresentare la realtà da più punti di vista, in forma, direbbe Gadda, “simultanante”: ammogliato-brustolato, bigio-topo, centauro-saetta, derubando-iugulando-seviziando, digito-interrogativo, eleganza-flanella, felicità-facilità, marito-montone, occipite-jungla, ramarro-folgore, sarta-sibilla, sfilatino-scarpa, spring-granata, e la parola più lunga di tutto il Gaddabolario: “cetriolo-Inghilterra deve scontare i suoi delitti”. Però abbiamo anche una parola cortissima, commentata da Claudio Vela: “qua”. La scelta finale, infatti, è stata affidata agli autori, che hanno selezionato liberamente le parole e le hanno illustrate e spiegate, ciascuno a suo modo.

Quali sono le caratteristiche che più l’affascinano dello scrittore Gadda?

La prima cosa che mi ha colpito di questo scrittore è stata la capacità di utilizzare la lingua con una ricchezza davvero unica e inaspettata, in una originalissima combinazione di antico e moderno e di contaminazione tra alto e basso. La pagina di Gadda ha la capacità di fare risuonare le armoniche antiche delle parole, la loro etimologia (si pensi a latinismi come buccinatore, diruto, locupletare, medulla, mentulare, piscivùlvulo, polluto), ma anche di proiettarle nel futuro, con inediti accostamenti che reinventano la lingua, ne mostrano la ricchezza inesauribile, esercitando continuamente la più alta forma di libertà di contaminazione. Una parola “antica” come “buccinatore”, per esempio, accostata alla realtà “bassa” del venditore di porchetta al mercato di Piazza Vittorio che va “eternamente berciando e con gli occhi al cielo stavolta e con delle gote da buccinatore senza senso: ‘Fàmese a crompà la porca, signori! Fàmese a caccià li sordi’”, la nobilita e la epicizza. Tuttavia, diversamente dagli esperimenti linguistici delle avanguardie, che pure avevano preso Gadda come modello, questa invenzione non è mai un’operazione letteraria fine a sé stessa, ma corrisponde alla volontà di cogliere la realtà nella sua continua deformazione, nei suoi elementi grotteschi; nella sua, direbbe Gadda, “baroccaggine”. Ciò abitua il lettore – questo è un altro aspetto dell’opera di Gadda che mi piace – a un continuo esercizio di attenzione, perché gli mostra aspetti del tutto inusitati della realtà, e lo stimola continuamente a un esercizio critico: a non accontentarsi di percepirla in un’unica dimensione, a vederla come è, ma a indignarsi per come non è, o per come dovrebbe essere.

……………………………

A cura di Paola Italia
Gaddabolario
Pagine 176, Euro 16.00
Carocci editore


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