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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

In forma d’Informale


In alcune lettere di Jackson Pollock si scopre quanto avidamente l’artista attendesse di vedere i cataloghi e le opere di Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 – Parigi, 1985).
Questo pensiero, non solo di Pollock, ma degli artisti e dei collezionisti americani nei confronti dell’arte informale europea dà il taglio alla mostra in corso a Modena: Informale: Jean Dubuffet e l’arte europea 1945 -1970.
Al Foro Boario sono esposti per la prima volta nuclei importanti di opere che riassumono le principali correnti di quel movimento artistico di matrice europea definito “informale” dal critico Tapié de Céleyran che così volle indicare tendenze pittoriche diverse, ma accomunate dal rifiuto del figurativo e del geometrico in favore di una pittura astratta, diretta a una ricerca sul segno, sul gesto, sulla materia.
Luca Massimo Barbero, curatore associato della Collezione Peggy Guggenheim, ha allestito questo percorso attraverso le collezioni dell’istituzione americana.
Jean Dubuffet, di cui il Museo Solomon Guggenheim conserva il maggiore numero di opere tra i musei degli Stati Uniti, è il perno attorno al quale è possibile osservare l’esperienza esplosiva della pittura del gruppo CoBrA (acronimo che sta per “Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam”, città natali di Appel, Constant, Jorn e Corneille che ne furono i fondatori), i segni materici della pittura gestuale di Jean-Paul Riopelle, Georges Mathieu, Pierre Soulages, e le esperienze degli artisti italiani presenti come “informali” nelle collezioni americane, tra i quali Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi, Lucio Fontana, Bice Lazzari, Gastone Novelli.
Ecco un’occasione per esplorare un panorama delle personalità europee che contribuirono al cambiamento radicale della pittura nel secondo dopoguerra, attraverso il punto di vista del grande collezionismo americano, vedere da vicino quali opere di artisti europei furono acquistate da quei collezionisti. La mostra comprende inoltre una serie di bacheche contenenti preziosi documenti grafici, disegni e cataloghi.

“Jean Dubuffet e l’arte europea 1945-1970”
Modena, Foro Boario
Fino al 9 aprile 2006
Ingresso gratuito
informazioni e immagini: www.studioesseci.net


Le nubi stampate


Meriterebbe di rientrare in un visionario testo di nimbologia – “Il Nuvolario”, di Fosco Maraini – questa nuova casa editrice che si chiama Le Nubi perché proprio di bizzarri cirri di pensiero è fatta, e la vedrei, per richiamarmi ancora a Maraini, tra quelle forme aeree che lui classifica come “piume di fuoco” o come “soffitti numinosi”.
Visitatene il giovane ma già ghiotto catalogo e vedrete che ho ragione.
Ad esempio, lì ho trovato tre titoli irresistibili che riguardano tre figure letterarie, specie da noi, non proprio notissime: Arthur Cravan (1867-1918), Jacques Rigaut (1899-1929), Jacques Vaché (1896-1917).
Tre maestri di spreco, tre dissipatori di proprie pagine e delle proprie vite, tre esistenze sapienti nel savoir-mourir che, come informa Marzia Mascelli in una documentata e raffinata introduzione: … furono convocate insieme una prima volta nel 1939 nell’’Anthologie de l’Humoir noir’ di André Breton […] e una seconda nel 1967 in un testo filosofico di Raoul Vaneigem ‘Traité de savoir-vivre a l’usage des jeunes générations’ in un frammento del quarto capitolo dedicato ai rapporti fra potere e morte.
Cravan fu poeta e pugile, autore di composizioni rutilanti che chiamava prosopoemi, stampava una rivista - la scriveva da solo usando più pseudonimi - strapazzando su quelle pagine gli artisti del tempo, incrociò i guantoni con un autentico campione del mondo di boxe, si vantava d’essere parente d’Oscar Wilde, scomparve misteriosamente nel golfo del Messico. Felicissima l’intuizione di Gianluca Reddavide - responsabile editoriale de Le Nubi – che struttura il suo splendido saggio introduttivo a Cravan in 12 parti chiamandole '12 rounds'.
Vaché, prima di concludere la vita ucciso dall’oppio, fu militare e dandy, autore di un intenso epistolario in cui alterna scritti a disegni, passando da incandescenti tratti di poesia a elettriche intuizioni critiche; fra i suoi corrispondenti ricordo Breton e Aragon.
Rigaut, fu amico di Drieu La Rochelle (collaborazionista e suicida) che a lui s’ispirò nel profilare il protagonista del romanzo ‘Feu follet’ dal quale Louis Malle trarrà lo stupendo 'Fuoco fatuo' nel 1963; “uomo che viaggia col suicidio all’occhiello”, come disse di sé, è quello dei tre che ha lasciato più pagine, ma non per questo fu meno antiletterario e nichilista, si tirò un colpo al cuore in una clinica dov’era ricoverato per disintossicarsi dall’alcol e da altre droghe.
“Sarò serio come il piacere” aveva scritto, e lo fu.
Così conclude Marzia Mascelli: Il suicidio fu più volte annunciato non solo da Rigaut, ma anche da Vaché e Cravan: pronunciato come gesto di disgusto nei confronti della letteratura, della vita sociale e dell’arte, esso fu intenzione, per quanto contraddittoria ed ambigua, di autoaffermazione, come lo furono i loro gesti letterari. In questo clima la sensazione, la trattazione culturale e la considerazione postuma e precisa che la loro produzione creativa – culminata nella fumosità della loro morte – generò nelle avanguardie, venne elaborata anche in base a tali istanze culturali.
Il tutto in tre chicche tascabili dall’elegante grafica. Da non perdere.

Arthur Cravan
“Poeta e pugile”
Trad. di Gianluca Reddavide e Perla Zanini
97 pagine, 12:00 euro

Jacques Rigaut
“Agenzia Generale del Suicidio”
Trad. di Perla Zanini
89 pagine, 12:00 euro

Cravan, Rigaut, Vaché
“Tre suicidi dada?”
Trad. di Gianluca Reddavide e Perla Zanini
93 pagine, 12:00 euro
Edizioni Le Nubi


Storia del mal di vivere


Prove non ne ho, ma sono certo che in questo periodo festivo aumentino i clienti dei DSM (Dipartimenti di Salute Mentale), perché sono giorni in cui tanta mostruosa finzione d’allegria e bontà favorisce la depressione che afferra le sue prede scendendo dalle stelle.
Io ho trascorso questi giorni in compagnia di uno splendido libro che, proprio grazie al tema trattato, mi ha reso immune dai perniciosi effetti della vista di presepi e dell’ascolto di Jingle Bells: Storia del mal di vivere, n’è autore George Minois pubblicato dalle Edizioni Dedalo e ben tradotto da Manuela Carbone.
Partendo dall’Ode di un disperato scriba egizio s’arriva fino ai giorni nostri narrando il percorso tra le epoche del male oscuro e i tanti nomi che nel tempo ha assunto riflettendo così il modo in cui è stato visto nei secoli: dal taedium vitae alla melancolia, dalla tristizia all’accidia, dallo spleen alla disperazione, dall’ansia alla depressione.
Minois esplora questa malattia – che secondo l’OMS, minaccia di diventare la prima causa di morte in un prossimo futuro – sul piano filosofico e sociologico riferendo anche i tentativi di cura d’ieri e d’adesso che vede gli scienziati ancora in disaccordo sul modo d’affrontare questo male, divisi come sono oggi tra organicisti (che puntano sulla farmacologia) e cognitivisti (che curano prevalentemente, anche se non esclusivamente) su tecniche psicoterapeutiche. E questo perché per i primi si tratta di un male fisico, per i secondi di un disagio della mente. Ma, al momento, nessuna delle due teorie può averla vinta sull’altra con assoluta certezza scientifica.
Fittissimo è nel volume lo studio del rapporto tra artisti e depressione con una documentazione importante, per quantità e acutezza d’esposizione, che visita tutte le epoche soffermandosi largamente – et pour cause! – su quant’è accaduto nel XX secolo.
Sfilano sotto gli occhi del lettore esempi tratti dalla vita di tanti autori e dalle loro opere trascorrendo attraverso narrativa, arti visive, cinema, teatro, musica.
E su tutta la Storia del mal di vivere, passa l’ombra del suicidio, i suoi significati, le sue interpretazioni, i suoi aspetti psicologici ed etici, fino alle teorie più recenti, alcune delle quali vedono (a differenza di ieri) la depressione come uno schermo che protegge dal suicidio invece che spingere ad esso.
Libro imperdibile non solo per chi s’occupa professionalmente del tema affrontato nel volume, ma anche per i tantissimi che da quel male sono morsi, perché sono pagine che aiutano a capire e capirsi.
"Il pensiero si radica nel malessere" scrive Minois "Sin dalle origini della riflessione, l’uomo ha cercato di dare un senso alla vita, ma ogni progresso del pensiero lo ha reso più esigente, indebolendo le risposte d’ordine sovrannaturale e rafforzando la consapevolezza della tragedia dell’esistenza. E ricordiamo la lezione di tutti i malinconici e di tutti i depressi: il mal di vivere è forse la sola ragione per vivere, in quanto segno del progresso del pensiero e della coscienza. La grandezza dell’uomo, in fondo, sta anche nelle sue ferite"

George Minois
“Storia del mal di vivere”
Traduzione di Manuela Carbone
Pagine 352, euro 25:00
Edizioni Dedalo


La Danza delle Avanguardie


E’ in corso al Mart di Trento una grande mostra dedicata al tema della danza nelle arti visive: circa mille opere, tra disegni, dipinti, sculture, costumi, fotografie e video, provenienti da duecento tra i più prestigiosi musei e collezioni nazionali e internazionali.
La Danza delle Avanguardie: dipinti, scene e costumi: da Degas a Picasso, da Matisse a Keith Haring, questo il titolo dell’esposizione.
Le curatrici della mostra, Gabriella Belli e Elisa Guzzo Vaccarino hanno voluto evidenziare i grandi cambiamenti avvenuti nel teatro di danza e nella ricerca artistica nel corso di oltre un secolo con le opere di quegli artisti che, dalla fine dell’ Ottocento, hanno fatto della danza il proprio soggetto preferito, come, ad esempio, Degas e Toulouse-Lautrec.
La mostra documenta poi il grande interesse che per tutto il ‘900 grandi nomi dell’arte - da Picasso a Léger, da Matisse a a Miró, da Kandinsky a De Chirico, da Malevich a Depero – ebbero per la danza, cimentandosi nella realizzazione di scenografie e costumi per le più prestigiose compagnie dell’epoca, in particolare per i Ballet Russes del russo Sergej Diaghilev e per i Ballets Suedois dello svedese Rolf de Maré.
Il percorso espositivo dimostra come questo interesse sia vivo anche a cavallo del nuovo millennio. Per il palcoscenico hanno lavorato non solo artisti dell’importanza di Robert Rauschenberg, Lucio Fontana, Keith Haring e Jan Fabre, ma anche designer, fotografi e stilisti. Dalla pioniera Coco Chanel, che nel 1924 realizza i costumi per Le train bleu, alle più recenti creazioni di Christian
Lacroix, Yves Saint Laurent, Jean-Paul Gautier, e Versace, molti atelier di moda sono entrati, con la loro vitalità e creatività, nel mondo della danza.
Peccato che all’esposizione – considerando che esplora anche i nostri giorni – manchi una sezione dedicata alla NetArt che di quel tema è ricca d’esemplificazioni.
Sarà per una prossima volta. Per ora, godiamoci questa.

“La danza delle avanguardie”, al Mart
Corso Bettini 43, Rovereto (Trento)
Fino al 7 maggio
Orari: martedì-domenica 10 – 18
Per informazioni e prenotazioni: 800 - 397760



Segua quella macchina!


Io, bene come in una macchina non sto in nessun posto, così dice Vittorio Gassman ne ‘Il sorpasso’ del 1962. E, due anni più tardi, si sentirà dire dalla madre nobildonna, nel film ‘La congiuntura’: Mi raccomando, figlio mio, sii prudente, non superare mai i 180!.
I ’60 furono, in Italia, gli anni che videro su tutti gli status symbol trionfare quello dell’automobile, ma quel mito, trasformatosi oggi sul piano sociologico - come dimostra anche la nuova immagine che gli conferisce la pubblicità - resiste ancora, ed è fonte di desideri, invidie, gelosie, tragedie e commedie.
La Galleria d'Arte Moderna di Bologna, dedica una mostra all’argomento intitolata Drive a cura del critico Gianfranco Maraniello - Direttore della Gam – un nome che per assonanza sembra destinato fin dalla nascita ad allestire una mostra siffatta.
Allo sguardo del pubblico: 20 grandi installazioni provenienti da tutto il mondo (per maggiori informazioni, cliccate sul sito della Galleria che ho dato prima) accompagnate da un catalogo-oggetto edito da Damiani Editore.
Acutamente dice un comunicato stampa della Galleria che è quasi un microsaggio sul tema: “Elevata allo stato di protesi tecnologica del corpo umano, l'elaborazione del tema dell'automobile ha dato vita a meccanismi di recupero e di appropriazione dell'oggetto. Artisti e designer della seconda metà del secolo scorso, producendo inedite elaborazioni e sorprendenti decostruzioni e ricomposizioni, hanno dato vita a forme totalmente nuove che sono la testimonianza di una trasformazione radicale e di una rinnovata percezione degli oggetti. Le valenze simboliche connesse ad un idea modernista di sviluppo mutano il loro messaggio e diventano lo spunto per una riflessione sul rapporto, a volte conflittuale e contraddittorio, che intratteniamo con la tecnologia”.
Com’è diligente costume della Gam, la Galleria accompagna le mostre con una serie di manifestazioni parallele tese ad approfondire il tema delle esposizioni.
Anche stavolta, è così. Ed ecco nei mesi di gennaio e febbraio:
AutoreversE - Paradossi dell'automobile a cura di Marco Senaldi.
Cinque incontri che esploreranno gli aspetti sociali, psicologici e culturali dell'automobile: nel cinema, con registi, attori, critici cinematografici; nel design con semiologi e studiosi di estetica; nello studio della mania automobilistica vista dalla psicanalisi e dalla narrativa; nella musica leggera e nello spettacolo, con cantanti e comici; nell’immagine pubblicitaria e televisiva dell'automobile, con esperti di comunicazione pubblicitaria.
Gli incontri avranno luogo in uno spazio allestito a mo' di studio televisivo, intervallati da proiezioni di audiovisivi sul tema dell'auto e dei suoi paradossi con cui conviviamo.
Inoltre, ci sarà: On the Road: Laboratori del Dipartimento Didattico della Gam, laboratori appositamente pensati per la mostra “Drive” che condurranno, attraverso suggestioni visive e sonore, una personale riflessione sul tema del viaggio. Uno speciale taccuino raccoglierà i pensieri e le immagini di questa esperienza.
Per i redattori della stampa, delle radiotv, del web:
Simona Di Giovannantonio, ufficiostampagam@comune.bologna.it

“Drive”: automobili nell'arte contemporanea
Galleria d’Arte Moderna di Bologna
Piazza della Costituzione 3
Fino al 5 marzo 2006
Info: tel. 051 – 50 28 59


Negri e la Madonna


Non lasciatevi ingannare dal titolo di questa nota. Non si tratta di Toni Negri che pure s’è prodotto su pagine ecclesiastiche in epoca recente (un tempo era iscritto alla Dc, com'è ricordato nella sez. biografie d'un sito), ma della poetessa fascista Ada Negri (Lodi, 1870 – Milano, 1945).
Confesso che quando ho cominciato a leggere una sua poesia, ho pensato a un tiro birbone di qualche salace miscredente, che pensare di versi come quelli che seguono? La Madonna del Fascio / fu composta in Portogallo; / Il suo autore or qui tralascio, che la diede, senza fallo… e poi continua.
D’accordo, la Vergine è sprovvista di fallo (e pare anche di ovaie, visto che partorisce nel modo in cui sappiamo facendo ammattire da secoli i ginecologi), ma questo – mi sono detto – deve essere una birbonata di Daniele Timpano perché sul sito di Amnesia Vivace l’ho colta.
Daniele Timpano: attore e conduttore di quella home, protagonista di spettacoli pluripremiati… a proposito se vi càpita a tiro il suo “Dux in scatola” non perdetevelo.
E, proprio durante la preparazione di quello spettacolo, ho saputo che s’imbatté nella poesia della Negri, per saperne di più, cliccate QUI.
Amnesia Vivace - titolo tratto dall’altro di Frank Zappa – è un frizzante flut colmo d’effervescente teatro da sorseggiare in Rete. Ha un retrogusto secco e, talvolta, aspro, ben merita, quindi, un vostro assaggio.

Amnesia Vivace
Sito in Rete


Arte cinese contemporanea


Dopo la bella mostra milanese, a cura di Daniela Palazzoli, di mesi fa allo Spazio Oberdan di Milano, dedicata ad artisti cinesi contemporanei, ecco una nuova occasione per conoscere quanto va succedendo oggi in quel settore artistico in Cina.
La offre Sala 1 di Roma.
Sala 1 è un Centro internazionale d'arte contemporanea da tempo valorosamente impegnato nel presentare aspetti d’avanguardia non solo delle arti visive, ma anche dell'architettura, del teatro e della musica.
Il centro è diretto in modo egregio da Mary Angela Schroth, con la collaborazione di Antonella Pisilli.
La mostra in corso è intitolata Videozoom ed è ordinata da Mariagrazia Costantino.
Si tratta di una selezione di 9 video d’altrettanti artisti cinesi nati tra la fine degli anni ’60 e la fine dei ’70; alcuni vengono da regioni periferiche del paese, come lo Hunan o il Fujian, ma tutti vivono adesso in grandi città come Pechino, Shanghai, Shenzhen, Canton.
Se ne deduce che non devono essere troppo invisi ai governanti cinesi (lo testimonia anche il patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura a Pechino), mentre quelli esposti a Milano erano quasi tutti fuggiti dal loro paese. Uno di loro, prima di fare le valige, s’era amputato un dito (le foto in mostra questo testimoniavano), lo aveva sotterrato in un giardino ripromettendosi di riportarlo alla luce – un po’ malconcio, immagino – se e quando un giorno avesse fatto ritorno in patria. Ed è una patria dove la violazione dei diritti umani è sistematica, meritandosi la pessima classifica che gli attribuisce Amnesty International. E, per la storia delle gags, i rimproveri di Bush, vale a dire: Barbablù che fa la morale a Dracula. Certo che è abbastanza curioso come non solo il nostro pessimo governo, ma anche altri, e non solo i grandi media italiani, ma anche stranieri, abbiano dimenticato in fretta Tien An Men (1989).
Aldilà di queste considerazioni, va dato merito alla Sala 1 di offrire una visione del lavoro d’artisti che mai altrimenti avremmo avuto modo di conoscere.
I loro nomi li trovate al link che ho dato prima, dove ci sono anche note ben esposte sui profili e gli obiettivi espressivi del lavoro di ciascuno dei nove in mostra.

Videozoom: La città: il miraggio e il riflesso
Video di artisti cinesi contemporanei
Sala 1, P. Porta S. Giovanni
Fino al 23 dicembre
Dal martedì al sabato: 16:30 – 19:30
Info: 06 - 700 86 91; salauno@salauno.com


Ernesto Che Guevara a Praga


“I grandi resteranno nel ricordo. Ma ognuno di loro fu grande a seconda di ciò in cui ha sperato. Uno fu grande sperando il possibile. Un altro sperando l’eterno. Ma chi sperò l’impossibile fu il più grande di tutti”.
Questa memorabile riflessione di Sören Kierkegaard ben s’attaglia al ‘Che’ Guevara.
Appare, infatti, in esergo a un libro, pubblicato dalla casa nuorese Ilisso (sito web bisognoso di un urgente restyling), dal titolo Diari di Praga che racconta i mesi tra il 1966 e il 1967 trascorsi dal rivoluzionario in clandestinità a Praga per prepararsi alla prossima, per lui fatale, avventura in Bolivia.
L’autore è l’argentino Abel Posse – diplomatico di carriera, autore di 9 romanzi tradotti in 19 lingue – che di Guevara esplora quel tempo praghese, trascurato da molte biografie, dopo aver condotto una rigorosa inchiesta per documentarsi.
Scrive Maria Rita Corticelli nella postfazione: Ernesto Guevara si trasforma nel romanzo di Posse nell’incarnazione di tutte le idiosincrasie dell’Occidente con la sua ossessione di ridurre tutta la realtà a un assoluto sistema di valori. […] Nella versione di Posse il “Che” agisce come un profeta le cui azioni vogliono disperatamente evitare un futuro in cui né il socialismo né il capitalismo daranno risposta al desiderio di libertà dell’uomo.

A proposito di Ilisso, ecco una realtà editoriale cui i media dovrebbero prestare più attenzione. Perché è una Casa la quale si propone con una produzione assai ben articolata che, accanto a pubblicazioni attente a illustrare profili archeologici e antropologici della Sardegna, dove ha sede, presenta anche altri spunti. Ad esempio, una nuova collana di narrativa: ‘Ilisso Contemporanei’ che intende far crescere il multiculturalismo attraverso libri, belli nei contenuti e nella veste grafica, un’autentica biblioteca delle diversità.
E qui torno a segnalare un libro splendido di cui già mi sono occupato in una nota di tempo fa: “L’ombra di Imana” della scrittrice franco-ivoriana Véronique Tadyo tradotto sapientemente da Maria Teresa Carbone.

Abel Posse
"Diari di Praga"
202 pagine, 13:50 euro
Edizioni Ilisso


Lieto Colle


Nel corso del mio reportage dalla IV Fiera della piccola e media editoria ho incontrato un editore che mi ha parlato con tanta eleganza e passione per il suo lavoro che mi piace qui riferirvene.
Si tratta di Michelangelo Camilliti, lavora a Camnago (nell’alto Comasco), figlio di emigranti, famiglia numerosa e poverissima, lui stesso manovale per qualche tempo, titolo di studio terza media. Gestisce una cartolibreria, ma l’amore per la cellulosa l’ha trasferita anche ai torchi dedicandosi prevalentemente a pubblicazioni di poesia. Non avrò, quindi, altre occasioni di occuparmene perché, come sanno i miei 25 lettori, dalla poesia lineare Cosmotaxi se ne tiene lontano, con qualche raro spazio per la rock e videopoetry. Comunque va detto che accanto a molti debuttanti, non tutti memorabili, Camilliti allinea anche nomi di consolidata fama, uno per tutti: la grande Alda Merini.
La casa da lui fondata è la Lieto Colle. Ha un sito web che si presenta con grafica vetusta, ma lì è possibile aggirarsi fra “libriccini da collezione”, come li definisce l’editore. Mi ha dato allo stand anche un libro di narrativa di recentissima uscita: “La Presenza” di Alvaro Strada, con la simpatica raccomandazione: “parlane solo se ti piace”. Ubbidisco. Non lo recensirò, è un libro lontano dai miei gusti e dai miei interessi, ma per i lettori amanti del thriller sospeso fra ambiguità metafisiche e indagine storica, è senz’altro una deliziosa lettura, un’originale via italiana lungo un genere letterario di successo, sul tipo “Codice da Vinci” di Dan Brown, tanto per intenderci.
Chiudo questa nota ricordando la coinvolgente press agent Diana Battagia (una simpaticissima iradiddio al banco in Fiera) che promuove Lieto Colle con grande professionalità, roba che molti editori se la sognano una come quella lì.


Gemme in Rete


Uno dei migliori blog di cui disponiamo in Italia credo che sia quello condotto dal musicista e performer Sergio Messina: notizie difficili da reperire altrove, commenti fulminanti, scrittura rapida e di grande seduzione comunicativa.
Visitate quell’angolo di rete e mi ringrazierete… toh… pure la rima!
Tossicodipendo da quel blog e quando non ci trovo notizie nuove (accade di rado, è pressoché un quotidiano), m’incazzo quasi fossi un abbonato con tanto di pagamento che si sente truffato dalla mancanza dell’arrivo di nuovi numeri.
Oggi vi ho colto il rimando ad un articolo del Messina medesimo apparso su Rolling Stone Italia: un microsaggio su web e religioni che esplora (fornendo molti links) il rapporto fra nuove tecnologie e fedi.
Non perdetevelo. Cliccare QUI.


Tra Inferno e Paradosso


“La libertà genera motti di spirito ed i motti di spirito generano la libertà”, così scriveva lo scrittore tedesco Friedrich Richter, più noto come Jean Paul, ai primi dell’800.
Nel 1900 uscirà la prima indagine moderna sui meccanismi del ridere con “Il riso” di Henri Bergson, più tardi sarà Freud, con il celebre saggio ‘Der Witz’ nel 1912, ad indagare il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio.
Ancora oggi gli studi che riflettono su quello stimolo che porta al sorriso o alla risata, passano tutti per quei grandi classici.
Indagine difficile, e serissima, quella sul ridere come confermano anche recenti ricerche dei neuroscienziati cognitivisti.
Di sicuro aveva torto quell’Anonimo che diceva “Il riso abbonda sulla bocca degli stolti”, anche perché gli stolti, in realtà, non sanno ridere; il motivo è presto detto: quegli stessi stolti diventano irascibili se sono fatti oggetto di battute.
Berlusconi, ad esempio, ride (da solo) alle vecchie barzellette che ama raccontare spacciandole per nuove, ma s’infuria se l’oggetto della barzelletta è lui.
Di felicissimo titolo si fregia un libro di recente uscita - pubblicato dall’ottima Addictions della quale v’invito a visitare il catalogo – perché è agito già da un calambour: Tra inferno e Paradosso.
E le pagine sono fitte di humour, ora celeste ed ora sulfureo, roba che ti fa andare a dormire rasserenato anche se hai passato una giornata di quelle tozze.
L’autore è Romano Bertola, paroliere di canzoni che hanno avuto successo a Sanremo, di spettacoli interpretati da Rascel ad Arbore a Corrado, di un’infinita serie di spot e di celebri Caroselli: Jo Condor, l’Olandesina, El Merendero, Caffé Paulista, per citare i più memorabili.
Bertola è capace di folgori umoristiche, contenute nel volume, quali: “Un film muto portato a Lourdes si mette a parlare”, “La cosa che più faceva indispettire Eva era sentirsi dire da Adamo: eppure tu mi ricordi qualcuna!”, “Il testimone di Geova cui ho sempre sbattuto la porta in faccia, si è presentato stamattina insieme a un vecchio dalla gran barba bianca: ho l’impressione che cominci a fare sul serio”.
Ha un solo guaio Bertola: non cestina nulla di quello che scrive, pubblica tutto. Mi ricorda un altro che aveva lo stesso limite, Marcello Marchesi. Mi ha fatto generosamente collaborare a suoi testi radiotelevisivi, ma non voleva saperne di buttare via niente, neppure quello che scrivevo io che pure lo meritava quel tuffo.
Se solo Bertola avesse più pratica del cestino, sarebbe imbattibile.
Sia come sia, ecco un libro godibilissimo, assai adatto per una strenna natalizia.

Romano Bertola
“Tra Inferno e Paradosso”
191 pagine, 10:00 euro
Edizioni Addictions


Butabu


Piccolo quiz: che cosa significa questa parola?
Tic-tac tic-tac… avete solo tre anni per rispondere… tic-tac tic-tac…
Già perché la domanda non è facile facile.
Vi do un aiutino come dicono i concorrenti più scrausi agli scrausi conduttori di quiz in tivvù… come dite?... sì, ve lo do subito… solo un attimino.
Butabu, in lingua nigeriana, significa ”impasto di terra”.
Il giovane artista napoletano Marco Abbamondi ha ideato e realizzato un’opera che, ispirandosi, all’architettura tradizionale africana, e in particolare ad una moschea del venerdì (fatta di legno e fango), presente nella zona di Agades, in Niger, ne rivisita in chiave contemporanea profili e strutture.
Marco Abbamondi, partito anni fa innovando l’arte presepiale, via via è andato esplorando modalità stilistiche che ha applicato su altri scenari espressivi.
Per vedere Butabu non è necessario viaggiare fino a Agades, basta cliccare sul suo sito web dove più diffusamente è spiegato tutto quanto; inoltre potrete saperne di più su di lui e le cose che va combinando.


La voce di Pinocchio


La casa editrice Luca Sossella ha da tempo un’attenzione verso l’audiolibro. Lo fa in modo culturalmente ragionato e con eccellenti qualità tecniche. Più articolate notizie le trovate QUI.
Mercoledì 14 dicembre, a Roma, ci sarà la presentazione del Pinocchio di Carmelo Bene: due cd audio per oltre 90 minuti di ascolto.
Alle 12:00, parleranno dell'opera: Piera Degli Esposti, Giancarlo Dotto, Lydia Mancinelli, e l'editore che potete sentirlo qui anche durante un suo volo spaziale; alle 12:30: ascolto dell'incipit e dell'explicit dei Cd.

Cinecittà Campus
via Quinto Publicio, [angolo via Lamaro], Roma
Ufficio stampa: 06 – 722 93 660
Valentina D'Arco pr.campus@cinecittastudios.it


Quinto Cortile


Esiste un’interattività fuori del web? Si direbbe di sì (anche se sto per dirvi di un’interattività programmata e quindi non proprio tale) stando a quanto accade a Quinto Cortile, un luogo milanese di mostre che hanno sempre un taglio molto originale.
Ora presentano un’installazione intitolata Ex voto.
E’ un lavoro di Mavi Ferrando che consiste in una serie di piccole sculture di legno dalla forma ottagonale di cm 61,5x19x1,6 sulle quali 30 artisti sono stati invitati ad intervenire con un’operazione d’interazione e contaminazione linguistica sul tema degli ex voto.
Ogni opera diventerà pertanto un lavoro a quattro mani con 60 interventi di 30 artisti.
Tanti i nomi, la mia pigrizia m’impedisce rigorosamente di trascriverli, né, purtroppo, posso darvi il link al sito di Quinto Cortile perché il comunicato pervenutomi non ne fa cenno, né una mia ricerca sul web (… sfaticato sì, ma non fino a questo punto) ha dato risultati.
Ve lo dicevo che là praticano un’interattività un po’... particolare, in tutti i sensi. Mi permetto, però, di suggerire agli organizzatori di provvedere ad una home page affinché incoraggino i media ad interessarsi a loro, altrimenti accadrà che – a partire da questo mio modesto spazio – in parecchi in futuro non ci occuperemo delle loro pur interessanti realizzazioni che meritano attenzione.
Scrive Donatella Airoldi presentando “Ex voto”: Mavi Ferrando fa partecipi delle proprie installazioni, testardamente ogni dicembre ormai da alcuni anni, una molteplicità di artisti e artiste incontrati nella vita o per momentanee sintonie […] L’artista, scultrice fin dagli anni settanta, in questa mostra non costruisce architetture o strutture futuribili, ma dà forma a singolari tavole intagliate, ognuna con una propria unicità, data poi e condivisa ad un solo ed altro artista scelto e chiamato a contaminarsi in un linguaggio comunicante e raro come quello di un’opera a quattro mani […] ‘Ex voto’, reciproco sguardo di artisti provenienti da luoghi lontani ma parallelamente vicini, linguaggi che non hanno bisogno di traduzioni linguistiche ma che riescono ad avere un denominatore comune nel quale interagiscono cultura, storia, individualità, e dove ciascuno ha trasmesso le proprie comete perdute.

Quinto Cortile
Viale Col di Lana 8, Milano
Dal 13 al 22 dicembre
Orario: da martedì a venerdì dalle ore 17,30 alle 19,30
Info: 338 – 800 76 17; segr/fax 02 – 58 10 24 41
E-mail: quintocortile@tiscali.it


Monte Bianco in Noir


Oltre trenta film di cui due terzi in anteprima assoluta; più di 40 scrittori tra i più rappresentativi del genere in Italia e nel mondo; le serie tv che domineranno la stagione televisiva da “Medium” a “Commander in Chief”; anteprime attesissime come “Le cronache di Narnia” e le prime immagini di “Wallace and Gromit”; star assolute come Jeffery Deaver (“Il collezionista di ossa”), David Cronenberg (“A History of Violence”), George Pelecanos (vincitore del Raymond Chandler Award 2005), Carlo Lucarelli (“Blu notte”), Nicholas Evans (“L’uomo che sussurrava ai cavalli”), i Premi Oscar Bille August e Gabriele Salvatores, Val Kilmer e Omar Sharif, Claudio Bisio, Barbora Bobulova, il famoso maestro d’armi Renzo Musumeci Greco.
Tutto questo è la XV edizione del Courmayeur Noir in Festival che è in corso tra le nevi del Monte Bianco all’insegna dello slogan “Il Noir al potere”.
Il Courmayeur Noir in Festival, è nato nel 1991 dall’esperienza del MystFest alla quale appartengono, infatti, tutti i componenti dell’attuale direzione: Giorgio Godetti, Marina Fabbri, Emanuela Cascia.
Dalla introduzione al catalogo: C’era da aspettarselo: dopo un cammino lungo quasi trent’anni – per non parlare dell’impegno di protagonisti della nostra scena culturale come Oreste del Buono che quest’idea avevano coltivato da molto prima – il Noir non soltanto si è affermato come valore letterario e riferimento di costume, ma si è fatto anche categoria di senso e moda culturale.
E invece è forse tempo di porsi dei dubbi su questo “Noir Power” di cui meniamo vanto tra molti altri pionieri e sostenitori del fenomeno. Il tarlo del dubbio non è di ora: le polemiche sulla sclerotizzazione di un modello che rischia di diventare calligrafia hanno già occupato da qualche anno riviste e convegni, specie in relazione all’affermazione dei nostri autori più cari.
Poi è venuto un successo editoriale indistinto che, in nome delle etichette e della commistione dei metodi narrativi, arruola sotto le bandiere del noir qualsiasi forma di racconto a condizione che vi si celi un mistero, un intrigo, una morte violenta.
Infine è stato necessario prestare attenzione alla scorciatoia espressiva per cui ogni film, ogni libro, ogni fumetto, ogni serie tv (con l’eccezione delle vite dei Santi, e ancora…) attingeva agli schemi del thriller per farsi accettare, capire, finanziare. Sicché, nel guazzabuglio attuale, ha ben ragione chi reclama diversa attenzione per i valori ideologici, morali, in qualche modo politici, che avevano presieduto alla concezione originaria di questa scuola espressiva.
L’edizione 2005 del nostro festival si colloca sotto l’egida di questa riflessione, un pendolo oscillante che potrebbe rivederci di qui a qualche anno formulare gli stessi interrogativi con un opposto punto di vista. Ciononostante è bene farsi qualche domanda per non restare travolti da una piena di minacciosi Templari alla conquista dei segreti della Storia, di fenomeni paranormali che attirano i serial killer come il miele le api, di fideismi dubbi che passano sotto il segno del mistero e creano una cultura della certezza grazie alla scorza protettiva di un supergenere devoto soprattutto al dubbio

Gran finale stasera con le premiazioni e una “cena con delitto” nello stile dei radiogialli di una volta.


Più libri più Liberi

Cosmotaxi Special per 'Più libri più Liberi':
Roma, 8 – 11 dicembre


Le cifre della Fiera


Comincio col dare i numeri… sì, mi succede spesso.
Questa quarta Fiera della piccola e media editoria voluta dall’AIE (Associazione Editori Italiani), propone un incontro con circa 50mila libri.
Gli espositori presenti quest’anno sono 349 distribuiti in 262 stand.
Provenienza degli espositori: dal Nord Ovest: 90; Dal Nord Est: 36; dal Centro 171 (il comunicato della Fiera dice 174; erroneamente, tra le regioni centrali mette il Vaticano che è, invece, uno stato estero; troverete perciò da me messo il Vaticano più in basso, il Vaticano sta sempre più in basso); Sud e Isole: 55; Stati esteri 4 (Svizzera, 1; Vaticano 3).
Oltre 200 appuntamenti, fra incontri con autori, convegni, presentazioni di novità librarie.

Sito internet: www.piulibripiuliberi.it


Le cifre della piccola e media editoria


Il settore nel 2004 ha conservato la sua quota di mercato (32%) in libreria, che rappresenta comunque il principale, quando non unico, canale di accesso al lettore, generando un fatturato a prezzo di copertina di 328 milioni di euro (con un incremento del 5% rispetto al 2003). Quando però si confronta questo dato di crescita con alcuni altri indicatori come il numero di novità (cioè la capacità di proporre a un lettore sempre più sofisticato e con nuovi bisogni di lettura nuovi titoli: +20%), o di mantenere vivo il catalogo (+16%) si capiscono la difficoltà e gli sforzi che questo comparto dell’editoria italiana deve fare per mantenere le posizioni acquisite. Per comprendere il ruolo che svolge la piccola e media editoria nel panorama complessivo basta osservare “l’indice di specializzazione”: solo il 5% dei grandi editori può considerarsi tale (soprattutto nel settore professionale e scolastico-educativo), rispetto al 79,3% dei piccoli e al 15,7% del medi.


Slogan


Lo slogan di quest’anno è: I libri accendono i pensieri.
E’ talvolta capitato in passato – e in più parti del mondo accade ancora – il contrario.
Dittature e religioni, specie le monoteiste, hanno tanto freddo nel cuore da riscaldarsi al fuoco di volumi loro sgraditi.
Combattere quei signori è un dovere. E anche un piacere.


Fahrenheit


Oramai da tempo Radiorai è diventata un incrocio fra Radio Maria e Radio Caciotta, e in particolare lo è RadioTre.
Succede, però, che per via dell’ottimo Marino Sinibaldi la radio pubblica abbia ancora un angolo dove è possibile un civile ascolto: Fahrenheit.
In diretta dal Palazzo dei Congressi dell’Eur, Fahrenheit andrà in onda durante i giorni della Fiera. Sarà lo spazio del ‘Caffé Letterario’ ad ospitare tutti i pomeriggi la postazione del programma di Radio3 Rai condotto da Marino Sinibaldi, protagonisti i libri, gli ascoltatori, il pubblico della Fiera insieme con tanti ospiti interessanti della manifestazione.
Scrittori, filosofi, critici, giornalisti, poeti, artisti, saranno “catturati” dalla redazione e coinvolti dai microfoni di Fahrenheit nelle puntate speciali dedicate alla Fiera, accompagnate da musica dal vivo eseguita da gruppi che si alterneranno sul palco.

Radio3 -“Fahrenheit”: fino all’11 dicembre, ore 15.00 - 18.00


AAA Affari in vista


“Più libri più liberi”, ospita in questa quarta edizione dieci editori provenienti da Francia, Germania, Olanda, Portogallo e Spagna con l’obiettivo di favorire la conoscenza – e il successivo scambio di diritti - tra gli editori italiani e quelli stranieri.
Un’opportunità vera, anche per gli editori più piccoli per dimensione e più giovani per età ed esperienza, d'incontrare nomi importanti dell’editoria internazionale.
Tra gli stands si aggireranno così a caccia di titoli da tradurre i dieci rights manager di Les Belles Lettres e Liana Levi (dalla Francia), Aufbau, Goldmann del gruppo Random House e Ullstein (dalla Germania), Rothschild (dall’Olanda), Dom Quixote e Teorema (dal Portogallo), Siruela e Tusquets (dalla Spagna): si tratta di una selezione di editori europei, importanti perché specificamente interessati al panorama delle case editrici presenti e alle loro pubblicazioni. Sono inoltre presenti in Fiera, considerata la grande attenzione alla produzione editoriale presente a ‘Più libri’ già manifestata nelle scorse edizioni, i rights manager di Bertelsmann e di Le Seuil che si occupano di letteratura italiana.
Non si tratterà di un vero e proprio “agents centre”: Più libri più liberi non diventerà la piccola Francoforte italiana dello scambio dei diritti e resterà comunque un appuntamento per il grande pubblico. L’obiettivo è piuttosto quello di offrire a importanti marchi stranieri un focus dedicato nello specifico al settore, oltre a quello di verificare il loro interesse nei confronti della produzione editoriale nazionale che non sempre può godere delle ribalte internazionali.


Tutti quelli che


Si storcono in tanti alla parola Fiera. Succede qui a Roma, succede a Torino, e altrove.
Anche parecchi editori. Poi li trovo nella lista degli espositori. Vuol dire che (buon per loro) hanno accettato le regole fieristiche, potevano, infatti, non andarci, nessuno li obbligava.
Vi ricordate quando i libri apparvero nelle edicole? Quanti presero a singhiozzare su quella cosa! Mo' sono in molti a storcere il muso nel vedere i libri nelle Fiere o al supermercato (invece di studiare come entrarci in quel circuito di vendite!).
Godo quando al GS vedo La Certosa di Parma o il Videolibro Totem spuntare fra un pacco di riso e un altro di assorbenti: ecco, mi dico, il libro è stato riconosciuto come merce, è uscito dalla nociva sacralità cui lo consegnano interessati editori e librai, critici a pagamento, scrittrici e scrittori dilettanti (o professionisti dementi, ce ne sono). Dicono che il libro ha una sua specificità. D'accordo. Ma quale merce non ce l’ha. Ognuna ha la sua specificità. Insomma, il dirlo è un'ovvietà.
Merce è. E' in vendita?…ha un prezzo di copertina?…e allora?


University Press


Sono parecchi ormai gli editori che si fregiano della dizione “University Press”.
Dovrebbe appartenere soltanto alle Università che stampano libri, o no?
Le Università che, in Italia, dispongono di una loro “Press”, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti o in Inghilterra dove sono sigle prestigiose, da noi sono robe da serie B.
Per non dire dei criteri di pubblicazione, spesso, frutto di clientele.
Insomma siamo ben lontani dagli standard di Oxford, per fare un solo esempio.
Circa gli editori che pubblicano per le Università, si nota un distacco fra i libri prodotti e il sistema d’insegnamento oggi. Da quando, infatti, i nuovi moduli didattici hanno scomposto i vecchi corsi, non è più praticabile per i docenti proporre allo studio testi corposi, per esempio di 300 pagine. Sono costretti, viste le misure lillipuziane di quei moduli, ad adottare testi brevi mentre gli editori continuano a sfornare volumi massicci che sono, di fatto, improponibili soprattutto nelle discipline umanistiche.
Sono gli effetti della barbarie voluta dalla sciura Moratti che ha devastato scuole e università.
Succede, poi, che molti di questi testi sono stampati a pagamento da docenti cui serve la pubblicazione per fare punteggio nei concorsi oppure sono libri pubblicati per accedere a fondi internazionali.
Una vera University Press, in Italia, è ancora di là da venire.
Sarebbe anche il caso che, come i tempi nostri impongono, venisse riconosciuta validità - ai fini dei concorsi - alle pubblicazioni fatte sul web sui siti degli autori che dispongono di una propria home page. Questo non limita risorse agli editori, anzi ne amplificherebbe le chances, perché – qualora s’attrezzassero in tal senso – potrebbero varare siti dove pubblicare testi scaricabili.
Bene, quindi, fa questa Fiera ad affrontare il tema con alcuni previsti incontri.
A proposito di editori a pagamento, ecco un altro tema di grande rilevanza specie per la piccola editoria. Me ne occupo nella nota che segue.


Editori appagati


Sono in molti a stracciarsi le vesti sugli editori cosiddetti a pagamento.
La faccenda, in realtà, è assai semplice. Non trovo scandalosa l’esistenza di un’editoria che accolga autori paganti.
Quegli editori esistono perché ci sono autori che ne reclamano i servizi fino ad esporsi in più di un caso (qualche sentenza lo dimostra) a veri raggiri contrattuali; la vanità di vedersi pubblicati può giocare brutti tiri, talvolta è castigata duramente, e aggiungo – da malvagio quale sono – giustamente. Così imparano.
Ecco, questo è il punto. Quegli editori fanno, innanzitutto, firmare un contratto? E, se sì, ne rispettano poi le clausole? Clausole che, spesso, quasi sempre, promettono distribuzione, presentazioni radiotelevisive, incontri col pubblico. Se tutto ciò avviene, nulla di male, se non avviene oltre ad essere un reato, attizza speranze che era meglio spegnere, aggiunge stanchezza alla già stanca carta. E, guaio ultimo ma non per importanza, trasformano in frustrati scrittori tanti che potevano essere buoni lettori, ma ormai impiegano tanto tempo a scrivere da non trovarne più per leggere.


Note dolenti


I piccoli e medi editori, in maggior parte, non fanno buona comunicazione.
Qui siamo al disastro. Quasi la totalità, dei cosiddetti uffici stampa sfiorano la comicità involontaria. E’ evidente che i piccoli e medi editori non ritengono questo settore strategico, pure se a parole s’affannano nel dire il contrario.
S’affidano a volenterosi, ma improvvisati, personaggi che nulla sanno di quel mestiere.
Eppure, proprio quest’area editoriale che soffre tante difficoltà nella distribuzione prima e in libreria poi, dovrebbe attrezzarsi per disporre di un’efficace comunicazione verso i media e chi legge.
Perché pubblicare decine di titoli in un anno e non editarne solo dodici, in pratica uno per ogni mese, riservando energie economiche alla promozione? E, specie per le sigle debuttanti, il maggiore sforzo economico dovrebbe essere puntato proprio lì. Non ci s’illuda di fare a meno di professionisti negli uffici stampa, gente che possiede un’agenda giusta e sa come fare con redazioni, enti, associazioni; certamente costano, ma sono soldi ben spesi.
Calamitosa, poi, è la conduzione dei siti web. Succede pure che qualche editore non ce l’abbia, un po’ come se un tipografo non avesse un proprio biglietto da visita. Ma, tralasciando questa disperata condizione – più diffusa di quanto si pensi – , colpisce l’improvvisazione con la quale sono allestiti certi siti con grafica giurassica, funzionalità incerta, legnose presentazioni goffamente autoelogiative.
Ho sentito più di uno che mi riferiva d’essersi affidato “ad un amico che col computer se la cava”! No, non ci siamo proprio. Pubblicate di meno e spendete quei soldi così risparmiati in buona comunicazione. Serve a voi più che ad altri già affermati su piazza.
Naturalmente, tutti poi a lacrimare sul fatto che il loro lavoro non ha visibilità sui media. Sfido io! I media raramente sono mossi da persone curiose e disponibili, d’accordo, ma se non li raggiungi nemmeno, con appropriati messaggi, che vuoi mai sperare?
Dovrebbe essere necessaria una patente per diventare editori.
O, quanto meno, l’antidoping.


Trailers


Seguono ora una serie di novità e pensieri d’alcuni editori che ho invitato a fare un giro in Cosmotaxi.


Meltemi


Ottima casa la Meltemi guidata da Luisa Capelli.
Dopo la scomparsa di Marco Della Lena, fondatore con la Capelli, di Meltemi, la responsabilità dell’Editrice è tutta di questa donna che è stata dolorosamente costretta ad assumerne da sola il timone.
Meltemi, pubblica da anni libri di grande qualità ed è diventata una protagonista della scena editoriale italiana con l’attenta proposta di saggi specialistici su campi che vanno dalla sociologia all’antropologia, alla semiologia, alla comunicazione, alle arti elettroniche.
A Luisa, ho chiesto di dirmi dei problemi che la piccola e media editoria affronta e una sua proposta per risolvere, almeno in parte, tali problemi.
Sono un po’ stanca, caro Armando, del coro di lamenti sulle cose che non vanno nell’editoria, in questo Paese, nel mondo. Risponderò perciò solo alla tua seconda domanda. Non ho “ricette” da proporre, ma un metodo che cerco di seguire. Se ciascuno di noi possiede alcune carte da giocare che attribuiscono un senso al proprio stare al mondo, la mia è mettere al primo posto le relazioni con le persone: autori, lettori, collaboratrici e collaboratori che lavorano con me. Il nostro obiettivo, intervenire nella politica editoriale e culturale italiana, e farlo con passione e rigore, non sarebbe possibile senza una fitta rete di rapporti che contestualizzano e danno misura ai problemi (la distribuzione che non funziona e penalizza i piccoli editori, il mercato editoriale sempre più irrigidito e segnato dalla ripetizione dell’uguale, il mondo della ricerca mortificato dall’assenza di una politica culturale, i conti che non tornano, ecc.). Mettendo al centro le persone in luogo delle cose forse non confezioneremo dei rimedi, ma faremmo nuovamente circolare idee ed emozioni che sono le uniche in grado di produrre cambiamenti duraturi.

Se fossi un credente, direi parole sante. Non lo sono e dico: parole giuste.
Per le novità della Meltemi, cliccate QUI


Costa&Nolan


L’Editrice Costa&Nolan è guidata da Silvio Mursia che ha rilevato le collane Ritmi (già di Theoria) e Under 25 (già di Transeuropa).
Ecco che cosa dice a proposito delle attività previste per l’anno prossimo.
I programmi per il 2006 prevedono da un lato ristampe, ma soprattutto molte nuove edizioni dei titoli esauriti in modo da avere entro l’anno un catalogo sempre attuale come lo è stato in tutti questi anni dal momento che la nostra casa editrice è un preciso punto di riferimento per università, studiosi, e tutti i settori della comunicazione in genere. Dall’altro continueremo lo sviluppo dei nuovi temi di cui ci siamo, con successo, occupati nel 2005, in particolare con le collane “Estetiche della comunicazione globale e videoludica.game culture”.
Malgrado l’uso sempre più diffuso delle nuove tecnologie il libro resta lo strumento più valido per un approfondimento, anche e soprattutto su questi temi. La comunicazione, quindi, ma anche “l’estetica” delle nuove tecnologie occuperanno un posto importante nella produzione 2006. Per la narrativa, rigorosamente italiana, rigorosamente Under 25, valorizzeremo alcuni autori esordienti, sia con l’antologia “Under 25. Terzo millennio” con diversi romanzi che spaziano sia dal giallo al noir, sia dalla sf al fantasy
.

Tra le novità presenti sui banchi in questa Fiera, segnalo: Neotelevisione, raccolta d’interventi che riflettono sulla tv come laboratorio genetico tra interattività e nuovi mondi mediali, a cura di Marcello Pecchioli; Mediazioni, saggi coordinati da Antonio Tursi su spazi virtuali, tecnopsicologie, cyborgs, con scritti firmati da molti autori che vanno da Alberto Abruzzese a Umberto Cerroni, da Pierre Lévy a Derrick de Kerckove; Gli strumenti del videogiocare di Matteo Bittanti, libro di cui mi sono occupato settimane fa in Cosmotaxi.


Elèuthera


Alla vigilia della Fiera, ho parlato con Carlo Milani, uno dei responsabili di Elèuthera che compie vent’anni.
Gli ho chiesto: come festeggerete questa importante data?
Già, Eleuthera nasce nel 1986: per noi sono vent'anni di cultura libertaria. Che festeggeremo con una nuova collana, di volumetti agili di "divulgazione alta", per le università e per tutti i curiosi, sugli argomenti che più ci stanno a cuore: educazione, ecologia, filosofia politica, scienze umane, critica delle istituzioni totali, libertà civili, urbanistica partecipata, globalizzazione e modelli di sviluppo, pensiero anarchico e libertario, circolazione e condivisione dei saperi.
Apriremo con l'antropologia: l'ormai classico Marc Auge' (L'antropologia) e il consolidato François Laplantine (Il métissage). Una nuova grafica, ma sempre la stessa eleuthera: libri che sono piccole tessere per comporre l'infinito mosaico delle libertà.
Ecco alcune sorprese per i lettori: fuori collana "Guida erotica al Louvre e al Musee D'Orsay", un volume fotografico riccamente illustrato, beffardo e colto, elegante e sporcaccione, che ci accompagna con leggerezza sapiente nell'eros dell'arte del Louvre.
Un volume sul calcio: Casarin e Pastorin raccontano virtù, e vizi, dello sport nazionalpopolare.
Dicembre, ricorre l'anniversario di Piazza Fontana: una nuova edizione dell'inchiesta di Luciano Lanza ("Bombe e segreti") testimone dei fatti, con un'intervista al giudice Guido Salvini.
Avremo anche traduzioni, ma pure testi di autori italiani e voci dai movimenti
.


Edizioni Dedalo


Altro compleanno editoriale. E stavolta sono quaranta gli anni d’attività.
Quattro decenni spesi su di un impegno di grande produzione culturale distribuita con ragionato disegno attraverso appropriate collane. Ospitano testi su temi che vanno dall’antropologia alla linguistica, dalla sociologia alla storia, dalla filosofia all’architettura, dallo spettacolo alla satira fino a preziose applicazioni della divulgazione scientifica.
Alla guida di Dedalo: Claudia Coga.
A Claudia ho chiesto d’indicare il principale problema della piccola e media editoria.
A mio avviso il principale problema della piccola e media editoria è quello della distribuzione. Spesso, anche editori di media grandezza riescono a risolvere mille difficoltà, fanno grossi investimenti per riuscire a pubblicare un autore importante, affrontano gli alti costi di una buona traduzione e alla fine realizzano un ottimo prodotto. Tutto questo però è penalizzato da una scarsa presenza in libreria o da limitati investimenti pubblicitari. Considera ad esempio il nostro caso: la Dedalo è una casa editrice non certo piccola, con oltre 1000 titoli in catalogo, 40 anni di attività, circa 30 novità all’anno e varie ristampe, una discreta distribuzione in libreria a livello nazionale, pubblicità su quotidiani e riviste, eppure spesso i lettori o gli autori lamentano una scarsa presenza in libreria. Questo accade perché si pubblicano troppi titoli, le librerie sono “affogate” da valanghe di volumi e spesso sono costrette a dare maggiore visibilità ai best seller, ai volumi più commerciali e comunque ai grossi editori che possono imporglielo.
I volumi “di qualità” di piccoli e medi editori restano in questo modo nascosti negli scaffali, o peggio ancora, nei magazzini delle case editrici.
Per fortuna Internet sta aiutando molto gli editori medi e piccoli, permettendo di avere grande visibilità sui loro siti, agevolando le vendite on-line e consentendo un diretto rapporto con i lettori. Penso che in futuro il web agevolerà sempre più la media editoria, mentre non vedo molte possibilità nelle librerie che diventano sempre più dei “supermercati” e necessariamente si focalizzano sui prodotti più commerciali
.

Fra le novità che Delalo propone, segnalo un poker d’assi:
Agnese De Donato, “Via Ripetta 67”: scrittori e poeti nella libreria romana più bizzarra degli anni ’60 (136 pagine, 14 euro);
Georges Minois, “Storia del mal di vivere”, dalla malinconia alla depressione (352 pagine, 25 euro);
Jean Verdon, “Bere nel Medioevo”, sulle bevande alcoliche, e non, che si assumevano in quel periodo e, soprattutto, quali effetti sociali producevano (300 pagine, 22 euro);
Annamaria Rivera, “La guerra dei simboli”: veli coloniali e retoriche sull’alterità (144 pagine, 14 euro.


Minimum fax


minimum fax è nata ufficialmente nel 1993, anche se allora era soltanto una piccola rivista sotterranea, una pubblicazione periodica che veniva diffusa via fax, prima che iniziassero a fare libri, la mandavano agli abbonati ogni mese.
E qui meno vanto d’essere stato uno dei primi ad accorgermi di loro, prima che cominciassero a stampare volumi, quando faxavano. Ne parlai, infatti, a Radiorai – su quella Radio3 ora diventata, come ho già scritto in una nota precedente, un incrocio fra Radio Maria e Radio Caciotta – nella rubrica “I pensieri di King Kong” che conducevo.
Tra i titoli dell’Editrice, segnalo: “Appuntamento a Samara” di John O’Hara: grande romanzo celebrato da Hemingway e Updike; “Le anime disegnate” di Luca Raffaelli: il pensiero nei cartoons da Disney ai giapponesi e oltre; “Sette pezzi d’America”: i grandi scandali americani raccontati dai Premi Pulitzer, a cura di Simone Barillari; “Sappiamo cosa vuoi” di Martin Howard: libro che svela i meccanismi della persuasione occulta.
Non è una novità, ma ve lo segnalo lo stesso perché è un libro straordinario: “Gesù lava più bianco” di Bruno Ballardini: uno studio, scritto in modo documentato e brioso, sulla storia della comunicazione pubblicitaria nella Chiesa cattolica, una controstoria della Chiesa – azienda con il settore marketing più efficace e capillare di tutto l’occidente.
E poi, tra le novità, un volume che s’annuncia come un possibile best-seller: “Il ciclista” di Viken Berberian, autore presente alla Fiera (venerdì 9, ore 17, Sala Montale, presentato da Anna Mioni e Tommaso Pincio).
E’ nato in Libano, vive tra New York e Marsiglia. Laureato alla Columbia University e presso la London School of Economics, “Il ciclista” (185 pagine, 13 euro) è il suo primo romanzo. Attualmente Berberian, che fino a poco tempo fa lavorava come dipendente presso una società di investimenti, sta lavorando ad un romanzo su Wall Street.
Ne hanno già scritto un gran bene in molti, io ho rivolto alla traduttrice Anna Mioni una domanda indiscreta: perché bisognerebbe leggere questo libro?
“Il ciclista” va letto per tanti motivi: prima di tutto perché racconta in modo ironico e neutrale una storia sui problemi di convivenza di etnie e religioni diverse, in una regione dove la violenza è costante, dal punto di vista di uno che fa il kamikaze quasi per caso. Poi perché offre uno spaccato della vita vera di quei territori in tono fresco, spontaneo e privo di moralismi. E ancora per la sensualità estrema della scrittura con cui l’autore descrive la cucina del Medio Oriente o la donna amata. Da un punto di vista linguistico, è interessante la continua ricerca di allitterazioni, assonanze e rime, che ho cercato di mantenere in italiano. Il testo ha anche una serie di frasi ricorrenti che sottolineano concetti chiave, oltre a echi dei testi antichi mediorientali. Si tratta di una prosa originale e di uno stile ricercato e rifinito, per un libro frizzante e brioso che si legge tutto d’un fiato.


Luca Sossella


La casa Editrice Luca Sossella vanta 8 collane tutte puntate sulla comunicazione politica ed estetica e, per mia gioia, nessuna dedicata alla narrativa.
Dalla presentazione web della Casa: “Progettiamo libri, eventi, situazioni con la consapevole levità che progettare significa lanciare davanti a sé un'idea da raggiungere, ma che non si potrà mai possedere. Costruire un'impresa culturale significa porre una continua interrogazione sulle nuove esigenze emergenti. Abbandonare modelli arcaici e preconfezionati.
Comunicare i molteplici connessi saperi potrà essere il giusto contraltare al teatro del piagnisteo”.
Tra le particolarità che presenta quest’editore c’è un’attenzione alla phoné che s’esprime nella pubblicazione di audiolibri dove si trovano in catalogo nomi che vanno da Carmelo Bene a Vittorio Gassman, da Aldo Busi a Paolo Nori.
A Luca Sossella, mio compagno in un viaggio spaziale, ho chiesto che cosa progetta e se continuerà a pubblicare libri sonori. Così mi ha risposto.
Organizzare un archivio della voce dei poeti italiani. Una Fondazione della voce , ecco cosa ci piacerebbe progettare il prossimo anno. Siamo persuasi che dal suono della voce possa riaffiorare il desiderio di essere attraversati dalla buona scrittura, da quella singolarità sensibile che l’ascolto pre-dispone, innanzi tutto contro l’anestesia del secolo. Ascoltare. Anche la tragedia di cui siamo complici nel nostro silenzio. Sordo. Muto. Chiudere gli occhi, sì è (non) visto fin troppo.
Nel frattempo continueremo a pubblicare cd audio? Certo, escono adesso a fine anno di Pier Paolo Pasolini "Meditazione orale", testi registrati da PPP nel 1962, e di Valerio Magrelli "Che cos'è la poesia?", e poi "Il caso Salgari", "Il caso Artusi" "Il caso Lombroso" nella serie Patologie italiane con la voce di Massimo Popolizio, e poi il "Pinocchio" (2 cd) di Carmelo Bene. E la nuova edizione dell’Antologia personale di Vittorio Gassman sulla poesia dell'800 e del '900
.


Più libri più Liberi

Cosmotaxi Special per “Più libri più Liberi”:
Roma, 8 – 11 dicembre


FINE


E adesso ammazzateci tutti


La Simbdea, Associazione di studiosi universitari e operatori nel settore museale, nell’àmbito delle sue attività tese alla valorizzazione dei beni etnoantropologici italiani, promuove, per la prima volta in Calabria, una Conferenza Regionale per illustrare lo stato delle collezioni dei Musei nel territorio, tra i quali vi è anche il Museo della Cultura Contadina di Francavilla Marittima (Cosenza), dove si svolgerà tale Conferenza dal 10 al 13 dicembre.
Il Comitato Scientifico è composto da Paola de Sanctis Ricciardone, Dipartimento Archeologia e Storia delle Arti, Università della Calabria; Pietro Clemente, Presidente Simdea, Università di Firenze; Vito Lattanti, Soprintendenza al Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”; Vincenzo Padiglione, Direttore Rivista “Antropologia Museale”, Università di Roma 1 “La Sapienza”.
Dal catalogo della Conferenza, estraggo parte della presentazione scritta da Paola De Sanctis Ricciardone che chiarisce - aldilà dell’esplorazione tecnico-museale – qual è lo spirito di fondo di questo convegno.
“E adesso ammazzateci tutti”, lo striscione che ha fatto il giro del mondo, nato dalla creatività di un ragazzo di Locri, dovrebbe fare bella mostra accanto ai Bronzi di Riace, è un grido di sfida verso chi considera la Calabria una terra di conquista, da erodere e da annientare. Verso chi, in virtù di chissà quale concezione zoologica (direbbe Marx) delle gerarchie sociali, considera un diritto naturale vivere da parassita sulla propria terra, sfruttare chi ci lavora e investe denari, terrorizzare e uccidere la brava gente, dissanguare e distruggere le risorse umane, ambientali, artistiche, finanziarie e culturali dell’intera Regione. Come tutti i parassiti ciechi e stupidi, gli uomini ciechi e stupidi della ‘Ndràngheta non sanno che darwinianamente uccidere l’ospite che ti consente la sopravvivenza, prima o poi si traduce in una condanna a morte per tutti, ‘ndrine comprese. Imprenditori esterni che fuggono, esercizi locali che chiudono, 30-40% di presenze turistiche in meno nel 2005, livelli di inquinamento del mare mai raggiunti prima d’ora, ributtanti escrementi di cemento sulle coste, sfigurazioni permanenti dei paesaggi naturali e architettonici, svalorizzazione dell’immenso patrimonio culturale e ambientale della Calabria: sono questi gli “investimenti” suicidi dei mafiosi su quella che è anche la loro terra. Fiumi di danaro sporco di sangue da versare come vetriolo sul volto di una bellissima donna, odiata – chissà perché - al punto di volerla sfregiare per sempre, prima magari di bruciarla viva come avviene troppo spesso per le spose ribelli del Pakistan. […] “La mafia è una montagna di merda” diceva Peppino Impastato, ma anche perché sa fare affari solo con quella: droga, cemento, armi. Una premessa questa, scritta sull’onda emozionale degli ultimi sanguinosi eventi, che vuole accompagnare l’annuncio della Prima Conferenza Regionale della Simdea in Calabria: un’occasione per riflettere sulla museografia e i Beni demoetnoantropologici, sulla loro tutela, conservazione e valorizzazione per sviluppare progetti di riqualificazione del territorio e di investimento nella cultura. Vuole essere, oltre che una scadenza istituzionale, anche una piccola risposta che “chi spera e non spara”, sempre per citare i ragazzi di Locri, può dare per contrastare il deterioramento del tessuto etico, estetico, politico e sociale che le mafie di tutto il mondo producono

Francavilla Marittima (CS) 10-13 Dicembre 2005
Info: giuseppe.reda@unical.it


Diventa Nessuno


Tutte le tv s’assomigliano, soprattutto nel peggio.
Nel rassomigliarsi, eccellono, si sa, Mediarai e Raiset.
Per questo, tempo fa, mi abbonai a Sky, per scansarmi i pacchi (in tutti i sensi) di Bonolis, il mellifluo notaio Vespa, le carampanate della Zanicchi, e via disco orrendo… sì le due parole le ho separate apposta.
Qua e là, però, qualcosa di buono c’è: più di un angolo di Raitre, alcuni documentari di Discovery e History, La7, Planet, Cultnetwork, e l’ottimo palinsesto di Nessuno Tv.
Questa tv dall’occhio ulisside narra le odissee del nostro tempo con un lessico visivo semplice ed efficace e fa dell’interattività il suo principale strumento comunicativo.
E’ nata e ha sede a Roma, trasmette sul canale Sky 890.
Alla Presidenza, Luciano Consoli; direzione contenuti di Claudio Caprara; redazione di Paola Di Fraia; comunicazione e ufficio stampa di Marco De Amicis. Per notizie sul palinsesto, collaboratori, blog, cliccate QUI.
A parlare di NessunoTv, ho invitato Bruno Pellegrini, ideatore ed Amministratore Delegato di quell’antenna.
E’ laureato in Economia e Commercio, insegna Sociologia della Comunicazione all'Università d’Architettura di Roma, ha lavorato nel marketing alla Procter&Gamble e in consulenza aziendale in Bain, dopo un master in business administration in Francia ha lanciato il portale Jumpy, è stato pure consulente del palinsesto de ‘La7’ per la quale ha realizzato anche “Crea” (un magazine sulla creatività indipendente), Nel 2001 ha fondato la società di produzione ‘OffSide’, produttrice, ad esempio, di un film di successo: “Private”, storia di una famiglia palestinese durante l’ultima Intifada.
A Bruno Pellegrini ho chiesto di parlare sui traguardi comunicativi di Nessuno Tv.
La caratteristica fondamentale di Nessuno TV è la partecipazione del pubblico, a cominciare dal grande locale che ospita gli studi dell'emittente: una novità assoluta per il panorama televisivo italiano. Nel nuovo grande spazio aperto al pubblico, infatti, sarà possibile acquistare libri, assistere a dibattiti, bere, mangiare ed addirittura permettersi un massaggio. Il tutto sotto l'occhio discreto, ma sempre acceso, delle telecamere.
Un Caffé videoletterario, dove la presenza della televisione ci ricorda che siamo nel XXI secolo, predisposti a novità e nuove tendenze. Un posto per i giovani (e non) di tutti gli schieramenti, perché, dando la parola a tutti fino ad ora, NessunoTV ha dimostrato di essere un prodotto trasversale e senza censure. Questo nuovo spazio, che sorge a Roma nel quartiere Ostiense, che molti definiscono la Soho capitolina, consentirà quindi di avvicinarsi come forse mai prima d'ora al mondo della tv e della comunicazione, permettendo agli utenti di divenire protagonisti di una nuova tv.
Ma la partecipazione del pubblico non si limita agli studi aperti: NessunoTV, fa partecipare gli utenti della rete alla costruzione del suo palinsesto. Con il progetto BlogTV, ognuno può diventare videoblogger e mandare in onda i propri filmati oppure interagire in diretta video con i format del canale, seduto davanti al PC.
NessunoTV vuole vincere la sua scommessa di proporre contenuti di approfondimento con un linguaggio contemporaneo e lo fa con la partecipazione diretta del proprio pubblico
.

Nessuno Tv
Canale Sky 890
Per contatti: info@nessuno.tv e 06 – 57 30 54 42


L’ombra di Imana


La Casa Editrice Ilisso manda in questi giorni in libreria L’ombra di Imana di Véronique Tadyo, libro sul genocidio in Ruanda del '94.
La Tadyo, nata a Parigi nel 1955, trascorre l’infanzia ad Abidjan dove si laurea in letteratura inglese. Vince un dottorato in studi afroamericani all’università della Sorbona di Parigi e per alcuni anni insegna all’Université Nationale de Côte d’Ivoire ad Abidjan. Attualmente vive in Sudafrica.
Ha pubblicato per la Giannino Stoppani Edizioni “Tamburi parlanti”.
Dalla presentazione dell’Editore: “L’invito a partecipare a una residenza di scrittura insieme ad altri scrittori africani è il pretesto che porta alla stesura di una narrazione poetica sul filo della memoria che ripercorre in due distinti viaggi i siti del massacro, le prigioni dei condannati a morte o all’ergastolo attraverso le testimonianze dei sopravvissuti. La scrittrice franco-ivoriana, ricorrendo alla tradizione orale africana, riflette sulla violenza e sull’umanità, descrive vividamente il colpevole e l’innocente e promuove i valori della tolleranza, della pace e della riconciliazione”.
Nessuna meraviglia – aggiungo io – se, purtroppo, resterà delusa.
Il volume s’avvale della traduzione e postfazione di Maria Teresa Carbone, intellettuale finissima, tante le sue imprese d’autrice e organizzatrice culturale. Tra le più recenti, ha ideato con Nanni Balestrini la trasmissione Millepiani a mio avviso, e non solo a mio avviso, la migliore trasmissione sui libri vista in tv finora. A lei mi lega anche il ricordo di un periglioso viaggio spaziale.
Ha scritto Geraldina Colotti su Le monde diplomatique: “Tadjo, con frasi brevi e scelte costruisce un efficace reportage letterario, restituito con perizia dalla traduttrice. Voci di vittime e carnefici si levano dai luoghi del massacro e si pongono in circolo intorno all'autrice che, come una cantastorie africana, le consegna al tempo e ai lettori. È il coro tragico dei cento giorni durante i quali circa un milione di ruandesi «tutsi» e «hutu» moderati persero la vita per mano di parenti o vicini «hutu», soggiogati dalla propaganda razzista del movimento Potere Hutu e delle milizie oltranziste interhamwe. Un'ecatombe a colpi di machete, nel quadro di vecchi e nuovi appetiti coloniali, che un Occidente distratto, e pezzi di un'Africa disinformata, inizialmente lessero come «massacro tribale». Undici anni di distanza consentono invece di situare la tragedia nel complesso di ragioni storiche, economiche e geopolitiche che, in un secolo e mezzo, hanno trasformato la regione dei Grandi Laghi. […] Quando implodono i grandi ideali e crollano gli elementi di coesione sociale, gli individui ridiventano «massa» in balìa degli istinti repressi. «Cosa farei delle mie frustrazioni se saltassero le inibizioni sociali?» S'interroga la scrittrice Tadjo. «L'odio - aggiunge - dorme in ciascuno di noi». L'orrore riguarda tutti. «Il nero è la paura che il bianco ha di se stesso», scriveva Octave Mannoni in Prospéro et Caliban, Psychologie de la colonisation".
A proposito di Geraldina Colotti, mi piace ricordare che è un’eccellente poetessa, ha speso sé stessa fra abbagli e sbagli (questo lo dico io) e ha scritto pagine di valore (e questo non lo dico solo io); per saperne di più, cliccate QUI.

Véronique Tadjo
“L’ombra di Imana”
Traduzione di Maria Teresa Carbone
Edizioni Ilisso, 12:00 euro


Non ho parole


I Mestieri della Scienza


Nella scuola italiana, ieri avvilita dal modello gentiliano con le materie tecniche e scientifiche subordinate a quelle umanistiche, oggi dissestata dall’aziendalismo della pirluscona sciura Moratti che ha tentato perfino di escludere Darwin dai programmi, le Scienze se la passano male assai.
A questo s’aggiunga che alcune di esse (astrofisica e biologia fra le prime) sono addirittura attaccate da beghine e baciapile ed ecco, quindi, che su banchi, cattedre, trasmissioni radiotv fioccano soltanto “Zichicche” per ricordare il titolo di un libro imperdibile di Piergiorgio Odifreddi dedicato al curiale Antonino Zichichi degno più della storia del cabaret che non di quella scientifica.
Saluto con gioia, quindi, una nuova collana della Zanichelli, si chiama I Mestieri della Scienza ed è diretta, con volumi dal prezzo accessibile, prevalentemente ai più giovani.
Prevalentemente, dicevo, perché se è vero che è studiata per orientare scelte di studio illustrandone percorsi e approdi, è articolata su pagina tracciando mappe e chiare spiegazioni sulla sostanza di varie materie scientifiche, sicché in molti usciamo da quelle letture sapendone molto di più.
Curatrice della collana è Lisa Vozza.
Biologa di formazione, consulente editoriale, da anni si occupa di comunicazione ed editoria scientifica. Ha collaborato con numerosi editori, tra i quali Principato, Utet, Enciclopedia Microsoft-Encarta, Mondadori, Longanesi, Salani, Feltrinelli, Rizzoli. Per sei anni è stata responsabile dello sviluppo di nuovi progetti della casa editrice ‘Le Scienze’ e International Editorial Coordinator delle edizioni europee della rivista americana “Scientific American”. Attualmente lavora all’interno della direzione scientifica dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc).
A Lisa Vozza ho chiesto d’illustrare, in sintesi, i traguardi comunicativi della collana e come s’articola il progetto.
Che cosa significa oggi fare lo scienziato? Qual è la strada da percorrere? Com’è scandita la vita quotidiana di chi sta alle frontiere della conoscenza? Quali sono le motivazioni, le emozioni e le difficoltà di chi intraprende l’avventura scientifica in Italia e all’estero?
In ciascun libro de "I Misteri della Scienza" uno scienziato si fa rappresentante e interprete della propria disciplina, raccontando in un’intervista la propria esperienza professionale e umana e dando in un breve saggio un quadro generale della materia di cui è specialista.
Pensata per giovani incuriositi dall’universo scientifico, la collana è uno strumento per capire in modo concreto e realistico che cosa significhi passare una vita da matematico, astrofisico, neuroscienziato eccetera. Già dai primi quattro libri pubblicati, la scienza emerge come un grande contenitore di discipline, ciascuna delle quali richiede personalità, talenti, idee e scelte di vita estremamente variegati.
In un paese in cui la scienza è conosciuta poco e male, spesso solo negli aspetti più superficiali o vistosi (il gene di lunga vita o il premio Nobel), le vicende intellettuali e umane degli autori dei “Mestieri della Scienza” vogliono essere una fonte di ispirazione e di riferimento per chi desidera seguire un percorso di quel genere, ma non sa che cosa aspettarsi concretamente
.

I Mestieri della Scienza
Collana a cura di Lisa Vozza
Margherita Hack, “Idee per diventare astrofisico”
Piergiorgio Odifreddi, “Idee per diventare matematico”
Emilio Bizzi, “Idee per diventare neuroscienziato”
Gianfranco Pacchioni, “Idee per diventare scienziato dei materiali”
Ogni volume 128 pagine, 10:00 euro
Zanichelli


Teatro di Figura


Sto per dirvi di pupi e burattini, lo so già, pensate che stia per proporvi biografie dei nostri governanti, no, non è così. A loro, forse, meglio s’addice il Teatro delle Ombre essendo presto – almeno lo spero – ombre funeste di uomini (politicamente) trapassati e corrotti.
Corrotti perché trapassati o trapassati perché corrotti?... decidete voi.
No, sto per parlarvi di un’altra cosa.
L’Accademia Nazionale d'Arte Drammatica “Silvio d’Amico” sull’onda del successo riscosso nel 2004 con lo stage sul “cunto e opera dei pupi” nato dalla collaborazione con l’Associazione Figli d’Arte Cuticchio, ha varato il primo Corso di perfezionamento in Teatro di Figura: guarattelle, burattini, cunto e opera dei pupi.
La tenacia di Mimmo Cuticchio – al quale mi lega il ricordo di un viaggio spaziale fatto con lui – promotore e responsabile insieme con Guido Di Palma del corso di perfezionamento, ha permesso anche il coinvolgimento di Bruno Leone, già docente dell’ Ecole Supérieure des Arts de la Marionette a Charleville Mézières, erede della tradizione delle guarattelle napoletane, e di Luciano Pignatti direttore del Gran Teatro dei burattini di Modena e allievo di Otello Sarzi.
Dice Luigi Maria Musati direttore dell’ Accademia: È un ulteriore passo verso la formazione di una vera e propria facoltà del teatro di figura organicamente inserita nell’architettura didattica istituzionale dell’unica scuola teatrale di stato italiana.
Convinti che lo scopo di una moderna didattica non è la riproposizione dell’ antico e nemmeno lo stravolgimento delle vecchie strutture, intendiamo formare un “artigiano del teatro”, consapevole dei metodi e delle tecniche che adopera e in grado di sviluppare una riflessione su di essi. Infatti solo dalla capacità di valutare le proprie conoscenze e la loro efficacia può nascere quel processo di autoformazione indispensabile all’accrescimento dei saperi performativi e alla creazione di un proprio stile
.
Nel teatro di figura l’apprendistato tradizionale era un processo lungo, che durava anni e prevedeva una completa dedizione dell’allievo al maestro. Oggi è impossibile riproporre lo stesso percorso. La realtà sociale è profondamente mutata e nessuno accetterebbe di sottoporsi ad un addestramento basato sull’imitazione, in cui il sapere è faticosamente dedotto dall’allievo in relazione alle situazioni operative in cui si trova. Oggi piuttosto si tende verso un rapido assorbimento delle formule trasmesse attraverso una fase di formalizzazione teorico pratica.
Per questo il corso si articola attraverso tutte le fasi del processo di produzione dello spettacolo di figura. A differenza del teatro di prosa qui l’attore manovratore deve essere in grado non solo di costruire il proprio teatro e i propri pupazzi ma deve anche sviluppare una maggiore sensibilità verso il lavoro drammaturgico. Lo spettacolo tradizionale infatti si basa sempre sull’improvvisazione e ciò significa che non ci sono parole da ricordare, ma un canovaccio da far vivere
Le domande di partecipazione – redatte secondo un apposito modulo da richiedere alla Segreteria dell’Accademia – devono essere indirizzate (sia via e-mail, sia per posta ordinaria) entro e non oltre il 18 febbraio ‘06, all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico, Via Vincenzo Bellini 16, 00198, Roma.
Tel: 06 – 85 43 680 oppure 06 – 84 13 233; Mail: acc.naz@tiscali.it


War is over


La guerra, le guerre, sono, purtroppo, di straziante attualità nella loro tragica ferocia, anche se qualche buontempone parla di “guerra umanitaria” e i governanti italiani mandano all’estero armi e soldati a fare guerre che spacciano come “missioni di pace”: ipocrisie verbali, tartufesche invenzioni.
Petrolini direbbe: “C’è sempre un cretino che l’inventa e un idiota che la perfeziona”.
Premessa che introduce una nota che, se avrete la pazienza di leggerla, di guerra tratta.
La Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, fondata nel 1991, si va sempre più proponendo come uno dei migliori centri propulsivi del nostro paese per l’arte contemporanea realizzando mostre di rilevanza internazionale anche in collaborazione con musei stranieri. Attenta allo sviluppo dei nuovi linguaggi, promuove, ad esempio, progetti ‘site specific’ per giovani artisti, proietta la diffusione delle più recenti correnti delle arti visive attraverso il “Club Gamec”, convegni, programmi per le scuole.
Attualmente è in corso War is Over, 1945 – 2005. La Libertà dell’arte, mostra che, con un percorso in undici sezioni, presenta cento opere sulla guerra dei più grandi artisti moderni e contemporanei di tutto il mondo e di plurali tendenze espressive: da Francis Bacon a Christian Boltanski, Maurizio Cattelan, Giorgio De Chirico, Gino De Dominicis, George Grosz, Mario Mafai, Giulio Paolini, Pablo Picasso, Andy Warhol, solo per fare alcuni nomi.
Il tutto nasce dall’iniziativa “60 anni di libertà” promosso dal Comune di Bergamo per celebrare il 60° anniversario della Liberazione dal nazifascismo.
I curatori: Giacinto Di Pietrantonio e Maria Cristina Rodeschini Galati.
War is Over, allude in modo trasparente ad un titolo di John Lennon e Yoko Ono e, infatti, è esposto anche il loro manifesto ‘War Is Over-if you want’ che realizzarono nel 1969 contro la guerra del Vietnam, affisso allora in dodici città del mondo.
Basta l’arte a fermare le guerre, gli sterminii? Forse no, ma certamente è un contributo notevole alla riflessione sulla ferinità degli umani che indossano oggi un sistema nervoso centrale non lontano da quelli dei progenitori.
“Lo sguardo dell’Arte” – come si legge nel catalogo – “attraverso i suoi massimi esponenti moderni e contemporanei, può aiutarci a leggere il passato e comprendere il presente”.
E su questo, sono pienamente d’accordo.

War is Over
Bergamo
Fino al 26 febbraio ‘06
Orari: 10 – 19, chiusura il lunedì


Pool


Da dieci anni il Gruppo dei Kinkaleri suscita interesse di critica e pubblico anche fuori dei nostri confini proponendosi come una delle migliori Compagnie italiane di nuovo teatro.
E da tempo mi piacciono fino a sfidare pericoli cosmici e fare un periglioso viaggio spaziale con loro; sono sei, per la cronaca (anche, perché no, giudiziaria) Matteo Bambi, Luca Camilletti, Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco, Cristina Rizzo.
Oltre a spettacoli realizzano installazioni e performances in luoghi anche extra teatrali, ad essi relazionandosi di volta in volta in modo specifico, inglobandoli e facendosi inglobare dalle situazioni e dagli spazi incontrati.
Ora, a Scandicci, ripresentano Pool che debuttò in prima nazionale nel giugno 2005 a Prato al Festival “Contemporanea 05”.
Pool, pozzanghera e piscina, luogo di fascinazioni veloci, di sguardi inquieti dove risuona l’anfibia battuta dello spettacolo: “Guardami guardare. Guardati guardare. Ogni tragedia al suo posto”.
A proposito dei Kinkaleri, parteciperanno sabato 3 e domenica 4 dicembre, a Firenze, all’ Auditorium dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze (Via Portinari, 5/r), ad un convegno promosso da Scandicci Cultura dal titolo “Una prospettiva per le arti e lo spettacolo contemporanei”. Finalità dell'incontro è dare l'avvio a un processo di discussione, aperta a tutti coloro che operano nel campo della danza, del teatro, della musica, delle arti visive, delle arti mediali e della critica, che porti all'individuazione di una prospettiva condivisa per il futuro dello spettacolo e delle arti contemporanee in Italia.
Iniziativa lodevole in epoca berlusconiana, ce n’è particolare necessità.

Kinkaleri
“Pool”
2 - 4 - 6 – 8 / 12 / 2005
Teatro Studio Scandicci
Via Donizetti 54, Scandicci, Firenze
Tel/Fax: 574 – 44 82 12
info@kinkaleri.it


Gemine Muse

In 9 Paesi europei 37 musei aprono le porte a 108 giovani artisti e 45 critici.
Questi i numeri della rassegna d’arte contemporanea Gemine Muse 2005/2006.
E dopo avere dato i numeri… sì, mi succede spesso… vi dico, per rasserenare la vostra giornata, ch’è invariata la formula che ha determinato il successo di quella manifestazione. Prevede, infatti, una serie di mostre con opere ispirate a capolavori del passato, un dialogo tra arte contemporanea e arte antica, un progetto che promuove percorsi inediti attraverso la conoscenza del patrimonio culturale europeo.
Gemine Muse, curata da un gruppo di critici d’arte coordinati da Giacinto Di Pietrantonio, è, insomma, la vetrina per la presentazione di lavori d’oggi elaborati su opere di secoli fa.
Tra le tante occasioni, ecco, per esempio, che cosa succede a Ravenna da dove mi proviene la segnalazione.
Qui è ospite un’artista greca, Fani Sofologi, mentre Yuri Ancarani del database di Ravenna dell’ufficio Giovani Artisti Italiani
(realizzato da Associazione culturale Mirada), farà un lavoro ad hoc per il Museo di Civiltà Bizantina di Salonicco in Grecia.
Negli spazi della Domus del Triclinio di Ravenna sarà esposta l’opera video della Sofologi dal titolo ‘Altro tempo, altro spazio’. ispirata al tema dell’identità spaziale, cioè cosa accade quando un luogo deputato alla sfera del sacro, come la Chiesa di San Nicolò di Ravenna, vede la propria destinazione d’uso mutata e trasferita ad altro.
La parte ravennate del progetto Gemine Muse è a cura di Serena Simoni.
La trentenne ateniese Fani Sofologi, fin da giovanissima, si cimenta in videoperformances e video-installazioni, vanta già mostre cui è stata invitata a fianco di nomi quali Mona Hatum e Marina Abramovic.

Gemine Muse
Domus del Triclinio
Via Rondinelli 6, Ravenna
Dal lunedì al venerdì 10-16.30; sabato e domenica 10-18.30
Fino al 26 febbraio 2006


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